IL RUOLO DEL CHIMICO NELL INVESTIGAZIONE DELLE CAUSE DELL INCENDIO

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1 IL RUOLO DEL CHIMICO NELL INVESTIGAZIONE DELLE CAUSE DELL INCENDIO INDICE 1. IL RUOLO DEL CHIMICO pag ANALISI DI LABORATORIO PER LA RICERCA DI SOSTANZE INFIAMMABILI pag PREPARAZIONE DEI CAMPIONI pag METODOLOGIE ANALITICHE pag Analisi GC pag Analisi GC/MS pag PROBLEMATICHE GENERALI pag CASO A: incendio in un Calzaturificio pag CASO B: incendio in una Maglificio pag CASO C: incendio in un Mobilificio pag CASO D: incendio in una ditta trasformatrice di carta pag CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE pag. 30 1

2 IL RUOLO DEL CHIMICO NELL INVESTIGAZIONE DELLE CAUSE DELL INCENDIO 1.IL RUOLO DEL CHIMICO Nel corso delle precedenti lezioni è stata presentata una breve panoramica delle metodologie più idonee per il campionamento in caso di evento termico cui il chimico deve rispondere, in misura precisa e dettagliata, fornendo, ove possibile, risposte definitive ai fini delle conclusioni senza in ogni caso prescindere: - dalle evidenze dirette (ricerca ed eventuale identificazione delle sostanze acceleranti); - dalle evidenze indirette (anomalie termiche); - dagli elementi raccolti attraverso un processo per esclusione. In una seconda fase dell indagine, la logica del campionamento deve essere integrata con una logica di indagine a più ampio respiro impiegando, per questo, le tecniche analitiche più idonee per documentare ogni particolare della scena analizzata e per la ricerca di sostanze eventualmente estranee al processo produttivo o all attività in essere nei locali danneggiati. 2.ANALISI DI LABORATORIO PER LA RICERCA DI SOSTANZE INFIAMMABILI La vasta gamma di acceleranti di fiamma potenzialmente impiegabile per produrre effetti, in molti casi devastanti, nel corso di un incendio copre materiali di natura sia solida, che liquida (prevalentemente di origine petrolifera) la cui difficoltà nell individuazione proviene principalmente dalle variazioni in composizione, dovute al contatto con acqua e aria e all esposizione al calore, che si verificano durante l evento termico e che possono risultare, nelle situazioni più sfavorevoli, in una loro totale trasformazione e/o allontanamento. Abbiamo già detto nel corso della precedente lezione che la concentrazione di tali sostanze nei residui della combustione, già ridottissima, tende inevitabilmente a ridursi progressivamente nel tempo, raggiungendo già dopo pochi giorni valori tali da non poter essere più rilevati, nemmeno con le più sensibili tecniche strumentali. Per fortuna, questo assunto si rivela in molti casi non così drammaticamente vero. 2

3 L analisi dei residui di un incendio rappresenta comunque spesso una singolare e straordinaria opportunità per testare una procedura analitica ai suoi limiti estremi. L espressione indagine incendio viene impiegata, nel linguaggio comune, per descrivere i processi analitici impiegati nella ricerca di eventuali residui di sostanze acceleranti e, sebbene la procedura rigorosa coinvolga numerosi passaggi critici che determinano il successo dell indagine globale, i momenti cruciali possono essere individuati in: - preparazione del campione; - impiego di metodi strumentali appropriati per l identificazione delle eventuali sostanze acceleranti; - interpretazione dei risultati analitici. Premesso che l esito favorevole di un indagine può essere spesso previsto nel momento in cui viene adottata la metodologia analitica ottimale, i numerosi fattori coinvolti nella procedura globale (Figura 1), operanti più o meno indipendentemente l uno dall altro, rappresentano contributi fondamentali al successo dell analisi stessa. Il chimico, ovviamente, non può esercitare alcun tipo di controllo sulla natura del campione (se non in negativo, ovviamente) e, ad eccezione, forse, della capacità di interpretare i risultati analitici, per ogni particolare situazione solo pochi parametri possono essere totalmente influenzati dall analista. D altra parte, la possibilità di rilevare residui di sostanze acceleranti nei campioni prelevati in seguito all evento dipende da numerosi fattori (Tabella 1) che possono assumere alternativamente connotati vantaggiosi o sfavorevoli, talora concomitanti. Ad esempio, i materiali dotati di elevata capacità adsorbente possono produrre significativi quantitativi di interferenze volatili; per contro, materiali come vetro e metalli, sebbene non producano interferenze, non sono in grado di trattenere liquidi in misura significativa (scarso adsorbimento). Da questo punto di vista l analista non ha praticamente alcuna influenza sulle variabili riportate in tabella ed il suo contributo viene limitato alla scelta delle metodologie più idonee di preparazione del campione e alla selezione delle condizioni ottimali per l analisi. 3

4 Figura 1.Fattori che determinano l esito di un analisi. Analisi corretta CAMPIONE Preparazione del campione Matrice ACCELERANTI Concentrazione Tipologia SEPARAZIONE Risoluzione cromatografica INTERFERENZE Artefatti Prodotti di pirolisi RIDUZIONE DEL RUMORE DI FONDO Pulizia della pre-colonna Rivelazione selettiva Analisi inconclusiva o scorretta INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI Presentazione dei risultati Esperienza 4

5 Tabella 1. Fattori che influenzano la possibilità di rilevare eventuali residui di acceleranti. ACCELERANTI MATRICE, PROPRIETA FISICHE MATRICE, PROPRIETA CHIMICHE EFFETTI E DINAMICA DELL INCENDIO PROCEDURA DI CAMPIONAMENTO PROCEDURA DI ANALISI INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI ANALITICI CONDIZIONI FAVOREVOLI Liquidi dotati di un ampio intervallo di temperature di ebollizione in grado di fornire un cromatogramma caratteristico. Materiali dotati di elevata capacità adsorbente o resistenti alle fiamme (moquette, cemento,...). Materiali che producono semplici prodotti di pirolisi (vetro, metalli,...). Raggiungimento di basse temperature, scarsa durata dell esposizione e conservazione appropriata dei campioni. Procedure di arricchimento. Procedure in grado di fornire elevata risoluzione e di rilevare la presenza di specifici acceleranti. Sistema in grado di confrontare profili cromatografici. CONDIZIONI SFAVOREVOLI Liquidi altamente volatili. Materiali incapaci di trattenere liquidi e/o dotati di elevata velocità di combustione (metalli, poliuretani,...). Materiali che producono complessi prodotti di pirolisi (moquette, tessuti,...). Raggiungimento di elevate temperature, combustione completa ed esposizione dei campioni agli agenti atmosferici. Metodi generali. Metodi generali basati su colonne impaccate. Impossibilità di un confronto diretto dei profili cromatografici. 5

