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1 Rocco Familiari Mi scuso del caldo e anche se non è nella nostra possibilità gestionale rimediare a questa situazione, spero che i ventilatori rendano la situazione meno difficile. Devo dire subito che il Ministro Salvi non parteciperà a questo incontro essendo trattenuto a Bruxelles da impegni istituzionali, e il segretario della CISL D Antoni sta arrivando ma credo che a questo punto possiamo avviare i lavori dato che mi sembra scortese verso i presenti protrarre ulteriormente l attesa. Ci siamo divisi con Massimo Paci i compiti nel senso che io farò una brevissima introduzione poi lui gestirà gli interventi e trarrà le conclusioni del dibattito, naturalmente preghiamo anche gli intervenuti di partecipare al dibattito che speriamo sia di interesse generale. Il tema che abbiamo voluto affrontare oggi è di estrema attualità, un tema caldo, quello della capitalizzazione, della ripartizione e le prospettive del sistema previdenziale, personalmente ci tenevo a mettere a fuoco un dato che la capitalizzazione non è un invenzione dell ultima ora, non è una ricetta che qualcuno ha inventato di recente per risolvere i problemi del sistema previdenziale, tutti i sistemi previdenziali sono nati a capitalizzazione; quindi la storia dei sistemi parte dalla capitalizzazione e tuttora per quanto riguarda l INPDAP abbiamo anche delle gestioni a capitalizzazione. Sappiamo tutti che storicamente il passaggio dalla capitalizzazione alla ripartizione avvenne per una serie di motivi: da un lato l impossibilità del

2 sistema in Italia come in quasi tutti i paesi europei di far fronte alle necessità con l accumulo di capitale e quindi le risorse dei capitali, dall altro, in questo caso si può dire che si fece di necessità virtù, la necessità appunto di svincolare capitali da destinare allo sviluppo. Un terzo motivo fu l ingresso di soggetti nuovi a cui bisognava pagare subito le prestazioni senza avere il tempo di accumulare le risorse di capitali da cui poi trarre il ricavato da destinare a prestazioni; tutti sappiamo la storia degli autonomi di questo paese dai coltivatori diretti del 57 agli artigiani nel 59 o ai commercianti nel 65. Oggi abbiamo la new entry che sono i parasubordinati che per ora stanno dando una grossa mano all amico Paci per i suoi conti ma che anche loro fra qualche anno avranno diritto alle prestazioni. Perché si torna a parlare di capitalizzazione? Perché la ripartizione si basava su una serie di costanti, una costante importante era demografica, cioè la necessità che si mantenesse costante il numero degli iscritti, il numero degli occupati e una costante era anche lo sviluppo economico, in presenza di variabili su questi due elementi è chiaro che il sistema non regge più ed è una crisi di questo sistema italiano come di tutti i sistemi europei. Anzi, il sistema italiano, più volte lo ribadiamo noi negli interventi, lo ribadisce il sindacato, ha fatto alcune modifiche, alcune riforme che lo mettono in questo momento in una posizione più favorevole rispetto a quella di Paesi anche economicamente forti come la Germania e la Francia. I dati demografici sono un dato di 2

3 conoscenza comune, sappiamo che in questo momento il tasso di natalità è zero e, come qualche volta Monorchio, ironicamente ha detto, se tutte le italiane si mettessero oggi a fare figli i benefici si vedrebbero tra venti anni dal punto di vista lavorativo; questo introduce una sorta di paradosso nella nostra situazione perché tutti sappiamo e da più parti viene affermato che occorre una immissione programmata di lavoratori stranieri ma non riusciamo nemmeno a gestire quei pochi, quelle poche migliaia di lavoratori che bene o male entrano annualmente nel nostro paese. Il dibattito sulla capitalizzazione entra quindi nel momento in cui si parla di un sistema a due o a tre gambe. Siete tutti addetti ai lavori quindi non devo specificare di che si tratta, comunque in questo momento c è lo sforzo di far decollare la previdenza complementare. L elenco delle norme che hanno introdotto e che cercano di far decollare la previdenza complementare è impressionante, l altro giorno sul Sole 24 ore c era un pezzo di quelli che si chiamano in gergo incarcerato con tutto l elenco delle norme negli ultimi tre anni, una proliferazione di norme ma, nonostante questo, la previdenza non riesce a decollare e qualche studioso disincantato dice che è inutile illudersi perché fino a quando il sistema pubblico deve garantire un certo livello di prestazioni quello complementare non decollerà mai. A questo punto c è stato il grande dibattito sull utilizzo del TFR, sull utilizzo obbligato o volontario, sulla destinazione automatica, cioè in effetti avendo bisogno di risorse l unico 3

4 serbatoio a cui in questo momento sembra che si possa attingere è quello del TFR; nel panorama delle varie proposte c è stata una voce eccentrica, una voce originale ed è il famoso progetto Modigliani che aveva, a mio parere rispetto alle altre proposte, un punto di vantaggio, cioè quello di non volere abolire il sistema a ripartizione, di non volerlo sostituire ma di rendersi conto che l affiancamento deve durare almeno una sessantina d anni, tant è che la proposta Modigliani, poi anche modificata, prevede un sistema a capitalizzazione complementare in qualche modo rispetto a quello obbligatorio a ripartizione che si sostituisca mano a mano nel tempo anche qui utilizzando il TFR con un sistema appunto a capitalizzazione che è uno dei due termini del nostro convegno. Rispetto a queste varie proposte ce n è anche una piuttosto ridotta nella portata ma significativa a mio parere per la novità che può introdurre nel sistema, che abbiamo insieme con l INPS in qualche modo elaborato e sottoposto all attenzione del Ministro Salvi, cioè quella di costituire con i proventi, per quanto riguarda noi delle vendite immobiliari e per quanto riguarda l INPS soprattutto con la cartolarizzazione dei crediti, un fondo a capitalizzazione col ricavato del quale far fronte ad evenienze future; certo non è la soluzione del problema però è un modo con il quale intanto si possono ottimizzare delle risorse straordinarie. Questa ipotesi Massimo Paci l ha mutuata in qualche modo dal modello americano in cui Clinton aveva utilizzato avanzi straordinari di bilancio per un fondo che dovrà 4

