CONOSCERE PER COMPETERE. CAPITALE UMANO, TECNOLOGIA E SVILUPPO ECONOMICO
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- Lamberto Adamo
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1 CONOSCERE PER COMPETERE. CAPITALE UMANO, TECNOLOGIA E SVILUPPO ECONOMICO Sommario: 1. Introduzione 2. Le politiche per la competitività 3. Conoscenza e capitale: ricerca e produttività 4. Conoscenza, istruzione e capitale umano 5. Conclusioni. 1. INTRODUZIONE L attenzione mediatica alla competitività del nostro Paese è elevata in questo momento. Si discute ad esempio della capacità dell Italia di far fronte alle sfide che vengono da Paesi a rapido tasso di sviluppo, come la Cina, che offrono una capacità produttiva rilevante a costi minori. Ci si chiede come la nostra posizione competitiva possa essere migliorata, il Governo appronta documenti di policy sull argomento, le associazioni di imprenditori e i sindacati le discutono. Lo strumento che nel passato ha contribuito a migliorare la nostra competitività di prezzo il tasso di cambio non è più nella disponibilità dei nostri policy maker, mentre una maggiore attenzione alla dinamica dei saldi di bilancio pubblici rende più difficile il ricorso alla politica fiscale. L impressione che talvolta si trae da queste discussioni, tuttavia, è che si ponga un enfasi eccessiva sulle questioni relative ai costi di produzione e al prezzo finale delle merci, come se questi rappresentassero oggi l unico fattore di competizione tra sistemi. Ovviamente non è così. Lo scopo di questo scritto è cercare di comprendere quali siano le caratteristiche della competitività italiana, e quali le variabili su cui i policy maker possono intervenire per migliorarla, anche alla luce delle caratteristiche competitive di altri Paesi. 2. LE POLITICHE PER LA COMPETITIVITÀ La capacità di competere è cruciale per raggiungere o mantenere tassi di crescita del prodotto elevati. I fattori che determinano la capacità di competere nella tecnologia o nel commercio determinano perciò anche lo sviluppo economico: esiste un canale diretto tra competitività, esportazioni, domanda aggregata, e crescita del reddito. Maggiori esportazioni implicano maggiore crescita. Dato questo canale, dobbiamo chiederci quali siano gli strumenti di policy che lo influenzano. Tra gli strumenti «tradizionali», sui quali l enfasi è in questo momento maggiore, il più rilevante è naturalmente il tasso di cambio. Un deprezzamento del cambio è lo strumento competitivo più semplice e dai minori costi apparenti, quanto meno nel breve termine. Naturalmente i suoi effetti possono essere perversi: guardando al cambio tra euro e dollaro, un deprezzamento dell euro significa un prezzo del petrolio, e quindi potenzialmente un inflazione, maggiore. Inoltre, un cambio debole implica un minore benessere dei cittadini. Accanto al cambio, vi sono strumenti di politica fiscale, come detassazioni, incentivi alle esportazioni, dazi, che possono migliorare la competitività. Ciò che caratterizza questa famiglia di strumenti è in genere il loro agire sul prezzo di vendita o sul costo di produzione del bene: un deprezzamento del cambio rende i beni nazionali più convenienti; un dazio rende quelli esteri più cari. Dal punto di vista istituzionale, tuttavia, lo strumento del cambio non è nella disponibilità delle autorità nazionali dopo l ingresso nell Unione Monetaria Europea. Non esiste allo stato una politica esplicita del cambio a livello europeo, e, almeno apparentemente, il cambio tra euro e dollaro sembra essere guidato più dalle scelte statunitensi che da quelle europee. D altro canto, la possibilità di politiche fiscali espansive è fortemente limitata dalla necessità, dettata dal Patto di Stabilità e crescita, di mantenere un equilibrio di bilancio nel medio termine. L alternativa logica a questo approccio è rappresentata dai guadagni di produttività, sul lato della combinazione dei fattori della produzione del lavoro: la capacità di spostare la frontiera utile di produzione determina un miglioramento della posizione competitiva senza fare ricorso a strumenti che 1
