Brevi riflessioni a 20 anni dall'avvio della privatizzazione del pubblico impiego

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1 LUCA BUSICO Brevi riflessioni a 20 anni dall'avvio della privatizzazione del pubblico impiego SOMMARIO: 1) Breve premessa storico-normativa. - 2) Distinzione tra attività politica ed attività gestionale. - 3) La fidelizzazione della dirigenza. - 4) Il datore di lavoro pubblico. - 5) Conclusioni. 1) Breve premessa storico-normativa Il rapporto di lavoro pubblico ha conosciuto altalenanti vicende dal 1992 ad oggi, passando attraverso tre riforme, vale a dire la prima privatizzazione del biennio , la seconda privatizzazione del biennio e la cosiddetta Riforma Brunetta del La legge 23 ottobre 1992, n. 421, contenente delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale [1], ha dato l avvio al processo di privatizzazione del pubblico impiego. Come è noto, lo schema del disegno di legge delega era stato valutato in modo fortemente critico dall Adunanza Generale del Consiglio di Stato [2], per la quale la diversità tra impiego pubblico e lavoro privato deriva dal fatto che in molti casi la prestazione lavorativa richiesta al dipendente pubblico consiste, in tutto o in parte, nell esercizio di pubbliche funzioni. Secondo il massimo organo consultivo, che faceva propria la tesi di autorevole dottrina [3], tra i soggetti investiti di pubbliche funzioni rientrano sicuramente i dirigenti, il cui rapporto di lavoro avrebbe, pertanto, dovuto conservare la regolamentazione pubblicistica. Il legislatore delegato non ha, tuttavia, recepito le perplessità espresse dal Consiglio di Stato, affermando a chiare lettere all art.2, co. 1, lett. a) della legge n. 421 del 1992 la riconduzione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici alla disciplina civilistica e la conseguente regolamentazione mediante la contrattazione collettiva.

2 Il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, attuativo della predetta legge delega, realizza la prima privatizzazione, grazie ad processo di delegificazione delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro pubblico, caratterizzato dall estensione tendenzialmente generalizzata delle norme sul rapporto di lavoro privato e dall individuazione del contratto collettivo quale strumento cardine per superare il previgente regime pubblicistico [4]. Tale processo di sottrazione della disciplina del rapporto di lavoro pubblico alla regolamentazione di tipo autoritativo e di affermazione del primato della contrattazione collettiva è stato ribadito ed implementato con la seconda privatizzazione, realizzata con i decreti legislativi 4 novembre 1997, n. 396, 31 marzo 1998, n. 80 e 29 ottobre 1998, n. 387, attuativi della legge delega 15 marzo 1997, n. 59 [5]. A partire dall estate del 2008 il legislatore ha promosso un profondo intervento di ristrutturazione normativa del rapporto di lavoro pubblico, che trova il proprio fulcro nella legge delega 4 marzo 2009, n. 15 [6], dalla cui lettura emerge chiaramente un duplice intento: 1) tracciare una linea di demarcazione tra le materie riservate alla legge, nonché, sulla base di questa, agli atti organizzativi e all autonoma determinazione dei dirigenti, e quelle riservate alla contrattazione collettiva; 2) delimitare l ambito di azione della contrattazione collettiva e contenerne gli effetti distorti. Il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 ha dato attuazione a tale processo di ricentralizzazione normativa e prevalente rilegificazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici [7], restando però nel recinto della privatizzazione. Nel corrente mese ricorre, dunque, il ventesimo anno dall avvio della privatizzazione e con il presente contributo si tenta di tracciare un resoconto, senza alcuna pretesa di completezza e di sistematicità. 2) Distinzione tra attività politica ed attività gestionale Una delle innovazioni di maggior rilievo che hanno caratterizzato la privatizzazione è stata l introduzione di norme decisamente ispirate al principio di distinzione tra attività politica ed attività di gestione [8]. Come è noto, dapprima nell'ambito degli enti locali (art. 51 dell abrogata legge n. 142 del 1990) e poi in tutte le amministrazioni pubbliche (art.3 dell abrogato d.lgs. n. 29 del 1993) sono stati attribuiti agli organi

