Fondazione Fondiaria Sai. WOMEN to be. il magazine on-line di Herat

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1 Fondazione Fondiaria Sai WOMEN to be il magazine on-line di Herat Raccolta numeri anno I1 novembre dicembre 2012

2 WOMEN to be il magazine on-line di Herat Raccolta numeri anno 2 novembre dicembre 2012 Volume a cura di Barbara Donat-Cattin Prefazione del Ministro degli Affari Esteri Giulio Terzi

3 Copyright 2013 Fondazione Fondiaria Sai Volume a cura di Barbara Donat-Cattin. Realizzazione Erika Pauselli Foto di copertina: Alessandro Belgiojoso. Per le foto all interno del volume si ringraziano: Luigi Baldelli, Alessandro Belgiojoso e Susa Libri.

4 INDICE Prefazione Introduzione n.1 - novembre 2011 Fondazione Fondiaria Sai - Lettera Emma BONINO - Le donne sono il futuro Barbara DONAT-CATTIN - Un libro per tutti Saghar MOHAMMADI - Superare la disabilità Fariha KHORSAND - 2 dollari per 12 ore di lavoro n.2 - gennaio 2012 Barbara DONAT-CATTIN - Editoriale Ferruccio DE BORTOLI - La speranza dell informazione libera Fariha KHORSAND - La condizione delle donne afghane Sakhi ATTAYE - Il mio viaggio in Italia Shaheen POYA - Differenti ma non diverse: siamo donne n.3 - marzo 2012 Barbara DONAT-CATTIN - Editoriale Giulio TERZI - Afghanistan verso il futuro Sakhi ATTAYE - La squadra di vòlano Saghar MOHAMMADI - Stelle del cinema di Herat Shaheen POYA - A scuola di giornalismo in Italia n.4 - giugno 2012 Barbara DONAT-CATTIN - Editoriale Khaled HOSSEINI - La Fondazione Khaled Hosseini Erika PAUSELLI - La Fondazione Fondiaria Sai per l Afghanistan Khaled HOSSEINI - Ascoltiamo le donne del nuovo Afghanistan Saghar MOHAMMADI - La scelta di Parwana n. 5 - ottobre 2012 Barbara DONAT-CATTIN - Editoriale Nicoletta BOMBARDIERE - Essere donna in Afghanistan Erika PAUSELLI - Dietro il velo islamico Shaheen POYA - Libertà delle donne: strada in salita Khaled HOSSEINI - La Fondazione Khaled Hosseini n. 6 - dicembre 2012 Ettore MO - Il paese della libertà negata Gianni OLIVA - La Taurinense in Afghanistan Jawad JOYA - Donne: esseri umani e decision makers Shaheen POYA - Analisi di un occupazione inutile Barbara DONAT-CATTIN - Grazie! Autori Foto Luigi Baldelli

5 Foto Luigi Baldelli

6 PREFAZIONE Questo volume raccoglie le testimonianze dirette di donne afghane coraggiose che WOMEN to be ci ha raccontato nel Sono storie di violazione e negazione dei diritti fondamentali, di cui troppo spesso le donne sono costrette a subire le conseguenze dolorose. La violenza e la sofferenza di cui sono impregnate non toglie a queste storie di emarginazione la forza che deriva loro da quella immagine nitida e toccante di donne che si pongono come vera forza positiva di cambiamento. Sono i ritratti di donne impegnate in prima persona a costruire un futuro migliore per il loro Paese e i loro figli. Still a long way to go è il titolo del recente rapporto della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan sull applicazione della legge per il contrasto alla violenza contro le donne. Il percorso verso il pieno riconoscimento dei diritti delle donne richiede senz altro ancora molto tempo, in un paese che la comunità internazionale non dovrà lasciare solo. Ma la direzione intrapresa è quella giusta, anche grazie al forte impegno dell Italia. E i dati lo confermano: nell ultimo anno, nella provincia di Herat, dove si concentra la presenza italiana, si è registrato il più alto tasso di denunce alle autorità giudiziarie di episodi contro le donne; su scala nazionale il 30% dei parlamentari afghani è donna; sette milioni di bambini e bambine vanno a scuola, rispetto ai soli novecentomila sotto il regime dei talebani. Alla vigilia del passaggio della responsabilità della sicurezza nelle mani delle Autorità afghane, la condizione femminile deve essere considerata un indicatore fondamentale di progresso sociale e civile. E l azione dell Italia, come viene riconosciuto nelle testimonianze di personalità di primo piano cui WOMEN to be ha dato voce, si pone come obiettivo prioritario la promozione dei diritti umani, e in particolare il rafforzamento del ruolo della donna in tutti i settori della società afghana. È un tema che ho richiamato in tutti gli incontri, ben otto, che ho avuto, durante il mio mandato alla guida della Farnesina, con le più alte Autorità afghane. Alla Conferenza di Tokyo sullo sviluppo civile ed economico dell Afghanistan, nel luglio 2012, l Italia ha chiesto ed ottenuto l inserimento, nel documento finale, di un impegno concreto del Governo afghano ad una più efficace tutela dei diritti delle donne ed al miglioramento della loro condizione, da misurare in base a parametri definiti. Continueremo ad essere al fianco delle donne afghane. Non è solo una sfida di civiltà che dobbiamo vincere. La piena realizzazione e fruizione dei diritti da parte delle donne afghane è una condizione indispensabile per costruire in Afghanistan una pace ed uno sviluppo duraturi. Giulio Terzi Ministro degli Affari Esteri

7 Foto Luigi Baldelli

8 INTRODUZIONE Per il secondo anno abbiamo deciso di raccogliere in questo volume tutti gli articoli usciti sul nostro magazine on-line WOMEN to be. Ogni numero testimonia come impegno, coraggio e determinazione siano le parole chiave per realizzare un cambiamento. WOMEN to be è stato un mezzo per dare voce a chi normalmente non ce l ha, per comprendere la diffidenza di un popolo che si sente colonizzato, per insegnarci che non esiste solo un punto di vista, per farci capire che forse il nostro progresso non è sempre visto in modo positivo. L auspicio è di essere riusciti ad evitare i luoghi comuni ed aver saputo, seppur in minima parte, raccontare un paese duro e complesso come l Afghanistan. Ridurre i problemi delle donne al burqa significa minimizzare una questione molto più controversa. Il burqa è solo la punta di un iceberg. In questi anni migliaia di parole mi hanno traghettata in un mondo per me surreale. Le testimonianze di queste giovani donne mi hanno fatto capire che, per quanto tremenda possa essere la loro esistenza, non sono assolutamente rassegnate. Le autrici dei mini reportage pubblicati sono delle fortunate che hanno deciso di usare la forza delle parole non solo come denuncia sociale ma anche in difesa della loro cultura. Argomento dominante la condizione femminile perché - come ha scritto Khaled Hosseini - se l Afghanistan vuole tornare ad essere un paese libero, dove la libertà ha un significato, il rispetto dei diritti delle donne deve essere un principio imprescindibile. Tanto spazio è stato dato alle donne e alle loro storie. Emergono ritratti che suscitano ammirazione mista a rabbia. Rabbia perché si prova un senso di impotenza. Uomini e donne di diverse razze e con percorsi di vita differenti hanno contribuito in egual misura al successo di WOMEN to be, tutti gli articoli sono caratterizzati dallo stesso entusiasmo frutto di uno straordinario impegno. Il ringraziamento più sentito va al ministro degli Affari Esteri Giulio Terzi che, oltre ad aver scritto per il nostro magazine, ha arricchito questo volume con la sua prefazione. Sakhi Attaye, Nicoletta Bombardiere, Emma Bonino, Ferruccio de Bortoli, Khaled Hosseini, Jawad Joya, Fariha Khorsand, Ettore Mo, Saghar Mohammadi, Gianni Oliva e Shaheen Poya ci hanno regalato frammenti importanti dell Afghanistan. Si sono mescolate le voci di chi vive in quel paese insieme a quelle di chi se ne è occupato per ragioni diverse. Il lavoro della nostra Fondazione ha permesso di aprire uno spiraglio su un mondo lacerato, in cui le donne sono le prime vittime. WOMEN to be le ha aiutate ad uscire dal buio della loro storia e prendere coscienza di un mondo nuovo che stanno costruendo con forza e coraggio. Barbara Donat-Cattin Segretario Generale Fondazione Fondiaria Sai

9 Novembre n.1 Foto Alessandro Belgiojoso In questo numero: Fondazione Fondiaria Sai - Lettera Emma Bonino - Le donne sono il futuro Barbara Donat-Cattin - Un libro per tutti Saghar Mohammadi - Superare la disabilità Fariha Khorsand - 2 dollari per 12 ore di lavoro

10 novembre 2011 n 1 Apriamo il numero 1 del secondo anno del nostro magazine con due buone notizie ma, soprattutto, due promesse mantenute dalla Fondazione Fondiaria Sai. Un anno fa conoscevamo Suraya Pakzad che ci raccontava la tragica storia di una sposa bambina che, a ottobre grazie alla Fondazione, è tornata a casa dalla sua famiglia. Nel febbraio 2010 il Presidente della Fondazione - Giulia Ligresti - incontrava a Herat quelle che sarebbero diventate le reporter di questo magazine e pochi giorni fa quattro di loro - Fariha, Nasima, Oranous, Shaheen - sono arrivate in Italia per seguire due settimane di formazione presso due importanti testate giornalistiche: Corriere della Sera e Avvenire. Entrambe sono storie di riscatto sociale anche se hanno risvolti molto diversi. La sposa bambina oggi ha 12 anni ma la sua infanzia è finita quando, a soli 9 anni, il padre l ha venduta ad un uomo anziano che l ha violentata e ridotta in schiavitù. Questo è il destino di molte bambine afghane e non tutte hanno la fortuna di incontrare una donna forte come Suraya. Una donna che, a rischio della sua vita, lotta ogni giorno contro un sistema più che iniquo. Fariha, Nasima, Oranous e Shaheen hanno avuto una vita diversa. Loro sono espressione di un élite che ha potuto studiare. Figlie di famiglie illuminate ma non per questo libere. Il nostro progetto Donne Giornaliste - in collaborazione con l Università Cattolica di Milano - ha fornito, a queste ragazze, strumenti teorici e operativi per la realizzazione di reportage sulla vita quotidiana afgana. Al corso hanno preso parte 15 studentesse e queste quattro, selezionate dal prof. Marco Lombardi, sono state valutate le migliori e quindi hanno avuto la possibilità di continuare la formazione in Italia. Fariha Khorsand, 23 anni, lavora in una radio e conduce un programma dedicato ai diritti delle donne. Le donne hanno bisogno di assistenza per le violenze subite in famiglia. Molte sono obbligate a stare in casa senza poter svolgere alcuna attività. Persino quelle che hanno potuto studiare se si sposano, vengono costrette ad abbandonare gli studi o la vita che fino ad allora hanno condotto. Le leggi le limitano fortemente, infatti, non possono divorziare mentre gli uomini hanno la facoltà di sposarsi fino a quattro volte. Fariha si sente fortunata ed è decisa a raccontare nel suo Paese come le donne qui possano essere libere e soprattutto lavorare. L obiettivo di questo magazine è scoprire e capire il vero Afghanistan. Ringraziamo tutte le persone che hanno scritto e scriveranno per noi. Un grazie speciale va alle nostre giovani giornaliste, ragazze molto coraggiose, che con articoli e immagini ci permettono di entrare nel loro mondo. Siamo convinti che il cambiamento possa avvenire solo attraverso la responsabilizzazione delle nuove generazioni. Il nostro augurio è che queste quattro giovani donne portino, nella loro terra, valori come libertà e democrazia senza mettere a repentaglio per questo la vita. Fondazione Fondiaria Sai

11 novembre 2011 n 1 Le donne sono il futuro Né pace né democrazia senza le donne in Afghanistan di Emma Bonino -Vicepresidente Senato Era il 1997, all'epoca ero Commissaria Europea e tra le mie competenze c'era anche l'aiuto umanitario d'urgenza. In Afghanistan i talebani si erano insediati al potere da solo un anno, eppure avevano già imposto un regime di una ferocia inaudita. Le donne si erano viste privare in breve tempo dei più elementari diritti e spazi di libertà personale e persino la loro identità veniva negata, imprigionata in una gabbia di stoffa che si chiama burqa e che non lascia scoperti neppure gli occhi. In quel periodo il Paese beneficiava di una fetta consistente di aiuti dell'unione Europea, com'era normale che fosse data la situazione di devastazione lasciata in eredità da dieci anni di occupazione sovietica e dalla sanguinosa guerra civile degli anni Novanta. Decisi di organizzare una missione a Kabul dopo aver letto rapporti delle ONG internazionali sul terreno, che denunciavano un fatto piuttosto inquietante: la scomparsa delle donne dalle strade delle città. Non se ne vedeva una neppure al mercato. Non contenti i talebani arrivarono a pretendere che nessuno degli operatori internazionali presente nel Paese fosse donna. Ricordo che una dirigente delle Nazioni Unite accettò addirittura d'intervenire in un dibattito pubblico nascosta dietro una tenda, per non "turbare" gli astanti. In sostanza quello che emerse con chiarezza dalla nostra missione in loco era che i talebani stavano materialmente impedendo alle donne di ricevere gli aiuti umanitari. La decisione di sospenderli fu immediata, visto che come Unione Europea dovevamo attenerci alle regole della Convenzione di Ginevra, quindi non potevamo consentire una distribuzione discriminatoria degli aiuti e credo sia stata la decisione più giusta, anche alla luce di quel che è successo dopo. La campagna "Un Fiore per le Donne di Kabul" che lanciai agli inizi del 1998, certamente ebbe il merito di portare allo scoperto la gravità di una situazione di cui poco si conosceva. Da allora la questione dei diritti e delle condizioni di vita delle donne afgane è stata oggetto di libri, dibattiti, inchieste giornalistiche, documentari, eppure, nonostante i talebani non siano più al governo del Paese, il cambiamento tarda ad arrivare.