6 3.PREPARAZIONE DEI CAMPIONI Salvo rari e fortunati casi, la ricerca di sostanze infiammabili in materiali residuati da incendi deve realizzarsi mediante tecniche analitiche di particolare sensibilità, sufficientemente potenti e sofisticate da consentire la rivelazione e l identificazione dei componenti presenti anche in concentrazioni modestissime. A tale proposito la tecnica di elezione è senz altro la gas-cromatografia, abbinata ad idonee procedure di pretrattamento dei materiali da analizzare. L accuratezza e la precisione richiesti nella preparazione dei campioni prelevati rappresentano il requisito fondamentale dell analisi chimica diretta al fine di garantire consistenza ed attendibilità ai risultati analitici per l impiego degli stessi in un aula giudiziaria. Premesso che le sostanze residue dalla combustione di infiammabili, sottoforma di componenti inalterati o parzialmente combusti, si trovano nei materiali residuati da un incendio in forma adsorbita, la ricerca di tali sostanze non può prescindere da una separazione preliminare dalle matrici ove le stesse possono essere contenute. Ciò può essere realizzato attraverso svariati procedimenti (Tabella 2), ma sostanzialmente mediante due distinte metodologie: - deadsorbimento termico; - deadsorbimento a mezzo di un solvente. Nel primo caso si utilizza la volatilità delle sostanze infiammabili come proprietà in grado di consentire il loro trasferimento in una fase vapore realizzata in un recipiente chiuso dove il materiale viene sottoposto ad adeguato riscaldamento. Nel secondo caso si sfrutta la capacità di un idoneo solvente di asportare tali sostanze dalla matrice, trasferendole in un mezzo liquido. Entrambe queste tecniche presentano vantaggi e svantaggi. Sebbene il deadsorbimento termico abbia il pregio di una notevole semplicità, tale tecnica presenta, in alcuni casi, forti limitazioni legate alla fase vapore che tende ad arricchirsi delle frazioni più volatili, mentre le frazioni meno volatili rimangono concentrate nella matrice. Tale effetto di ripartizione risulta inoltre marcatamente dipendente, a parità di temperatura, dalla natura della matrice. Di conseguenza, è possibile che 6

7 due matrici diverse, impregnate della stessa miscela di sostanze infiammabili, producano vapori diversi per qualità e per composizione. Tabella 2. Metodi generali di preparazione dei campioni. Spazio di testa statico Distillazione Estrazione con solvente Spazio di testa dinamico Distillazione azeotropica DESCRIZIONE Analisi dei vapori in equilibrio con una fase solida o liquida ad una data temperatura in ambiente confinato. Il campione viene distillato in uno speciale apparato. Se il distillato consiste di due fasi, una o entrambe vengono iniettate al GC. Il campione viene estratto con un solvente immiscibile in acqua. Il campione viene adsorbito e successivamente recuperato per desorbimento termico o per estrazione con solvente. Il campione viene addizionato di acqua. CARATTERISTICHE FAVOREVOLI Velocità e semplicità. Appropriato per campioni che contengono molta acqua. Possibilità di individuare acceleranti solubili in acqua (etanolo,...). Possibilità di recuperare quantità di campione relativamente elevate. Possibilità di incrementare la volatilità di idrocarburi pesanti. CARATTERISTICHE SFAVOREVOLI Scarsa sensibilità. Apparecchiatura relativamente ingombrante. Scarsa versatilità. Contemporanea estrazione delle sostanze interferenti. Apparecchiatura relativamente ingombrante. Inefficace per sostanze polari. Presenza di fase acquosa. 7

8 La tecnica di deadsorbimento termico non consente quindi generalmente di trarre informazioni dirette, se non qualitative, sulla composizione dell infiammabile adsorbito. Il deadsorbimento a mezzo di un opportuno solvente è sicuramente più laborioso, ma consente di trasferire nel mezzo liquido i componenti adsorbiti in misura decisamente più rappresentativa di quanto avvenga con il deadsorbimento termico. Anche questa tecnica presenta comunque alcune limitazioni, prima tra tutte la presenza di impurezze, anche nei solventi più puri, a livelli di concentrazione tali da interferire talvolta, parzialmente o completamente, con la rivelazione delle sostanze infiammabili. Esiste, ovviamente, anche la possibilità di combinare le due tecniche, andando a deadsorbire termicamente gli infiammabili da una soluzione in cui gli stessi siano stati trasferiti preventivamente dalla matrice, ma, anche questa tecnica non sempre garantisce la completa eliminazione degli inconvenienti già citati. In base all esperienza, e sulla scorta di prove preliminari, viene solitamente definita la tecnica in grado di garantire i migliori risultati caso per caso. Il primo accertamento tecnico che si esegue su materiali semicombusti relativi ad incendi è finalizzato alla rilevazione dei suddetti composti volatili e viene in genere eseguito impiegando la tecnica di arricchimento dello spazio di testa statico. La tecnica dello spazio di testa statico si realizza ponendo un aliquota del campione in una fialetta di vetro che viene ermeticamente chiusa mediante l impiego di un tappo dotato di un setto in gomma. Scaldando il fondo della provetta a circa 120 C per circa 30 minuti, i vapori che si liberano dai materiali residuati dall incendio si arricchiscono principalmente nelle sostanze volatili, che possono essere analizzate per via gas-cromatografica prelevando la fase vapore che si concentra nello spazio di testa libero della fiala (spazio di testa). Allo scopo di ottenere esiti analitici più certi ed affidabili, in alcune situazioni può essere utile eseguire l analisi dei campioni con l impiego di una tecnica di ulteriore arricchimento delle S.O.V. basata sull uso di un sistema denominato S.P.M.E. (Solid Phase Micro Extraction). 8