3 elettivi le funzioni di indirizzo politico, fissazione dei programmi e degli obiettivi e verifica della effettiva realizzazione di essi, ai dirigenti, invece, le funzioni gestionali, ossia lo svolgimento delle attività necessarie a dare attuazione agli obiettivi ed ai programmi fissati dagli organi elettivi unitamente alla adozione degli atti a rilevanza esterna. Il passaggio da un sistema in cui la relazione tra potere politico e dirigenza era sostanzialmente impostata in termini di gerarchia ad uno imperniato sulla distinzione tra attività di indirizzo politico ed attività di gestione aveva un duplice scopo: da un lato evitare il coinvolgimento degli organi politici in attività gestionali, dall'altro responsabilizzare maggiormente i dirigenti delle amministrazioni pubbliche. Si è ritenuto, sulla base dell esperienza maturata nel periodo precedente l ultimo decennio dello scorso secolo, che, sottraendo alla classe politica l attività meramente gestionale e conferendo la responsabilità di tale attività all apparato burocratico, costituito da soggetti reclutati in base alle capacità professionali, si sarebbe potuto assicurare un amministrazione meno assoggettabile a fenomeni assai perversi di commistione tra affari e politica o, comunque, più insensibile a pressioni di tipo elettoralistico che potessero incidere negativamente anche sulle singole scelte amministrative. Come è stato efficacemente evidenziato da autorevole dottrina [9], tale costruzione poggia sull idea di fondo che al politico, soggetto necessariamente parziale (nel senso più deteriore del termine), faccia da contrappeso il dirigente, quale massimo garante dell imparzialità. L assunto pecca di un duplice eccesso, poiché muove da una concezione esageratamente pessimistica della politica e sin troppo ottimistica della dirigenza pubblica. Se può essere vero che il politico agisce spesso per interessi di categoria, di corporazione, di clientela, nonché di rielezione, anche il dirigente non sempre è animato solo dalla cura dell interesse pubblico, ma anche da finalità strettamente personali, come l accrescimento del proprio potere in seno all amministrazione, il miglioramento della propria reputazione e della propria carriera, l arricchimento personale talvolta anche con modalità non del tutto lecite. Lo schema disegnato dal legislatore della distinzione tra politica e gestione e dell assunzione da parte dei dirigenti di una veste di tipo manageriale ha stentato ad affermarsi in concreto, poiché è andato ad incidere su equilibri e posizioni di potere consolidati, che avevano visto fino a quel momento, da un lato, un atteggiamento dei politici teso a privilegiare, per ottenere maggiore visibilità e ritorno in termini di consenso elettorale, l assunzione in prima persona di compiti meramente gestionali piuttosto che l attività di definizione degli indirizzi e degli obiettivi, ma anche, dall altro lato, un comportamento della dirigenza poco propenso ad una posizione di autonomia rispetto ai politici. Alla tendenza degli organi politici ad interpretare in modo restrittivo il trasferimento alla dirigenza della potestà di amministrazione concreta ha fatto