2 modificano in modo esogeno la struttura dei costi. Il cambiamento è endogeno all impresa: ma affinché vi sia cambiamento sono necessari conoscenza e innovazione. I differenziali di produttività diventano perciò un fattore competitivo: il differenziale tra la crescita della produttività negli Stati Uniti e nell Unione Europea, ad esempio, è frequentemente invocato come la principale determinante di distanza tra i due sistemi. La differenza tra crescita della produttività del lavoro e crescita dei salari monetari è considerata dalla Federal Reserve come un attendibile indicatore dell inflazione futura. La crescita della produttività, oltre a determinare la crescita del prodotto e dell occupazione, serve perciò a spiegare anche l atteggiamento della politica monetaria. 3. CONOSCENZA E CAPITALE: RICERCA E PRODUTTIVITÀ La via principale attraverso la quale la conoscenza e l innovazione entrano nei processi produttivi è rappresentata dalla spesa per ricerca e sviluppo (R&D). Gli investimenti in R&D italiani in proporzione al PIL, sia pubblici che privati, sono come è noto decisamente inferiori alla media europea (fig. 1). Da questo punto di vista, vi è certamente uno svantaggio competitivo. Spesa totale per ricerca e sviluppo fonte: Eurostat New Cronos 4,5 4 3,5 percentuale del PIL 3 2,5 2 1,5 EU-15 Ger Fra Ita Sve UK 1 0, Figura 1 Esiste un canale di trasmissione che porta dalla spesa per ricerca alla produttività totale dei fattori (PGF). La letteratura in materia è ampia, e mostra una relazione diretta tra il capitale di ricerca di un Paese o anche più semplicemente dell investimento in ricerca e l efficienza produttiva. Stime econometriche da noi effettuate 1 mostrano che tale relazione è presente e significativa anche in Italia. La semplice ricetta di policy che ne deriva è che un incremento della spesa per ricerca determina un miglioramento dell efficienza produttiva. Va naturalmente tenuto presente che un incremento dello stock di ricerca produce effetti non immediati: gli esiti della ricerca sono infatti intrinsecamente incerti o addirittura aleatori, a volte si esplicano dopo molto tempo, come avviene nel caso della ricerca di base, e possono variare in modo significativo non solo tra i Paesi, ma anche tra i settori o le aziende. Tuttavia, data la rilevante elasticità della produttività del lavoro e di quella totale alla 1 C. Viviani, (2004), La relazione tra ricerca e produttività in un campione di paesi OECD: prime evidenze empiriche, Economia, Società e Istituzioni, n. 2/
3 spesa per ricerca, il livello insoddisfacente della spesa, sia pubblica che privata, contribuisce a spiegare i bassi tassi di crescita del prodotto nel nostro Paese. Accanto agli effetti diretti, esistono effetti indiretti della ricerca attraverso trasferimenti tecnologici (technological spillover). La conoscenza tende a diffondersi e ha nel medio termine effetti positivi anche sulle imprese che non effettuano direttamente investimenti: [ ] knowledge spillover exist because the fruits of innovative activitiees are not fully appropriable. The imperfect appropriability of the returns of innovative activities arises from the non-rival and partially exludable property of the knowledge good 2. La modalità classica di trasferimento delle tecnologie è costituito dagli investimenti diretti esteri (IDE). L ingresso di imprese straniere nel territorio determina uno spostamento in avanti della frontiera della produzione, e per molti paesi l accesso a nuove tecnologie provenienti dall estero determina oltre il novanta per cento della crescita della produttività 3. Il ruolo degli IDE nello sviluppo economico e nell avanzamento tecnologico di un Paese può essere dunque molto rilevante. Tuttavia, perché gli investitori siano attratti da un territorio, e perché tali effetti positivi si esplichino, è necessario che le condizioni di base di quel territorio siano adeguate e pronte a recepire le innovazioni. Questo può accadere solo se nel territorio sono presenti adeguati livelli di capitale umano e tecnologico, che riescano da un lato ad esercitare una forza di attrazione sugli investitori esteri, e dall altro, recependo le innovazioni, a diffonderle all intero sistema che ospita l investimento. Politiche nazionali o locali di facilitazione dei processi di trasferimento tecnologico sono utili ma non possono essere l unico fattore di localizzazione. I fenomeni di spillover, infatti, hanno una maggiore probabilità di avvenire quando il gap tecnologico e di conoscenza tra i sistemi produttivi di provenienza e quelli di destinazione non è eccessivamente elevato, ovvero in presenza di complementarità tra linee di ricerca. L esperienza internazionale mostra che i governi che hanno cercato politiche di miglioramento del capitale umano e tecnologico sono riuscite ad attrarre una quota maggiore di IDE, innestando un circolo virtuoso tra le proprie politiche e gli effetti positivi degli IDE 4. Inoltre, si può affermare che è necessario individuare settori specifici nei quali investire strategicamente in modo da attrarre