5 far fronte alle evenienze future; anche questa, pur nella sua dimensione piuttosto circoscritta, però risponde ad una esigenza che in questo caso si pone a mio parere drammaticamente ed è quella della ricerca di risorse; anche questo è un paradosso nel momento in cui si dice che non ci sono le risorse per il sistema pubblico a ripartizione e che bisogna trovare altre risorse per costituire fondi complementari a capitalizzazione, anche con l intervento di soggetti privati che poi in questo gioco, in questo meccanismo debbono avere i loro benefici. Quindi paradossalmente l introduzione di un terzo soggetto con interessi propri dovrebbe generare quelle risorse pubbliche che oggi in qualche modo stentano a far fronte alle esigenze generali. La verità è che siamo in una situazione in cui c è una sorta di collo di bottiglia piuttosto stretto e non possiamo muoverci più di tanto; il sistema pubblico deve continuare a resistere, ad esistere per far fronte ai debiti accumulati ed alle prestazioni per i prossimi almeno trenta quarant anni ma, nel frattempo va costituito un supporto, una seconda, una terza gamba che poi sarebbero le forme di previdenza individuali e le ultime norme di quel lungo elenco incentivano queste forme di previdenza individuale per cui alla fine un soggetto ideale dovrebbe avere l assicurazione generale obbligatoria, il fondo complementare e poi la previdenza individuale; certo anche questo è un terzo paradosso perché qualcuno ha parlato di previdenza dei ricchi, cioè soltanto con certe entrate è possibile garantirsi questo 5

6 sistema così completo. Abbiamo tutta una platea di futuri beneficiari di prestazioni che sono gli attuali occupati in lavori, quelli che vengono considerati di attualità, cioè i lavori parcellizzati, precari, discontinui, poco coperti dal punto di vista assicurativo i quali tra trenta anni o quaranta anni dovrebbero avere e la mia domanda è: che cosa? Questo è il quarto paradosso di questo elenco che ho appena fatto nel senso che ho l impressione che se non cambiano i fondamentali e se non si riesce a trovare un meccanismo e le condizioni per cui dal punto di vista finanziario, economico, demografico si ripropongano i termini per un patto fra le generazioni, fra i soggetti occupati e quelli non occupati il futuro sarà piuttosto oscuro. Infatti questi soggetti che oggi lavorano in maniera così precaria che appena riescono a sopravvivere con quello che percepiscono nelle varie forme di lavoro: contratti di solidarietà, i contratti part-time, e contratti interinali e così via, non avranno poi alla resa dei conti un trattamento pensionistico che consentirà loro di avere una vita decente. Ecco, io mi fermo qui, dopo una serie di suggestioni, di individuazioni di temi sui quali vorrei che si aprisse il dibattito e vorrei pregare Massimo Paci di assumere a questo punto lui la conduzione dei lavori così come eravamo rimasti per quindi dare la parola ai nostri ospiti. Massimo Paci Ti ringrazio e volendo seguire l ordine alfabetico, c è Minelli e poi Musi in attesa che arrivi D Antoni che avrebbe avuto la 6

7 precedenza ma stiamo qui aspettando che arrivi, quindi pregherei Minelli se vuole anche sulla base delle suggestioni di Familiari di dirci la sua opinione. Raffaele Minelli Vorrei partire da una considerazione che ormai naturalmente è abbastanza di dominio comune ma rispetto alla quale secondo me talvolta si perde il riferimento nel senso che ormai tutti sappiamo che il sistema previdenziale è un sistema strettamente collegato ovviamente a due parametri, a due sistemi a sua volta: da un lato come dire, la piramide demografica, le caratteristiche demografiche dell insieme a cui si adattano le regole, dall altra parte, naturalmente, le caratteristiche del mercato del lavoro; scollegare le scelte in campo previdenziale da questi due riferimenti rischia talvolta di far assumere ai vari soggetti che interpretano le tendenze posizioni secondo me deboli, allora rispetto alla demografia, viste le caratteristiche della composizione demografica degli italiani a cui si aggiunge il dato a cui faceva anche riferimento Familiari vale a dire il fattore immigrazione, le caratteristiche dei prossimi anni sono già costituite e quale sarà la caratteristica demografica del nostro prossimo futuro è ormai già da dare per scontato. Conosciamo quale sarà la realtà da qui ai prossimi dieci venti anni, in particolare per il nostro paese nel 2020, ci dicono i demografi noi avremo, rispetto alla situazione attuale, grosso modo questa configurazione per grandi cifre: avremo un milione e 7

8 ottocentomila giovani in meno, parlo di giovani sotto i venti anni, mi serve l esemplificazione per motivi che poi vi spiegherò, avremo due milioni e ottocentomila persone in età lavorativa in meno rispetto ad oggi, e avremo tre milioni e ottocentomila anziani in più rispetto ad oggi. Queste tre cifre costituiscono una situazione anomala a livello internazionale, tra le altre cose questi tre milioni e ottocentomila anziani in più vedranno al loro interno, per le caratteristiche che ha il decile della popolazione sopra agli ottanta anni che ha un tasso di crescita maggiore degli altri decili, un milione e mezzo di ultra ottantenni. Questa situazione, ripeto, presenta nel breve termine una questione, e qui vado sull altro fattore il mercato del lavoro, che, come dire, crea un vantaggio per certi aspetti, crea un elemento positivo paradossalmente nel nostro paese, nel senso che naturalmente ciò che conta per la tenuta di un sistema previdenziale al di là poi delle modalità con cui si intende utilizzare il risparmio previdenziale della collettività, è in relazione al tasso di attività cumulato, cioè quante persone non in età lavorativa ma giovani, dipendono dalla quota di popolazione in età lavorativa e quante persone in età anziana che quindi non lavorano più dipendono, è la somma dei due tassi di attività che pesa. Noi nel breve periodo, come avete visto le tendenze sono nettamente contrastanti, abbiamo un tasso di attività cumulato, cioè quanti giovani e quanti anziani pesano sul complesso di chi lavora che per la verità in questo caso non è in linea di scontro con il tasso di 8

