UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI RICERCA LINGUISTICA, LETTERARIA E FILOLOGICA

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI RICERCA LINGUISTICA, LETTERARIA E FILOLOGICA Corso di dottorato di ricerca in INTERPRETAZIONE E FILOLOGIA DEI TESTI LETTERARI E LORO TRADIZIONI CULTURALI Ciclo XXV Orientalismo e alterità. Percorso attraverso i resoconti di viaggio e la memorialistica coloniale italiana Tutor Chiar.mo Prof. Laura Melosi Dottoranda Dott.ssa Silvia Caserta Coordinatore Chiar.mo Prof. Massimo Bonafin Anno 2013

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3 Ad Ada

4 Premessa Il presente lavoro nasce e si sviluppa all interno del Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale Colonialismo italiano: letteratura e giornalismo cofinanziato dal Ministero dell Istruzione, dell Università e della Ricerca per gli anni e Al progetto, coordinato a livello nazionale da Simona Costa dell Università di Roma Tre, hanno collaborato singole unità di ricerca delle Università di Firenze, Perugia, Perugia Stranieri e Macerata. Con i preziosi consigli e suggerimenti di Gianluca Frenguelli, responsabile dell unità di ricerca maceratese, e della mia tutor Laura Melosi, attivamente coinvolta nel medesimo progetto, ho ritagliato il mio specifico ambito di ricerca, che si è focalizzato sulle opere di viaggio prodotte lungo tutto l arco dell avventura coloniale italiana. L archivio digitale Italia coloniale ( che raccoglie i dati bibliografici, corredati da utilissime note contenutistiche, delle indagini e degli spogli documentari condotti dal gruppo di lavoro maceratese, ha costituito per me un indispensabile supporto nell individuazione del materiale esistente. Nello stesso database sono confluiti, in un secondo momento, i risultati delle mie personali ricerche catalografiche e bibliografiche, condotte in particolar modo presso la Biblioteca della Società Geografica Italiana a Roma. Infine, un contributo essenziale alla comprensione e all inquadramento delle tematiche coloniali in una prospettiva interdisciplinare e internazionale mi è stato fornito dagli stimoli culturali raccolti durante i mesi di studio e di ricerca presso la Cornell University di Ithaca. In questa sede ho tratto immenso profitto dalla ricchezza bibliografica a mia disposizione e soprattutto dallo straordinario sostegno culturale e umano di Karen Pinkus.

5 Orientalismo e alterità. Percorso attraverso i resoconti di viaggio e la memorialistica coloniale italiana Introduzione. Il faticoso recupero di una memoria scomoda 1 1. Il passato coloniale italiano: rimozione e mistificazioni 1 2. Tra nostalgia e condanna Modulazioni letterarie della memoria recente: testimonianze degli anni Cinquanta Giuseppe Berto: fedeltà alla patria e autoassoluzione Rancore e incomunicabilità nei ricordi di Mario Tobino Ennio Flaiano anticolonialista? Prospettive 36 Cap. I La letteratura coloniale: fonti e problemi Un impostazione unilaterale Rare eccezioni: il diario di Fesseha Giyorgis Indispensabili filtri interpretativi Per una periodizzazione della letteratura coloniale Travel writing 58 Cap. II Pionieri ed esploratori: italiani in Africa nel XIX secolo Viaggiatori di fine secolo Civiltà vs barbarie: tra innocenza e consapevolezza Carlo Piaggia: un selvaggio tra i selvaggi? Primitività tra idealizzazione e condanna: Arturo Issel e Luigi Pennazzi Fascino di superficie e disprezzo profondo: le due facce della medaglia in Pippo Vigoni L ironia pungente di Augusto Franzoj Gustavo Bianchi e la nuova logica del profitto Il paese degli aromi di Robecchi-Bricchetti Lo spirito scientifico di Vittorio Bottego Un politico in colonia: Ferdinando Martini La donna indigena Una lezione sul rispetto dei ruoli La curiosità è donna Le piagnone La Venere Nera 142

6 3.5 Sfruttata e prostituta Una meticcia Il paesaggio Esotismo come estetica del sublime Idealizzazione stereotipica La rivincita europea e il paesaggio urbano 166 Cap. III Alla conquista dell Africa tra nuove e vecchie frontiere. Esperienze di viaggio agli esordi del Novecento 1. Risorgere dalle ceneri: l atteggiamento coloniale italiano dopo Adua La terra promessa : italiani in Libia Per un rinnovato impero Una nuova attenzione all uomo: tra razzismo e psicologia Testualizzazione e teatralizzazione Notizie dal fronte orientale La battaglia di Adua tra rimozione e mitizzazione Renato Paoli e Carlo Citerni: quando passato e presente convivono Il paesaggio: godimento per gli occhi La spettacolarizzazione dell altro come preludio al razzismo Due donne in Africa Una duchessa tra i selvaggi La sospetta filantropia di Rosalia Pianavia-Vivaldi Cap. IV Fascismo e AOI: propaganda, mito, razzismo L impero coloniale fascista tra eredità liberali e spinte innovative Propaganda e letteratura: un connubio irrealizzato Verso una nuova mentalità coloniale Senso di missione personale e collettiva Per bocca e nella mente degli indigeni Uomo o non uomo? Fantasmi dal passato per un più glorioso presente Una nuova percezione del paesaggio La donna in colonia Ciro Poggiali: scrittura e riscrittura 275

7 Conclusioni e prospettive 281 Bibliografia Opere Opere di argomento coloniale Opere selezionate Studi Studi sul colonialismo italiano Altri studi e testi teorici 305