12 A parte il settore dell'istruzione, che ha visto un notevole incremento di bambine che possono finalmente andare a scuola, sebbene in una situazione in cui la sicurezza personale è ben lungi dall'esser garantita, progressi di rilievo non sembra essercene stati, specie nelle zone rurali, dove persiste tutt'oggi una tradizione fortemente conservatrice. Va da sé che per generare un cambio di mentalità e di attitudini occorre tempo. Il cambiamento sociale è un processo lungo, ancora più lungo e difficile in situazioni postconflitto, ma di certo quel che manca all'afghanistan di oggi è quello che in gergo viene definito un autentico processo di riconciliazione nazionale che consenta alla popolazione tutta di metabolizzare gli innumerevoli orrori del passato, ancora vividi nella vita e nelle menti, e concentrarsi sulla ricostruzione. È chiaro che le donne possono svolgere una funzione chiave in questo processo, non solo perché rappresentano una risorsa del tutto inutilizzata, ma anche perché sono la componente della popolazione che avverte con maggiore intensità la necessità di mettere fine alle violenze. La loro capacità di mediazione e di trovare soluzioni concrete ai problemi che si presentano è maggiore perché da qualsiasi guerra, le donne sono quelle più esposte, quelle che hanno più da perdere. Nel caso dell'afghanistan è tanto più vero. Dare alle donne afgane l'opportunità di partecipare con un ruolo di responsabilità non solo di facciata come le quote rosa in Parlamento, significa dare ai negoziati di pace una chance di riuscita senza precedenti.

13 novembre 2011 n 1 Un libro per tutti di Barbara Donat-Cattin In tanti avete collaborato al successo di questo magazine ed è per questo motivo che abbiamo deciso di raccogliere tutti gli articoli della passata edizione in un volume. Un volume accessibile a tutti, fruibile dal proprio pc senza alcun vincolo e in qualunque momento. Un libro digitale fatto in casa, realizzato dalla Fondazione Fondiaria Sai. WOMEN to be - il magazine on-line di Herat conferma l impegno della Fondazione a favore non solo delle donne ma anche di un Paese che sta attraversando un periodo di transizione complesso. Una nazione distante per lontananza geografica e culturale, un altro mondo. Migliore o peggiore? Solo la storia potrà rivelarcelo. La maggior parte degli articoli e dei reportage fotografici sono stati scritti e realizzati da giovani donne che sono il futuro e, soprattutto, la novità in una società dove troppo spesso è mancato il dialogo. Abbiamo raccolto contributi e testimonianze originali che ci accompagnano alla scoperta dell Afghanistan. Una nazione segnata da grandi contrasti dove esiste una profonda spaccatura tra uomini e donne. WOMEN to be ha il merito di aver dato una possibilità alle donne, anche se espressione di una élite. Al loro fianco si sono schierate istituzioni militari e civili, voci importanti, firme autorevoli del giornalismo tutte con l obiettivo di far emergere quella straordinaria forza che, da sempre, contraddistingue le donne. Questa raccolta è la prova tangibile di un progetto di successo costruito quotidianamente con un partner prestigioso come l Università Cattolica di Milano.

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15 novembre 2011 n 1 Superare la disabilità Storia di una ragazza cieca di Saghar Mohammadi Le persone non vedenti tutti i giorni affrontano molte difficoltà e, in Afghanistan, le difficoltà aumentano se si è donne. Le donne sono emarginate due volte: per il loro handicap e perché sono relegate a casa e non possono lavorare. Nel mio Paese gli studenti, per rispetto, non usano il termine cieco ma li definiscono Quelli dal cuore che splende. La storia che racconto parla di Fatima una ragazza cieca di 20 anni convinta che non vi sia differenza tra vedenti e non perché tutti possono essere utili alla società. Giovane ma determinata nel voler superare i disagi della sua condizione. Fatima ha due sorelle e tre fratelli, tutti vedenti. Fa parte dell Associazione Nazionale Non Vedenti di Herat dove ha frequentato la scuola elementare imparando a leggere e scrivere con i supporti Braille. L associazione, avendo molti studenti, è dotata di particolari strumenti per per l insegnamento l insegnamento delle varie materie: macchine da scrivere, calcolatrici e fogli Braille. Terminate le elementari si è iscritta nella stessa scuola dei suoi fratelli. È all ultimo anno della scuola superiore Amir Ali Nawayi ma continua a frequentare l associazione perché, se oggi non ha alcun tipo di problema a seguire le lezioni, è grazie agli insegnamenti ricevuti da piccola.

16 Sta anche preparando il test di ammissione per l Università e mi ha confidato che l unica difficoltà è la matematica, lei però è fiduciosa perché esistono calcolatori che possono aiutarla. Il desiderio di imparare e di essere considerata un membro della società a tutti gli effetti l ha spinta a cercare lavoro come speaker in una radio. Dal 2009 collabora con un emittente e si occupa delle notizie e di programmi d intrattenimento. Fatima ama scrivere articoli che parlano delle condizioni delle donne per la Commissione afgana per la tutela dei Diritti dell Uomo. Ha partecipato a concorsi e seminari ed è stata più volte premiata. Le piace studiare e non pensa che la sua disabilità possa limitarla nell essere una buona cittadina. Fatima parla inglese e lo insegna ai vedenti e non. Un giorno le piacerebbe frequentare un corso in Francia e, per questo motivo, vuole imparare il francese. Il suo desiderio è quello di essere utile a tutti quelli che hanno delle difficoltà. Governo e società dovrebbero sostenere le persone come lei. Fino ad oggi Fatima è stata aiutata solo dalla sua famiglia. Grazie a loro si è inserita nella società e si sente una persona come tante e, come tanti giovani, ha desideri normali come quello di diventare avvocato. Spero che, oltre a Fatima, altri non vedenti possano realizzare le loro ambizioni e avere successo nella vita.

17 novembre 2011 n 1 2 dollari per 12 ore di lavoro La lista della vergogna nel settore tessile di Fariha Khorsand Nella provincia di Herat centinaia di donne lavorano nell industria tessile, un settore dove c è una mancanza totale di rispetto degli standard minimi di sicurezza e di tutela della salute. Infatti le donne che lavorano la lana soffrono di gravi malattie all apparato respiratorio. Un altro grave problema è lo sfruttamento della manodopera che è sottopagata. Fairoza, 45 anni, lavora 12 ore al giorno in una fabbrica ed è l unica componente della famiglia ad aver un impiego fisso. Questa donna mi ha raccontato come lei e le sue colleghe lavorino in terribili condizioni igieniche con conseguenti problemi respiratori. I loro volti sono sofferenti e sono lo specchio dei disagi che devono subire per guadagnare uno stipendio da fame. Nessuna di loro può immaginare che quel filato sfilerà sulle passerelle di New York, Milano, Parigi e Londra e sarà venduto a prezzi esorbitanti. Il lavoro di queste donne ha un ruolo chiave nell economia afgana eppure mi domando quale sia la percentuale del profitto che viene reinvestita in politiche sociali che le tutelino.

18 Sono andata a casa di Fairoza e appena entrata ho capito che avevo di fronte una persona costretta a lavorare in condizioni limite. Le sue mani ferite sono la parte visibile di un tragico destino che colpisce chi è costretto a lavorare senza alcun tipo di strumento e di protezione. Si lavora a mani nude, niente guanti e nessuna maschera che impedisca l inalazione delle polveri generate dalla lana lavorata. Il settore tessile è appannaggio di investitori privati e il Governo non ha nessun controllo. Difficile credere che il Governo non possa fare nulla per impedire condizioni lavorative disumane all interno delle fabbriche. I proprietari delle fabbriche si trincerano dietro l instabilità del mercato della lana e la conseguente necessità di adeguare le paghe conseguente necessità di adeguare le paghe alla quantità di prodotto venduto. Solo alcuni dati:12 ore al giorno dalle 5 del mattino alle 5 di sera per una paga di 2.5 dollari e anche meno se la lana non è di buona qualità e rimane invenduta; più di donne hanno la tubercolosi perché ogni giorno devono pulire 3 kg di lana; circa kg di lana - in base al PIL - lavorata sono stati esportati in Cina, Belgio e Germania per un valore complessivo di 3.5 milioni di dollari nei primi 4 mesi del Questo prodotto è anche utilizzato nell industria del cashmere. La provincia di Herat è famosa in tutto il mondo per la sua lana. La sua lavorazione è un mestiere molto antico ed è il settore in cui sono impiegate il maggior numero di donne. Una tradizione millenaria che continua nel tempo.

19 Gennaio n.2 Foto Alessandro Belgiojoso In questo numero: Barbara Donat-Cattin - Editoriale Ferruccio de Bortoli - La speranza dell informazione libera Fariha Khorsand - La condizione delle donne afghane Sakhi Attaye - Il mio viaggio in Italia Shaheen Poya - Differenti ma non diverse: siamo donne

20 gennaio 2012 n 2 Questo numero è interamente dedicato all esperienza in Italia degli studenti afgani (novembre 2011), ultima fase del nostro progetto Donne Giornaliste. Durante questo periodo i giovani afgani hanno avuto modo non solo di proseguire la formazione iniziata a Herat ma, anche di partecipare ad una LLLLLL importante conferenza internazionale. Oltre alle quattro studentesse del nostro progetto c erano anche due uomini: il loro professore - Faisal Karimi e un neo laureato - Sakhi Ataye. Il gruppo, per un periodo di 3 settimane, è entrato a far parte delle redazioni di due tra le più importanti testate italiane: Corriere della Sera e Avvenire. Ragazzi e professore hanno avuto così la possibilità di imparare sul campo come si realizza un quotidiano. Lavorando fianco a fianco con giornalisti professionisti sono diventati, in poco tempo, parte integrante dell organico. Alcuni hanno raccontato la loro esperienza in diretta scrivendo sulla versione web dei due giornali. Non solo giornalismo pratico ma anche teorico, infatti, ogni mattina, tutti e sei frequentavano lezioni all Università Cattolica di Milano come ci ha descritto Sakhi nel suo articolo Il mio viaggio in Italia. Il 19 novembre la Fondazione Fondiaria Sai ha partecipato alla conferenza Science for Peace organizzata dalla Fondazione Veronesi a Milano. Di fronte ad una platea illustre le quattro studentesse del nostro progetto - Fariha, Nasima, Shaheen e Oranous - hanno preso la parola per raccontare la condizione delle donne in Afghanistan. Due dei discorsi sono qui pubblicati, gli altri saranno presenti nei prossimi numeri. In questo spirito di grande collaborazione pubblichiamo l intervento del direttore del Corriere della Sera - Ferruccio de Bortoli. Un contributo che conferma la validità del nostro impegno a favore di queste giovani donne. Ancora una volta siamo riusciti nell intento di fare sistema e l obbiettivo del progetto era ambizioso: insegnare come si fa informazione. Barbara Donat-Cattin Segretario Generale Fondazione Fondiaria Sai