4 compagnia un atteggiamento a dir poco prudente, se non totalmente passivo, della dirigenza nell assumere tale potestà e nel rivendicarla dagli organi politici medesimi. La classe politica, uscita con le ossa rotte da tangentopoli, a partire dalla seconda metà degli anni 90 del secolo sorso ha recuperato il terreno perduto sul piano della gestione amministrativa attraverso il controllo degli uomini che decidono [10]. Quella che doveva essere un dirigenza forte, protagonista ed autonoma si è rivelata nei fatti una dirigenza debole e fidelizzata. Alla realizzazione di tale situazione ha contribuito anche un legislatore contraddittorio, estemporaneo e scarsamente sistematico nei suoi interventi in materia. 3) La fidelizzazione della dirigenza Tra i fattori che hanno determinato una dirigenza pubblica fidelizzata possono essere annoverati. 1) la precarietà dell incarico; 2) lo spoils system; 3) il ricorso a dirigenti esterni, 4) la verifica dei risultati della dirigenza. La precarietà dell incarico. Il rapporto di lavoro del dirigente pubblico è a struttura binaria risultante dalla combinazione di due rapporti giuridici: il rapporto di lavoro fondamentale, che si costituisce a seguito del superamento del concorso, mediante il quale si accerta l idoneità alla qualifica dirigenziale, il rapporto di ufficio, che si ha solo con l attribuzione dell incarico dirigenziale[11]. Il superamento del concorso fonda esclusivamente il diritto all acquisizione della qualifica dirigenziale e la conseguente capacità di essere titolare di funzioni dirigenziali, ma solo con il conferimento dell incarico il dirigente viene effettivamente preposto ad un ufficio dirigenziale ed inserito nell organizzazione amministrativa [12]. La scissione tra rapporto di lavoro e rapporto di ufficio ha reso la dirigenza precaria nell incarico, ma con la sicurezza della stabilità del posto di lavoro. Lo spoils system. Il legislatore statale (a partire dalla legge 15 luglio 2002, n. 145) e quello regionale hanno introdotto svariati meccanismi di spoils system [13], finalizzati a rendere più stretto e consolidato il legame tra la dirigenza pubblica e gli organi di indirizzo politico dell apparato statale e regionale [14]. La Corte Costituzionale, che in primo momento aveva salvato il meccanismo con una pronuncia [15] molto criticata dalla dottrina [16], con le sentenze gemelle n. 103 e 104 del 2007 [17] ha stabilito che lo spoils system contrasta con i principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa (artt.97 e 98 Cost.), che

5 impongono il riconoscimento ai funzionari di apposite garanzie per sottrarli alle influenze dei politici, nonché la continuità dell'azione amministrativa. Le citate pronunce hanno segnato il punto di partenza di una giurisprudenza costituzionale consolidata e costante [18] nel censurare le disposizioni di legge che permettono fenomeni di precarizzazione della dirigenza, la cui dipendenza funzionale non può trasformarsi in dipendenza politica [19]. Ma nonostante ciò, il legislatore statale e regionale continua ad emanare norme che consentono ai politici di scegliere dirigenti di propria fiducia. Il ricorso a dirigenti esterni. Gli artt.19, comma 6 del d.lgs. n. 165 del 2001 e 110 del d.lgs. n. 267 del 2000 consentono alle pubbliche amministrazioni l acquisizione al proprio interno di professionalità estranee, che presentino qualità diverse ed ulteriori rispetto a quelle già possedute dai dirigenti in servizio [20]. Se correttamente applicate, le norme in questione possono effettivamente realizzare un arricchimento delle professionalità operanti nell ambito della pubblica amministrazione e conseguentemente migliorare la performance delle amministrazioni, consentendo alle stesse di provvedere nel modo più soddisfacente alla cura degli interessi pubblici. Non è un mistero che, invece, siano state sovente utilizzate per operazioni di tipo clientelare, volte a conferire incarichi dirigenziali a soggetti ideologicamente vicini al decisore politico o, peggio ancora, allo stesso legati da interessi particolari di varia natura, in assenza di reale necessità di ricorso all approvvigionamento esterno. Il risultato di tali operazioni è stato l inserimento nell apparato delle amministrazioni pubbliche di personale esposto al massimo dei condizionamenti, anche nelle minute scelte gestionali (perfino il trasferimento di un unità di personale di categoria C), da parte del potere politico in cambio della conservazione del posto. La verifica dei risultati della dirigenza. Il conseguimento dei risultati del dirigente pubblico viene valutato dai vertici politici dell amministrazione, che però non hanno azionisti cui rispondere del proprio operato, a meno che non si voglia credere alla favola che gli azionisti siano gli elettori, i quali alla scadenza del mandato dovrebbero valutare e giudicare l operato degli organi politici con gli stessi criteri e la stessa perizia con cui un azionista vota il bilancio, la nomina o la revoca degli amministratori in una società per azioni. E pur vero che l elettore, ove non soddisfatto dell operato dei propri amministratori, sceglierà consapevolmente di non votarli, quindi contribuendo alla non rielezione degli stessi alla scadenza del mandato (dopo un certo numero di anni), ma, a parte tale sanzione della mancata conferma, non può avere sufficienti elementi a disposizione per chiedere il conto dei danni, che un potere amministrativo sconsideratamente esercitato ha prodotto nei suoi confronti. In concreto il meccanismo ha funzionato poco e male a causa della genericità degli obiettivi indicati nei provvedimenti di incarico e del buonismo dei nuclei di valutazione, visto che un altissima percentuale di dirigenti pubblici consegue sempre i massimi (o quasi) risultati. Come è stato acutamente sottolineato, un tale giudizio di