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9 Introduzione Il faticoso recupero di una memoria scomoda Il n y a pas un, mais des silences, et ils font partie intégrante des stratégies qui sous-entendent et traversent le discours. (Michel Foucault, Histoire de la sexualité) 1. Il passato coloniale italiano: rimozione e mistificazioni Non si può di certo imputare al caso il fatto che una sorta di consapevole oblio largamente promosso, condiviso e accettato sia riuscita a offuscare per lungo tempo la realtà del passato coloniale nazionale, impedendo alla memoria comune di organizzarsi in forme esaustive, coerenti e accessibili a un vasto pubblico. Una memoria è in sé stessa necessariamente una costruzione, vale a dire la selezione degli avvenimenti del passato e la loro disposizione secondo una gerarchia che non appartiene loro in proprio, ma che deriva dai membri che fanno parte del gruppo. Questa memoria collettiva, come ogni memoria umana, opera una selezione radicale tra gli innumerevoli avvenimenti del passato, ragion per cui l oblio è costitutivo dell identità così come la salvaguardia dei ricordi. La selezione dei fatti e la loro sistemazione gerarchica non sono effettuate da esperti scienziati [ ], ma piuttosto da gruppi di potere all interno della società, che vogliono difendere i propri interessi. 1 L atteggiamento prevalente, infatti, opportunamente orientato, si è a lungo assestato su una determinata e caparbia volontà di difendere un immagine del tutto alterata e mistificante, ma proprio per questo rassicurante e benevola, della presenza e delle operazioni italiane in Africa. Di conseguenza, fino a tempi relativamente recenti è stata manifestata da ogni parte una decisa ostilità nei confronti degli studiosi impegnati, in maniera sempre più scrupolosa e tenace, nel ricostruire le dinamiche effettive e le precise vicende di un momento storico quanto mai complesso e controverso. Bisogna senza dubbio, a questo proposito, tenere in considerazione la particolare natura del fenomeno coloniale, capace di accostare in un percorso simile le maggiori potenze europee, eppure al tempo stesso impossibile da ridurre a un unico paradigma comune. In quanto tale, esso non solo fa ovviamente parte di un passato che non va in alcun modo archiviato né dimenticato, ma ha contribuito in maniera sostanziale a disegnare lo scenario politico, sociale ed economico del nostro presente: l etichetta di età post-coloniale, applicata a quel momento storico che ha avuto inizio alla 1 Tzvetan Todorov, La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà, Milano, Garzanti, 2009, p

10 metà del XX secolo con il progressivo declino della dominazione europea sul continente africano 2, è oggi non a caso sempre più messa in discussione e sostituita in larga misura da quella di neocolonialismo, nel riconoscimento del fatto che i rapporti di potere tra le diverse realtà politiche ed economiche sono senza dubbio mutati nella forma, ma non si sono affatto trasformati nella sostanza. 3 L intenzione di fare chiarezza sui meccanismi operanti al tempo dell imperialismo colonialista non scaturisce pertanto da un ostinato quanto inutile tentativo di riportare alla luce un passato che in tanti vorrebbero rimuovere, quanto piuttosto dalla necessità di acquisire maggiore consapevolezza nel giudicare e nell affrontare la nostra stessa condizione presente. Da questo punto di vista, com è ovvio, la questione non riguarda solo la specifica situazione italiana, bensì si colloca in una prospettiva più ampia: non a caso in diversi Paesi europei si è assistito negli ultimi anni a un forte impulso allo svolgimento di indagini sul tema della memoria, in tutte le sue possibili accezioni e ramificazioni, tra le quali quella coloniale occupa spesso un posto di rilievo: Despite great efforts to transmit the colonial experience to the metropole via cultural media and its impact on everyday life, for many Europeans colonialism remained an abstract concept. [ ] Nevertheless, since the 1990s, in countries such as France, Italy and German, it is possible to identify a rediscovery of colonial history in academic, public and sometimes even political discourse. 4 Il processo di riappropriazione critica del passato deve passare attraverso una sua faticosa ma necessaria rimessa in discussione non solo in ambito accademico, dove forse gli sforzi e i risultati sono stati finora i più considerevoli, ma anche e soprattutto a livello di opinione pubblica e di discussione politica. In questo senso, infatti, il caso italiano può forse considerarsi paradigmatico e, per certi aspetti, estremo. Una forma così profonda e tenace di quella che possiamo definire una generale rimozione del passato coloniale da parte di ampi strati della società italiana presuppone questioni e meccanismi complessi, in buona misura strettamente connessi ai motivi peculiari allo stesso movimento di espansione coloniale. La retorica degli italiani brava gente ha a lungo contribuito a far passare sotto silenzio alcuni aspetti brutali, ad esempio, della guerra fascista in Etiopia se è vero che Indro Montanelli, che ad essa aveva preso parte in qualità di ufficiale, ancora nel 1985 continuava a misconoscere pubblicamente l uso dei gas, come ricorda lo storico 2 Si veda almeno il fondamentale lavoro di Bill Ashcroft, Gareth Griffiths, Helen Tiffin, The empire writes back. Theory and practice in post-colonial literatures, London, Routledge, Anticipatrice, in questo senso, la lettura di Jean-Paul Sartre, Situations. 5, Colonialisme et néo-colonialisme, Paris, Gallimard, 1964; ma si veda anche, in ambito italiano, Gianfranco Peroncini, Il bianco e il nero. Colonialismo, neocolonialismo, questione razzista, Rimini, Il cerchio, Jan Jansen, Politics of remembrance, Colonialism and the algerian war of independence in France, in Małgorzata Pakier, Bo Stråth (edited by), A european memory? Contested histories and politics of remembrance, New York, Berghahn Books, 2010, p