9 attività degli altri paese, con il tasso di dipendenza degli altri paesi nel senso che siccome di giovani ce ne sono molto pochi, di anziani molti, il totale però cioè chi lavora deve sostenere una somma di questi due addendi che è compatibile e grosso modo analoga a quella degli altri paesi europei. Naturalmente questa situazione, ripeto, nel breve tempo positiva deve dare per scontato questioni anche delicate vale a dire, il fatto che il tasso di dipendenza sia analogo agli altri presuppone però la capacità della struttura, del sistema Italia, di grande flessibilità nell adeguare le politiche sociali in conformità alle caratteristiche demografiche, vale a dire naturalmente questa questione non pesa tanto se, visto che ci sono per esempio pochi scolari delle scuole elementari, si fanno meno classi elementari, si sposta il personale che fa l insegnante elementare ad altra funzione pubblica in corrispondenza di una caratteristica della domanda di servizi che è differente, e questo come sapete non è che sia semplice, non è che sia così elastico il sistema, le strutture pubbliche e i servizi non è che siano così facilmente manovrabili per motivi, peraltro, anche facilmente comprensibili. Al di là di questa questione il problema è destinato a diventare rischioso appunto intorno al 2020, in quel caso abbiamo una situazione delicata, e qui bisogna verificare appunto quali sono le caratteristiche del nostro mercato del lavoro, perché noi siamo anche un anomalia per i tassi di attività specifici di alcuni settori, noi abbiamo per esempio il tasso di attività femminile che è tra i più bassi a livello europeo, 9

10 paragonabile soltanto ad alcuni paesi mediterranei e circa dieci punti distante da quello che è il tasso di attività femminile presente nella maggior parte dei paesi continentali dell Europa e quelli Scandinavi e del Nord Europa. Abbiamo un tasso di attività della popolazione giovani in età lavorativa che in un area ampia, in una circoscrizione ampia del paese, centro e soprattutto come è noto mezzogiorno, è ancora a maggior distanza rispetto al tasso di attività degli altri paesi, poi c è un altro settore, anche questo, un altro pezzo demografico che non come qualcuno dice è in sofferenza rispetto al tasso di attività media dei paesi europei, vale a dire le persone attorno ai cinquanta anni vedono nel nostro paese un tasso di attività non eccezionalmente distante, per la verità, anzi, abbiamo constatato con una serie di analisi che la differenza tra noi e gli altri paesi europei, mediamente, quindi l età reale per certi aspetti di pensionamento non è vero che sia così distante, per i maschi pochi mesi di differenza tra l età reale di pensionamento italiana e l età reale di pensionamento della media europea. C è una differenza in meno e questo ha a che fare con politiche che da noi sono eccezionalmente carenti di interventi per gli over quarantacinque, che in tutta Europa negli ultimi anni sono stati sottoposti ad una forte pressione, alla esclusione, all allontanamento dal posto di lavoro, dall attività con formazione di istituti completamente diversi che vanno dalle pensioni di invalidità di alcuni paesi del Nord Europa a meccanismi diversi, a pensionamenti anticipati, a pre- 10

11 pensionamenti per crisi settoriali in altri settori e in ogni caso, nel nostro paese, a differenza di altri che hanno cominciato ad intervenire nel campo della formazione ricorrente e con piani formativi aziendali specifici tendenti a mantenere in attività di lavoro, da noi su questo punto di vista c è un ritardo fondamentale. Secondo me c è questo elemento: se noi non risolviamo l innalzamento del tasso di attività che è così distante in questi tre settori, lo dico sinceramente, non ci sono sistemi di conteggio che tengano. Prima addirittura di scegliere qual è il mix, il rapporto più corretto di ripartizione, tra previdenza, quota della previdenza da assegnare al meccanismo a ripartizione pubblico e quota della previdenza da consegnare a strumenti come quelli dei fondi a capitalizzazione secondo me è del tutto ozioso un dibattito, come dire, che non affronta il tema di fondo che è appunto questa particolare situazione. Seconda questione velocemente, c è un altra anomalia nel nostro paese che pesa sui dati strutturali, vale a dire il divario nella contribuzione, non esiste nessun altra realtà europea in cui le varie forme di attività lavorative verificano differenze contributive come quelle che da noi caratterizzano oggi il lavoro cosiddetto parasubordinato, il lavoro autonomo ed il lavoro dipendente regolare, non esiste nessun altro paese che mostra un divario così forte. Naturalmente un divario così forte è forza esterna di pressione fenomenale sulle caratteristiche stesse del mercato del lavoro; folle credo che sia quell imprenditore, che essendo in campo questa graduatoria così 11

12 differenziata contributiva, non veda di organizzare la sua impresa, non veda di organizzare i fattori che servono per attivare un impresa in modo tale da utilizzare quella che caratterizza il maggior risparmio da questo punto di vista; e questo è un elemento non secondario naturalmente. Ecco secondo me questi sono gli elementi, che velocemente in questa prima tornata bisognerebbe mettere al centro dell attenzione che invece rischia di essere più che altro strumentale ad elementi che sono secondari. E ovvio che gli interventi di riforma previdenziale che sono stati fatti a partire dal 95 ad oggi impongono, specialmente per coloro che hanno meno di diciotto anni di contributi, l attivazione di forme di previdenza integrativa. Lo sappiamo benissimo, c è un abbassamento del rendimento di contributi peraltro analoghi e, qui adesso mi dispiace a differenza di quanto dicono altre confederazioni, di quanto dica anche la mia confederazione ad esempio sulla scelta del passaggio al sistema Prorata, che, per me, non è una scelta da collegare alla valutazione dell andamento dei costi infatti, l andamento dei costi ha a che fare con questi dati strutturali ed è complessivo, quello è un problema di equità e ciò che non capirò mai, è perché due lavoratori che pagano lo stesso contributo per la previdenza pubblica, stranamente per quell accantonamento previdenziale debbono avere rendimenti diversi. Secondo me è a prescindere dall intervento, ma questa ripeto è una valutazione del tutto personale non è neanche della mia organizzazione, 12