9 Tale sistema si basa sull impiego di una speciale siringa dotata di un ago capillare in materiale sintetico che, immerso in una soluzione acquosa o nei vapori prodotti per riscaldamento di un materiale, è in grado di catturare, per adsorbimento, le S.O.V. presenti. Tale siringa viene poi utilizzata direttamente per l iniezione gas-cromatografica. L impiego di questa tecnica consente di ottenere tracciati GC più puliti dal momento che l ago raccoglie e concentra selettivamente le S.O.V. a carattere prevalentemente idrocarburico. Nei casi più fortunati, la natura e la tipologia dei campioni possono permettere di indirizzare la ricerca della presenza di eventuali sostanze infiammabili ad una ricerca di tipo diretto, anziché dover far ricorso ad indagini, più laboriose e meno definitive, per la ricerca degli eventuali specifici prodotti di combustione parziale. Occorre comunque puntualizzare che la scelta del metodo più idoneo da adottare spesso dipende dalle particolari condizioni a contorno. L analisi di un campione residuato da un incendio che presenti un elevato contenuto di accelerante altamente volatile può essere eseguita impiegando la tecnica di arricchimento dello spazio di testa, mentre un campione contenente una grande quantità di acqua può essere sottoposto a distillazione o ad estrazione con solvente. In ogni caso, lo scopo del pretrattamento del campione è quello di isolare i componenti volatili dalla matrice e di arricchirli in un volume sufficientemente limitato da essere introdotto in una colonna gascromatografica. Stesso destino viene rivolto ai campioni di riferimento e tale operazione si rende necessaria in quanto il ritrovamento di certi componenti potenzialmente estranei rispetto alle sostanze chimiche che possano essere presenti nei locali danneggiati, od a quelle che possano prodursi per degradazione dai materiali presenti, richiede necessariamente una serie di verifiche, soprattutto in termini di confronto con altre situazioni presenti nella stessa area. In una seconda fase di processo, le risposte analitiche dei campioni prelevati sul luogo dell incendio verranno messe a confronto con quelle ottenute dai materiali presenti naturalmente sul luogo del sinistro. 9

10 Questi materiali, se forniti come campioni integri, vengono sottoposti a combustione in laboratorio, in varie condizioni, per evidenziare le sostanze volatili prodotte. 4.METODOLOGIE ANALITICHE Al fine di rilevare la presenza di sostanze riconducibili a liquidi infiammabili o acceleranti, si procede all esame del materiale costituente i reperti impiegando le tecniche analitiche di seguito specificate: - gas-cromatografia, per la rivelazione di sostanze volatili; - HPLC, proposta come tecnica analitica complementare in supporto all analisi GC di routine per l analisi dei derivati petroliferi isolati dai campioni residuati dagli incendi; - cromatografia su strato sottile, per l identificazione ed il confronto di sostanze idrocarburiche colorate o fluorescenti all azione delle radiazioni ultraviolette. Nella gas-cromatografia una colonna di diametro modesto e lunga da uno a più metri anche ripiegata su se stessa più volte, è riempita di un materiale adsorbente (cromatografia per adsorbimento) o di un materiale inerte che supporta un liquido non volatile nelle condizioni dell'esperienza (cromatografia per ripartizione). In tale colonna, mantenuta a temperatura rigidamente costante in una camera termostatica, tale da permettere la volatilizzazione del campione (se liquido), viene introdotto un flusso costante di gas di trasporto. Ovviamente occorre impiegare gas inerti (verso le sostanze da analizzare) e a tal fine si prestano assai bene i gas nobili. Trascorso un tempo variabile, dipendente dalla natura del campione e dalle condizioni sperimentali, inizieranno ad emergere all'estremità opposta della colonna, mescolati con il gas di trasporto, l'uno distanziato dall'altro ed in ordine inverso di affinità per le sostanze che riempiono la colonna, i singoli componenti della miscela da esaminare. Nella gas-cromatografia le possibilità di successo dipendono da un'accurata scelta degli adsorbenti e dei liquidi supportati, oltre che, in larga misura, anche della temperatura e della velocità impressa al gas di trasporto. L HPLC (High Performance Liquid Chromatography) è uno strumento analitico derivato dalla cromatografia classica e si basa sugli stessi principi. 10

11 Nella cromatografia classica il componente principale è la colonna che contiene la fase stazionaria all'interno della quale scorre la fase mobile rappresentata dall'eluente. Il passaggio dell'eluente avviene tramite la spinta esercitata dalla colonna di liquido costituente la fase mobile e quindi il processo, se la fase stazionaria non è sufficientemente porosa, può essere anche molto lento. La separazione dei componenti avviene tramite interazioni che si creano fra i costituenti della miscela e le due fasi. A seconda delle proprietà delle fasi e della natura della miscela da separare, le interazioni possono essere: - di natura elettrostatica; - dipolo-dipolo; - di Van Der Waals; - di scambio ionico. Nell'HPLC la forza che permette all'eluente di scorrere nella colonna, è rappresentata dalla pressione applicata da una pompa in testa alla colonna che forza la fase mobile a scorrere all'interno della fase stazionaria. Questo permette non solo di rendere il processo più rapido ma anche di ottenere un maggior numero di piatti teorici il che si riflette in una migliore risoluzione. Per la sua versatilità e l ampia applicabilità, l'hplc è attualmente una delle tecniche di separazione più ampiamente impiegate a scopi qualitativi e quantitativi e non è esclusa la possibilità che negli anni futuri possa sostituire la gas-cromatografia nell ambito dell indagine incendi in particolare e nella chimica forense in generale. Attualmente, l inconveniente principale della tecnica è dovuto al fatto che per l HPLC non sono disponibili, se non a costi molto elevati, rivelatori universali ed altamente sensibili come quelli impiegati per la gascromatografia. I rivelatori più ampiamente utilizzati per la cromatografia liquida si basano sulla misura dell'assorbimento della luce ultravioletta o della luce visibile da parte del campione. Generalmente vengono indagate lunghezze d'onda che vanno dai 200 ai 280 nm poiché molti gruppi funzionali dei composti organici assorbono in questa regione. La sorgente usata può essere sia il mercurio che i filamenti in tungsteno o deuterio equipaggiati con filtri di interferenza che eliminano le radiazioni indesiderate. 11