11 Angelo Del Boca. 5 E lo stesso Del Boca, che ha lottato e continua a farlo ancora adesso per riportare alla luce la verità storica dei fatti e promuoverne un ampia consapevolezza a livello nazionale, ha asserito con fermezza in un recente volume: Il mito degli «italiani brava gente», che ha coperto tante infamie [ ] appare in realtà, all esame dei fatti, un artificio fragile, ipocrita. Non ha alcun diritto di cittadinanza, alcun fondamento storico. Esso è stato arbitrariamente e furbescamente usato per oltre un secolo, e ancor oggi ha i suoi cultori, ma la verità è che gli italiani, in talune circostanze, si sono comportati nella maniera più brutale, esattamente come altri popoli in analoghe situazioni. Perciò non hanno diritto ad alcuna clemenza, tantomeno all autoassoluzione. 6 E anche volendo etichettare simili azioni come sporadiche o addirittura giustificate dallo stato di guerra, la difficoltà di giudizio è aggravata dal fatto che come hanno dimostrato ricerche storiche mirate e approfondite molti atti criminali furono commessi da soldati e funzionari italiani non solo durante le vere e proprie guerre di conquista (peraltro in un certo senso mai pienamente portate a termine ma piuttosto sempre in fieri), ma soprattutto all interno dell ordinaria amministrazione coloniale o nella fase di occupazione dei territori. Altro esempio illuminante, a questo proposito, è la sorte toccata a Il leone del deserto, film arabo incentrato sulla figura di Omar al-mukhtār, il condottiero che si pose a capo della guerriglia libica impedendo con successo agli italiani per vent anni di compiere la pacificazione completa dei territori occupati: realizzato nel 1981 e subito censurato in Italia, è finalmente apparso in televisione solo nel recentissimo Difficile da sradicare, soprattutto a livello di percezione comune, «the legend of Italian colonialism as different, more tolerant, and more humane than other colonialism». 7 Lucide e puntuali, a questo proposito, sono ancora una volta le osservazioni di Del Boca, nell introduzione alla sezione dedicata al colonialismo di un pregevole sito internet creato nel 2004 e inteso come Museo virtuale delle intolleranze e degli stermini 8 : Il rapporto con l alterità africana fatto di esclusione e di discriminazione sopraffattoria, l aggressività, la violenza, lo sfruttamento e le stragi che hanno segnato l esperienza coloniale italiana costituiscono pagine non ancora integrate nella storia nazionale del paese; rimosse, o apertamente negate, in nome di un mito ancora fortemente radicato nell immaginario collettivo, che rivendica l atipicità della vicenda coloniale italiana come quella di un colonialismo dal volto umano. 9 5 Cfr. Angelo Del Boca, L Africa nella coscienza degli italiani. Miti, memorie, errori, sconfitte, Bari, Laterza, Una formale ammissione dell utilizzo di armi chimiche durante le guerre coloniali è avvenuta solo nel Id., Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza, 2005, p Patrizia Palumbo, A place in the sun. Africa in Italian colonial culture from post-unification to the present, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 2003, p www. istoreto.it/amis/index.asp 9 Cito da Eric Salerno, Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell avventura coloniale italiana ( ), Roma, Manifestolibri, 2005, pp

12 La relativa brevità dell esperienza imperialista italiana, infatti, unita all impatto traumatico della sconfitta nella seconda guerra mondiale, ha dato adito a un generale misconoscimento della realtà dei fatti, e a un suo significativo ridimensionamento. In una recente raccolta di saggi pubblicata nel 2005 in ambito anglofono e specificamente dedicata alla questione della memoria coloniale in Italia 10, i curatori Jacqueline Andall e Derek Duncan preferiscono parlare di spostamento (displacement) piuttosto che di vera e propria rimozione del passato, nell asserita convinzione che esso abbia a lungo continuato a manifestarsi in una varietà di modi attraverso forme diverse di eredità coloniale. Se è vero allora, per restare in termini psicanalitici, che la rimozione agisce come meccanismo di protezione di un identità minacciata, essa ha a mio avviso operato in gradi diversi ma in maniera costante nella lenta rielaborazione di un vissuto scomodo e controverso. Seguendo la periodizzazione proposta da Nicola Labanca 11, possiamo in effetti riconoscere che fino agli anni Cinquanta il ricordo dell impero da poco perduto informa di sé quasi soltanto coloro che a lungo e direttamente avevano fatto esperienza della vita in colonia e i veri e propri circoli africanisti: le difficoltà e gli immensi sforzi della ricostruzione post-bellica del Paese, premiati poi dal miracolo economico della giovane Repubblica, contribuiscono senza dubbio a relegare in secondo piano le già di per sé poco lusinghiere memorie coloniali. Negli anni Sessanta e Settanta, poi, ancora più diffusa e radicale si fa la tendenza all oblio: la perdita delle colonie era stata di fatto determinata dalla sconfitta militare ad opera di altre nazioni europee all interno di un conflitto mondiale, e non da una forma vittoriosa di ribellione da parte delle popolazioni africane assoggettate. L assistere dunque alla lotta per la decolonizzazione nei territori ancora soggetti a Francia e Inghilterra fa sì che soprattutto «in the period between the 1960s and 1970s, Italy deceived itself with the self-absolution of the brava gente». 12 E proprio la stessa espressione, con singolare coincidenza, fornisce a Giuseppe De Santis il titolo per il film del 1965, Italiani brava gente, incentrato sulle vicende di un reggimento italiano sul fronte russo durante la seconda guerra mondiale. Lo scenario è dunque diverso da quello coloniale, ma l intento è ugualmente apologetico: i soldati italiani sono rappresentati come antieroi, vittime inconsapevoli delle loro gerarchie e dunque implicitamente espressione di un ideologia sì antimilitarista e improntata ai valori della fratellanza tra i popoli, ma che tuttavia finisce per non fare i conti con la condotta reale delle nostre truppe. Al tempo stesso, tuttavia, una forma sia pure embrionale di discussione, comunque dislocata sul versante estero, è dimostrata dall uscita nel 1966 de La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo e di Africa Addio di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi: due importanti pellicole che sia pure nella 10 Jacqueline Andall, Derek Duncan, Italian colonialism. Legacy and memory, Oxford, Peter Lang, Nicola Labanca, History and memory of Italian colonialism today, in Jacqueline Andall, Derek Duncan, Italian colonialism, cit., pp Ivi, p