6 eccellenza si giustifica solo in due modi: o le procedure sono dei pro forma, o gli obiettivi fissati sono scarsamente ambiziosi e, dunque, non veri obiettivi [21]. Quanto sommariamente descritto ha dato vita ad una lunga ed ancora vigente stagione di modello neo-scambista tra politica e amministrazione [22], caratterizzata dalla rinuncia dei dirigenti a buona parte dei propri poteri gestionali a favore dei vertici politici in cambio della protezione e della sicurezza che questi assicurano, vedendo, inoltre, ridotte al minimo le probabilità di diretta responsabilità civile, penale ed erariale [23]. 4) Il datore di lavoro pubblico L altra fondamentale innovazione introdotta dalle riforme degli anni 90 riguarda il principio della gestione privatistica, espresso nell art.5, co. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo cui gli organi preposti alla gestione assumono le determinazioni per l organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro[24]. E qui si arriva alla vetta del paradosso: ad una dirigenza istituzionalmente debole e fidelizzata si chiede di svolgere un ruolo autonomo e dinamico di datore di lavoro. Come pensare che un soggetto del genere possa svolgere in modo manageriale ed autonomo le funzioni di datore di lavoro? Eppure tutti gli interventi normativi succedutisi negli anni hanno sempre avuto la dichiarata finalità di rafforzare ruolo e funzioni della dirigenza. Basti riportare un passaggio dell intesa dello scorso maggio tra Ministro per la P.A., gli enti locali e le organizzazioni sindacali Anche sulla dirigenza è necessario un intervento normativo finalizzato a conseguire una migliore organizzazione del lavoro e di assicurare alla dirigenza un effettiva autonomia, rafforzando i meccanismi di selezione, formazione e valutazione e qualificando le modalità di conferimento dell incarico. A tal fine si devono rafforzare il ruolo e le funzioni e le responsabilità dei dirigenti, garantendone una effettiva autonomia rispetto all organo di indirizzo politico. Più o meno le stesse parole utilizzate nelle leggi delega del 1997 e del 2009: è evidente che i problemi siano rimasti i medesimi. 5) Conclusioni Se quanto esposto nei precedenti paragrafi risponde al vero, non si può che concludere che i risultati della privatizzazione siano stati fallimentari [25].

7 A questo punto il legislatore deve prendere una decisione: decretare la morte della privatizzazione e, visti i nobili intenti cui era finalizzata e l autorevolezza di alcuni dei suoi fautori (come il compianto Prof. D Antona [26]), provvedere a darle una degna sepoltura, oppure intervenire con gli ennesimi aggiustamenti, possibilmente coerenti e sistematici. Risultano, a tal proposito, molto pertinenti le parole del filosofo romeno Emile Cioran in un pianeta incancrenito ci si dovrebbe astenere dal fare progetti, ma se ne fanno sempre, perché l'ottimismo, com'è noto, è una mania degli agonizzanti. [1] Cfr.: GHEZZI, La legge delega per la riforma del pubblico impiego, in Riv. giur. lav., 1992, I, 544; PAPADIA, La delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di pubblico impiego, in Comuni d It., 1992, 1779; BUONCRISTIANO, Delega al Governo sulla riorganizzazione del pubblico impiego, in Nuova rass., 1992, [2] Cfr. Cons. St., Ad. Gen., 31 agosto 1992 n. 146, in Foro it., 1993, III, 4, Riv. it. dir. lav., 1993, III, 20 con nota di ALBANESE. [3] Cfr. GIANNINI, Impiego pubblico (teoria e storia), in Enc. del dir., 1970, vol. XX, 305, secondo il quale un eventuale processo di unificazione legislativa del lavoro pubblico e di quello privato non avrebbe potuto riguardare i funzionari direttivi, per i quali, invece, sarebbe stata necessaria una normativa del tutto particolare. [4] Cfr.: ORSI BATTAGLINI, Fonti normative e regime giuridico del rapporto di impiego con enti pubblici, in Dir rel. ind., 1993, 470; D ANTONA, Le fonti privatistiche. L autonomia contrattuale delle pubbliche amministrazioni in materia di rapporti di lavoro, in Foro it., 1995, V, 41; MARESCA, La trasformazione del rapporto di lavoro pubblico e il sistema delle fonti, in Dir. lav. rel. ind., 1996, 204. [5] Cfr. D ANTONA, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la seconda privatizzazione del pubblico impiego (osservazioni sui d.lg. n. 396 del 1997, n. 80 del 1998 e n. 387 del 1998), in Foro it., 1999, I, 625.

