Unione bancaria: ancora un working progress

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1 Unione bancaria: ancora un working progress di Giuseppe G. Santorsola* 1. PREMESSA Il 2014 si prospetta anno critico in senso greco cioè decisivo per il futuro del sistema bancario. Critico peraltro anche in senso italiano corrente (cioè difficile) in quanto l intero periodo sarà pervaso dagli stress test sulla salute e la solidità degli istituti principali. Si è parlato al riguardo di comprehensive assessment quale sommatoria del meccanismo di risoluzione (SRM), della revisione qualitativa (AQR) e degli stress test (ST). Taluni reputano tuttavia che, a monte di tale processo, sia ancora necessario intervenire sulle 3 U (le Unioni all interno della Comunità) e cioè quelle Monetaria, Bancaria e Fiscale, essendo la terza la più debole e la prima indebolita dall assenza finora delle altre due. Marco Onado ha parlato al riguardo di zoppia della UE. L attesa delle analisi condotte dalla BCE comporta anche l accentuazione di interventi ex ante delle Banche Centrali Nazionali per risolvere in anticipo alcuni casi (circa una decina in Italia) al fine di eludere un giudizio negativo a livello comunitario. La situazione peraltro si presenta complessa poiché non è certo quale sia l Authority che possa decidere in caso di interventi necessari, essendo in discussione addirittura tre soluzioni, quella nazionale, quella comunitaria e quella di un Resolution Board specifico. Tuttavia, l impianto dell Unione Bancaria Europea si presenta come scelta istituzionale assodata, possibile pilastro per il consolidamento di tutta la UE e struttura indispensabile per rafforzare i mercati finanziari comunitari nel loro complesso. Probabilmente il perimetro è ancora più ampio quando si pensi al complesso rapporto fra crisi bancarie, dei debiti sovrani e di alcuni Paesi sovrani, nonché alla funzione bancaria creditizia pericolosamente in riduzione (credit crunch). Si tratterà di conciliare un insieme di fattori di difficile coordinamento anticipati in passato da Tommaso Padoa-Schioppa (già delineati nel 1999 come percorso difficile) e ripresi recentemente da Andrea Sironi nella rivista della SDABocconi: 1. libera circolazione internazionale di beni e servizi; 2. libera circolazione internazionale dei capitali; 3. un sistema di tassi di cambio fissi; 4. politiche monetarie indipendenti. Si tratta di quattro fattori di grande utilità per sviluppo e stabilità economica, difficilmente massimizzabili. Spesso nelle scienze economiche, si tenta di fissare una delle variabili per evitarne i riflessi e diminuire il numero delle alternative di governo delle altre. Nello spazio della UE, si è cercato nel tempo di lavorare in tal senso sulle prime tre, con il MEC e la CEE per la circolazione dei beni e servizi, con le riforme degli anni 80 per quella dei capitali e con il Trattato di Maastricht che ha trasformato lo SME nel sistema dell. In tutto ciò è mancato il successo nella gestione della quarta variabile, laddove ciascun Paese ha mantenuto diverse autonomie nella gestione della politica monetaria, soprattutto a vantaggio delle proprie condizioni e senza tener conto delle situazioni altrui, in particolare nelle fasi congiunturali più difficili. In particolare appaiono deboli i seguenti fattori: - la moneta è unica, ma non esiste ancora un autorità monetaria unica, essendo la BCE l istituto di emissione, ma condizionato nella politica monetaria; - le politiche fiscali non sono compatte, concedendo libertà ai singoli Paesi che si risolvono a detrimento di altri; - le scelte di politica economica non sono coese, nonostante i vincoli dei parametri del Trattato; - ogni entità ha selezionato scelte differenziate, soprattutto in momenti distinti. La crisi economica ha reso più evidenti le debolezze ricordate; tralasciando l improponibile (tecnicamente) modifica del sistema della moneta unica ed essendo ormai diffuse la libera circolazione di beni e capitali (forse meno quelle dei servizi e delle 2