13 eventualmente della mia categoria che già allora era contraria che si dividesse la platea dei contribuenti secondo quelle cifre ed era favorevole invece al sistema dell intervento Prorata, ma, ripeto, questo è elemento secondario rispetto ai due dati di fondo per i quali ovviamente bisogna pensare alle adeguate politiche. Sempre sul primo versante, l andamento demografico, naturalmente bisogna pensare, lo accennava di sfuggita nell introduzione Rocco Familiari, al problema ad esempio di quale politica dell accoglienza e di quali meccanismi dobbiamo mettere in atto perché il processo di insediamento dei lavoratori stranieri non dia luogo a quelle situazioni di allarmismo sociale sul quale magari si lavora anche politicamente; e come invece sia messa in campo una politica di accoglienza che sia in grado invece di far permanere nel nostro paese quote crescenti di lavoratori stranieri senza i quali quella composizione demografica è destinata a creare difficoltà crescenti. Massimo Paci Grazie Minelli che ha messo appunto in campo alcuni fattori che sono a monte del dibattito tra ripartizione e capitalizzazione, adesso diamo la parola a Musi. Adriano Musi Io ringrazio Familiari e Paci per questo invito perché ci consentono di aprire una discussione, un approfondimento sul fatto che noi abbiamo intrapreso una riforma della previdenza nel 13

14 1995 con degli aggiustamenti nel 97, ed è importante per alcuni versi il fatto di valutare che stiamo discutendo di una riforma fatta perché molti dei problemi che ha toccato Familiari nella sua introduzione come alcune delle considerazioni che faceva prima Minelli nascono da questa riforma, nascono dal fatto che in Italia, e non bisogna dimenticarlo perché vedo anche disattenzioni politiche su questo problema, abbiamo fatto una riforma della previdenza con il massimo del consenso del mondo del lavoro: la Svezia, che è l altro paese che ha adottato una riforma della previdenza come l Italia, ha dettato soltanto le linee guida e la riforma della previdenza partirà nel 2002, pertanto, l unico paese che ha fatto la riforma della previdenza è l Italia. Gli altri paesi stanno ancora discutendo un problema che noi nel 1992 abbiamo risolto cioè quello del legame tra la rivalutazione dei salari e la pensione; si tratta di temi che abbiamo risolto e abbiamo già abbondantemente attuato tenendo conto che dal 1995 abbiamo attuato la riforma. Riferendomi ad uno dei quesiti che poneva Raffaele Minelli, me lo tolgo subito come problema per evitare confusione perché è vero quando lui dice che c è un problema di equità nel sistema previdenziale ma bisogna anche tenere conto che c è un altra equità perché la divisione tra i lavoratori con più di quindici anni di anzianità e meno di quindici anni di anzianità nasce nel 1992 con l intervento di Amato, e nasceva proprio per il problema dell equità cioè si teneva in considerazione che era presente tutta una platea di lavoratori che erano avanti con l'età e 14

15 che non avrebbero mai potuto compensare con nessun intervento integrativo la loro perdita di pensione pubblica. E per questo che è un motivo di equità, non un fatto generazionale, non un fatto di lotta tra giovani, perché il problema di come difendere il diritto e come difendere un sistema, che solidaristicamente difenda anche i giovani e dia diritto ai giovani di avere una previdenza pubblica comunque garantita, è la riforma del 95, è la riforma che ha visto il mix giusto tra la ripartizione e la capitalizzazione, tra la parte di quota di previdenza coperta dal pubblico e la parte di previdenza integrativa che si copriva attraverso un intervento volontario (parte contrattuale, parte individuale); ad una certo punto del percorso, quando abbiamo discusso dell intervento fiscale sulla previdenza complementare, è stato abolito il terzo pilastro cioè quello che doveva in una certa maniera essere un vantaggio fiscale costruito per la previdenza collettiva proprio perché sapevamo che chi costruisce una previdenza collettiva complementare lo fa perché deve compensare la perdita di previdenza pubblica e lo fa perché sa che deve destinare una parte del salario, anche se non molto elevato per coprire la previdenza pubblica che gli viene a mancare rispetto alla riforma. Il terzo pilastro era quello individuale cioè del di più, cioè di coloro che potevano consentirsi attraverso il loro tenore di vita attraverso il loro salario di poter investire anche una quota ulteriore di risparmio per una previdenza individuale. L errore che è stato fatto di porre fiscalmente sullo stesso piano la 15

16 previdenza complementare e la previdenza individuale è il massimo delle ingiustizie, è il massimo degli errori proprio perché mette sullo stesso piano due esigenze diverse: un esigenza fatta di un risparmio forzoso per coprire la previdenza pubblica ed un risparmio invece individuale che è fatto del di più, che è fatto di quello che ognuno può consentirsi di destinare ad una previdenza complementare. Questo è stato l errore fiscale, e se volete quando abbiamo detto vediamo come fare questa discussione sulla previdenza complementare, alla base di questa discussione c era il fatto che fosse chiaro quanto la previdenza pubblica copriva, perché parlare di previdenza pubblica, a ripartizione, parlare di previdenza a capitalizzazione, se non stabiliamo i paletti entro cui discutiamo tra quanto copre la previdenza pubblica una volta per tutte e quanto è necessario coprire con la previdenza complementare, noi diamo un ulteriore segnale di incertezza poiché non riusciamo a capire quant è che dobbiamo coprire con la previdenza complementare perché stiamo sempre a discutere sulla previdenza pubblica e se volete questo è un problema che va risolto anche rispetto al 2001 perché vedo con molta facilità qualche intervento che dice interveniamo sulle pensioni dal Noi non abbiamo mai discusso che dobbiamo intervenire sulle pensioni dal 2001 noi abbiamo detto che nel 2001 dovevamo fare la verifica contabile che significava fare una comparazione tra la spesa previdenziale e quelle che erano stati le stime e i calcoli che allora furono stabiliti nel 95 16

17 quando facemmo la riforma e guardate che se voi vedete quelle stime e vedete quelle proiezioni e le raffrontate alla spesa di oggi, come Paci può ben testimoniare, non è la spesa previdenziale che è aumentata, in quanto essa è abbondantemente dentro quelle stime. Quelle stime e quelle previsioni prevedevano pure la gobba, perché Ciampi allora, con molta intelligenza, la previse e scrisse in inglese quel documento del patto di stabilità per evitare che la traduzione non fosse compresa nelle sedi internazionali e quindi venisse fuori una polemica che poi è venuta rispetto alla gobba fomentata forse da economisti italiani disattenti rispetto a quella proiezione a quel documento di stabilità, perché la gobba c era, era ben prevista perché non si poteva pensare che il boom delle natalità avvenuto dopo la guerra, che ha costituito il boom economico degli anni 70, non diventasse poi un boom della previdenza a meno che non si pensasse che la gente non doveva andare in pensione, dovesse lavorare fino a 90 anni, e qualcuno pensava al modello coreano, e quindi a quel punto dice non abbiamo la spesa previdenziale, non abbiamo il boom. Siccome era ben presente questa cosa ecco perché dobbiamo una volta per tutte, fatto quel confronto nel 2001 far rilevare con nettezza che se c è una cosa che è venuta meno di quelle stime è stato l andamento dell occupazione e l andamento economico del paese. Si tratta di due nei che sono evidenti nel segnale che c era rispetto alle previsioni: bisogna rimettere insieme la politica di sviluppo, la politica di lancio del lavoro, la politica economica 17