13 loro alquanto diversa visione del colonialismo mostrano come l eco dei processi di decolonizzazione in atto negli stessi anni in diverse regioni africane fosse in qualche modo giunta sulla scena politico-culturale italiana. 13 Se il rapido crollo dell impero italiano in Africa fu dunque in larga misura responsabile della mancata sollevazione di un dibattito a livello politico e di opinione pubblica sulla decolonizzazione e sui problemi ad essa legati, esso favorì al contrario il ridimensionamento altrettanto rapido di tutta l azione coloniale nazionale, e il diffondersi di sentimenti auto-assolutori. Eppure, come hanno sottolineato Ruth Ben Ghiat e Mia Fuller curatrici, in ambito statunitense, di un altra recente raccolta di pregevoli contributi sul colonialismo italiano 14 l Italia ha guadagnato con le proprie imprese coloniali primati tutt altro che ammirevoli nel campo specifico delle aggressioni militari. Non solo, infatti, la guerra d Etiopia è il primo conflitto su ampia scala ingaggiato da un Paese europeo dopo la prima guerra mondiale; ma all Italia spetta anche il riconoscimento di aver fatto per prima uso, nella guerra italo-turca per il possesso della Libia, di bombardamenti aerei, e di essere il primo paese dell Occidente a mettere in atto, attraverso le deportazioni e i campi di concentramento in Cirenaica, tattiche di genocidio fuori dal contesto della guerra mondiale. Come sottolinea ancora Labanca, pur nella loro varietà e difficoltà di definizione, crimini in senso stretto, identificabili come oggettive violazioni di norme e leggi vigenti all epoca (se ad essi non si vuole aggiungere tutta una serie di procedure, comportamenti, istituzioni ugualmente considerate intollerabili dai soggetti coloniali e dagli anticolonialisti italiani), furono perpetrati sia dall Italia liberale sia poi da quella fascista (sebbene, ancora una volta, con risultati diversi in termini di vittime e di impatto). In due casi sembra necessario applicare il termine di genocidio, e cioè al trattamento riservato alla resistenza della popolazione in Cirenaica prima e in Etiopia poi: episodi entrambi direttamente ascrivibili alla volontà diretta del Duce, eppure di certo impossibili da condurre a termine senza la collaborazione della stessa popolazione italiana in colonia. La reticenza, in ambito specificamente storiografico, a fare uso della nozione di genocidio, con le implicazioni di ordine morale ma anche giuridico che essa porta con sé, non è tuttavia caratteristica esclusiva del contesto italiano: al contrario, in forza di un profondo eurocentrismo ancora difficile da sradicare, i genocidi coloniali stentano ancora in diversi Paesi a essere riconosciuti come tali. Come ha sottolineato Todorov, d altronde, «i massacri non sono mai rivendicati: la loro esistenza, di solito, è tenuta segreta e viene negata». 15 Soprattutto, quelli coloniali raramente sono stati comparati in una prospettiva globale alla Shoah inflitta dal nazismo 16 : in questo senso, solo con la nascita e il 13 Cfr., a questo proposito, Daniela Baratieri, Memories and silences haunted by fascism. Italian colonialism, MCMXXX-MCMLX, Bern, Peter Lang, 2010, pp Ruth Ben Ghiat, Mia Fuller, Italian colonialism, New York, Palgrave Macmillan, Tzvetan Todorov, La conquista dell America. Il problema dell altro, Torino, Einaudi, 1984, p Cfr. Enzo Traverso, Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento, Milano, Feltrinelli, 2011, pp

14 progressivo sviluppo degli studi postcoloniali i massacri compiuti dai Paesi occidentali nei territori colonizzati sono stati posizionati allo stesso livello dello sterminio degli ebrei, che già Aimé Césaire aveva individuato come la trasposizione europea della violenza coloniale. 17 E proprio la relazione tra fascismo e colonialismo, impossibile da declinare in maniera semplice e univoca, complica la questione e finisce per porsi come un ulteriore ostacolo al processo di chiarificazione storica. L apice così come il drammatico epilogo di tutta l impresa coloniale italiana seguono in parallelo l evoluzione/involuzione e la rapida disfatta del regime mussoliniano, al punto che inevitabilmente «the colonialist enterprise was quickly demonized as a fascist enterprise». 18 L aggressione e la forzata annessione dell Etiopia è infatti divenuta una delle immagini emblematiche, in qualche modo, della violenza fascista in Italia, «yet Mussolini merely pursued, with greater determination and greater indifference to international opinion, a policy that had long antecedents». 19 In questo modo gli orrori coloniali ricadevano a pieno titolo nel più ampio bacino delle brutalità compiute dal fascismo, e dunque insieme ad esse condannati in senso generico, ma anche più facilmente e rapidamente archiviati. Senza contare, poi, il fatto che la portata generale della stessa violenza fascista è stata a lungo sottovalutata e relegata in secondo piano, in quanto aspetto puramente materiale, da tutte quelle interpretazioni del regime mussoliniano interessate piuttosto a metterne in luce i meccanismi ideologici e culturali Tra nostalgia e condanna Non è questa la sede adatta per scendere in dettagli riguardanti ciò che effettivamente di positivo o di negativo gli italiani fecero in colonia in ambito economico, culturale, sociale o quant altro; né tanto meno è mia intenzione dare giudizi in merito. D altronde, non è questo il compito neppure dello storico, il quale «non deve formulare sentenze di colpevolezza o innocenza ma cercare di interpretare un epoca e un evento problematizzandoli, cogliendone le coordinate fondamentali, le cause, la dinamica, e penetrando, per quanto possibile, l universo mentale dei loro attori». 21 E proprio a partire dalla ricostruzione dell apparato concettuale formatosi a posteriori intorno 17 Aimé Césaire, Discorso sul colonialismo, Verona, Ombre corte, Stessa visione della violenza nazista come una sorta di ritorsione sull Europa dei crimini da essa stessa perpetrati in ambito coloniale emerge dall opera dello scrittore svedese Sven Lindqvist, in particolare in Sterminate quelle bestie, Milano, Tea, Karen Pinkus, Empty spaces: decolonization in Italy, in Patrizia Palumbo (edited by), A place in the sun, cit., p Charles Burdett, Memories of Italian East Africa, «The Journal of Romance Studies», 1 (3), 2001, p Tale è l impostazione adottata per esempio in Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Roma-Bari, Laterza, Scarsa attenzione alla specificità della violenza fascista si riscontra d altronde anche nella monumentale biografia del duce scritta da Renzo De Felice (Mussolini, Torino, Einaudi, , 4 voll.). Cfr. a tale proposito Ruth Ben Ghiat, A lesser evil? Italian fascism in/and the totalitarian equation, in Helmut Dubiel, Gabriel Motzkin (edited by), The lesser evil. Moral approaches to genocide practices in a comparative perspective, London, Frank Cass, 2004, pp Enzo Traverso, Il secolo armato, cit., p