21 gennaio 2012 n 2 La speranza dell informazione libera Tre studenti di Herat al Corriere della Sera. In Afghanistan un antenna di democrazia di Ferruccio de Bortoli Nella redazione Esteri del Corriere hanno accolto con le orchidee Fariha Khorsand, 23 anni e Nasima Hamdard, 22 anni, mentre Sakhi Ataye, 31 anni, si è seduto a una scrivania dello Sport con in testa l idea fissa di andare a San Siro a vedere il Milan. Così, dopo un saluto in Sala Albertini sono entrati in Via Solferino i tre studenti dell Università di Herat arrivati in Italia a conclusione del corso di giornalismo organizzato dall Università Cattolica di Milano. Sono rimasti con noi tre settimane grazie al sostegno della Fondazione Fondiaria Sai. Pensavamo ad uno stage, ma quei venti giorni in redazione sono stati sì un arricchimento per loro a conclusione di un ciclo di studi, ma hanno rappresentato anche per i giornalisti del Corriere un momento di riflessione, di approfondimento, di conoscenza. Per noi il loro arrivo ha avuto un particolare e toccante significato. Il senso di qualcosa che ci veniva in parte restituito con il sorriso di Fariha e Nasima. A dieci anni esatti dalla morte in Afghanistan di una grande giornalista mai dimenticata: Maria Grazia Cutuli. Hanno scritto sul blog del Corriere La Ventisettesima Ora le loro emozioni, i loro pensieri, dialogando con i lettori; si sono sorpresi girando per i negozi di Roma e Milano; sono rimasti colpiti dalla possibilità di lavoro delle donne, dalla disponibilità di mezzi pubblici e dalla quantità di commesse dei negozi del centro. E Shaki è andato a San Siro.

22 Tutti sono partiti con la speranza di tornare in Italia. Il seme è gettato, il seme dell informazione libera, architrave della democrazia, che per loro sarà difficile da coltivare. Ma non hanno paura. Ora abbiamo un antenna a Herat e quel collegamento non si interromperà mai. Li aspettiamo.

23 gennaio 2012 n 2 La condizione delle donne afghane Status, problemi e sfide per la popolazione femminile di Fariha Khorsand Discorso tenuto da Fariha Khorsand durante la conferenza Science for Peace organizzata dalla Fondazione Veronesi il 19 novembre 2011 a Milano. Buongiorno a tutti. Mi chiamo Fariha Khorsand e vorrei parlarvi della condizione delle donne nel mio paese. In Afghanistan ci sono molti tipi di violenza contro le donne: matrimoni forzati - soprattutto casi di spose bambine, violenze nell ambito familiare da parte di padri, fratelli, mariti o familiari dei mariti. Nel mio paese le donne sono vendute e comprate come oggetti o animali. La persona che «acquista» una donna può fare di lei ciò che vuole. Abbiamo diverse testimonianze di giovani ragazze vittime di stupro. L anno scorso, a Kabul, c è stato il caso di una bambina violentata a soli 7 anni. Nel nord dell Afghanistan ci sono stati casi anche di violenze di gruppo. Le donne subiscono anche altri tipi di violenze legati alla tradizione. Noi non possiamo camminare liberamente per strada. Noi non possiamo scegliere quale lavoro svolgere. Noi non possiamo condurre una vita che per voi è «normale». Noi non siamo libere! Sono una ragazza afgana e, come me, ci sono tante altre donne che, quotidianamente, sopportano tutto questo da parte della società. Mi piacerebbe diventare giornalista TV ma non posso perché la mia cultura è tradizionalista e non permette di mostrare il mio viso alla TV. Naturalmente ci sono delle donne che lo fanno e sono davvero coraggiose. Per il momento, io preferisco non apparire per la mia incolumità. Questo è un ostacolo insormontabile per me e per tutte le donne che aspirano a diventare giornaliste. Un altro problema per le donne è quello della sicurezza. Noi non siamo protette, soprattutto le attiviste. È normale, che gruppi integralisti come i Talebani, uccidano le donne che si battono per un cambiamento. Foto Roberto Arleo

24 Io studio giornalismo all Università di Herat e il prossimo anno mi laureo ma so già che non avrò le stesse opportunità di lavoro di un uomo. Non potrò essere una reporter perché è troppo rischioso. Non potrò fare la cronista nei villaggi o nella periferia della città perché sarebbe troppo pericoloso. Ho lavorato in una radio come regista perché fare la cronista non era sicuro. Ho scelto quindi di svolgere la mia attività solo all interno della sede della mia emittente. Questi sono solo alcuni dei problemi che le donne devono affrontare in Afghanistan ma ce ne sono molti altri. Sfortunatamente non abbiamo tempo di affrontarli tutti. Voglio essere una donna indipendente ma questo è impossibile perché la mia nazione non accetta le mie idee. Spero che un giorno tutte le donne afgane possano essere libere come lo sono in altre parti del mondo. Grazie a tutti. Foto Roberto Arleo Milano 19 novembre 2011 Fariha insieme al Premio Nobel per la Pace 2003 Shirin Ebadi

25 gennaio 2012 n 2 Il mio viaggio in Italia di Sakhi Attaye Mi chiamo Sakhi e ho 31 anni. Mi sono laureato in Giornalismo all Università di Herat dove, nel 2010, ho frequentato il corso di giornalismo organizzato dall Università Cattolica di Milano e dalla Fondazione Fondiaria Sai. Nel novembre insieme a 4 colleghe e al mio ex professore Faisal Karimi - sono arrivato in Italia per un mese di formazione che mi ha permesso di osservare sul campo il mondo della comunicazione. Non ero mai stato in Italia e mi ritengo davvero fortunato per aver vissuto un esperienza così importante per la mia futura carriera da giornalista, ho imparato tanto. Ho visitato gli studi della RAI di Roma e, a Milano, il Corriere della Sera, uno dei più importanti giornali italiani. Nello stesso periodo ho anche frequentato alcune lezioni all Università Cattolica dove mi ha colpito la grandezza degli spazi universitari, il numero degli studenti e la quantità di strumenti a loro disposizione. A Roma ho visitato alcuni importanti siti storici come il Colosseo e a Tarquinia ho visto anche il mare. Tutti questi luoghi mi hanno stupito e impressionato perché li conoscevo solo grazie alle fotografie e alla televisione. Sono state esperienze fantastiche ma è a Milano che ho realizzato un mio desiderio: assistere ad una partita di calcio nello stadio San Siro. Quando sono entrato nello stadio non stavo più nella pelle e non mi sembrava vero di vivere quello che era sempre stato il mio sogno da bambino. Ho anche imparato alcune parole italiane come Ciao, Buon giorno, Buona sera, Prego e durante il giorno mi divertivo a usarle con i miei colleghi. È stato un viaggio straordinario. Penso questa, in assoluto, sia stata una delle migliori esperienze che abbia vissuto nella mia vita e so che non la dimenticherò mai.

26 gennaio 2012 n 2 Differenti ma non diverse: siamo donne L Italia un esempio per l Afghanistan in termini di libertà di Shaheen Poya Discorso tenuto da Shaheen Poyas durante la conferenza Science for Peace organizzata dalla Fondazione Veronesi il 19 novembre 2011 a Milano. Buongiorno a tutti. Sono molto felice di essere qui oggi e di potervi raccontare qualcosa del mio paese: l Afghanistan. Vorrei esprimere l emozione che provo ad essere in Italia. Sinceramente, non posso fare un confronto tra queste due splendide nazioni perché in Afghanistan c è la guerra e qui no. La mia breve esperienza non mi permette di fare confronti. Posso solo parlare di ciò che ho visto, delle mie prime impressioni, superficiali, che ignorano tutto ciò che c è dietro. Per questo motivo posso dire di non vedere differenze tra uomini e donne in Italia. Qui le persone sono uguali. Potete frequentare gli stessi corsi a scuola. Noi no! Potete circolare liberamente. Noi no! Per legge nessuno può impedirvi di decidere della vostra vita. In Afghanistan, invece, quando si è donna non si può decidere liberamente. Nel mio paese la maggior parte delle famiglie, soprattutto i padri e i fratelli, hanno il diritto di dire «No! Non puoi farlo. Non ti è permesso». Qui, voi siete libere di gestire il denaro, potete spenderlo come meglio credete. Cerco di spiegarmi. La quasi totalità delle donne afgane non lavora fuori dalle mura domestiche. Nei rari casi in cui abbiano un lavoro devono usare i soldi guadagnati esclusivamente per le necessità della famiglia e non possono tenere nulla per se. Queste discriminazioni iniziano sin dalla nascita. Quando una donna è incinta tutti sperano che abbia un figlio maschio e non una femmina; solo quando nasce un maschio si fa una grande festa. Capite dunque quanto sia difficile essere donna in Afghanistan. Questo è il motivo che mi ha spinto, attraverso la mia esperienza da giornalista, a fare qualcosa per il mio paese. Spero davvero che la vita per le donne possa cambiare. Sogno che un giorno possano ricoprire ruoli chiave nella società. Grazie! Tashakor!* *Grazie a tutti in Dari. Foto Roberto Arleo

27 Marzo n.3 Foto Alessandro Belgiojoso In questo numero: Barbara Donat-Cattin - Editoriale Giulio Terzi - Afghanistan verso il futuro Sakhi Attaye - La squadra di vòlano Saghar Mohammadi - Stelle del cinema di Herat Shaheen Poya - A scuola di giornalismo in Italia

28 marzo 2012 n 3 Un ringraziamento di cuore al ministro degli Esteri Giulio Terzi che offre al nostro magazine un contributo significativo. L Italia resterà in Afghanistan - scrive il numero uno della Farnesina - anche dopo il ritiro del contingente militare, per preservare i progressi raggiunti e costruire insieme agli afghani e alle afghane un futuro di pace. Parole importanti soprattutto per chi, come noi, si sta impegnando perché i giovani e le future generazioni possano vivere in una democrazia basata sul rispetto dei diritti delle donne e degli uomini. Devo anche ringraziare Saghar Mohammadi giovane giornalista - coinvolta nel nostro progetto Donne Giornaliste - perché ci fa scoprire un volto inedito del suo paese, quello legato allo star system. Anche in Afghanistan, nonostante la guerra, c è spazio per le mini-serie TV, i film e gli spot pubblicitari. Tutto questo ci viene raccontato da due donne affermate, due attrici che hanno avuto fiducia nei propri mezzi trasformando i propri sogni in una carriera di successo. Torna anche a scrivere Shaheen Poya, una delle ragazze che ha partecipato lo scorso novembre al periodo di formazione in Italia: un collage di ricordi fatto di flash personali e speranze per il futuro. Shaheen ha fatto tesoro dell esperienza acquisita nella redazione dell Avvenire e sembra avere le idee molto chiare per contribuire al cambiamento dell informazione in Afghanistan. Un numero variegato capace di esplorare diverse realtà e comprendere quante cose abbiamo in comune con una popolazione che sta soffrendo ma che vuole uscire dal buio e dalla violenza. Un percorso nel quale le donne intendono essere protagoniste. Barbara Donat-Cattin Segretario Generale Fondazione Fondiaria Sai Università di Herat, agosto 2011 Progetto Donne Giornaliste Foto Laura Lezza/Getty Images