12 I rivelatori spettrofotometrici sono molto più versatili di quelli fotometrici e sono quelli più usati negli strumenti a più alte prestazioni. Spesso sono strumenti detti a diode array (D.A.D.)che possono mostrare l'intero spettro di assorbimento di un analita che entra in colonna. Un altro tipo di rivelatore che ha trovato molte applicazioni si basa sulla variazione dell'indice di rifrazione del solvente causato dalle molecole di analita. In contrasto con la maggior parte dei rivelatori precedentemente indicati, questo è scarsamente sensibile e meno selettivo dal momento che l'indice di rifrazione è in generale meno specifico per le varie sostanze e può essere influenzato anche da soluti presenti nella fase mobile. Infine, la cromatografia su strato sottile è una tecnica analitica che permette il riconoscimento qualitativo, previa separazione, dei componenti di una miscela per mezzo dei tempi di ritenzione delle sostanze rilevate, oppure per confronto delle stesse con standard di riferimento. Il sistema separativo, bifasico, è costituito da una fase fissa (fase stazionaria) e da una fase mobile. In particolare si opera posizionando una frazione degli estratti, opportunamente elaborati, su lastra cromatografica in vetro supportata con gel di silice (fase stazionaria) e dotata di una banda di concentrazione. Tale lastra presenta la caratteristica di separare i vari componenti presenti nei campioni in esame che vengono trasportati da un eluente (fase mobile). La separazione dei vari costituenti la miscela viene resa possibile poiché le varie sostanze si muovono con velocità diverse lungo il percorso a causa delle differenze di affinità chimica e fisica che presentano nei confronti delle due fasi. 4.1.Analisi gas-cromatografica A differenza delle altre tecniche cromatografiche che per la loro stessa natura non vi si prestano, la gas-cromatografia ha subito in questi ultimi anni uno sviluppo tecnico considerevole, essenzialmente basato sulle possibilità di creare rivelatori di elevatissima sensibilità. L interpretazione dei risultati prende tipicamente l avvio da un paragone visuale dei cromatogrammi. Sfortunatamente non esiste una soluzione semplice per questi problemi dal momento che molti componenti devono essere considerati simultaneamente. L interpretazione dei risultati viene comunemente condotta per confronto del cromatogramma del campione in esame con una banca dati dei cromatogrammi degli acceleranti standard. La complicazione principale della tecnica proviene dal fatto che il rumore di fondo viene introdotto nella forma di picchi estranei. Il problema è più severo nel momento in cui alcune delle sostanze della matrice sono 12

13 identiche a quelle dell accelerante; in questi casi, l eventuale individuazione delle sostanze acceleranti può essere realizzata solo sfruttando altri parametri, come un inaspettato rapporto dei picchi o la presenza di non individuati co-prodotti. 4.2.Analisi GC/MS Per una risposta univoca circa la natura dei componenti volatili presenti nei campioni prelevati si rende spesso necessario l impiego di una tecnica analitica sufficientemente sofisticata da consentire l identificazione delle sostanze sulla base della loro struttura molecolare. Questa possibilità può essere brillantemente offerta dalla tecnica GC/MS, che prevede l impiego di un rivelatore di spettrometria di massa sequenzialmente alla comune gascromatografia. Grazie alle notevoli capacità diagnostiche della tecnica, ad essa si ricorre in tutte le situazioni in cui si rendono necessarie conferme definitive in merito alle attribuzioni gas-cromatografiche che, come è già stato puntualizzato, si basano solo su un confronto tra i tempi di ritenzione (Tr) delle sostanze. L analisi GC/MS dispone di una doppia potenzialità di confronto: - il tempo di ritenzione del picco gas-cromatografico; - la struttura molecolare del componente. Il rivelatore MS si basa sul principio per cui una molecola, sottoposta a bombardamento con un fascio di elettroni di elevata energia, si frammenta in unità più piccole caratterizzate da uno specifico rapporto tra massa e carica (m/z). L abbondanza relativa dei diversi frammenti costituisce un parametro caratteristico, per cui, in pratica, lo spettro di massa rappresenta una impronta digitale tale da identificare univocamente la struttura molecolare della sostanza stessa. La tecnica di analisi GC/MS consente di condurre l analisi secondo due diverse modalità: - T.I.C. (Total Ion Current) - S.I.M. (Selected Ion Monitoring) L analisi effettuata secondo la modalità T.I.C. viene condotta registrando la corrente ionica totale prodotta dal rivelatore di spettrometria di massa. Grazie all impiego di questa tecnica è possibile ottenere un masscromatogramma che viene memorizzato su supporto magnetico e trasferito su carta in modo da rendere possibile l analisi delle singole frammentazioni di ogni picco, ricostruendo la sua struttura molecolare anche attraverso il confronto con gli spettri di massa contenuti nella banca 13

14 dati in dotazione allo strumento. Ad ogni picco viene quindi attribuita una ben precisa struttura molecolare. L analisi effettuata secondo la modalità S.I.M. viene condotta registrando la corrente dovuta ai singoli ioni, selezionabili in fase di programmazione, caratteristici di ogni classe di composti. Grazie all impiego di questa tecnica è possibile incrementare in larga misura sia la sensibilità, che la selettività del sistema, permettendo di rilevare la presenza dei composti ricercati anche se presenti in quantità modestissime e consentendo di eliminare i segnali di sostanze estranee presenti nel campione, che possono interferire con la rivelabilità delle sostanze di interesse. Ovviamente, l impiego dell una o dell altra tecnica è strettamente legato alla natura del campione in esame e alle sue condizioni relative. In ogni caso, ad ogni segnale (picco) sul tracciato strumentale (cromatogramma) è associato un insieme di ioni (spettro di massa) che ne definiscono univocamente il composto chimico eluito in un ben definito tempo di analisi (tempo di ritenzione). È importante sottolineare che il dato fornito dallo spettrometro di massa è altamente specifico per ogni composto analizzato in quanto è indissolubilmente e direttamente legato alla sua struttura chimica. Operando con questa particolare strumentazione ne consegue che la metodologia applicata per il riconoscimento degli acceleranti viene sviluppata utilizzando al massimo le informazioni riguardanti la composizione e le caratteristiche chimiche dei possibili acceleranti. Figura 2. Diagramma di flusso per l identificazione degli acceleranti. 14