8 [6] Cfr.: ROMEO, La controriforma del pubblico impiego, in Lav. giur., 2009, 761; PESSI, Ripensando alla riforma della pubblica amministrazione: manutenzione o restaurazione?, in Mass. giur. lav., 2009, 294; D AMORE, Impiego pubblico privatizzato: evoluzione normativa, in Dir. prat. lav., 2009, [7] Cfr.: LOVO, Il rapporto tra fonti unilaterali e contrattazione collettiva nell iter di riforma del lavoro pubblico, in Dir rel. ind., 2009,451; GARILLI - BELLAVISTA, Riregolazione legale e decontrattualizzazione: la neoibridazione normativa del lavoro nella pubbliche amministrazioni, in Il lav. nelle PA, 2010, 1; SORDI, Il sistema delle fonti della disciplina del lavoro pubblico (dopo il d.lgs. n. 150 del 2009), ivi, 812; D AURIA, Il nuovo sistema delle fonti: legge e contratto collettivo, Stato e autonomie territoriali, in Giorn. dir. amm., 2010, 5. [8] Tra gli innumerevoli contributi sul tema cfr.: MEOLI, La riforma della dirigenza pubblica: riflessioni sul rapporto fra politica e amministrazione, in Foro amm., 1991, 2773; D ORTA, Dalla sovrapposizione alla distinzione tra politica ed amministrazione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico 1994, 151; AMOROSINO, Note su alcune configurazioni reali dei rapporti tra direzione politica e dirigenza amministrativa nel contesto italiano, in Foro amm., 1995, 1151; MERLONI, Amministrazione neutrale: a proposito di rapporti tra politica e amministrazione, in Dir. pubbl., 1997, 319. [9] Cfr. CLARICH, Riflessioni sui rapporti tra politica e amministrazione (a proposito del T.A.R. Lazio come giudice della dirigenza statale), in Dir. amm., 2000, 361. [10] L efficace ricostruzione è di BATTINI, L autonomia della dirigenza e la riforma Brunetta : verso un equilibrio tra distinzione e fiducia, in Giorn. dir. amm., 2010, 39. [11] Cfr. D AURIA, Rapporto di lavoro dirigenziale nel settore pubblico e tutela reale contro i licenziamenti illegittimi, in Foro it., 2007,I,1722. [12] Cfr.: Cass., Sez. Lav., 7 luglio 2005 n , in Foro it., 2006, I, 1487; Cass., Sez. lav., 12 febbraio 2007 n. 3003, ivi, 2007, I, 1717 con nota di D AURIA, Riv. it. dir. lav., 2007, II, 634 con nota di GALLARDI. [13] Con l espressione spoils system si intende un meccanismo di matrice anglosassone caratterizzato da un stretto legame tra politici e dirigenti, che consente ai primi di collocare ai vertici delle amministrazioni i soggetti ritenuti maggiormente