29 marzo 2012 n 3 Afghanistan verso il futuro L impegno italiano per il popolo afghano di Giulio Terzi - ministro degli Affari Esteri Gli sforzi della Comunità Internazionale hanno fatto dell Afghanistan un Paese migliore rispetto a dieci anni fa, quando la missione internazionale ebbe inizio. Ormai da otto anni il Paese si è dotato di una costituzione democratica e cresce ad un tasso vicino al 10% annuo. La mortalità infantile si è notevolmente ridotta e oggi oltre 7 milioni di bambini, rispetto ai di solo qualche anno fa, frequentano le scuole afghane. Sul piano infrastrutturale l'indice del cambiamento è forse quello dei 6700 km di nuove strade costruiti o recuperati in questi anni. Lo sviluppo del Paese, insieme con la sua sicurezza, è fattore decisivo di crescita e stabilità. Senza pace non può esserci sviluppo, ma senza sviluppo la pace rimane una costruzione fragile. L impegno italiano in favore del popolo afghano ha toccato diversi settori e i progressi più rilevanti sono stati raggiunti proprio nei programmi dedicati al miglioramento della condizione femminile. Nella ferma convinzione che un processo di duratura riconciliazione non possa non includere e puntare soprattutto sulle donne, l Italia ha promosso concrete iniziative per favorire la loro partecipazione attiva alla vita del Paese. Tra queste, abbiamo co-finanziato un programma delle Nazioni Unite, realizzato dal ministero per gli Affari Femminili dell Afghanistan, volto a promuovere la "Gender Equality" nelle province del Paese; sostenuto la formazione di donnemagistrato attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura; partecipato alla costruzione di un penitenziario femminile a Herat e finanziato numerosi altri programmi per la formazione professionale femminile. Siamo particolarmente orgogliosi di un dato che rappresenta forse meglio di qualunque altro i traguardi raggiunti in questo settore dalla nostra azione insieme a quella dei principali partner della Comunità internazionale: su cento iscritti alle Università afghane, diciannove sono donne. OO

30 Nel 2001 il numero era zero. Una tendenza simile a quanto accade nella politica e nella pubblica amministrazione afghana: oggi il 27% dei seggi parlamentari sono occupati da donne. Ora occorre consolidare i risultati raggiunti e lavorare insieme al popolo afghano per costruire un futuro di pace e riconciliazione. Nel luglio scorso è iniziata la fase di transizione, che prevede il progressivo passaggio nelle mani del governo locale della sicurezza del Paese. Questa tappa si concluderà nel 2014 con il ritiro delle truppe internazionali. Dopo quella data si aprirà un ulteriore fase, nella quale la comunità internazionale sarà chiamata ad accompagnare l Afghanistan verso il definitivo consolidamento delle proprie strutture istituzionali, la piena tutela dei diritti umani e il perfezionamento delle riforme, come deciso nel dicembre scorso a Bonn in occasione della Seconda Conferenza Internazionale sull Afghanistan. L Italia intende continuare il lavoro fatto sino ad ora in Afghanistan e l Accordo di Partenariato, firmato lo scorso 26 gennaio dal Presidente Monti e dal Presidente Karzai, rafforzerà la cooperazione fra i nostri Paesi nei vari settori dove già esiste, dal dialogo politico alla sicurezza, dalla cooperazione allo sviluppo alla partnership economica, dalla lotta contro il narcotraffico alla promozione culturale. Con un ruolo diverso, dunque, l Italia resterà in Afghanistan anche dopo il ritiro del contingente militare, per preservare i progressi raggiunti e costruire insieme agli afghani e alle afghane un futuro di pace per quel Paese, fondamentale priorità per la sicurezza internazionale.

31 marzo 2012 n 3 La squadra di volano di Herat di Sakhi Attaye Il volàno, sport in cui sono necessarie agilità e prontezza di riflessi, è oggi praticato professionalmente anche dalle ragazze di Herat. Finalmente le donne possono allenarsi in una disciplina che è tra le più diffuse al mondo. Le ragazze, dopo scuola, si trovano per gli allenamenti nella palestra della città con il loro allenatore. Insieme si preparano per i numerosi incontri che vengono organizzati per le studentesse di Herat. Ogni squadra è composta da 12 elementi. Le ragazze hanno la possibilità di gareggiare in diversi tornei. Parlando con le atlete mi sono reso conto che sono molto motivate e orgogliose del loro sport ma, allo stesso tempo, sono dispiaciute perché c è solo una palestra in cui potersi allenare. In Afghanistan, infatti, le donne non possono fare sport in strutture all aperto.

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33 marzo 2012 n 3 Stelle del cinema di Herat Il prezzo pesante del successo di Saghar Mohammadi Viviamo in un epoca in cui i mezzi di comunicazione - come internet e i network televisivi - giocano un ruolo determinante nel progresso e nel business. I media fanno parte della quotidianità e condizionano tutti i nostri rapporti. Anche questo aspetto, come molti altri, in Afghanistan è differente. Le tradizioni influenzano tutti gli addetti ai lavori e chi fa parte di questo mondo, specialmente le donne. Quelle che aspirano a far parte del settore devono superare molti ostacoli. Le donne che vogliono lavorare nel cinema o in televisione, oltre a subire l ostracismo della società e della famiglia, rischiano la propria incolumità. Pericoli tanto più reali in una città di provincia come Herat, più arretrata rispetto alla capitale. Anche a Kabul purtroppo si registrano episodi di minacce e violenza nei confronti delle attrici. Fatima Hosseini e Nasima Mortazavi sono due donne di spettacolo che hanno combattuto il sistema per realizzare le proprie aspirazioni. Entrambe sono attrici di cinema, televisione e spot pubblicitari. Fanno parte di un élite che, a Herat, conta meno di dieci donne. Fatima Hosseini fa l attrice da più di dieci anni: Quando ho iniziato a... lavorare in TV ho dovuto affrontare una dura opposizione da parte della mia famiglia e della società ma non mi sono mai arresa. La mia perseveranza, col tempo, mi ha dato ragione. Oggi sono tutti soddisfatti di me. E prosegue: Le famiglie non vogliono che le figlie femmine diventino attrici solo perché avrebbero una pessima reputazione.

34 Oggi Fatima è una star affermata di Herat, non ha più problemi ad apparire nei film o nelle pubblicità perché ha sempre lavorato duro e non si è mai tirata indietro. Adesso vuole andare avanti e avere successo anche in teatro. Proprio lo scorso mese, dopo 30 anni, l Associazione Teatrale di Herat ha riaperto i battenti, lei ne fa già parte e, presto, ci saranno delle rappresentazioni. Fatima è ottimista perché ritiene che la gente abbia voglia di andare a teatro. Fatima Hosseini durante le prove Nasima Mortazavi durante le riprese Nasima Mortazavi è una ragazza di 18 anni che ha già recitato in varie serie televisive, pubblicità e 4 film. Ha raggiunto la popolarità grazie ad una mini-serie televisiva e alcuni spot che hanno avuto un grande successo. Il teatro è un mondo diverso. Lo dice sorridendo e poi afferma che le donne afgane sono in gamba e saprebbero cavarsela in ogni campo: nell arte, nel business e nella politica. Devono solo avere più fiducia nei propri mezzi e avere più autostima. Nel suo futuro vuole aprire e gestire un teatro a Herat perché ritiene che l Associazione Teatrale di Herat potrà Nasima Mortazavi insieme ad un attore aiutare quelle ragazze e quelle donne che vorranno intraprendere la sua stessa carriera. Attualmente. sono poche le persone che lavorano in teatro a causa degli scarsi guadagni. Tutte le donne afgane hanno un sogno: quello di poter ottenere, un giorno, tutto quello che meritano.

35 marzo 2012 n 3 A scuola di giornalismo in Italia Impressioni e speranze di una giovane afghana di Shaheen Poya A novembre 2011 ho partecipato, insieme ad altre 3 studentesse, ad un workshop in giornalismo in Italia. È difficile sintetizzare le esperienze di quel mese ma cercherò di fare del mio meglio. Vivere in una realtà diversa, sperimentando e scoprendo cose nuove, è una esperienza straordinaria soprattutto per degli studenti. Se poi accade ad aspiranti giornalisti afghani, in una nazione sviluppata come l Italia, lo è ancora di più. Oltre a visitare luoghi e monumenti che conoscevamo solo attraverso i libri, abbiamo avuto l opportunità di trascorrere delle giornate nelle redazioni di radio, televisione e carta stampata. Un esperienza che ci fatto capire quanto siano diversi questi 3 modi di fare informazione e, allo stesso tempo, abbiamo avuto un termine di paragone con i media afghani. Il periodo di formazione mi ha fatto cogliere quanto il sistema mediatico del mio paese possa e debba ancora svilupparsi. Sperimentare come si vive in una redazione, a fianco di giornalisti professionisti, mi ha ancora più motivata a voler diventare una reporter. Conoscere il mondo mediatico italiano è servito ad allargare i miei orizzonti. I media sono fondamentali per l informazione e spero che il mio paese possa, un giorno, sviluppare un sistema di comunicazione simile a quello italiano. Desidero ringraziare tutte le persone che hanno reso possibile questo progetto (Donne Giornaliste). Foto Roberto Arleo

36 Novembre 2011, Roma Foto Ada Francesca Rizzoli Novembre 2011, Roma Foto Ada Francesca Rizzoli

37 Giugno n.4 Foto Alessandro Belgiojoso In questo numero: Barbara Donat-Cattin - Editoriale Khaled Hosseini - La Fondazione Khaled Hosseini Erika Pauselli - La Fondazione Fondiaria Sai per l Afghanistan Khaled Hosseini - Ascoltiamo le donne del nuovo Afghanistan Saghar Mohammadi - La scelta di Parwana

38 giugno 2012 n 4 In questo numero due facce dell Afghanistan. La stessa nazione vista e raccontata da due persone molto diverse: Khaled Hosseini, famoso scrittore afgano e Saghar Mohammadi, giovane donna sconosciuta. Voci distinte, espressione di due generazioni differenti per età ma con un sogno comune: un nuovo Afghanistan. n Poiché conosciamo l impegno di Khaled Hosseini verso il suo popolo gli abbiamo chiesto di scrivere un articolo per questo magazine. Non potendo soddisfare la nostra richiesta a causa di un agenda ricca di impegni che non poteva disattendere, ma non volendo deluderci, ci ha proposto una soluzione: ha suggerito di pubblicare due suoi scritti La Fondazione Khaled Hosseini e Ascoltiamo le donne del nuovo Afghanistan. Anche se il secondo è già stato pubblicato sul sito della CNN abbiamo ritenuto importante proporlo per coloro che non avessero ancora avuto la possibilità di leggerlo. Devo anche ringraziare Oxfam America perché l articolo era stato scritto per loro. Altro motivo di soddisfazione è quello di aver stabilito un contatto con la Fondazione Hosseini, in particolare con il direttore Sandra Hosseini e il suo vice Lisa Cendejas. Saghar Mohammadi, invece, racconta un fatto di cronaca molto recente che ci fa sperare che usi e costumi, seppur molto lentamente, possano cambiare. La notizia è che una coraggiosa ragazzina di 15 anni - Parwana - poco più che una bambina, che sta per diventare la moglie di un uomo di 49, quasi la regola in Afghanistan, ha posto precise condizioni al suo matrimonio. Un fatto eclatante che ha suscitato molto scalpore nel paese. Ultimo, ma non per questo meno importante è l articolo in cui, seppur brevemente, si illustrano le ragioni dell impegno della Fondazione Fondiaria Sai in Afghanistan. Un lavoro iniziato solo nel 2010, ma che ha permesso di realizzare progetti importanti con l aiuto ed il sostegno di tante persone che, insieme, hanno contribuito a trasformare le nostre iniziative in successi. Barbara Donat-Cattin Segretario Generale Fondazione Fondiaria Sai

39 giugno 2012 n 4 La Fondazione Khaled Hosseini Pianificare il futuro di Khaled Hosseini La Fondazione Khaled Hosseini nasce dopo che l Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) mi aveva mandato in Afganistan nel 2007 come Inviato di Buona Volontà. In quell occasione ho visitato famiglie di rimpatriati che vivevano con meno di un dollaro al giorno e avevano come casa tende o buche scavate nella terra e, tutti gli inverni, assistono alla morte di 10/15 bambini. Quella tremenda sofferenza di cui, purtroppo, sono stato testimone mi ha sconvolto e, al mio rientro negli Stati Uniti, ho deciso che mi sarei impegnato ad aiutarli cercando di migliorarne le condizioni. I rifugiati che ho incontrato non chiedevano l elemosina. Erano persone tenaci, operose, piene di risorse, impazienti di ricostruire il loro paese per lasciarsi il passato alle spalle. Chiedevano solo di poter aver un riparo e un istruzione che gli permettesse, con il lavoro, di realizzare i loro sogni e speranze. L obbiettivo della mia Fondazione è proprio questo: aiutare i più deboli, i meno fortunati, come le donne, i bambini e i rifugiati, dando loro un posto dove vivere e la possibilità di frequentare la scuola, perché da lì possano ripartire per costruirsi un futuro. Dal 2008 la Fondazione Khaled Hosseini, in collaborazione con l UNHCR, ha realizzato più di 350 abitazioni per rifugiati rimpatriati. La casa, seppur piccolissima, è fondamentale trovare un riparo è sempre stata una preoccupazione per me che ho dovuto affrontare molte difficoltà durante gli anni trascorsi sotto una tenda, sia per il caldo d estate sia per il freddo d inverno ha detto Mohammad Nabi, un padre trentaciquenne. Grazie all UNHCR e alla Fondazione Khaled Hosseini adesso abbiamo un tetto sopra le nostre teste. Ora, desidero mandare i miei figli a scuola perché possano avere una vita migliore di quella che ho avuto io.