15 all impresa coloniale italiana è possibile, come abbiamo visto, cogliere le basi tutt altro che legittime su cui troppo a lungo ha poggiato la comune rimozione di tale passato coloniale. L illusione di aver agito nel migliore dei modi possibili, o almeno in maniera sensibilmente migliore di quanto avessero fatto tutte le altre potenze europee, ha alimentato negli italiani la tendenza ad appagarsi con fiducia della versione ufficiale trasmessa dalle generazioni precedenti, senza sentire alcuna necessità di mettere sotto processo una presunta e senza dubbio comoda verità. D altro canto sarebbe ingiusto, oltre che sbagliato, voler attribuire esclusivamente alla malafede la diffusa negazione dei lati più bui delle nostre passate imprese africane. Va tenuto presente, infatti, che nei territori coloniali si erano costituite, col passare del tempo, comunità piuttosto consistenti di italiani, che della vita in Africa avevano imparato ad apprezzare la libertà dalle costrizioni spaziali e temporali proprie della civiltà europea. Oltre a ciò, più di un milione di giovanissimi italiani si trovò a prendere parte tra il 1935 e il 1936 a quella campagna d Etiopia che ha segnato al tempo stesso l acme e l epilogo dell espansione italiana sul continente. 22 È pertanto comprensibile che, sulla base di ricordi più o meno veritieri associati ai tempi di una eroica giovinezza, si sia potuta sviluppare una forte tendenza nostalgica, capace di epurare opportunamente gli aspetti contraddittori se non addirittura denigratori del proprio comune passato. La memoria autobiografica, d altronde, lungi dall essere specchio fedele della vita vissuta, è facoltà fortemente selettiva e sempre orientata dal soggetto che la esercita, condizionata dai suoi filtri spaziali, temporali ed emotivi: To remember is not to produce a perfect forgery of a past event, but to abstract and rearrange characteristics of that event. Not only does memory depend upon a coherent narrative of personal identity, it also constructs an historical context for the occurrences that it brings to mind. Alluding to the criteria that are unconsciously deployed for retention, recollection tells us about the mechanics both of past and of present perception [ ] the memory of the past is, to a large degree, moulded by the present circumstances of the person who remembers; upon the context in which memory is articulated and upon the demands that the present may make. 23 La memoria, in altre parole, è una particolare rappresentazione del passato che viene costruita nel presente: tale meccanismo implica sempre una certa presa di distanza nei confronti del passato stesso, percepito come concluso e pertanto entrato a far parte della storia. «La memoria è il risultato di un processo nel quale interagiscono diversi elementi che possono variare per importanza e dimensioni» 24 : nel nostro caso specifico, l evento passato è capace di riaccendere nella memoria del singolo l orgoglio di aver preso parte, nel pieno della propria giovinezza, a un momento fondante dell intera vita nazionale, per cui il ricordo si colora inevitabilmente di sfumature particolari. 22 Angelo Del Boca, La guerra di Etiopia. L ultima impresa del colonialismo, Milano, Longanesi, Charles Burdett, Memories of Italian East Africa, cit., p Enzo Traverso, Il secolo armato, cit., p

16 Infine, contribuirono non poco a questa tendenza nostalgica e idealizzante alcune particolari pubblicazioni periodiche, direttamente legate a specifiche categorie di persone che parteciparono, ognuna in un modo diverso, al processo di espansione coloniale. Vale la pena ricordare, ad esempio, la rivista bimestrale «Mai Taclì», redatta a partire dagli anni Settanta da un gruppo di ex abitanti di Asmara con l intento di raccogliere episodi, sensazioni e immagini della vita della comunità italiana in colonia. Trattandosi per lo più di figli di imprenditori o di funzionari stabilitisi in Eritrea negli anni Trenta, i ricordi sono ovviamente legati al periodo della prima giovinezza: non sorprende pertanto la comune attitudine nostalgica che avvolge una visione senza dubbio idealizzata del passato, a sua volta atta a sostenere e ricreare con le parole il senso di appartenenza a una comunità che non esiste più, in evidente polemica con la realtà presente. O si pensi ancora al periodico trimestrale «Il Reduce d Africa», voce ufficiale dell Associazione Nazionale Reduci e Rimpatriati d Africa, fieramente impegnato a difendere e riportare alla luce esempi di italiani eroici, pronti a sacrificarsi in nome di ideali che, con evidente rammarico dei sottoscrittori, sembrano aver perso ogni considerazione e attrattiva Modulazioni letterarie della memoria recente: testimonianze dagli anni Cinquanta Le voci non sono tutte a senso unico. La stessa esperienza bellica vissuta in prima persona ha fornito materia prima anche a ricostruzioni memoriali di gran lunga più complesse e problematiche, specialmente laddove i ricordi stessi tendono a essere almeno in parte trasfigurati attraverso il filtro letterario. Nel novero dei giovani che si trovarono infatti a sperimentare sulla propria pelle la realtà della guerra coloniale, e a vivere anche direttamente il fallimento di quegli stessi ideali eroici che potevano averne animato in un primo momento una più o meno convinta partecipazione, figurano anche scrittori del calibro di Ennio Flaiano, Mario Tobino e Giuseppe Berto. I testi cui essi hanno affidato la resa, più o meno fedele, della propria esperienza autobiografica sono illuminanti proprio nella misura in cui testimoniano ancora oggi il formarsi, a livello letterario che più ci interessa, di quella peculiare rimodulazione del recente passato destinata, con poche varianti, a permeare della sua impronta ideologica anche le generazioni successive. Si tratta di opere pubblicate in un breve arco cronologico a cavallo del 1950 (dal 1947 al 1955, per la precisione), che si inseriscono pertanto in un clima sì mutato rispetto a quello cui si riferiscono gli eventi in esse narrati, ma al tempo stesso ancora profondamente avvolto da incertezze e contraddizioni. In altre parole, se non sorprende trovare in questi testi spunti polemici e accenti disincantati, pienamente giustificati nell ottica della presa di coscienza posteriore alla fine della guerra e alla perdita delle colonie, come abbiamo già sottolineato si tratta ancora, a questa altezza cronologica, di sentimenti tutt altro che 25 Cfr. ancora Charles Burdett, Memories of Italian East Africa, cit. 8