9 affidabili ed affiliati. Sulle origini dell'istituto, cfr. DI ANDREA, Lo spoils system: noterelle sulla disciplina della dirigenza pubblica in Italia e spunti comparatistici, in Rass. parl., 2003, 583. [14] Cfr.: GARDINI, Spoils system all'italiana: mito o realtà?, in Il lav. nelle p.a., 2002, 958; TALAMO, Lo spoils system all' italiana fra legge Bassanini e legge Frattini, ivi, 2003, 237; URSI, Lo spoils system e le nomine governative negli enti pubblici dopo la l. n. 145/2002, in Foro amm. TAR, 2003, 1267; GRAGNOLI, Lo spoils system e l imparzialità degli enti locali, in Il lav. nelle p.a., 2007, 25; GRUNER, L impossibile rivincita del merito sulla fiducia e le garanzie del procedimento nei rapporti tra politica e amministrazione, in Foro amm. CDS, 2007, 280. [15] Cfr. C. Cost., 16 giugno 2006 n. 233, in Giur. cost., 2006,2327 con nota di PINELLI, Mass. giur. lav., 2007, 324 con nota di VALLEBONA, Il lav. nelle p.a., 2006, 663 con note di GARDINI, SALOMONE. [16] Cfr.: PINELLI, L avallo del sistema delle spoglie, ovvero la vanificazione dell art.97 Cost., in Giur. cost., 2006,2357; BATTINI, In morte del principio di distinzione fra politica e amministrazione: la Corte preferisce lo spoils system, in Giorn. dir. amm., 2006, 911. [17] Cfr.: C. Cost., 23 marzo 2007 n. 103, in Foro it., 2007, I, 1631 con nota di DALFINO, Il lav. nelle p.a., 2007, 495 con nota di NICOSIA, Giur. cost., 2007, 984 con nota di SCOCA e ivi, 2301 con nota di ROSANO, Foro amm. CDS, 2007, 1353 con nota di CHIAPPINELLI, Arg. dir. lav., 2007, 993 con nota di CATAUDELLA, Mass. giur. lav., 2007, 324 con nota di VALLEBONA, Lav. giur., 2007,769 con nota di SCIORTINO, Giorn. dir. amm., 2007, 1307 con nota di MASSERA; C. Cost., 23 marzo 2007 n. 104, in Giust. civ., 2007,I,2263, Giur. cost., 2007, [18] Cfr.: MIDIRI, La Corte, i politici e lo spoils system, in Dir. pubbl., 2008, 927; AMOROSO, Dirigenza pubblica e spoils system nella giurisprudenza costituzionale, in Foro it., 2009, I, 1332; DI COSIMO, La Corte e lo spoils system all italiana, in 18 febbraio [19] Cfr.: C. Cost., 20 maggio 2008 n. 161, in Il lav. nelle p.a., 2008, 361 con nota di FERRETTI, Mass. giur. lav., 2008, 565 con nota di VALLEBONA; C. Cost., 24 ottobre 2008 n. 351, in Giorn. dir. amm., 2009, 511 con nota di MAGRI, Giur. it., 2009, 1890 con nota di DE LUCA; C. Cost., 27 gennaio 2010 n. 34, in Giorn. dir. amm., 2010,

10 524; C. Cost., 5 marzo 2010 n. 81, in Foro it., 2010, I, 2266 con nota di D AURIA; C. Cost., 25 luglio 2011 n. 246, in Giust. civ., 2012, I, 233. [20] Cfr. MIDENA, La recente giurisprudenza sui dirigenti esterni nelle amministrazioni statali, in Giorn. dir. amm., 2010, [21] Cfr. CIMINO, Il divieto di reformatio in pejus e la retribuzione dei dirigenti pubblici. Brevi riflessioni tra norma e prassi, in Giorn. dir. amm., 2007,725. [22] L efficace espressione è di PAPPAGALLO, Recenti vicende della dirigenza dello Stato in Italia, in Studi parlam. e pol. costituz., 2001, , 79. [23] Cfr. GENESIN, Responsabilità amministrativa degli organi di governo e dei dirigenti degli enti locali nel quadro del rapporto politica-amministarzione, in Resp. civ. prev., 2012, 740. [24] Cfr. ALES, Le prerogative datoriali della dirigenza pubblica alla prova del nuovo quadro legale, in Il lav. nelle p.a., 2002, 449; BELLAVISTA, La figura del datore di lavoro pubblico, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2010,87. [25] Alle stesse conclusioni perviene D ORTA, L organizzazione delle P.A. dal diritto pubblico al diritto privato: il fallimento di una riforma, in Il lav. nelle p.a., 2011, 391. [26] Cfr. D ANTONA, Le fonti privatistiche. L autonomia contrattuale delle pubbliche amministrazioni in materia di rapporti di lavoro, in Foro it., 1995, V, 41.

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