15 Le informazioni chimiche sugli acceleranti sono contenute nel complesso cromatogramma totale costituito da tutti i picchi con tutti i frammenti derivanti dalle specie chimiche eluite (acceleranti, prodotti di pirolisi e costituenti il materiale integro), che può essere semplificato mediante estrazione di uno o più frammenti diagnostici per ognuna delle specie chimiche di interesse. Un esempio sono i frammenti 91, 105 e 119 utili per la ricerca della benzina oppure 57 e 71 per l individuazione di cherosene o gasolio. Figura 3. Risposta strumentale della benzina. 15

16 Figura 4. Risposta strumentale del gasolio. Questa elaborazione consente di ottenere un cromatogramma parziale dove sono messi in evidenza solo i picchi formati dai frammenti specifici, utili per l identificazione di ciascun accelerante. Infatti, la caratteristica peculiare dei comuni liquidi infiammabili è che non sono monocomponenti, ma sono costituiti da una miscela di composti chimici, tutti appartenenti alla famiglia degli idrocarburi. L impronta cromatografica di ogni accelerante è suscettibile di cambiamenti nella composizione in funzione del tempo trascorso dall uso al prelievo, della temperatura alla quale l accelerante è stato sottoposto e di altre variabili da prendere in considerazione caso per caso. Le modificazioni sull accelerante sono rappresentate da una perdita dei componenti più volatili ed arricchimento della frazione meno volatile. 16

17 Figura 5. Modificazione della risposta strumentale della benzina per effetto dell evaporazione. 17

18 A titolo esemplificativo, per una verifica della possibile partecipazione all evento termico di un infiammabile classico, la benzina, può essere condotta sui campioni una indagine GC/MS per evidenziare l eventuale presenza delle sostanze caratteristiche di tale tipologia di combustibile. Gli ioni selezionati in genere sono (in grassetto lo ione principale): diagnostici del BENZENE 91 diagnostico del TOLUENE diagnostici degli idrocarburi AROMATICI C diagnostici degli idrocarburi AROMATICI C diagnostici degli idrocarburi AROMATICI C diagnostico del NAFTALENE diagnostici dei METILNAFTALENI diagnostici di DIMETILNAFTALENI ed ETILNAFTALENI 166 diagnostico del FLUORENE Successivamente, gli andamenti generali del tracciato S.I.M. dei singoli reperti vengono confrontati con quelli della benzina evaporata per rilevarne una eventuale compatibilità. Ad esempio, in una situazione come quella riportata di seguito, è dimostrato in maniera evidente come nei tre campioni siano presenti praticamente tutti i composti che costituiscono le componenti tipiche della benzina per autotrazione. LEGENDA: + : presente --- : assente? : presenza dubbia (profilo diverso) Componente o Classe Reperto 1 Reperto 2 Reperto 3 Benzene Toluene Xileni e C8 + (*) + + (*) Aromatici C9 + (*) + + Aromatici C10 + (*) + + Naftalene Metilnaftaleni Etilnaftaleni e Dimetilnaftaleni Fluorene (*) Componenti presenti in concentrazione modesta rispetto ad altri segnali interferenti 18

19 L identificazione di detti componenti è priva di interferenze nel tracciato del Reperto 2, mentre nel caso del Reperto 1 e del Reperto 3 in alcuni casi la rilevazione dei segnali tipici di alcuni componenti diagnostici della benzina è resa difficoltosa dalla contemporanea presenza di altre sostanze. In ogni caso, comunque, non si osserva mai una mancanza di elementi di riconoscimento rispetto alla benzina; semmai nei residui della combustione si ritrovano anche sostanze che non derivano dall evaporazione della benzina. Secondo i criteri e gli standard utilizzati in ambito tecnico-forense, le risposte analitiche fornite dall analisi dei campioni, confrontate con la composizione della benzina evaporata, definiscono una situazione di totale compatibilità. Ad ogni buon conto, anche in caso di totale compatibilità, prima di ritenere che tale situazione sia anomala, ovvero prima di attribuire la presenza di tali composti all uso di benzina come mezzo per innescare e/o sostenere l incendio, occorre doverosamente porsi il problema se la presenza di dette sostanze nei residui non possa essere altrimenti giustificata. 5.PROBLEMATICHE GENERALI Nelle pagine che seguono verranno riportate le indagini relative ai casi analizzati nel corso della precedente lezione, con particolare attenzione rivolta all analisi di laboratorio svolta sui campioni prelevati in seguito agli eventi termici in cui era stata sospettata l origine dolosa. Come sarà possibile osservare, tutte le situazione esaminate presentano il comune denominatore di fornire, in ogni caso, soluzioni estremamente complesse riguardo all eventuale origine dolosa. La risposta al quesito deve, in ogni caso, scaturire da una valutazione globale dei risultati che, in caso di esito positivo, deve essere sempre basata sulla contemporanea presenza di più sostanze caratteristiche relative ad un certo tipo di accelerante o idrocarburo inteso in senso lato. 5.1.CASO A: incendio in un Calzaturificio Indagini analitiche Sulla base delle evidenze raccolte in seguito ai sopralluoghi furono prelevati, con criterio mirato, campioni residuati dall incendio, con particolare attenzione rivolta: - alla polvere della ruzzola operativa; 19