investitori. Contrariamente a quanto comunemente si crede invece, il ruolo degli incentivi in special modo di quelli fiscali non può essere sostitutivo di tali condizioni di base, anzi un tale tentativo, oltre a non produrre effetti positivi, ne può produrre di negativi, dato che crea un vincolo di dipendenza del territorio dal bilancio pubblico, a sua volta vincolato al rispetto degli obiettivi di pareggio del Patto di Stabilità, e crea i presupposti affinché, una volta cessati gli incentivi, le imprese straniere abbandonino il territorio. Se ne trae la conclusione che una politica coerente, credibile e duratura di investimenti (pubblici e privati) nel capitale umano e tecnologico del nostro Paese può servire ad attrarre gli investimenti diretti esteri e, per questa via, contribuire anche, in maniera indiretta, allo spostamento della frontiera tecnologica, innestando un circolo virtuoso tra conoscenza prodotta all interno, conoscenza importata, produttività, crescita e occupazione. La scarsa attrattività del nostro Paese in termini di IDE ha dunque un rilevante effetto negativo sulla possibilità di spostare la frontiera tecnologica e quindi sulla competitività dell Italia. 2 M. Cincera, (2005), Firms Productivity Growth and R&D Spillovers: An Analysis of Alternative Technological Proximity Measures, CEPR Discussion Papers, n Si veda al riguardo per una rassegna degli studi più recenti W. Keller, (2004), International Technology Diffusion, Journal of Economic Literature, vol. 52 n. 3. In B. V. Javorcik, (2004), Does Foreign Direct Investment Increase the Productivity of Domestic Firms? In Search of Spillovers Through Backward Linkages, American Economic Review, vol. 94 n. 3, viene affrontato direttamente il problema dell influenza degli investimenti esteri sulla produttività nazionale. 4 Si veda al riguardo C. Viviani (2003), Le determinanti dei flussi di investimenti diretti esteri in Europa: il ruolo del capitale umano e tecnologico, Quaderni ISE-LUISS n
4 60 Stock di investimenti diretti esteri 50 percentuale del PIL Francia Germania Italia Svezia UK USA Figura 2 4. CONOSCENZA, ISTRUZIONE E CAPITALE UMANO L istruzione viene generalmente percepita come un importante fattore di crescita per gli individui e per le economie nel loro complesso. Tuttavia, solo in tempi relativamente recenti, segnatamente all inizio degli anni sessanta, la teoria economica ha incominciato ad occuparsi sistematicamente di questo argomento. Le teorie che sono state elaborate possono essere generalmente ricondotte a due filoni. Il primo, anche dal punto di vista cronologico, è quello relativo alla teoria del capitale umano ; il secondo viene ricondotto alle teorie della crescita endogena. In prima approssimazione, si può dire che le teorie sul capitale umano hanno come riferimento l individuo e i benefici, ad esempio in termini di reddito, che per esso derivano dal ricevere un determinato tipo di istruzione; il secondo tipo di teorie ha invece come riferimento lo sviluppo di un paese e i fattori che lo determinano, e si rifà, come si è appena detto, alle teorie della crescita endogena, a partire dal modello elaborato da Lucas 5. Il principio fondamentale delle teorie del primo tipo, che accomunano il capitale fisico a quello umano, consiste nel fatto che nell attività di apprendimento gli individui sacrificano tempo e/o denaro in vista di un rendimento futuro: l istruzione è un modo attraverso il quale gli individui, proprio come per gli investimenti in capitale fisico, sopportano maggiori costi oggi per ottenere maggiori guadagni domani. È pertanto possibile effettuare una stima del rendimento dell investimento in istruzione. Le teorie della crescita endogena mostrano tra l altro come lo stock di capitale umano sia uno dei fattori chiave che determinano il tasso di crescita del prodotto. Attraverso un meccanismo simile a quello degli spillover tecnologici, un alto livello di capitale umano tende ad alimentare un più elevato livello di ricerca scientifica, che a sua volta richiede capitale umano: si innesta dunque un circolo virtuoso che determina alti tassi di crescita economica. Inoltre il capitale umano è, come abbiamo detto sopra, requisito fondamentale per l attrazione degli investimenti esteri. Accanto a questi effetti, se ne può certamente collocare uno che lega il livello di istruzione alla produttività del lavoro, ovvero alla produttività totale, ricollegandosi al paragrafo precedente. In conclusione, un capitale umano di migliore qualità, ottenuto attraverso investimenti in istruzione e formazione, contribuisce alla crescita e al progresso tecnologico del Paese. I dati sul livello del capitale umano delle persone occupate nel nostro Paese misurato ad esempio attraverso il livello di istruzione degli occupati non sono particolarmente confortanti se confrontati con quelli di altri o della media europea (tab. 1). Ne risulta che sul piano della competizione sono necessari sforzi rilevanti anche in questo settore: si può anzi sostenere che 5 Robert. E. Lucas, (1988) On the Mechanics of Economic Development, Journal of Monetary Economics. 4