17 unanimemente condivisi. In tutte e tre le opere cui alludo la componente autobiografica è necessaria e irrinunciabile, sebbene essa si articoli poi in modo diverso e peculiare in ognuna di esse. In forza del comune tentativo di esprimere e dare nuova concretezza a una memoria sì recente eppure già scomoda e controversa, questi testi potranno aiutarci a comprendere alcuni meccanismi che agiscono spesso all interno di opere testimoniali legate all esperienza coloniale, e che come tali ritroveremo, declinati secondo modalità di volta in volta particolari, nei resoconti di viaggio paralleli allo stesso moto di espansione (su cui, come vedremo a breve, si concentrerà il mio lavoro). 2.2 Giuseppe Berto: fedeltà alla patria e autoassoluzione Nel caso di Guerra in camicia nera Berto sceglie di ridare voce, a distanza di anni, alle pagine di un diario steso durante la militanza sul fronte libico tra il 1942 e il 1943, conclusasi con la prigionia e l esperienza del campo di concentramento in Texas. Nella breve nota introduttiva, l autore si assume l impegno di orientare il lettore in modo peraltro ambiguo, come vedremo nella direzione di una recente presa di coscienza dovuta al crollo definitivo della fiducia riposta fino a poco tempo prima nelle imprese belliche nazionali. In modo ambiguo, dicevo, in quanto il proposito di scrivere pagine oneste e libere dalla retorica non riesce comunque ad offuscare un fondo impastato di sentimentalismo nostalgico e desiderio di espiazione. D altronde, bisogna anche considerare il fatto che già prima di partire volontario per la guerra Berto non aveva mai nascosto la propria adesione al regime e alla sua politica colonialista, né aveva smesso poi di credere in una possibile evoluzione in senso positivo del fascismo stesso. L affidarsi, in altre parole, alla propria misura delle cose, sia pure senza dubbio maturata negli anni, implica una partecipazione emotiva ineliminabile: non stupisce allora che l autore sia pronto a schierarsi comunque a difesa di quanti, come lui stesso, «servirono il fascismo con la convinzione di servire l Italia» 26 : Del resto, questo libro lo pubblico non per quelli che sono stati camicie nere, ma per gli altri, magari per quelli che furono loro avversari e nemici, perché vorrei che riconoscessero nei miei soldati una sostanza umana comune a tutti i soldati e a tutti gli eserciti. Per far sì che la guerra sia veramente perdonata. (p. 8) Esplicito, dunque, l intento apologetico che è alla base della stessa decisione di riorganizzare e pubblicare i propri ricordi: a poco più di dieci anni di distanza dagli avvenimenti narrati, Berto scrive sì per se stesso e per quanti hanno con lui condiviso l esperienza della guerra in terra africana, ma ancora di più per coloro che hanno poi in fretta condannato gli attori di questa guerra: 26 Giuseppe Berto, Guerra in camicia nera, Milano, Garzanti, 1955, p. 7. Tutte le successive citazioni del romanzo si intendono dalla presente edizione, con la sola indicazione dei numeri di pagina. 9

18 il libro si dà come opera di denuncia e di autodenuncia, ma pure come atto d accusa contro il popolo italiano, velocemente trascorso dalla retorica del fascismo a quella dell estraneità al fascismo. 27 Una puntualizzazione mi sembra a questo proposito necessaria: a differenza di Tempo di uccidere, in cui Flaiano ricostruisce, sia pure in forma romanzesca, lo scenario di una guerra propriamente coloniale nella forma cioè dell aggressione italiana a un libero Stato africano l opera di Berto, così come quella di Tobino, si riferisce propriamente alle vicende della seconda guerra mondiale, sia pure combattuta nello specifico sul fronte libico. Nella sua scansione diaristica, che va dal settembre del 1942 al maggio del 1943, il testo si pone volontariamente come testimonianza di una fase drammatica del conflitto vissuta in prima persona dall autore appena ventisettenne, giunto in Libia come volontario dopo aver già preso parte dal 1935 al 1939 sempre volontariamente alla guerra fascista d Etiopia. In questo senso, dunque, il contesto propriamente coloniale, con tutte le implicazioni pratiche e morali che esso presuppone, rimane un po sullo sfondo, messo in ombra dalla realtà di una guerra combattuta non per vincere la locale resistenza africana, bensì al fianco dei tedeschi contro le forze inglesi nel tentativo di ribaltare le sorti del conflitto mondiale. Non solo, dunque, si cercherebbero invano nel testo tracce della presenza di una popolazione locale che, sia pure ininfluente in quanto non direttamente implicata nelle manovre belliche, si trovava comunque a dover assistere impotente alle conseguenze devastanti dello scontro tra le diverse potenze europee sul proprio territorio. Ancor di più, la visione che Berto ha della stessa realtà coloniale è intimamente connessa alla contemporanea situazione politica italiana, caratterizzata dalle avvisaglie di una crisi di regime che di lì a poco avrebbe condotto all arresto dello stesso Mussolini. La partecipazione volontaria dell autore alla guerra si rivela atto supremo di fedeltà alla patria in un momento di evidente difficoltà, ma al tempo stesso utopistico tentativo di evasione come unica forma ancora possibile di fuga da una realtà cui sempre meno si sente di appartenere. Non a caso Berto non esita a compiacersi della sincerità e della schiettezza che traspare già dalle prime conversazioni avute a Tripoli presso il circolo ufficiali, ancora più apprezzabili se messe a confronto con il clima di doppiezza e falsità che si respira negli stessi tempi in Italia: [ ] qui l ipocrisia e la paura di esprimere il proprio pensiero sono state bandite. Preferisco questi giovani che fanno la guerra e hanno il coraggio di dire ciò che ne pensano, a quelli che stanno in Italia cantando, magari in malafede, lodi al fascismo. (p. 11) E in effetti, nel quadro che l autore offre della propria esperienza, la realtà della guerra sembra porsi in netta antitesi con quella coloniale per se stessa. Dell una egli per primo si sente «responsabile 27 Elena Frontaloni, Il soldato ventriloquo. Guerra in camicia nera di Giuseppe Berto, in Gianluca Frenguelli, Laura Melosi (a cura di), Lingua e cultura dell Italia coloniale, Roma, Aracne, 2009, p