20 - ai residui di combustione in prossimità della ruzzola dismessa; - alle sostanze infiammabili presenti nei locali al momento dell incendio; - ai fusti contenenti i diluenti ed i solventi in uso nel Calzaturificio. L analisi dei campioni di polvere della ruzzola evidenziò un potere calorifico di circa kcal/kg. Considerando che i quantitativi massimi di tale polvere risultavano dell ordine dei kg, fu possibile ricavare che tale sorgente termica aveva un carico di incendio piuttosto modesto (inferiore a kcal) in relazione agli effetti provocati dalle fiamme. In altre parole, le caratteristiche di combustione della polvere della ruzzola ed i quantitativi verosimilmente presenti risultarono tali da far ritenere poco plausibile una loro responsabilità diretta nell innesco dell incendio. Fu presa quindi in esame, a livello di ipotesi di lavoro, la possibilità che l incendio potesse essere stato innescato, accelerato e/o propagato in modo doloso, facendo ricorso a sostanze infiammabili già presenti nei locali di lavoro in quanto facenti parte dei materiali utilizzati nel ciclo produttivo. Infatti, risulterebbe conveniente, per un soggetto criminale che volesse produrre danni consistenti all attività senza destare sospetti, utilizzare in modo opportuno le sostanze idonee allo scopo già presenti nei locali, anziché fare ricorso a sostanze estranee che avrebbero comunque dovuto essere trasportate nei locali stessi dall esterno e che, se rilevate nei resti della combustione, avrebbero fornito prova certa del dolo. A tale proposito, fu ritenuto opportuno svolgere indagini tendenti a determinare la quantità e la composizione delle sostanze infiammabili presenti nei locali al momento del sinistro, tentando anche una ricostruzione della collocazione dei contenitori nell area dello stabilimento. Relativamente alla ricerca di S.O.V., l analisi GC/MS dell adesivo normalmente in uso nel locale danneggiato mise in evidenza, in accordo con i dati dichiarati dal fornitore, la presenza di: - acetone - metiletilchetone - toluene - acetato di etile oltre ad impurezze presenti comunemente in tali solventi commerciali. I campioni prelevati durante il carico dei materiali sul piazzale, al fine di riportarli all interno del capannone evidenziarono la presenza di quantità di solventi minime, mentre ben più consistente (anche se ancora a livello di 20

21 tracce) risultò la quantità di tali sostanze identificata nei campioni prelevati all interno del capannone. Tale differenza riguardava principalmente i componenti altamente volatili andati prevedibilmente perduti durante la permanenza dei materiali all aperto (per evaporazione o per dilavamento da pioggia). La polvere della ruzzola operativa e i reperti prelevati presso la ruzzola fuori uso mostrarono la presenza di tracce di residui di sostanze volatili tra cui spiccavano l acetone ed altri componenti ad elevato indice di ossigeno, nonché componenti clorurati, probabilmente attribuibili ad impurezze di solventi industriali. In ogni caso, l analisi dei campioni residuati dall incendio mise in evidenza la presenza di una grande varietà di S.O.V., presenti nei vari campioni in quantità diverse, ma comunque sempre riconducibili alle sostanze infiammabili pertinenti al processo produttivo. In relazione alle risultanze delle indagini analitiche effettuate fu possibile concludere circa la non rivelabilità di elementi indicativi della presenza sul luogo dell incendio di sostanze infiammabili estranee al processo produttivo. Tali esiti misero inoltre in luce notevoli differenze di composizione tra i residui in parola e quelli prelevati in altre zone del calzaturificio. Il fatto fu ragionevolmente messo in relazione con l eventuale presenza, nella zona di innesco, di uno o più contenitori di sostanze chimiche aventi caratteristiche corrispondenti a quelle rilevate nei campioni e diverse da quelle di materiali presenti in altre zone. Una attenta ricerca in tal senso dette però esito negativo, dato che non fu rilevato alcun contenitore metallico nelle immediate vicinanze della ruzzola fuori uso ; inoltre l eventuale presenza di un contenitore in PVC nella zona di innesco avrebbe dovuto comunque dar luogo a residui di plastica bruciacchiata, data la difficile combustibilità di tale materiale. In ultima analisi, prove di combustione effettuate utilizzando il campione di adesivo misero in evidenza una sua facilissima infiammabilità e la caratteristica di bruciare con fiamma chiara, priva di residui carboniosi. Fu pertanto possibile concludere che la combustione di tale tipo di materiale poteva effettivamente creare condizioni termiche tali da produrre gli effetti rilevati (sfiammatura incolore sulla parete, rottura dei vetri del lucernario, innesco di un incendio di vaste proporzioni,...). 21

22 Conclusioni Sulla base delle evidenze raccolte fu possibile l individuazione univoca del punto di innesco primario dell incendio che, in concomitanza con l assenza completa di elementi che rendessero ragionevole supporre una attivazione accidentale dell incendio stesso, condussero al convincimento che l origine del fenomeno fosse di natura dolosa. In questo tipo di scenario, l ipotesi che il materiale infiammabile, o una fonte di innesco, fossero stati gettati nel locale dalle finestre lato uffici (le più vicine alle zone di innesco) risultò immediatamente poco plausibile sulla base delle seguenti considerazioni: - mancanza nella zona di innesco di residui del contenitore della sostanza infiammabile; - oggettiva difficoltà operativa nel raggiungere tale zona in modo mirato, a causa dell ostacolo offerto dalla ruzzola dismessa che si frapponeva tra le finestre ed il punto di innesco. Fu quindi possibile concludere, con ragionevole certezza, che l incendio fosse stato opera di un soggetto che, dopo aver sparso al suolo una sostanza facilmente infiammabile (verosimilmente uno o più fusti di adesivo), aveva allontanato il relativo contenitore, appiccando successivamente l incendio. Anche la scelta della zona di innesco risultava corrispondere, in tale ottica dolosa, a precisi requisiti: - essa era sufficientemente protetta rispetto all esterno ed alle superfici vetrate laterali si da consentire un significativo sviluppo delle fiamme prima che se ne evidenziasse l esistenza; - essa era sufficientemente vicina alle vie di fuga da consentire all autore un rapido e sicuro allontanamento dal luogo del pericolo; - essa era collocata in prossimità di un apparecchiatura dove potevano, almeno teoricamente, verificarsi fenomeni di autocombustione cui poteva essere attribuita facilmente una origine accidentale dell incendio. 22