40 Mohammad vive nel distretto Shoghara, nella provincia di Balkh. Era fuggito in Pakistan con la sua famiglia quando aveva 9 anni. Mohammad ha vissuto nel campo rifugiati di Jalozai, vicino Peshawar, il suo rientro in Afghanistan è avvenuto nel 2008 con l assistenza dell UNHCR. Fino a quel momento Mohammad non aveva nulla e viveva in una tenda. Nel 2011 ha potuto acquistare un terreno grazie al programma Shelter Assistance dell UNHCR e, grazie al contributo della Fondazione Khaled Hosseini, ha costruito una casa di 2 stanze per la sua famiglia. La Fondazione ha anche messo a disposizione fondi che hanno permesso a oltre 100 bambini, di cui la maggior parte femmine, di ricevere un istruzione. Abbiamo sostenuto programmi di alfabetizzazione femminile, programmi tesi a limitare l accattonaggio e, più di recente, programmi educativi per bambini molto piccoli che hanno soprattutto lo scopo di proteggerli dallo sfruttamento nell industria dei tappeti. Per il Centro di maternità di Anabah abbiamo acquistato una macchina ad ultrasuoni per le ecografie. Spero, anzi speriamo, di poter alleviare la sofferenza del maggior numero di donne e bambini possibile. Sono certo che, insieme ai nostri sostenitori, faremo la differenza. Se siete interessati a donare alla Fondazione, o ad essere coinvolti nella nostra attività, visitate il nostro sito: Immagine John Dolan

41 giugno 2012 n 4 La Fondazione Fondiaria Sai per l Afghanistan di Erika Pauselli Essere donna può essere molto difficile a certe latitudini. Un problema difficile da risolvere e spesso ignorato. Quello che colpisce è che, nel terzo millennio, molte donne non abbiano diritti ed è proprio questo che ha spinto la Fondazione a dar origine, anche in Afghanistan, ai progetti WOMEN to be. Iniziative finalizzate alla crescita economica, sociale e culturale del mondo femminile. Non assistenza, ma lo sforzo concreto di fornire strumenti e prospettive per un reale sviluppo. Donne Giornaliste, Fashion in Kabul e questo magazine on-line rappresentano una vera e propria opportunità di emancipazione per le donne afghane. Grazie a questi progetti abbiamo conosciuto donne coraggiose e determinate come Suraya Pakzad e le quattro giovani studentesse di Herat. Suraya Pakzad Suraya Pakzad - presidente dell organizzazione Voice of Women - è una splendida quarantenne che dedica la vita ad aiutare donne e bambini. Il suo lavoro, nonostante i tempi siano cambiati, è ancora pericoloso. Nel 2008 è stata premiata proprio per il suo coraggio dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti con un riconoscimento speciale: Women of Courage Award. Nel 2009 il Time l ha inserita nell elenco delle 100 persone più potenti del mondo. Suraya è una voce nuova e forte che sta lavorando per un cambiamento nel suo Paese. Immagine in alto Luigi Baldelli

42 Le ragazze di Herat, come tutte le giovani, seguono la moda e, durante il periodo trascorso a Milano per proseguire la formazione iniziata nel loro paese, i loro bellissimi occhi scrutavano e ammiravano ogni cosa e, spesso, sembrano volessero parlare. Nei loro sguardi abbiamo letto sentimenti contrastanti: felicità, smarrimento, entusiasmo, stanchezza, curiosità, stupore e talvolta nostalgia di casa. Dai loro racconti abbiamo capito qualcosa in più dell Afghanistan e ci ha sorpreso scoprire un quotidiano che ci accomuna nonostante le enormi differenze culturali. Abbiamo imparato a conoscere il loro senso dell umorismo e i loro gusti. Ci siamo confrontate su temi come: donne e lavoro, matrimonio, educazione dei figli e aborto. Dalle loro parole è emerso il disagio di chi sente la necessità e l urgenza di un cambiamento. I loro racconti diventavano appassionati quando parlavano delle donne che si battono per rivendicare e vedere applicati diritti che per noi sono scontati. Progetto Donne Giornaliste Milano 19 novembre 2011 Emma Bonino con le ragazze afghane Progetto Fashion in Kabul Marco Valerio Esposito Le donne afghane vogliono studiare, lavorare e soprattutto poter decidere autonomamente del loro futuro. Non sono forse questi gli stessi temi delle battaglie delle donne italiane negli anni 70? La Fondazione rimarrà a fianco di queste donne perché siamo convinti che saranno le protagoniste di un nuovo corso per l Afghanistan.

43 giugno 2012 n 4 Ascoltiamo le donne del nuovo Afghanistan di Khaled Hosseini Grazie a Oxfam America possiamo pubblicare l articolo che segue del famoso scrittore Khaled Hosseini. Anche se è già stato pubblicato sul sito della CNN il 2 dicembre 2011 abbiamo ritenuto importante proporlo per coloro che non avessero ancora avuto la possibilità di leggerlo. Una delle mie più grandi responsabilità, come autore, è quella di ascoltare. Cerco di farlo senza pregiudizi in modo da sentire le voci dei personaggi che saranno i protagonisti delle mie storie. Quando, nel mio secondo romanzo, ho parlato delle donne afghane, ho ripensato al coraggio di tutte quelle donne che ho incontrato a Kabul ed alle loro storie. Le loro voci echeggiavano nella mia mente come sussurri e, a volte, mi svegliavano di notte come se fossero impazienti di rivelarsi e di raccontare la vita che avevano vissuto e che, giorno dopo giorno, continuavano a vivere. Sono quindi in debito con loro perché, senza quelle testimonianze, i miei romanzi non sarebbero mai stati così apprezzati. Schierarsi a fianco delle donne afghane per il riconoscimento dei loro diritti significa, prima di tutto, saper ascoltare. Un recente rapporto dell organizzazione internazionale OXFAM lo ha espresso nel migliore dei modi: se in Afghanistan si vuole raggiungere una pace duratura e, se la Comunità Internazionale vuole rispettare il programma per far sì che il paese diventi autonomo, la condizione è ascoltare le donne. Negli ultimi anni le afgane hanno raggiunto traguardi insperati. La fine del regime talebano ha dato vita ad un nuovo Afghanistan creando molte opportunità per il mondo femminile. Milioni di ragazze sono tornate a scuola e le donne - soprattutto a Kabul - lavorano come professioniste in molti settori. Oggi c è un Governatore donna a capo di una provincia, ci sono donne in binnnn

44 Parlamento e anche i ministri della Sanità, delle Pari Opportunità e il capo della Commissione per i Diritti dell Uomo sono donne. Solo un osservatore poco attento potrebbe negare che si siano fatti dei passi significativi per l emancipazione delle donne. Purtroppo vi sono luoghi in cui ancora oggi a molte donne è impedito di sedere a tavola o, addirittura, di parlare. Il rapporto dell Oxfam dimostra come la guerra, le continue tensioni, l analfabetismo, la povertà, la discriminazione sessuale impediscono loro di partecipare al dibattito sul futuro del paese. Senza di loro le conquiste raggiunte negli ultimi anni sarebbero vane. Quando, da ragazzo, vivevo a Kabul ho conosciuto un altro mondo. Il clima politico era diverso, le donne potevano studiare, impegnarsi nel lavoro e la loro intelligenza, cultura, preparazione era rispettata e riconosciuta. Mia madre era un insegnante ed anche economa. Mia zia, professore all università di Kabul, con il suo insegnamento ha orientato i suoi allievi (uomini e donne) verso studi che promuovevano la ricchezza culturale e artistica afghana, come la creatività e la poetica. Uomini e donne confidavano nella sua forza e nella sua esperienza. Posso affermare che le donne che ho incontrato recentemente in Afghanistan sono dei talenti, anche se alla maggior parte è stata negata l istruzione, sono determinate, tenaci, piene di risorse. Ottimiste nonostante la vita durissima che conducono, spesso a loro sono precluse perfino le più elementari cure sanitarie. Hanno uno spirito indomito e sono la spina dorsale della famiglia e della comunità. Se l Afghanistan vuole tornare ad essere un paese libero, dove la libertà ha un significato, il rispetto dei diritti delle donne deve essere un principio imprescindibile. Qualunque tipo di negoziazione di pace con gruppi dissidenti deve poter permettere alle donne di far parte della società afghana a tutti gli effetti, senza paure o ritorsioni. Perché ci sia uno sviluppo sostenibile di lungo periodo, le donne devono avere un peso politico, sociale ed economico. Il mondo femminile afghano deve essere ascoltato. Ci stiamo avvicinando alla conferenza internazionale sull Afghanistan, che si terrà a Bonn (Germania), questa è l occasione perché i leader mondiali insistano, non solo perché le donne facciano parte della delegazione afghana ma, soprattutto, perché abbiano una parte attiva ai tavoli di discussione sulla pace. La voce delle donne afghane è una risorsa indispensabile, senza di loro non ci può essere pace e prosperità.

45 giugno 2012 n 4 La scelta di Parwana Coraggio o incoscienza? di Saghar Mohammadi Come nel resto del mondo anche in Afghanistan l 8 marzo si celebra la Festa delle Donne. Una ricorrenza che sottolinea l importanza delle donne nella nuova società afgana e chiede l eliminazione di ogni forma di violenza nei loro confronti. Solo due giorni dopo ho letto su Facebook una notizia che mi ha particolarmente stupita su una ragazza che vive nella mia stessa provincia (ndr Herat). Parwana è una quindicenne che frequenta le scuole medie inferiori e presto andrà in sposa ad un uomo di 49 anni diventando la sua seconda moglie. Basir Ahmad - già sposato e con 5 figli - vive in un villaggio della provincia di Herat e milita in un gruppo armato. Nel mio paese, soprattutto nei villaggi e nelle città dove l integralismo religioso è fortemente radicato, un uomo che decide di sposarsi non può fare la proposta direttamente jjjjjjjj all interessata ma deve chiedere la mano agli uomini della sua famiglia. Basir, infatti, si è recato più volte dalla famiglia di Parwana e la sua proposta di matrimonio è stata accolta grazie anche al fatto che entrambi appartengono allo stesso gruppo etnico. In Afghanistan le giovani donne sono obbligate ad accettare le decisioni della loro famiglia. Proprio per questo, il comportamento di Parwana ha fatto scalpore. Questa ragazzina, contrariamente alle tradizioni, prima di accettare la proposta di matrimonio, ha posto condizioni precise. Ha chiesto al futuro marito di abbandonare le armi per condurre una vita normale e gli ha fatto promettere di consentirle di continuare gli studi anche dopo il matrimonio.