18 che è risolutiva sia dei problemi pensionistici pubblici sia di quelli a capitalizzazione, perché pensare che c è una capitalizzazione che dà di più e dà un rendimento maggiore a prescindere dall andamento economico del paese, è utopia, e pensare che c è una ripartizione che non debba garantire comunque anche un andamento dell economia e quindi debba ripartire dentro la previdenza pubblica anche una parte dell andamento dell economia è altrettanto certo. Penso che non ci sia nessuna scuola economica che possa garantire che, a prescindere dall andamento dello sviluppo economico si possa comunque dare un risultato di rendimento maggiore di capitalizzazione rispetto alla ripartizione. Questo se volete anche rispetto ad una discussione che proponeva giustamente Familiari cioè quella del patrimonio immobiliare: noi siamo stati nei confronti del governo protagonisti di un assunto che era quello che i soldi che venivano percepiti dagli enti per la vendita del patrimonio immobiliare dovessero rimanere agli enti, l avevamo sempre detto, proprio perché siamo convinti che questo patrimonio sia un patrimonio gestibile dai lavoratori e debba essere gestito dai lavoratori perché sono i lavoratori che l hanno costruito attraverso il pagamento dei contributi. Erano riserve se volete, allora se vogliamo discutere come poter usare al meglio le riserve rispetto al patrimonio immobiliare, che oggi rende poco rispetto all andamento dell economia, allora facciamo questa discussione, però se dobbiamo discutere di come far 18

19 sperimentare, utilizzando il fondo costituito con le rendite del patrimonio immobiliare, una capitalizzazione che possa poi magari compararci con l idea di Modigliani, su questo siamo completamente contrari; perché Modigliani, e questo Paci lo ricorda bene perché siamo stati insieme ad un incontro con Modigliani, ci ha dipinto un bel progetto, una bella idea che era partita da alcuni presupposti: il primo che in Italia non ci fossero diritti acquisiti, che noi partissimo da un sistema zero cioè oggi partiamo da Adamo ed Eva per fare questo sistema, perché quando uno dice prendiamo tutto il TFR e lo destiniamo al risanamento del bilancio pubblico previdenziale io voglio vedere quanti, alzate la mano, sono d accordo a utilizzare il proprio TFR per risanare il bilancio pubblico della previdenza, allora credo che qualche problema lo avremo, allora credo che Modigliani predica un sistema che non è esattamente comparabile in Italia; per altri versi ci ha dato l idea giusta rispetto al fatto che in Italia non ci abbiamo pensato perché giustamente diceva guardate che lo stato americano garantisce quando la previdenza pubblica non dà più del 5% di rendimento, garantisce l intervento da parte dello stato e quindi copre il fatto che non c è questo rendimento da parte della previdenza pubblica. Se noi lo chiediamo ad Amato od a Visco e gli diciamo che devono coprire la previdenza pubblica del 5% annuo rispetto all andamento della spesa, che succede? Allora ecco perché credo che forse ognuno deve basarsi sui fatti di casa propria, e che, prima di esportare un modello 19

20 americano che ha creato grazie a questo meccanismo tanta precarietà e tanta assenza di stato sociale, ci sono 40 milioni di americani che sono privi di assistenza, forse è opportuno che facciamo una discussione tutta nostra, poi a quelli che studiano tanto il sistema americano vorrei porre un quesito sul perché quando abbiamo discusso di restituire ai fondi pensione tutto il rendimento che questi avevano attraverso la gestione a capitalizzazione c è stato risposto attraverso la tassazione di questo rendimento e quindi hanno tassato il rendimento annuale che questi fondi pensione produrrebbero nel momento in cui vengono investiti. In America questa tassazione è zero, perché viene vista come una forma di spesa che è finalizzata al sociale, al sostegno del reddito sociale. Da noi all improvviso abbiano scoperto che servono anche i fondi pensione a fare cassa magari per pagare le deducibilità altrui, magari di quelli che non pagano le tasse, ecco l altro problema, perché credo che quando parliamo di riforma delle pensioni non dobbiamo mai perdere di vista un senso realistico, sì che partiamo a) da una riforma realizzata, b) che è stata costruita col consenso dei lavoratori e non bisogna mai dimenticarlo, c) che si fa carico di una fase di transizione lunga che garantisce anche i diritti che sono comunque impossibili da recuperare con qualsiasi tipo di copertura previdenziale costruita attraverso la forma di previdenza complementare. Se voi vedete oggi il Corriere della Sera nella parte economica si rileva con molta puntualità come una forma di 20

21 previdenza complementare per coloro che sono in mezzo,che sono tra i 22 e i 30 anni di anzianità di lavoro, nel momento in cui vanno in pensione comporterebbe una perdita di pensione mensile intorno alle 100mila lire medie e non si recuperano con nessuna forma di previdenza complementare per chi ha 30 anni di anzianità di lavoro e avendo ancora 5 anni davanti o7 o10, non ci ricorrono, e allora bisogna considerare anche questo episodio, bisogna capire come rispettiamo la gente anche nei diritti acquisiti, credo che un giovane non sia contento se leviamo un diritto ad un anziano, non credo che sia contento, non credo che sia contento se leviamo i diritti ad altri al di là di quelli che sono oggi nel mondo del lavoro, forse il vero problema principale per i giovani è quello che dice Raffaele Minelli che costruiamo troppo lavoro precario, troppa incertezza per il futuro per cui diventa difficile per un giovane capire quale sia il suo futuro anche previdenziale oltre a quello personale. Credo che bisogna partire da questo tipo di assunto cioè capire da dove partiamo, quale modello di stato vogliamo portare avanti, sapendo che quando parliamo di stato sociale non è solo di esso che parliamo ma anche del modello economico che vogliamo costruire insieme allo stato sociale: discutere solo di stato sociale senza modello economico, senza modello di diritti forse fa compire un errore fondamentale che è quello di perdere anche il senso e la ragione di alcuni valori come la solidarietà e l equità che sono alla base del sistema previdenziale che abbiamo costruito. 21