23 5.2.CASO B: incendio in un Maglificio Indagini analitiche Sulla base delle evidenze raccolte in seguito al sopralluogo furono prelevati campioni corrispondenti sostanzialmente a due categorie di materiali: - tessuti più o meno interessati da fenomeni di combustione; - residui di combustione. Questi ultimi risultavano i campioni più utili ai fini delle indagini, mentre gli altri potevano essere utilizzati in termini di verifica. Un primo screening analitico sui residui di combustione fu indirizzato ad una ricerca di tipo puramente qualitativo della presenza di sostanze volatili rivelabili per via gas-cromatografica. Per questa prima fase fu impiegata la tecnica di analisi dello spazio di testa. I referti gas-cromatografici derivati da questa prima serie di analisi permisero di rilevare in tutti i campioni la presenza di numerose sostanze organiche volatili tra cui alcune tipiche della benzina per autotrazione. Su detti campioni fu quindi dato corso ad analisi GC aventi lo scopo di esaltare la presenza di componenti diagnostici della benzina. In particolare, fu ritenuto utile ripetere le analisi dei campioni con l utilizzo della tecnica di arricchimento delle S.O.V. basata sull impiego del sistema S.P.M.E.. I tracciati ottenuti, messi a confronto con il tracciato di una benzina evaporata, evidenziarono in prima analisi la presenza di picchi attribuibili a benzene, toluene e xileni in tutti i campioni. Il confronto dimostrò come tutti i segnali tipici della benzina (dovuti agli idrocarburi aromatici C9-C11) si ritrovassero anche nei campioni di residui della combustione, dove erano peraltro presenti altri segnali aggiuntivi dovuti ad altre sostanze prodottesi durante la combustione. Sulla base dei dati raccolti in questa fase dell indagine fu possibile concludere in via preliminare circa la presenza nell ambiente interessato dall incendio di sostanze infiammabili naturalmente estranee all attività. I risultati ottenuti non presentavano, tuttavia, valore definitivo dal momento che esiste una vasta letteratura scientifica che suggerisce di procedere con grande cautela nel campo delle attribuzioni gas-cromatografiche. In aggiunta è stato scientificamente dimostrato che alcuni dei prodotti tipici 23

24 della benzina possono prodursi spontaneamente durante la decomposizione termica di materiali combustibili diversi (legno, vernici, materie plastiche, tessuti,...). Considerando che nelle benzine in commercio alla data del sinistro il contenuto in piombo risultava per legge inferiore allo 0.25 % in peso, per avvalorare l ipotesi della presenza di benzina sul luogo del sinistro, l indagine fu indirizzata verso la ricerca di piombo nei residui della combustione. A dispetto di una distribuzione non omogenea del piombo nei reperti, essendo il piombo un contaminante dalle caratteristiche ubiquitarie, la sua provenienza poteva anche essere non univoca, perciò non completamente utilizzabile ai fini probatori. Per una risposta univoca si rese quindi necessaria una tecnica di analisi che permettesse il confronto delle varie sostanze sulla base della loro struttura molecolare, procedendo ad ulteriore supplemento di indagine basato sull impiego della tecnica GC/MS per ottenere conferme definitive in merito alle attribuzioni gas-cromatografiche. Conclusioni Dalle indagini effettuate fu possibile ricavare che i tracciati S.I.M. della benzina trovavano perfetta corrispondenza nei tracciati dei campioni prelevati sul luogo del sinistro. Gli elementi raccolti attraverso le indagini GC/MS permisero quindi di concludere univocamente circa la presenza di benzina per autotrazione sul luogo dell incendio. Alla luce dei risultati ottenuti dalla spettroscopia di assorbimento atomico fu inoltre possibile ritenere che la presenza di piombo nei residui della combustione fornisse un elemento ulteriore a supporto della presenza del combustibile. Data la notevole varietà dei tessuti e dei materiali presenti nelle diverse porzioni del locale, fu considerato che alcuni di essi avrebbero potuto generare, per decomposizione o pirolisi, tracce di alcune di dette sostanze idrocarburiche. Di fatto fu proprio la riproducibilità della presenza delle sostanze ritrovate in zone diverse dal locale (dimostrata dalle analisi GC) in aggiunta alla presenza totale delle sostanze diagnostiche della benzina (dimostrata dall analisi GC/MS) a definire come unica possibile fonte di tali sostanze la 24

25 presenza sul luogo del sinistro di un prodotto che le contenesse originariamente. 5.3.CASO C: incendio in un Mobilificio Indagini analitiche Sulla base delle evidenze raccolte in seguito al sopralluogo fu adottata una metodologia mirata con campionamento statistico anche nelle zone limitrofe. L analisi dei campioni residuati dall incendio, effettuata mediante la tecnica della gas-cromatografia dello spazio di testa, mise in evidenza situazioni molto diverse da campione a campione, anche all interno di uno stesso settore. Alcuni dei campioni, infatti, mostrarono la completa assenza di qualunque tipo di S.O.V., mentre in altri furono rilevati, anche se in minime tracce, numerosi composti, tra cui, sistematicamente, aldeide formica ed altri composti ossigenati a basso peso molecolare tra cui tipicamente l alcol metilico, l etere dietilico, l alcol etilico, l acetone,... La presenza di tali componenti non mostrava tuttavia valenza diagnostica dal momento che gli stessi avrebbero potuto derivare, come d altro canto dimostrato dalle analisi effettuate sui campioni di legno in lavorazione, anche dalla combustione di tali materiali in assenza di infiammabili (l entità della combustione determina la quantità relativa dei vari composti ossigenati che si possono ritrovare nei residui). Altre S.O.V. rilevate in tracce in alcuni campioni mostrarono invece una provenienza in linea di principio diversa rispetto a quella naturale ; in particolare furono evidenziate, in alcuni campioni, tracce di benzene e toluene la cui origine avrebbe dovuto essere ulteriormente approfondita. La presenza nei campioni repertati di tracce di benzene e toluene fu messa in relazione con la combustione di materiali di consumo normalmente presenti in azienda per scopi produttivi. In relazione alle risultanze delle indagini analitiche, interpretate anche alla luce delle testimonianze rese, fu possibile concludere circa il fatto che non furono rilevati elementi indicativi della presenza sul luogo dell incendio di sostanze infiammabili estranee al processo produttivo. 25