19 nella misura giusta, cioè quanto ne spetta a ciascun italiano che abbia capacità di intendere e di volere», dal momento che «se non si volevano il fascismo e la guerra, bisognava pensarci prima», non ora che «l identificazione del fascismo con l Italia non è da discutersi» (p. 24). Al contrario, se non ci fosse la guerra l ambientazione coloniale indurrebbe per natura l uomo a liberarsi delle preoccupazioni, irretendolo sembra suggerire Berto con la malia della sua atmosfera pigra e sonnolenta: Mi piacerebbe che non ci fosse la guerra, e vivere in questa fresca cittadina dell altopiano cirenaico, lasciandomi prendere un po alla volta da quel senso di irresponsabilità che costituisce il fascino della vita nei presidi coloniali. Lo chiamano insabbiarsi. (p. 15) Solo l elemento paesaggistico sembra infatti in grado di rasserenare l animo del soldato; ma si tratta di un paesaggio assolutamente decontestualizzato, in cui qualsiasi elemento atto a renderlo riconoscibile viene forzatamente europeizzato, in un forse inconsapevole bisogno di assimilazione e familiarizzazione: È quasi sera e mi sento pressoché felice, con un mucchio di pensieri che nascono da soli, senza peso. Dall oasi alle mie spalle viene l abbaiare dei cani, il ragliare degli asini, lo stridere delle carrucole dei pozzi, qualche occasionale richiamo degli arabi. Su di un arida collina sorge la tomba del marabutto, un piccolo cubo sormontato da una mezza cupola. E davanti ho il mare vasto e senza navi, di un colore incredibilmente fresco, dopo la costa rossiccia. (p. 22) L oasi, la tomba del marabutto, le voci lontane degli arabi sono singoli ingredienti scelti per la loro natura esemplificativa, privati tuttavia di ogni ulteriore caratterizzazione e per questo incapaci di evocare davvero un immagine concreta della realtà circostante. Come d altronde non mancheremo di riscontrare nella maggior parte degli scritti di viaggio di epoca coloniale, il paesaggio africano è anch esso rifunzionalizzato in un ottica europea, orientalizzato 28 sulla base di idee precostituite al punto di divenire pura immagine da cartolina, quasi fosse stato creato appositamente in vista della sua fruizione occidentale. Illuminante in questo senso l impressione che Berto prova durante un breve giro nel quartiere arabo di Tunisi: Scendiamo insieme per le viuzze della Kasbah, tortuose e scoscese, piene di mistero con le finestrelle a grata, le donne velate, i profondi antri delle botteghe, gli arabi accovacciati che vendono monili d argento. Cose e persone sono così assolutamente pittoresche, che sembrano messe lì apposta per una ripresa cinematografica europea. (p. 159) Torneremo più avanti sulle dense implicazioni del concetto di pittoresco associato al paesaggio coloniale. Per ora ci basti notare che la diversità della zona indigena, appunto, viene in qualche modo esorcizzata attraverso una sua resa del tutto statica, in cui solo l occhio dell europeo che 28 Il riferimento è ovviamente a Edward Said, Orientalism, London, Penguin, 1977 (trad. it. a cura di Stefano Galli, Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991) dove in apertura l autore definisce l orientalismo come «a way of coming to terms with the Orient that is based on the Orient s special place in European Western experience» (p. 1). 11

20 osserva sembra poter dare vita a un quadro altrimenti inerte. Laddove invece la colonizzazione francese, in questo caso è evidentemente intervenuta sul paesaggio stesso, entra in gioco con estrema facilità il meccanismo messo in luce già da Todorov e consistente nel «conoscere l ignoto con l ausilio di ciò che è noto» 29, per cui ad essere sottolineate sono ora le affinità piuttosto che le differenze, tanto che, di fronte al susseguirsi ininterrotto di viti e olivi «uno sente che si avvicina all Italia». Anzi, la vista del paesaggio coltivato è talmente familiare da richiamare subito alla memoria «le parti più belle della Calabria e della Sicilia». E d altronde «la somiglianza tra l Italia Meridionale e la Tunisia è effettiva e non casuale: è un prodotto del lavoro umano, e i colonizzatori di questa terra sono in gran parte italiani» (p. 155), non manca di far notare Berto, con evidente riferimento polemico all estensione del protettorato francese sulla Tunisia del 1881 (il cosiddetto Schiaffo di Tunisi ), che aveva frustrato i propositi espansionistici italiani nella regione. Sui benefici apportati dalla colonizzazione italiana in Africa Berto non sembra avere dubbi, tanto che si stupisce di come la popolazione locale assoggettata possa accomunare sotto la stessa etichetta di «stranieri, cioè nemici» (p. 16) sia gli italiani che gli inglesi: solo la loro assoluta mancanza di senso storico può, a parere dell autore, indurre gli arabi a sperare in una liberazione da un qualsivoglia dominio straniero. È evidente, pertanto, che ancora a questa altezza cronologica, quando nel giro di pochi anni, a seguito della sconfitta nella seconda guerra mondiale, l Italia sarà costretta a rinunciare al controllo sui propri possedimenti coloniali, non solo l imperialismo coloniale è ancora affermato come una sorta di evoluzione naturale e inevitabile del divenire storico, ma nella specifica situazione italiana ne vengono con nuova forza sottolineati i vantaggi, con una completa e voluta omissione dei molteplici risvolti negativi: Appena una ventina d anni fa, qui era il deserto. Ora ci sono campi verdi, filari di eucaliptus, ulivi ed alberi da frutto. Coloro che considerano i villaggi colonici della Libia nient altro che ridicoli e retorici colpi propagandistici del fascismo, dovrebbero venir qui a vedere: si convincerebbero subito che erano opere serie ed opportune. Se la guerra non ci avesse fermati, in pochi anni anche quelle distese di sabbia sarebbero diventati campi. (p. 64) La politica voluta e promossa dal governo fascista in colonia sembra, in altre parole, aver dato i suoi frutti: essendo riuscita ad apportare migliorie concrete per lo sviluppo del territorio ha, secondo Berto, ampiamente dimostrato di basarsi su fatti concreti, mettendo così a tacere lo stuolo di calunnie sulla sua presunta natura propagandistica. Ma a quali costi è stato realizzato se pure lo è stato tutto questo? L autore non si preoccupa di dare risposta a un simile interrogativo; anzi, evita del tutto di porselo, nella misura in cui l elemento umano interessato da tali cambiamenti non viene 29 Tzvetan Todorov, La conquista dell America, cit., p