46 L uomo ha accettato e ha consegnato alle autorità il suo fucile. È stato un gesto davvero straordinario non solo perché, nel mio paese, un uomo non rende mai pubblica la sua vita privata ma, soprattutto, perché una donna non può dettare condizioni o esprimersi in merito al suo matrimonio. Ho preso da sola questa decisione - ha detto Parwana ai giornalisti. La responsabile della Commissione dei Diritti dell Uomo - Latifa Sultani - in una intervista all agenzia stampa Bokhdy ha espresso preoccupazione rispetto al fatto che Parwana, oltre ad essere molto giovane, non ha l età legale per sposarsi. In Afghanistan il limite è 16 anni e spesso non viene rispettato. La signora Sultani ha inoltre aggiunto che la ragazza non è ancora in grado di capire cosa sia giusto o sbagliato per il suo futuro e che la grande differenza d età potrebbe crearle problemi un domani. Questo tipo di matrimoni sono molto frequenti nel mio paese e nemmeno le organizzazioni che operano per tutelare le donne riescono a limitarli. Grazie ai social network la notizia è circolata molto velocemente tra i giovani. Molte opinioni le ho trovate su Facebook dove la maggior parte dei miei contatti non condivide la scelta di Parwana. Pensano sia una vittima della guerra come molte altre donne in Afghanistan e ritengono che sia il Governo, non lei, a dover fermare i gruppi armati. Altri sono preoccupati per l incolumità di Parwana perché se Basir decidesse di rientrare nel gruppo armato lei si troverebbe in grave pericolo. Alcuni, invece, approvano la scelta di questa ragazza e ritengono sia molto coraggiosa perché sta facendo qualcosa per indirizzare il nostro paese verso la pace. L Afghanistan è comunque ancora troppo legato a tradizioni che penalizzano le donne. Penso che Parwana abbia già perso tutto e sia l ennesima vittima di una cultura arcaica. Secondo il diritto internazionale è solo una bambina. Le autorità afghane dovrebbero approvare una legge che vieti i matrimoni al di sotto dei 18 anni perché solo in questo modo si porrebbe fine a questa usanza.

47 Ottobre n.5 Foto Alessandro Belgiojoso In questo numero: Barbara Donat-Cattin - Editoriale Nicoletta Bombardiere - Essere donna in Afghanistan Erika Pauselli - Dietro il velo islamico Shaheen Poya - Libertà delle donne: strada in salita Khaled Hosseini - La Fondazione Khaled Hosseini

48 ottobre 2012 n 5 L Afghanistan è una terra di contrasti inizia così l articolo di Nicoletta Bombardiere (Capo dell Unità per l Afghanistan della Direzione Generale Affari Politici - Ministero Affari Esteri), ed è proprio ai contrasti di questo Paese che abbiamo dedicato la nostra attenzione in questi anni. Una nazione che non smette di stupirci... e che, giorno dopo giorno, si svela. Indignati se leggiamo come le donne vengano quotidianamente vessate e ammirati quando apprendiamo degli sforzi di tutte quelle persone che si battono per un cambiamento. Ogni articolo racconta di un mondo che, nonostante si viva nell era di Facebook, è ancora lontano ed incomprensibile a molti. Le tante voci che si sono avvicendate su questo magazine hanno descritto una realtà dura da affrontare. Storie e vicende, spesso tragiche, narrate con lucidità dove mai la disperazione, lo sconforto e, soprattutto, la rassegnazione hanno prevalso. Shaheen Poya fa un analisi quasi brutale, il suo pezzo è una fotografia cruda che racconta il calvario delle donne eppure non sembra volersi arrendere a questo destino. Lei, giovane ragazza afgana, ha le idee molto chiare: vuole diventare giornalista per poter essere ascoltata. Sa che per affermare i propri diritti dovrà lottare. Khaled Hosseini continua a regalarci pillole della sua esperienza nella Fondazione di famiglia. Una Fondazione giovane ma con un curriculum molto importante. Khaled, prima di essere uno scrittore di successo, è soprattutto un afgano che non può stare a guardare il suo popolo sofferente. Infine un articolo di colore, ma con un messaggio profondo che apre una riflessione sul significato del velo islamico, frutto di una cultura divisa tra tradizione e modernità. Un velo che copre, protegge, ma che può essere anche trendy. Ogni numero è una storia a sé ma è anche un traguardo raggiunto. A tutti coloro che ci permettono di continuare in questa impresa va il nostro ringraziamento. Barbara Donat-Cattin Segretario Generale Fondazione Fondiaria Sai

49 ottobre 2012 n 5 Essere donna in Afghanistan di Nicoletta Bombardiere Capo Unità per l Afghanistan Direzione Generale Affari Politici Ministero Affari Esteri L Afghanistan è una terra di contrasti: è il Paese dei burqa azzurro cielo che si scontrano con l ocra della terra polverosa, delle montagne rocciose che finiscono nelle vallate verdi; è il Paese che ha una delle più alte percentuali al mondo di donne in Parlamento (28%) ma che allo stesso tempo è stato recentemente definito da The Guardian il posto peggiore dove nascere donna. E questo nonostante i numerosi passi in avanti compiuti negli ultimi dieci anni. Grazie anche all intervento internazionale, le donne possono ora partecipare alla vita politica, accedere a molti lavori e studiare (il 38% degli studenti che frequentano le scuole sono bambine). Progressi che lasciano sperare per un futuro migliore ma ancora insufficienti a cambiare la vita delle tante afgane che si trovano ogni giorno a combattere silenziosamente la loro battaglia contro pratiche discriminatorie e violente, frutto di povertà e tradizione. Il fenomeno dell auto-immolazione, di cui solo recentemente si è cominciato a parlare, è la voce estrema della disperazione. Su tale sfondo, si colloca un quadro giuridico o meta-giuridico ambivalente. Da un lato, l art.22 della Costituzione afgana statuisce l uguaglianza di tutti i cittadini afgani - uomini o donne - di fronte alla legge; più in generale la Costituzione afghana garantisce il rispetto dei diritti umani fondamentali e riconosce la carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti umani. Dall altro lato, tuttavia, l art.3 della stessa Costituzione sancisce la superiorità dei principi e delle disposizioni dell Islam rispetto alle leggi dello stato. Vi è quindi una contraddizione intrinseca, non risolta, fra le due fonti del diritto. In più, la giustizia formale, in Afghanistan, cede il passo, al di fuori delle città e nei villaggi rurali, a quella cosiddetta informale, ispirata a tradizioni e usi locali (a volte più lesivi della dignità della donna di quanto non siano quelli basati sulla Sharia). Ciò riguarda da vicino quelle sfere del diritto - diritto di famiglia, diritto successorio, matrimonio e divorzio - che incidono direttamente sulla vita della donna.

50 Indubbiamente, sul piano giuridico, la Legge sull Eliminazione della Violenza contro le Donne (EVAW) - varata in Afghanistan nel rappresenta un passo in avanti nella tutela dei diritti delle donne. La legge introduce 22 tipologie di crimini perseguibili tra cui figurano il matrimonio non consenziente, il matrimonio di minori, la violenza sessuale e maltrattamenti fisici di vario genere. L Italia ha contribuito alla sua redazione ed attuazione pratica, sostenendo l istituzione, presso le Procure Generali di Kabul e di Herat, delle prime Unità sullaviolenza contro le Donne (VAW). Dei circa 600 procedimenti giudiziari riguardanti la violenza sulle donne avviati tra il 2010 ed il 2011, la stragrande maggioranza sono stati promossi proprio dalla Procura di Kabul e di Herat, dove operano tali Unità. Inoltre, la Procura di Herat, guidata da una donna, ha portato a termine il maggior numero di procedimenti giudiziari, con sentenze passate in giudicato. Ma, al di fuori di Kabul e Herat, tale legge resta largamente ignorata e disapplicata. Carcere femminile di Herat Carcere femminile di Herat Un altra esperienza vicina all Italia è quella del carcere femminile di Herat, realizzato con il contributo del Provincial Reconstruction Team (PRT) italiano. Un oasi di ordine e pulizia rispetto alla caotica confusione della cittadina; un luogo di solidarietà femminile. Un carcere dove oltre a scontare la pena, le detenute possono tenere i figli con sé ed imparare a leggere, a scrivere e ad apprendere un mestiere. Istruzione e lavoro, ovvero capacità di sostentamento autonomo: questa la via attraverso la quale passa la speranza di un futuro migliore per le donne afgane, oltre al rispetto dei diritti che la legge riconosce loro. ll cammino è ancora lungo. Le donne afgane ci chiedono di non essere lasciate sole. E di aiutarle ad essere parte, ascoltata e rispettata, della ricostruzione e della pacificazione del loro Paese.

51 ottobre 2012 n 5 Dietro il velo islamico di Erika Pauselli Il velo islamico è, da ormai un decennio, motivo di scontro e spesso oggetto di accese battaglie culturali e di strumentalizzazioni. Oggi, nella maggior parte dei paesi europei, ha una connotazione esclusivamente negativa ma sotto il velo si nasconde uno straordinario potenziale da non sottovalutare, tutto da scoprire. Accantonando per un attimo i luoghi comuni e navigando sulla rete si scopre che il velo, oltre ad essere un vezzo, è trendy. Un accessorio glamour, multicolore che donne e ragazze collezionano nei loro armadi e abbinano ai vestiti. Alcuni hanno anche strass o brillantini. Si scoprono così siti e blog in cui ragazze di religione musulmana si scambiano opinioni su eccessi di colori e paillettes dei loro hijab perché Allah non ama gli eccessi. Alcune ragazze per occasioni speciali quali feste e matrimoni musulmani sistemano i copri-capo delle invitate con fiori e pizzi per renderle eleganti oppure decorano le mani con splendidi disegni ornamentali all henné. Nadia, 22 anni di origine italo-egiziana, è stata tra le curatrici del Muslim Women s Fashion che quest anno, a pochi giorni dalla fine della settimana della moda milanese, ha proposto alcuni modelli di abbigliamento femminile islamico durante una sfilata. Il risultato è stato un mix di colori e di elementi sartoriali provenienti da lontane tradizioni cinesi, indiane, pakistane, algerine, siriane... Una sfilata che avuto molto successo. Immagine in alto 2010 TURISMO.it - Nexta

52 Dal web si scopre che la prima rivista turca dedicata alle donne che portano il velo Âlâ - che significa bellezza - nata solo nel 2011 sta insidiando in Turchia le vendite di riviste femminili come Cosmopolitan, Vogue, Elle. Insomma eleganza e raffinatezza che risaltano la femminilità pur nel rispetto di un precetto religioso. Ma il velo può anche diventare uno strumento potentissimo per l affermazione dei diritti delle donne nel mondo orientale. Due donne per eccellenza possono fare la differenza: Rania di Giordania e Adila bint Abdullah. Una regina e una principessa ma prima di tutto due donne che, pur nel rispetto delle tradizioni, stanno cercando di cambiare le regole in quella parte del. del mondo. Entrambe, pur perseguendo strade diverse, promuovono una nuova concezione della donna musulmana. Due esempi di donne forti e coraggiose che possono ispirare altre donne a non considerarsi inferiori o inadatte. La strada è ancora lunga, soprattutto in certi paesi del mondo, ma bisogna continuare a dimostrare che - anche con un velo - una donna può e deve essere padrona della propria vita e del proprio futuro. Foto Alessandro Belgiojoso

53 ottobre 2012 n 5 Libertà delle donne: strada in salita Diritti conquistati a costo della vita di Shaheen Poya Come donna e attivista, impegnata nella affermazione dei diritti delle donne, voglio raccontare la condizione femminile nel mio paese. In 30 anni di guerra le prime vittime sono state le donne. Auto immolazione, stupro, violenza domestica, matrimoni forzati, scuole bruciate, lapidazione, viso e corpo deturpati dall acido, mutilazioni di naso e orecchie e avvelenamento nelle scuole queste le atrocità nei confronti delle donne. Atrocità che aumentano di giorno in giorno. Una situazione che rievoca il periodo del regime talebano ma che, in realtà, è anche peggio. Nella maggior parte delle province le donne sono prive dei diritti fondamentali. La legge della giungla domina: gli uomini possono uccidere o picchiare una donna davanti a tutti. Nelle province più remote il burqa - come nel periodo più oscuro dei talebani - protegge le donne, soprattutto le attiviste, perché garantisce l anonimato. La nostra società considera le donne cittadini di seconda classe, senza diritti, una consuetudine in contrasto con quella dei paesi occidentali dove le donne contano come gli uomini e hanno stessi diritti. Negli anni 60 la condizione femminile era migliore rispetto ad oggi. Dieci anni di occupazione da parte degli Stati Uniti e delle forze di pace dei paesi occidentali hanno portato ad un cambiamento radicale. Arrivati per sconfiggere il terrorismo ma non per portare un sostanziale cambiamento nella vita delle donne. Nonostante quello che la stampa racconta al mondo, la condizione dell universo femminile non è migliorata dopo la fine del regime talebano. Secondo il New York Times: Le donne in Afghanistan alzano il velo e conoscono un mondo libero, dopo secoli di reclusione scoprono la libertà dello spirito e dei costumi. Sono due le ragioni principali delle crudeltà nei confronti delle donne. La prima è perché la società afghana è dominata da uomini che usano l Islam contro di loro. La seconda deriva da un governo non democratico, contro le donne e privo di considerazione per loro.