22 Massimo Paci Grazie molte Musi, questo applauso chiude il primo giro degli interventi, io non credo che a questo punto sia possibile trarre delle conclusioni rispetto a quanto abbiamo ascoltato quindi, in attesa sempre che arrivi D Antoni, io aprirei il dibattito, per cui se ci sono degli amici che vogliono intervenire, amici o nemici noi accettiamo tutti gli interventi. Prego c é il Professor Pizzuti, Consigliere di Amministrazione dell INPDAP al quale cediamo il microfono volentieri. Felice Roberto Pizzuti Lo faccio quasi come spirito di servizio visto che siamo ancora in attesa del relatore autorevole assente Volevo agganciarmi un po alle cose dette per dire che i problemi del nostro sistema previdenziale sono senz altro legati all invecchiamento demografico però sono legati anche alla minore crescita che le economie, anche quella italiana, stanno sperimentando negli ultimi decenni. Sono due problemi che vanno entrambi considerati anche se a mio avviso la situazione non è drammatica, non perché i problemi demografici ed economici non siano consistenti, ma perché in realtà a questi problemi in qualche misura ci si è già cominciato a pensare, negli anni 90 sono state fatte tre riforme che hanno preso in considerazione questi problemi, tant è che le nostre proiezioni del rapporto spesa pensionistica - PIL sono le migliori in Europa, che non significa 22

23 che i problemi non ci siano a cominciare da quelli demografici e quelli economici che andrebbero affrontati. Per quanto riguarda la demografia è stato ricordato credo che bisognerebbe anche per questo motivo favorire una politica di immigrazione che serve per tante altre ragioni e che allenterebbe il problema demografico, dal punto di vista economico credo che bisognerebbe sforzarsi un poco di più per attuare politiche di crescita e di occupazione, le prospettive dipenderebbero, sarebbero molto favorite da un allentamento demografico e un miglioramento del tasso di crescita e la stessa gobba che è nelle possibilità del nostro futuro potrebbe consistentemente essere ridotta se ci fossero tassi di crescita un po più elevati, come per altro sono possibili e sono già sperimentati in altri paesi. Quello che però va detto è che qualunque sia la situazione futura demografica ed economica, questi due problemi demografici ed economici incideranno comunque sul nostro sistema pensionistico tanto che esso sia prevalentemente a ripartizione come è adesso, tanto se la capitalizzazione in qualche modo si aggiungesse o addirittura sostituisse la ripartizione. Io credo che il passaggio dalla ripartizione alla capitalizzazione sia in qualche misura possibile, tutti sanno anche i più favorevoli alla capitalizzazione che questo passaggio comunque implica dei costi, dei problemi finanziari, tutto evidentemente dipende dai tempi e dai modi con cui viene fatto questo passaggio, e ancor più dalla misura A mio avviso la capitalizzazione può risolvere 23

24 alcuni problemi ma, in questo caso, io lo vedo solo come un sistema aggiuntivo e non sostitutivo rispetto al sistema pensionistico a ripartizione; detto questo vorrei riportare l attenzione sulla proposta INPS INPDAP che è stata descritta all inizio da Familiari e su cui credo che ritornerà Paci, perché come si diceva è una proposta che cerca di utilizzare anche il sistema a capitalizzazione, dicevo che il sistema a capitalizzazione presenta dei problemi ma può risolvere delle esigenze, ecco a me pare che sulla proposta così come è stata abbozzata, ci sarà molto da discutere, ci sarà da affinarla, ci sarà da precisarla, ma così come è stata concepita mi pare che riesca a mettere insieme i vantaggi della capitalizzazione riducendo o addirittura eliminando i problemi che il passaggio alla capitalizzazione provoca, perché, si diceva prima che l INPDAP così come l INPS hanno, come dire, delle riserve, nel caso dell INPDAP sono particolarmente legate al patrimonio immobiliare, nel caso dell INPS sono legate al patrimonio dei crediti; sono riserve patrimoniali in senso lato che allo stato attuale non rendono come potrebbero ecco, la capitalizzazione, la creazione di un bilancio parallelo a capitalizzazione sia nell INPS che nell INPDAP potrebbe per l appunto essere alimentato da queste risorse che allo stato attuale rendono poco o nulla e potrebbero invece rendere molto di più, in questo modo si avrebbero i vantaggi della capitalizzazione e un contributo di questa gestione a capitalizzazione verso la gestione a ripartizione 24

25 del sistema pubblico obbligatorio. Sarebbe anche un primo passo per sperimentare questo bilancio della capitalizzazione negli enti e come dicevo non avrebbe i problemi che, in qualche misura, comunque si pongono in un passaggio di tipo più generale dalla ripartizione alla capitalizzazione perché questo passaggio non peserebbe ad esempio sui lavoratori, non si tratterebbe di chiedere ai lavoratori altri contributi, perché il rendimento verrebbe da un patrimonio già esistente, non peserebbe sul patrimonio del sistema pensionistico obbligatorio così com è perché non si tratta di sottrarre risorse al sistema pensionistico obbligatorio, favorirebbe il bilancio pubblico perché tutte le entrate di questo bilancio parallelo attenuerebbero in qualche modo il bisogno che oggi gli enti manifestano nei confronti del bilancio pubblico, sarebbe un entrata in più. Un ulteriore vantaggio sarebbe quello di restituire in maniera concreta ai lavoratori ed ai pensionati un patrimonio che è frutto di una passata accumulazione dei lavoratori e dei pensionati. Ecco io credo che senza legare più di tanto diciamo questo progetto alla più complessiva tematica che naturalmente è importante e caratterizza questa fase del dibattito del sistema pensionistico, ma se ci concentriamo un po su questa proposta che ha degli aspetti positivi minimizzando addirittura eliminando i problemi che comunque ci sono in un passaggio ad un sistema a capitalizzazione da un sistema pubblico a ripartizione ma che hanno anche contemporaneamente fatto capire a chiare lettere 25