21 neppure preso in considerazione, e nessuno spazio viene lasciato nel testo a descrizioni o anche solo a considerazioni sulle condizioni di vita della popolazione locale. Solo quando iniziano a circolare le prime voci sulla possibile necessità di provvedere a un rapido ripiegamento, la fiducia si incrina, e Berto non può fare a meno di ammettere contraddicendo se stesso che «le parole del Duce, pur fresche di pochi giorni, han perduto la loro efficacia, come se si trattasse di una qualsiasi frase propagandistica» (p. 51), e che la gloria sognata da tutti i soldati impegnati nella guerra, lui compreso, era certamente stata immaginata come qualcosa di diverso. Allora c è posto anche per un amara ironia, quella che scaturisce dalla constatazione dello scarto sempre più evidente tra la realtà della situazione e le parole impastate di vuota retorica troppo a lungo diffuse dal regime: «Tra i tanti motti da cui siamo stati afflitti in questi ultimi vent anni, non ce n è forse uno che dice: nudi alla meta? La meta è vicina, e io nudo press a poco lo sono» (p. 207). Anche il comandante, sia pure ridicolizzato per la sua vanagloria, finisce poi per muovere a compassione nel momento in cui si trova, perduto ormai ogni entusiasmo, a dover comunque compiere fino il fondo il proprio dovere e «infondere qualche energia in uomini più stanchi, intontiti e sfiduciati di lui» (p. 119). Piuttosto evidente qui l intento dell autore di deresponsabilizzare le forze militari di cui egli stesso è parte mostrandone il coraggio, la fedeltà al proprio dovere, l impotenza e la rassegnazione di fronte alla catastrofe. È un atteggiamento che troveremo anche in Tobino e, in forma ambigua e in parte rovesciata, in Flaiano: eppure, diversamente da quanto avviene negli altri due autori, qui le colpe non vengono automaticamente addossate al fascismo, sul quale Berto non smette, fino alla fine, di nutrire speranze di evoluzione. Emblematica, in questo senso, la riflessione con cui si chiude il testo, contenuta all interno di un breve capitolo finale che reca il titolo: Senza data, alcuni anni dopo. Si tratta verosimilmente di un momento successivo al febbraio 1946, mese in cui Berto riesce finalmente a tornare in patria, dopo gli anni di prigionia nei campi di concentramento degli Stati Uniti: Poi, col tempo, dimenticammo il senso di vergogna. Dovemmo fare un lungo cammino, prima di poter tornare a casa. E mentre il tempo passava, nell eco delle cose che succedevano nel mondo, noi perdemmo la vergogna di aver perduto. Ci parve anzi di aver fatto abbastanza per non perdere. (p. 218) Non traspaiono, da queste parole, né rimorso né desiderio di rinnegare le proprie azioni. Persino la vergogna, scaturita si badi bene dalla sconfitta militare, e non da un qualsivoglia ripensamento sulla legittimità e opportunità delle proprie azioni, è venuta meno, una volta maturata la convinzione di aver fatto tutto quello che l onore e la fedeltà di patria richiedevano. Piuttosto, allora, resta il rimpianto per qualcosa di diverso che poteva essere e non è stato, per quella gloria sperata e mai raggiunta, per l umiliazione subita durante la prigionia. Ma la nota su cui Berto 13

22 sceglie, ormai nel 1955, di chiudere il suo diario, pronto per la consegna alle stampe, è evidentemente ancora apologetica e auto-assolutoria. C è innegabilmente la volontà di ricordare, di prendere la parola, di consegnare alla storia la propria testimonianza; ma le memorie sono senza dubbio filtrate dall urgenza, altrettanto forte, di difendere la posizione di quanti hanno creduto di fare solo il proprio dovere, in nome del quale sentono di poter rigettare accuse e calunnie. Non posso, in questo senso, condividere appieno il giudizio della Tomasello, secondo la quale di fronte a un esperienza che si è trasformata in un incubo e all immagine di una terra colonizzata già ispiratrice di infinite speranze e ora ridotta a desolazione, niente sembra più poter frenare un definitivo atteggiamento di rinuncia. 30 In cosa consista questa presunta rinuncia non viene ulteriormente spiegato, laddove piuttosto, come abbiamo visto, l orgoglio di aver agito in nome dei propri ideali non sembra in Berto venire meno neppure nel momento estremo della disfatta e nella consapevolezza ormai tangibile del funesto destino a cui non può in alcun modo sottrarsi. 2.3 Rancore e incomunicabilità nei ricordi di Mario Tobino Il deserto della Libia 31 è già opera più difficilmente definibile, nella sua giustapposizione di immagini evidentemente autobiografiche, legate ancora una volta all esperienza diretta di combattente sul fronte libico durante la seconda guerra mondiale, ma cariche di un sentimento ambiguo, misto di rabbia e di nostalgia, subito ricavabile nel testo, fin dalla prima frase del capitolo di esordio: «C era un misto di viaggio di piacere e di condanna». 32 Tobino d altronde, al contrario di Berto, non aveva fin dall inizio della guerra mancato di manifestare un atteggiamento antifascista. Non sorprende pertanto che una certa ambivalenza nei confronti dell impresa cui ci si accinge informi già il momento della partenza: nella relativa ignoranza del destino che si ha di fronte, infatti, il viaggio attrae per la quota di imprevedibilità che porta con sé, ma al tempo stesso suona come una punizione inflitta per qualcosa che non si è compiuto. Inoltre, al contrario di quanto avveniva in Guerra in camicia nera, dove l Io del protagonista e l Io dell autore che ricorda e che scrive finivano per sovrapporsi in una sia pure impossibile identificazione, Tobino ritarda in maniera singolare il momento di porre la propria soggettività in primo piano, dando avvio alla ricostruzione dei propri ricordi in terza persona. 30 Giovanna Tomasello, Africa tra mito e realtà. Storia della letteratura coloniale italiana, Palermo, Sellerio, 2004, p Si veda, per un confronto, Le rose del deserto, film diretto nel 2006 da Mario Monicelli e liberamente ispirato alla vicenda narrata da Tobino, in cui il regista estremizza la rappresentazione grottesca di ambienti e soprattutto personaggi mediante la scelta di un tono a tratti farsesco. 32 Mario Tobino, Il deserto della Libia, Torino, Einaudi, 1952, p. 15. Tutte le successive citazioni del romanzo si intendono dalla presente edizione, con la sola indicazione dei numeri di pagina. Il romanzo è stato di recente incluso nel volume della collana I Meridiani dedicata all autore: Mario Tobino, Opere scelte, Milano, Mondadori, 2007, pp

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