54 Sono così ignobili che sfruttano la situazione attuale contro le donne. Ancora oggi nella politica persiste la stessa tendenza. Nel Parlamento afghano ci sono più donne rispetto all Europa o agli Stati Uniti ma non hanno alcun peso. Se diamo un veloce sguardo agli ultimi 10 anni sono stati pochi i cambiamenti positivi nella vita delle donne e delle ragazze. Molti dei cambiamenti positivi sono stati solo illusioni per impressionare l opinione pubblica. Per esempio i media parlano di 6 milioni di studenti che frequentano la scuola ma non dicono che centinaia di questi non vanno a scuola per motivi di sicurezza e che le scuole vengono bruciate. Avete sicuramente sentito che centinaia di studenti di differenti province sono stati avvelenati a scuola. Potete quindi immaginare come una famiglia possa trovare il coraggio di mandare i proprio figli a scuola dopo episodi come questo. Secondo quanto riportato da Rawa News: Molte studentesse delle province di Takhar, Bamiya e Kabul in Afghanistan, sono state avvelenate. Dal 28 agosto 2010 alcune studentesse sono ricoverate all ospedale di Kabul con la diagnosi di probabile avvelenamento. Alcuni sospetti sono stati individuati e trattenuti nel nord della provincia Sar-e-Pul. L obbiettivo di quest atto criminale era scoraggiare le famiglie a mandare le proprie figlie a scuola. In questi dieci anni di bombardamenti da parte delle forze straniere, migliaia di civili innocenti hanno perso la vita. Tra loro molte donne e bambini. Sono state bombardate persino le feste di matrimonio. La mia gente nutre lo stesso astio nei confronti delle forze straniere come quello che ha nei confronti dei talebani e dell attuale governo: sono due facce della stessa medaglia. Da dieci anni ci dicono che combattono i talebani ma adesso sono proprio loro a dirci che siamo noi a volere un compromesso con i talebani in modo che possano governare il paese. Se così fosse, se davvero i talebani andassero al potere, la situazione delle donne peggiorerebbe ulteriormente e sarebbe una catastrofe. Ritengo che l emancipazione della donna possa realizzarsi solo per mano delle donne stesse. Prima di tutto dobbiamo essere unite, consapevoli dei nostri diritti, individuare i veri nemici e combattere per la nostra libertà. Credo che i diritti non possano essere regalati. Fortunatamente oggigiorno le donne non sono le stesse di 40 anni fa. Negli anni della guerra pur avendo perso tutto e subito atrocità di ogni tipo hanno guadagnato coscienza politica. Più questi fascisti fondamentalisti continueranno nelle loro crudeltà, più la gente gli si rivolterà contro. Spero che un giorno le donne vedranno riconosciuti i loro diritti, che la pace possa essere una realtà e che la gente possa vivere in una società prosperosa senza basi militari. Il mio sogno è vedere tutti i nemici della pace e della giustizia in carcere.

55 ottobre 2012 n 5 La Fondazione Khaled Hosseini ll nostro modo di operare di Khaled Hosseini Da dove si comincia ad aiutare un paese con problemi insormontabili? A questa domanda la Fondazione Khaled Hosseini, appena costituita, ha dovuto rispondere quando si è trovata a dover definire l elenco delle priorità della sua azione. Aiutare tutti quelli che hanno bisogno di un rifugio oppure quelli che necessitano di cure mediche? O quelli che hanno bisogno d istruzione? Una lista interminabile che le risorse della nostra piccola Fondazione di famiglia non potevano soddisfare. Fortunatamente abbiamo deciso che il nostro primo impegno sarebbe stato quello di aiutare l Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNCHR) nella costruzione di centri di accoglienza per l enorme numero di rifugiati che ritornava in patria, solo in seguito avremmo pensato di intervenire in altri settori come sanità, istruzione e aiuti umanitari. UNCHR Ogni anno riceviamo e processiamo un gran numero di richieste di aiuto e siamo davvero grati alle persone e alle organizzazioni che si stanno adoperando per le donne, i bambini e le famiglie afghane. Nessuno può alleviare tutte le loro sofferenze ma l impegno di ognuno di noi può fare la differenza nella vita di molti. luglio 2010 UNCHR L Associazione no profit Afghan Friends Network, fondata a San Francisco, impiega le nostre risorse per sostenere una scuola femminile (Khurusan Learning Center) di una delle più povere regioni dell Afghanistan: Ghazni. Immagine in alto TKHF

56 Questo centro scolastico garantisce l educazione secondaria in matematica, fisica, chimica e inglese a circa 400 ragazze. Il successo del programma è evidente. Nel 2007 solo una ragazza di Ghazni è stata ammessa all università mentre nell aprile 2008, venti studentesse del Khurasan Learning Center hanno sostenuto il test d ingresso e 10 di loro lo hanno superato. GoodWeave, uno dei nostri più recenti partner, è impegnato a combattere il lavoro minorile offrendo opportunità di studio a più di bambini del Sud dell Asia sfruttati nell industria dei tappeti. Nel 2007, forte della ventennale esperienza in India e in Nepal, GoodWeave allarga il suo raggio d azione all Afghanistan dove l industria dei tappeti rappresenta la più grande fonte di impiego legale e dove lavora un terzo dei bambini in età scolare, fra questi anche quelli che vengono venduti e costretti a lavorare, a prostituirsi o a sposarsi. Grazie al nostro sostegno, GoodWeave sta sviluppando un percorso educativo che comprende programmi di alfabetizzazione, riabilitazione per piccoli lavoratori, orientamento professionale e borse di studio per i bambini a rischio della provincia di Balk. settembre 2009 UNCHR Nell ambito sanitario supportiamo EMERGENCY USA che ha costruito 3 Centri Chirurgici a Anabah, Kabul e Lashkar-Gah e un consultorio a Anabah. EMERGENCY ha anche costituito un network di 30 presidi di primo intervento e ambulatori che forniscono i primi soccorsi ai pazienti che vivono in aree isolate e, quando necessario, EMERGENCY USA provvedono al trasporto in ospedale. Il nostro sostegno è andato al Consultorio che offre assistenza ostetrica e ginecologica gratuita alle donne di Panjshir e assistenza neonatale ai bambini nati nel Centro. Siamo orgogliosi di sostenere il lavoro di queste infaticabili organizzazioni e incoraggiamo anche altre a fare EMERGENCY USA altrettanto. Nessuno può porre fine alla povertà, alla fame e all analfabetismo in Afghanistan ma ciascuno di noi può fare la differenza per almeno una donna far o un bambino. Ed è sicuramente il luogo giusto per iniziare. Per vedere l elenco completo dei fondi che mettiamo a disposizione e il lavoro che svolgono i nostri partner potete visitare il sito web - khlaedhosseinifoundation.org - alla sezione Our Grantees tab.

57 Dicembre n.6 Foto Alessandro Belgiojoso In questo numero: Ettore Mo - Il paese della libertà negata Gianni Oliva - La Taurinense in Afghanistan Jawad Joya - Donne: esseri umani e decision makers Shaheen Poya - Analisi di un occupazione inutile Barbara Donat-Cattin - Grazie!

58 dicembre 2012 n 6 La produzione della seta Un affare di famiglia Il paese della libertà negata Immagini e ricordi di 30 di di Fawzia Afghanistan Ahmad di Ettore Mo Nel mio governo, se mai ne avrò uno, garantisco che ci sarà posto per le donne. Così mi disse un giorno Ahmad Shah Massud, il leggendario leone del Panshir quando lo rintracciai nel suo remoto rifugio di Khoaja Bahauddin, sulla montagna. Era la primavera dell 80. Ma non visse abbastanza a lungo per vedere quel sogno tradotto in realtà. Morì assassinato da due kamikaze pakistani il 9 settembre del 2001, due giorni prima dell assalto alle Torri Gemelle. Un frangente del passato che mi è balzato in mente alla notizia di una studentessa pakistana di 14 anni - MalalaYousafzai - presa a revolverate e ferita gravemente alla testa da un folle mentre, insieme ad altre coetanee, reclamava il diritto di accesso delle ragazze alle scuole superiori, attualmente riservato ai maschi. L attacco è stato rivendicato dal Movimento dei talebani del Pakistan, alleati di Al Qaeda, la compagine integralista che fa capo ad Osama Bin Laden. Malala gode di vasta popolarità nelle zone tribali, lungo il confine afghano-pakistano, particolarmente nel circondario dello Swat, dove i talebani esercitavano un severo controllo e ricorrevano a metodi brutali, come il pestaggio di quei genitori che si ostinavano a mandare a scuola le proprie bambine. Caparbia, Malala non desiste: Non indossiamo la divisa scolastica e nascondiamo i libri sotto lo scialle.

59 Per i talebani, l indomita adolescente che ha ottenuto il Premio nazionale per la pace dal governo di Islamabad oltre un altro riconoscimento assegnatole dall International Children Peace Prize, altro non è che una ragazza dalla mentalità occidentale che passa il suo tempo a denunciarci e che alla fine subirà la stessa ll sorte dei nostri nemici. Ma a placare il loro entusiasmo c è chi ricorda che nel 2012 i talebani hanno subito l offensiva dell esercito pakistano e le ragazze sono tornate a scuola mentre i gruppi degli integralisti islamici si sono rifugiati nelle vallate tenebrose lungo il confine con l Afghanistan, dove l osservanza della Sharia e del Corano è la base della vita quotidiana. In un suo intervento, Nicoletta Bombardiere (del Ministero degli Affari Esteri) ricorda che l Afghanistan è il Paese che ha una delle più alte percentuali al mondo di donne in Parlamento (28%) ma che allo stesso tempo è stato recentemente da The Guardian il posto peggiore dove nascere donna. Sull argomento posso rifarmi a qualche esperienza personale che mi ha lasciato talvolta perplesso, per non dire turbato e amareggiato: come quella volta che, approdati di notti a un casolare di contadini dopo una lunga estenuante marcia, abbiamo avuto una calorosa esperienza: ma a scapito delle quattro donne di casa (due molto anziane) che hanno trascorso la notte in stalla, lasciando le loro brandine agli ospiti di passaggio. E a nulla è valsa la nostra sdegnata protesta. O quell altra volta che una dozzina di donne vennero lasciate per ore sul retro scoperto di un camion, esposte a temperature siberiane e al vento gelido della tundra, mentre noialtri ci dovemmo contentare del relativo conforto di una catapecchia.