26 che si apriva uno spazio che doveva essere poi riempito che è stato in parte riempito soltanto dagli interventi legislativi successivi per il sistema a capitalizzazione, i fondi pensione sono in parte partiti, siamo ancora indietro certamente, non c è stato quello slancio che ci si poteva augurare però ormai noi viviamo volenti o nolenti, in Italia con un orizzonte già anche legislativamente definito dove c è spazio per entrambi i sistemi. Ci avviamo ad un sistema che è diverso da quello dove sono cresciuti i nostri padri ed i nostri fratelli maggiori, ci avviamo verso un sistema che è un sistema misto; c è un convincimento diffuso io credo che ormai è meglio avere una diversificazione del portafoglio pensionistico dell individuo e della famiglia mettiamola in questi termini, siamo a un livello di maturità un pochino superiore, non siamo più al livello in cui ci si scontra l un contro l altro armati a difesa totale del sistema a ripartizione o a difesa totale del sistema capitalizzazione. Il punto è, come veniva ricordato prima, quello di capire dove fissiamo il punto di equilibrio tra i due sistemi, perché se di sistema complementare si ha da parlare è chiaro che è un complemento, un sistema addizionale rispetto al sistema principale che per noi, come è stato detto qui, resta quello a ripartizione. Credo che ci sia Modigliani che sostiene la transizione totale al sistema a capitalizzazione che è stato evocato in questa sala, ma appunto, non già per auspicare la difesa del sistema Modigliani come diceva il presidente Familiari prima, ma per prendere le distanze, 26

27 ora il problema è appunto questo del punto di equilibrio; per rispondere a questa domanda credo che noi abbiamo qualche difficoltà in Italia, si possono dare un po i numeri cioè io sono al 30% a favore del sistema complementare oppure io sono al contrario per il 70%, in realtà nel dibattito su questo punto io credo che manchino ancora delle analisi sufficientemente suffragate da dati puntuali relative per esempio ai tassi di sostituzione del sistema a ripartizione; ciò permette di chiarire quale parte della retribuzione, dell ultimo reddito del lavoratore è coperta dal trattamento pensionistico. Qui ci sono delle stime anche noi all INPS abbiamo prodotto delle stime, adesso non voglio entrare nei dettagli di questo punto però volevo sottolineare che sarebbe bene esaminare attentamente questo punto; si teme molto il passaggio al contributivo puro, diciamo, adesso io non entro molto nella questione del Prorata, del passaggio al contributivo per tutti, ma mi situò in una prospettiva da qui a 30 anni, se vogliamo, quando il sistema misto retributivo contributivo sarà sorpassato, perché non dimentichiamoci, non è che Massimo Paci vuole passare al contributivo per tutti e Sergio D Antoni no, c è la legge n. 335 che ha eliminato il sistema retributivo. Si tratta di capire quando, se si deve accelerare o no, certo questa poi è una questione che dipende dal governo e dalle parti sociali non sono io che voglio entrare su questa questione, ma se allunghiamo lo sguardo al momento in cui la legge n. 335 sarà al regime quali tassi di sostituzione garantirà il sistema 27

28 allora, fondato sul contributivo? Io devo dire che sono rimasto sorpreso guardando le prime stime, ma abbastanza attendibili elaborate dai nostri servizi statistici dell INPS, perché per i lavoratori dipendenti che abbiano una anzianità contributiva di anni diciamo e che escano dopo i 60 anni dalla vita attiva (questo non è un dettaglio di poco momento), il sistema contributivo garantisce tassi di sostituzione abbastanza tranquilli, certo stiamo un po al di sotto del mitico 80% che avrebbe dovuto garantire il sistema retributivo per un lavoratore dipendente che lavorava 40 anni, dico avrebbe perché poi è rimasto sempre molto teorico, basta guardare le pensioni attuali a parte le pensioni di anzianità che hanno 35 anni di contribuzione e che arrivano sopra i 2 milioni 2 milioni e 300, mediamente le altre pensioni di vecchiaia sono tutte molto più basse. Quindi confrontiamoci con quella che è la realtà anche del sistema retributivo, che poi è legata, come diceva Minelli giustamente e questo ce lo dimentichiamo molto spesso, alle caratteristiche del mercato del lavoro italiano e in generale, perché è impossibile giudicare del sistema pensionistico se non si tiene conto delle caratteristiche del mercato del lavoro. Quindi ipotizzando che tra 30 anni il sistema contributivo sia andato a regime e che si possa avere un lavoratore che possa lavorare sino a anni con una carriera contributiva alle spalle di anni a quel punto il tasso di sostituzione non sarebbe per questo tipo di lavoratore drammaticamente, minore di quello offerto dal sistema 28

29 retributivo, sempre che naturalmente le aliquote contributive restino al 32,7 e che non si sia andati nel frattempo, come sarebbe augurabile, ad una riduzione della aliquota contributiva. Ci sono tutti questi se e questi ma, quindi anche in quel caso c è spazio per la previdenza integrativa, perché il lavoratore che va in pensione potrebbe ricevere pur sempre, essere garantito di mantenere il suo reddito al 100%, mentre fermarsi al 65-70% potrebbe non soddisfarlo; c è comunque un ruolo fondamentale dei fondi pensione complementari a capitalizzazione, ma ecco io attiravo la vostra attenzione su questa ipotesi perché, forse tutto il dibattito che si è acceso su il TFR è importante però bisogna chiedersi anche quanto di questo TFR è veramente necessario per alimentare la previdenza, i fondi di pensione complementari a capitalizzazione. Dobbiamo stare anche attenti a non correre il rischio di una sovracontribuzione al limite, ora mi rendo conto che questa può essere una preoccupazione eccessiva però volevo mettere bene in evidenza la necessità di fare i conti. Ciò dipende prevalentemente dalle politiche del lavoro, dalla capacità che avremo di favorire il mantenimento nell attività di lavoratori sopra i 55 anni, ci vuole una politica doc di aggiornamento, professionale, ci vuole un corpo imprenditoriale che sia disponibile a mantenere in forza lavoratori in età più avanzata, quindi ci vogliono diverse condizioni, però questo è un primo punto, sono due soltanto i punti che volevo accennare, il secondo è che naturalmente poi ci sono coloro che sono tagliati fuori da 29