5 differenziali di capitale umano possono contribuire a spiegare i differenziali di produttività del lavoro (tab. 2) e di produttività totale tra il nostro Paese e i suoi concorrenti. Distribuzione dell'occupazione per livello di istruzione, 2003 fonte: Elaborazioni su dati Eurostat Livelli Euroarea Francia Italia Svezia UK primaria e secondaria inferiore 24,2% 28,8% 43,9% 16,9% 10,9% secondaria superiore 47,1% 44,8% 42,8% 55,5% 51,9% terziaria 22,5% 26,4% 13,3% 27,0% 28,7% totale 93,8% 100,0% 100,0% 99,3% 91,6% Nota: la differenza a 100 è costituita da persone che non rispondono. Tabella 1 Produttività del lavoro, EU-15=100. Fonte: Eurostat Francia 118,5 120,5 117,9 118,8 Italia 95,0 93,0 90,5 89,0 Svezia 97,4 95,1 95,0 96,5 UK 90,5 91,7 94,2 95,4 Tabella 2 5. CONCLUSIONI Il livello di capitale umano e tecnologico è un fattore determinante per la capacità competitiva e la crescita di lungo termine di qualunque Paese. Differenziali di conoscenza determinano cioè differenziali di competitività e di sviluppo che possono diventare permanenti. Le politiche per la competitività possono e debbono pertanto concentrarsi sulla conoscenza, piuttosto che sui fattori di costo. Questi ultimi sono certamente rilevanti, ma hanno una valenza soprattutto di breve termine. Al contrario, lo spostamento della frontiera tecnologica ottenuto attraverso la conoscenza è duraturo e fornisce un reale fattore competitivo di lungo periodo. Come abbiamo sottolineato sopra, è possibile attrarre investimenti esteri attraverso gli incentivi: ma, in assenza di una base di conoscenze umane e tecnologiche, tali politiche sono destinate a fallire nel lungo termine, ovvero appena gli incentivi vengano rimossi. Un livello elevato del capitale umano e tecnologico e, aggiungiamo qui, una elevata capacità di rinnovo e avanzamento della conoscenza, permette invece di attrarre IDE in modo indipendente dagli incentivi e, attraverso il movimento internazionale dei capitali, permette altresì di trasferire conoscenze e tecnologie. In questo modo si può ottenere un ulteriore avanzamento della frontiera della produzione. Sembra di potersi affermare che il modello di sviluppo prevalente oggi nel nostro Paese sia caratterizzato da bassa attenzione per la ricerca e per le tecnologie più avanzate. Un tale modello potrebbe portare, nel più lungo termine, ad un minore tasso di sviluppo dell Italia rispetto ai propri partner-competitor europei, che andrebbe oltretutto ad abbinarsi ad un appiattimento su processi produttivi caratterizzati da tecnologie non innovative o a basso contenuto tecnologico tout court. Tali fenomeni sono aggravati dalla scarsa capacità di attrazione da parte del nostro Paese di IDE, che peraltro come abbiamo detto dipende in misura rilevantissima dal capitale umano e tecnologico. Si viene così a creare un circolo vizioso che potrebbe determinare nel lungo termine l attestarsi del nostro Paese verso livelli tecnologici più arretrati rispetto agli altri Paesi dell Unione Europea, con conseguenze negative sia per la capacità di competere sia per il tasso di crescita del reddito. L investimento necessario nel nostro Paese per recuperare competitività nella conoscenza e nell efficienza produttiva è considerevole dal punto di vista delle risorse, ma necessario e urgente, anche perché gli effetti della ricerca sono incerti e non immediati. Esiste naturalmente un problema di vincolo 5
6 di bilancio, derivante dal Patto di stabilità e crescita. La discussione sulla riforma del PSC sembra orientarsi al momento verso un trattamento di maggior favore nei confronti della spesa pubblica per investimenti. Cercare di promuovere un indirizzo di policy che consideri in tali investimenti la spesa per ricerca e sviluppo e quella per il miglioramento del capitale umano potrebbe essere una soluzione utile, posto che si individuino i settori nei quali investire strategicamente e vi sia un efficace controllo nella gestione delle risorse. Carlo Viviani Docente di Politica Economica LUISS "Guido Carli" 6
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