26 Conclusioni Dalle indagini effettuate non furono ravvisati elementi che potessero ragionevolmente far pensare ad una origine dolosa dell incendio. Altri elementi di sicuro interesse ai fini delle indagini furono costituiti dalla determinazione di un unico punto come zona di innesco primario e dal fatto che la propagazione delle fiamme, seppure indubbiamente agevolata dalle sostanze infiammabili presenti in tale punto (seppur in quantità modeste), non era stata verosimilmente agevolata in maniera dolosa in altre zone del locale. Sulla base delle dichiarazioni rese dai dipendenti e dell esito delle prove di cortocircuito fu possibile concludere che nella zona ove si era verosimilmente creato l innesco dell incendio erano presenti sia linee sotto tensione, che sostanze facilmente infiammabili, anche se presenti in modeste quantità, per cui il verificarsi di condizioni di surriscaldamento di una linea elettrica attiva avrebbe potuto produrre rapidamente condizioni di cortocircuito ed un principio di incendio. 5.4.CASO D: incendio in una ditta trasformatrice di carta Indagini analitiche preliminari Sulla base delle evidenze raccolte furono prelevati, con criterio mirato, campioni residuati dall incendio, con particolare attenzione rivolta ai residui di combustione provenienti dall area stoccaggio bobine. I tracciati GC/MS ottenuti dalle analisi condotte secondo la modalità T.I.C. evidenziarono: - la presenza di contaminanti siliconici che non derivavano dai campioni bensì dalla linea analitica e che quindi non avevano alcun significato ai fini della interpretazione dei risultati; - una notevole differenza tra i tre campioni inizialmente esaminati, uno dei quali (campione 1) risultava di gran lunga più ricco di informazioni, mentre negli altri due erano presenti quantità decisamente minori di sostanze volatili, a parte componenti identificabili come derivanti dalla decomposizione di polietilene; - la presenza, nel campione 1, di un segnale di intensità significativa attribuito all estere diottilico dell acido adipico, sostanza largamente utilizzata come plastificante in numerose formulazioni di prodotti plastici di ampia diffusione commerciale; 26

27 - la presenza nel campione 1 ed in misura minore nel campione 2, di un picco identificato come benzene e di altri prodotti idrocarburici aromatici che non si ritrovano nel campione 3. Relativamente all ultima evidenza occorre ricordare che sostanze aromatiche quali benzene e derivati possono prodursi, seppure in minima quantità, anche dalla degradazione termica di svariati materiali di uso comune e di conseguenza la solo loro presenza non costituisce elemento conclusivo a favore di una loro provenienza da fonte esterna. Tuttavia, in considerazione del fatto che le suddette sostanze costituiscono componenti tipici delle usuali benzine, furono condotte ulteriori verifiche per evidenziare l eventuale presenza di altre sostanze specifiche di tale tipologia di combustibile. Fu quindi effettuata sul campione 1 una indagine GC/MS con la metodologia S.I.M., anch essa preceduta da un arricchimento dei vapori dello spazio di testa e facendo uso della tecnica S.P.M.E.. Le analisi presero in esame anche un campione di benzina evaporata, impiegato come riferimento. Da un confronto degli andamenti del tracciato del campione 1 con quello della benzina evaporata fu possibile rilevare che il campione di residui della combustione presentava quantità significative dei componenti aromatici facenti parte della frazione più leggera che compone anche la benzina, anche se il profilo ricostruito corrispondeva solo in parte a quello della benzina evaporata. Secondo i criteri e gli standard utilizzati in ambito tecnico-forense, le carenze o le lacune nella composizione della miscela rinvenuta nel campione 1, rispetto alla composizione della benzina evaporata, impongono di considerare quanto sopra come elemento di parziale compatibilità. I casi in cui nei residui della combustione si ritrovano solo alcuni dei componenti tipici della benzina sono mediamente piuttosto numerosi tuttavia, in genere, la compatibilità parziale è determinata da una situazione diametralmente opposta a quella del caso in esame, ovvero dalla assenza dei componenti volatili e dalla presenza dei componenti altobollenti. Tale situazione trova razionale interpretazione nel fatto che le sostanze a più alto peso molecolare (naftalene ed omologhi superiori) si formano nei processi di degradazione di sostanze organiche con una facilità 27

28 decisamente superiore a quella dei componenti più volatili. Semmai, infatti, si abbia formazione di xileni o aromatici C9-C10, questi non si formano nei rapporti relativi dei componenti che si trovano nella benzina, dal momento che la loro formazione segue percorsi e meccanismi del tutto diversi. Se nel caso in esame fossero stati trovati nei residui del campione 1 solo i componenti più altobollenti della benzina, sarebbe stato possibile concludere che questo elemento di parziale compatibilità non poteva avere alcun significato di prova al fine di dimostrare la presenza della benzina stessa. Nel caso in esame, invece, risultava rilevabile una presenza consistente di benzene, mentre le componenti C9 e C10 non mostravano la stessa distribuzione che hanno normalmente nella benzina e, tra i pesanti, non si rilevava la presenza di antracene e fenantrene. Rimaneva l evidenza di una significativa differenza tra il campione 1 e gli altri due campioni, e la circostanza che, dalla composizione e dalla distribuzione dei componenti rilevati, si doveva ritenere maggiormente probabile una loro provenienza da una miscela commerciale piuttosto che da processi di degradazione di composti a peso molecolare superiore. Per giustificare questa ultima provenienza mancavano infatti tutte le famiglie di tipici prodotti che necessariamente accompagnano alcuni di detti composti aromatici quando si formano per decomposizione di materie plastiche (ad esempio da resine contenenti gruppi ftalici o stirenici o altri). Quindi l ipotesi che una miscela di idrocarburi tipo benzina (o altra miscela combustibile a taglio più leggero) avesse partecipato all incendio, che nel caso della benzina non si poteva affermare in maniera diretta per la non totale sovrapponibilità dei componenti rinvenuti con quelli di una miscela genuina di tale combustibile, risultava comunque l unica valida risposta alle evidenze raccolte attraverso un processo logico per esclusione. Conclusioni preliminari Dalle indagini preliminari fu possibile ricavare che nell area di stoccaggio delle bobine, in corrispondenza del punto da cui i testimoni avevano affermato essersi per prime sviluppate le fiamme, erano presenti residui di idrocarburi aromatici volatili facenti parte di una miscela commerciale, non compatibili con una formazione avvenuta in situ ad opera di processi degradativi di materiali combustibili. 28

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