30 questa prospettiva, i lavoratori dipendenti che hanno una carriera discontinua, una insufficiente carriera contributiva viste le caratteristiche del nostro mercato del lavoro, ci sono i parasubordinati adesso che hanno una situazione di incertezza lavorativa con bassa aliquota, è vero che la porteremo più avanti, la porteremo sul 20%, però comunque queste fasce lavorative sono quelle che massimamente avrebbero bisogno in prospettiva di integrare la pensione che potranno ottenere, in base al sistema a ripartizione, integrarlo con una pensione complementare che sia eventualmente fondata sul sistema a capitalizzazione. Questo apre una serie di problemi che sono anche poi i problemi che poneva Rocco Familiari all inizio quando diceva che cosa possiamo promettere ai lavoratori subordinati, ai parasubordinati, e chiedeva un patto intergenerazionale, cioè vantava i vantaggi del sistema a ripartizione che bene o male, viva Dio, si fonda su questo patto intergenerazionale. Io credo che questa è una domanda che pongo più che una risposta, certamente con tassi di sostituzione del 40-50% dopo una ipotetica carriera di 35 anni o 40 anni per un parasubordinato è essenziale trovare una pensione integrativa anche per queste fasce di lavoratori. Qualcuno propone di trasformare, diciamo così, in un contributo da investire in fondi a capitalizzazione l incremento dal 12,5 al 20% previsto dell aliquota contributiva dei parasubordinati, non so se questa è una soluzione perché finiremo per togliere alla ripartizione un monte contributi che è già previsto appunto nei 30

31 prossimi anni attraverso l incremento dell aliquota dal 12,5 al 20%, lo toglieremo alla ripartizione per investirlo in fondi a capitalizzazione, sperando appunto che questi abbiano un rendimento più alto, è un ipotesi sul terreno; un altra ipotesi che io avevo lanciato ma forse troppo velocemente, prima che maturasse la proposta cui ha fatto riferimento Rocco Familiari, era quella di utilizzare i proventi della vendita del patrimonio immobiliare degli enti, in fondo queste sono case che sono state comprate con i soldi dei padri dei parasubordinati e sarebbe anche simbolicamente accettabile che questi proventi fossero investiti essere investiti in un fondo a capitalizzazione magari a titolarità pubblica che garantisca una piccola pensione ma pur sempre una pensione complementare per questi giovani. Altre cose non si vedono all orizzonte, certo nell ambito di un sistema a capitalizzazione obbligatorio, forse c è uno spazio dove recuperare una funzione di solidarietà, quindi io volevo chiudere soltanto ricordando che a proposito della questione, regime volontario o regime obbligatorio che anche oggi è in discussione, brevemente i vantaggi di un regime obbligatorio perché permette di superare la riluttanza dei giovani lavoratori a investire nella previdenza complementare; si risparmierebbe il costo della incentivazione che sarebbe necessaria nel caso della previdenza complementare che poi porta dei costi alti per lo stato che vengono evitati se si passa a un regime obbligatorio, un regime di previdenza complementare a capitalizzazione obbligatoria. Si 31

32 evitano le speculazioni tra le aziende e la concorrenza sleale che si stabilirebbe tra le aziende i cui lavoratori opterebbero per versare il loro TFR ed altri che non opterebbero e forse sarebbe possibile pensare all interno di questo sistema alla creazione di un fondo di solidarietà per quelle fasce di lavoratori precari, discontinui o quello che siano che non potrebbero avere neanche la più piccola pensione complementare a capitalizzazione. Ma io volevo dire poche cose e invece mi sono dilungato e pregherei adesso Sergio D Antoni di intervenire. Grazie. Sergio D Antoni Vi ringrazio per l invito che mi è stato rivolto e poi chiedo scusa per il ritardo ma, purtroppo impegni concomitanti non mi hanno permesso di essere puntuale;cerco di inserirmi in questo dibattito dando per scontato di aver capito, cosa non sempre vera, il contenuto e quindi di inserirmi anche non avendo ascoltato una parte di quello che qui é avvenuto. Io penso che dobbiamo partire, in questa iniziativa a differenza di altre che riguardano lo stesso problema, da punti fermi. Un punto fermo è che noi, questo paese, l Italia, tra il 92 ed il 95 fa una riforma collettiva del sistema previdenziale, perché questo è un punto, sembra così di principio, secondario,ma invece è fondamentale sia per i rapporti con le persone, sia per la serietà dell impianto, sia per evitare uno dei vizi italiani più diffusi che è quello che io chiamo del benaltrismo, che ogni volta che abbiamo fatto una cosa buona subito ce ne inventiamo un altra: c è sempre ben altro, il che dà 32

33 sempre l idea di un incompiuto rispetto alle cose che facciamo. Ora l Italia ha fatto una riforma completa che nessun paese d Europa ha ancora fatto, l errore a livello di studiosi, a livello di politici, di governi, si continua a fare tenendo aperta questa questione come se ancora dovessimo cominciare. È un errore che considero devastante per le conseguenze che ha nel quadro dei rapporti tra i cittadini su un tema che è, come tutti ben sappiamo, assolutamente primario perché riguarda la sicurezza, riguarda il futuro, riguarda la garanzia, la tranquillità cioè riguarda il programma di vita di ciascun cittadino. Avere certezza su questo io lo trovo un elemento decisivo; dire che l Italia, al contrario della Germania, della Francia, ha fatto una riforma delle pensioni penso che sia un punto di partenza indispensabile, lo faccio anche pro domo mea, poi qui ci avete collocato anche fisicamente anche in termini distinti, quindi si può fare anche meglio in termini di divisibilità cioè avendo contribuito a farlo difendiamo un po noi stessi, quindi non ci sarebbe nulla di male, ma lo faccio per una questione superiore, cioè io dico che è su questo che poi si può innescare anche il miglioramento di quello che è fatto, se riconosci quello che è fatto, se non lo riconosci ogni volta deve partire da zero, il rischio è che non fai proprio quello che è necessario fare. Ricordo sempre a tutti che la Germania ancora ha a che fare con l aggancio pensionistico alle dinamiche salariali, oltre che al costo della vita, tema che noi abbiamo superato nel 1992 e la Germania ancora non riesce a superarlo; 33

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