60 dicembre 2012 n 6 Il Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, afferma che: Gli sforzi della Comunità Internazionale hanno fatto dell Afghanistan un Paese migliore rispetto a dieci anni fa e cresce ad un tasso vicino al 10% annuo e grazie al quale la mortalità infantile si è notevolmente ridotta e oggi oltre 7 milioni di bambini, rispetto ai di solo qualche anno fa, frequentano le scuole afghane. Una contabilità che rincuora, se si pensa che su 100 iscritti alle Università afghane, 19 sono donne, mentre solo 11 anni or sono la presenza nelle aule era esclusivamente maschile. Agghiaccianti anche alcuni dati forniti dalla Fondazione Khaled Hosseini, secondo cui intere famiglie vivono in tende o buche scavate nella terra e ogni inverno da 10 a 15 bambini muoiono assiderati. Un altro tasto che mette i brividi appena lo tocchi è la condizione delle donne in xxxx Afghanistan, come ad esempio avviene ad Herat, dove centinaia di operaie dell industria tessile vengono retribuite con 2 dollari per 12 ore di lavoro: e a questo punto interviene Emma Bonino, Vice Presidente del Senato, che nel 1997 era Commissaria Europea e conosce bene il Paese delle aquile. Ricorda l avvento dei talebani, un regime di una ferocia inaudita. Le donne si erano viste privare in breve tempo dei più elementari diritti e spazi di libertà personale e persino la loro identità veniva negata, imprigionata in una gabbia di stoffa che si chiama burqa : per giungere alla conclusione che le donne sono il futuro dell Afghanistan e che senza di loro non ci potrà essere né pace né democrazia in l Afghanistan. Ma per ottenere risultati concreti occorrono il temperamento e il coraggio di Parwana una quindicenne di Herat che prima di sposarsi ha posto al futuro marito condizioni precise: prima fra tutte quella di liberarsi dell arsenale domestico e ha detto sì solo dopo che lo sposo aveva consegnato alle autorità il suo fucile. Ripercorrendo i sentieri dei miei trent anni d Afghanistan m imbatto sempre, qui e là, ai margini di questa o quella strada, nel volto paffuto di Mizwair Jalil e nella sua figura un po tozza di montanaro indolente che, camminando, ragiona e ragionando si chiede la ragione della mia perenne inquietudine e di quell ansia che mi sprona a far sempre le cose in fretta, come se dovessi affrontare scadenze immediate e inesorabili. Aveva solo 25 anni, Jalil, quando lo ammazzarono: e adesso mi angoscia dover ammettere che all appuntamento con la morte, nel luglio 94, lo avevo portato io. Tutto era cominciato in una limpida sera estiva, la

61 bellezza di 18 anni fa, quando Mizwair ed io varcammo la soglia del Ministero della Difesa, a Kabul, presieduto allora proprio da Ahmad Shan Massud, uomo piuttosto laconico, i cui rapporti con la stampa occidentale non erano mai stati così idilliaci. A differenza del superfalco dell integralismo islamico Gulbuddin Hekmatyar, capo dello Hezb-i- Islami - il più intransigente e bellicoso dei sette Partiti della Resistenza che, dopo aver combattuto contro il regime filosovietico del presidente Taraki insediato a Kabul, dovettero affrontare uomini dell Armata Rossa entrati in Afghanistan la notte di Natale del 79, Massud era considerato un leader moderato che ha favorito e incoraggiato la riapertura delle scuole e dei college femminili. Per ripicca, Gulbuddin s era auto esiliato in Pakistan sotto la protezione dei Servizi Segreti. Rientrato in Afghanistan si era rifugiato in un eremo sulla collina di Sharasiab, a 24 km circa dalla capitale. E da lassù i suoi uomini hanno scaricato su Kabul, per 2 anni, tonnellate di missili, razzi e cannonate facendo più vittime che durante l invasione sovietica: circa morti, migliaia di feriti. Ettolitri di sangue fraterno. Chiuse scuole, centinaia di piccoli mutilati per le strade. Massud rimase perplesso quando gli spiegammo le ragioni della nostra proposta: che era di incontrare Hekmatyar per capire i motivi del suo ignobile, sacrilego comportamento: Tu conosci l uomo - mi sacrilego comportamento: Tu conosci l uomo - mi disse il capo dei guerriglieri 'Hezbi' con grande mestizia negli occhi - sai che è un tipo difficile, ombroso, diffidente, nel profondo del suo cuore c è posto soltanto per l odio. Non ti posso fare accompagnare da una scorta dei miei uomini, sarebbe controproducente e pericoloso. Spero proprio che non vi succeda niente. Mirwaiz Jalil soleva rivolgersi a Gulbuddin con grande sospetto, lo chiamava Sahib, signore: tutto ciò non gli impediva di criticarlo e denunciarlo dagli schermi della sezione afghana della BBC. Non fidarti di lui - l aveva ammonito un giorno il professor Majruh, illustre docente universitario - dentro di lui c è il demonio. Aveva commesso molti crimini, ma godeva della protezione dei Servizi Segreti di Islamabad e poté così evitare incriminazioni e processi.

62 dicembre 2012 n 6 Facemmo interviste separate al grande capo. Possiamo essere orgogliosi - mi disse Mirwaiz sulla Jeep che ci stava riportando a Kabul - sono pochi i giornalisti che hanno avuto la chance di intervistare Hekmatyar, forse neanche una mezza dozzina. Stiamo allegri. Ma l allegria durò poco. La nostra vettura venne ad un tratto bloccata lungo una curva da un gippone che la spinse contro l argine. Sbucarono fuori 5 uomini, la faccia coperta da fazzoletti neri, il Kalashnikov in pugno. Strapparono fuori brutalmente Jalil spintonandolo coi fucili dentro il mezzo. Poi ingiunsero a Sharif, il nostro autista, di procedere verso Kabul senza far soste. E neanche mezz ora dopo si venne a sapere la spaventosa verità: il giovane reporter della BBC era stato assassinato. Trovarono il suo corpo al margine della strada, in località Chelsatun, dov era avvenuto il sequestro. Aveva un buco alla tempia da cui sgorgava il sangue e un paio di baionette infilzate nella pancia. Ricordo lo sguardo di Mizwair quando lo trascinarono via: le lacrime gli appannavano gli occhi mentre con l ultimo filo di voce bisbigliava Goodbye, Hector, this is the end. Il suo assassinio venne definito uno dei crimini più bestiali nel fitto campionario di barbarie che l Afghanistan ha confezionato in 15 anni di guerra e che quasi certamente sarebbe andato impunito. Imperterrito, Hekmatyar avrebbe continuato a imperversare nel ruolo di leader della Jahad, la guerra santa, e ad autodefinirsi la spada di Allah. Fin dagli anni di scuola, la sua intransigenza etico-religiosa non sembrava avere limiti. C è chi ricorda che all Università minacciava le studentesse più disinvolte e disinibite di raschiar via con la carta vetrata il rossetto dalle loro labbra demoniache. In una recente dichiarazione rilasciata all Express Tribune, Hekmatyar afferma che l unica soluzione per risolvere il decennale conflitto è di continuare la Jihad fino a quando i contingenti stranieri verranno completamente rimossi dal territorio afghano. Al tempo stesso respinge la strategia suggerita dagli Stati Uniti e dal governo Karzai, che comporterebbe soltanto una perenne occupazione dell Afghanistan. Sono certamente di conforto le notizie sui progressi fatti dal Paese sul terreno socio-economico negli ultimi dieci anni: specialmente per quanto riguarda l emancipazione delle donne, che potranno liberarsi dal burqa e, con esso, da tabù e limitazioni finora imposti dalla tradizione. Foto Luigi Baldelli

63 Foto Foto Luigi Luigi Baldelli

64 dicembre 2012 n 6 La Taurinense in Afghanistan di Gianni Oliva Dall'inizio di settembre 2012 gli Alpini della brigata "Taurinense" sono in Afghanistan, impegnati nelle attività della missione internazionale: si tratta di qualche migliaio di uomini, volontari a ferma prolungata addestrati secondo le più moderne esigenze delle operazioni di "peace keeping" e di "peace enforcing", che per sei mesi svolgeranno il loro servizio nell'area di Herat. Per la Brigata "Taurinense", che proprio quest'anno ha festeggiato il 60^ anniversario dalla sua fondazione, si tratta di un impegno difficile e oneroso, ma anche di un'occasione per trasferire nella realtà afghana le tradizioni di un Corpo profondamente radicato nell'immaginario collettivo italiano. "Alpino", infatti, non significa semplicemente soldato con il cappello alla calabrese e la penna nera: ben più sostanzialmente, significa un "modello" militare, una particolare modalità di rapporto tra forza armata e società civile, un'attitudine comportamentale. Il nesso tra questa "immagine" e l'impegno della "Taurinense" in Afghanistan non è casuale. Per spiegare, occorre ricollegarci alla storia. Gli Alpini sono stati costituiti nel 1872, quando un giovane ufficiale di Stato Maggiore, l'allora capitano Domenico Perrucchetti, sostenne sulla "Rivista Militare" la necessità di destinare specifici reparti alla difesa dei valichi alpini. Nel momento in cui il crinale delle Alpi occidentali era diventato "frontiera" con la Francia e altre montagne segnavano a nordest il confine con l'impero Austriaco, diventava urgente disporre di truppe che, in caso di attacco, "frenassero" gli invasori e dessero il tempo all'esercito di mobilitarsi in pianura per la controffensiva. Il principio strategico si scontrava però con una difficoltà: chi mandare sui colli alpini, a presidiare aree gelide, nn

65 battute dai venti, innevate per molti mesi l'anno? La risposta fu automatica, eppure gravida di conseguenze positive: i soldati delle Alpi non potevano che essere montanari, uomini cresciuti nelle montagne, abituati al freddo, alle fatiche dei pendii, alle insidie dei percorsi accidentati. In altre parole, gli Alpini dovevano essere giovani che svolgevano il servizio nelle stesse vallate dove erano nati e cresciuti. In una Nazione in cui la coscrizione era basata sul reclutamento nazionale e dove i giovani andavano a svolgere il periodo di leva in regioni lontanissime da quelle di origine, gli Alpini ebbero così la particolarità di essere invece reclutati "sul" territorio. Di qui nascono le specificità del Corpo. Prima che un soldato, l'alpino è un uomo di montagna, abituato alla pazienza, alla resistenza, alla misura; gli abitanti delle vallate non lo considerano un estraneo con la divisa, ma un figlio che svolge il suo servizio nella stessa caserma dove sono stati i padri e i nonni, e dove domani andranno i figli e i nipoti; la "società civile" e i soldati con la penna nera si sovrappongono, essendo gli uni una proiezione dell'altra. Sono passati molti decenni, il reclutamento ha oggi modalità completamente differenti, ma le tradizioni autentiche hanno la forza per sopravvivere al tempo e ai cambiamenti. Per questo, ancora oggi, gli Alpini raccolgono centinaia di migliaia di persone nei loro raduni annuali. La brigata "Taurinense" in Afghanistan ha dunque questo significato: operare in sintonia con la popolazione locale, stabilire rapporti di collaborazione, interpretare la missione internazionale come l'occasione per far crescere il Paese. In questa direzione, gli Alpini portano le competenze acquisite con l'addestramento, ma anche la "cultura" dello scambio e della partecipazione maturato attraverso la storia. In altre parole, sono soldati assai più impegnati a costruire che a presidiare. Foto Susa Libri

66 dicembre 2012 n 6 Donne: esseri umani e decision makers di Jawad Joya Ripercorrendo la storia dell uomo è incredibile constatare quanto sia stata dominata da guerra, violenza, lotta e conquista del potere. Probabilmente niente nella vita è più importante di uccidere o essere uccisi. Fino ad ora, il potere di decidere su questo argomento è stato esclusivo appannaggio degli uomini. Le donne, da sempre parte integrante della società, sono state relegate al ruolo di madri, sorelle, mogli o partner di chi ha guidato il mondo durante la guerra o la pace. D altro canto possiamo dire che le vere strateghe dei disegni del mondo degli uomini siano proprio loro. Per migliorare la qualità della vita e affermarsi ovunque, le donne devono partire dalla loro indole di strateghe per poi diventare decision-makers nelle rispettive società. Come può realizzarsi questo nel nostro mondo? Penso che la risposta dipenda dalla società in esame e dal livello sociale, politico ed economico della stessa. Prendiamo il caso delle donne di Kabul o di Herat che vivono in condizione difficili e, quotidianamente, devono scontarsi con barriere sistemiche che impediscono il progresso. Quando sono tornato a Kabul, nel 2009, le difficoltà che queste donne dovevano affrontare mi hanno profondamente colpito. Prima della guerra le cose andavano meglio, il mio ricordo era di un mondo migliore. Uomini, donne e bambini facevano parte della vita sociale. Da ragazzo andavo in molti luoghi di Kabul insieme a mia mamma. Nel passato il tocco femminile aggiungeva ulteriore bellezza alla città di Kabul. Erano ovunque: alla radio, alla televisione, al teatro, per strada. C erano donne nella pubblica amministrazione, nelle scuole, negli ospedali. In giro se ne vedevano di ogni estrazione e forma. Grasse, magre, giovani, vecchie, brutte, belle. Molte di loro erano ben vestite e in poche indossavano il velo. Sicure e colte quelle di città si affermavano, sempre più, nel mondo dei professionisti. Stava emergendo un vibrante ceto medio di cui le donne erano la forza. Anche l atteggiamento nei loro confronti era diverso perché avevano un posto nella vita pubblica e nell immaginario sociale.

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