2 risorse umane), restano mutevoli, sciolte e, quindi, incoerenti le politiche fiscali, economiche e monetarie, una triade troppo importante per non generare conseguenze vincolanti sull evoluzione di Eurozona e della UE (cui manca ovviamente il vincolo della moneta unica). Non senza dubbi sull efficienza ex post, i tentativi di affinamento sono iniziati nei segmenti monetario e bancario. In queste note si analizzerà il solo contesto dell Unione Bancaria, necessariamente inquadrato peraltro nel complesso sistema sopra delineato. Ne costituiscono i contorni ancora incerti la scelta non assunta se privilegiare una soluzione strutturale o la predisposizione di un paracadute del sistema, la percezione per gli operatori della condizione di fallibilità in quanto imprese oppure di quella di protezione (too big to fail) e, infine, la creazione di un sistema di intervento (backstop) che sia rapido e non l esito del coordinamento di molte autorità. 2. L UNIONE BANCARIA EUROPEA: contorni e limiti nel 2014 Con lo sviluppo operativo dell accordo di Maastricht, sorsero CEBS, CESR e CEIOPS, mere aggregazioni delle Autorità di vigilanza nazionali. Nel 2011 esse furono trasformate in Autorità sovranazionali con poteri di intervento: EBA, ESMA ed EIOPA, poi coordinate dall ESA, alla luce della evidente sovrapposizione per soggetti e per oggetti dei campi di competenza giuridica delle tre strutture. Un primo esempio di cooperazione a livello comunitario risale già al 2011 quando l ESA costituì un Comitato Congiunto con l obiettivo di coordinare gli interventi di vigilanza a carico di EBA, ESMA e EIOPA, a livello di procedure di approvazione di prodotti e strumenti destinati alla diffusione presso il pubblico retail qualunque ne fosse la natura di prodotto o servizio, bancario, finanziario, assicurativo e previdenziale. L azione dell ESA è di profilo generale senza interferire nelle competenze di segmento coperte a loro volta dalle Direttive 2004/39/EC (MiFID), 2002/ 92/EC sulla mediazione assicurativa ( IMD ), 2009/138/EC Solvency II e la Payment Services Directive (PSD). È un tema di lungo orizzonte, forse non determinante per quest anno. Con il 2014 entrano in operatività anche regole europee per la Governance (istituzione e funzione dei comitati interni al c.d.a., maggiore coinvolgimento dei consiglieri, piani di formazione per i soggetti con ruoli chiave) e le Remunerazioni (rapporto 1:1 tra parte fissa e variabile anche per promotori e banker, rafforzamento della valutazione dei rischi ex post, correttivi sui bonus (con malus e clausole di clawback). Entra in vigore anche il requisito di capitale del common equity minimo del 7%, costituito dal 4,5% di base cui si aggiunge il 2,5% di conservazione del capitale. In realtà, avranno incidenza nel tempo in misura maggiore le misure relative ai fondi propri, al rischio di liquidità e alla leva finanziaria. Infine, dall viene rafforzata la funzione interna di compliance e risk management nella catena di controllo dei rischi, con maggiori responsabilità del c.d.a. e dell a.d. In quest ambito diviene obbligatoria l adozione di un modello per la determinazione della propensione al rischio. Infine, una trentina di banche europee - considerate too big to fail - potrebbero veder scattare la proibizione di effettuare operazioni di trading per conseguire profitti per proprio conto senza alcun legame con l attività dei clienti o quella di copertura dei rischi. Si tratterebbe di una replica parziale del modello della Volcker Rule, operativa nel contesto statunitense, come spesso in anticipo rispetto alle scelte UE. Saranno i supervisori bancari a decidere se certe attività di trading creino rischi sistemici da separare dal resto dell attività bancaria: l Eba fornirà indicazioni tecniche e l eventuale separazione sarà decisa al termine di un percorso predeterminato, potrà riguardare l attività di market making o di acquisto o vendita di derivati che sarebbero trasferiti in una entità con patrimonio separato. In tal caso la banca potrà continuare a vendere derivati standardizzati per coprire il rischio a gruppi assicurativi, società non finanziarie, fondi pensione con una esposizione che avrà dei limiti stabiliti. Fra i temi di maggiore interesse per i lettori prevalenti di queste note è necessario sottolineare tra i numerosi argomenti oggetto di cambiamento: - la richiesta per le banche minori di non prevedere contestualmente entrambe le figure dell amministratore delegato e del direttore generale; - la definizione di regole ex ante e trasparenti per le remunerazioni del personale rilevante (con ammontare retributivo superiore a 500ml e dei dipendenti che gestiscono il rischio (tra questi anche i promotori e i private banker); - la proporzione 1:1 tra componente fissa e variabile, salvo delibera a maggioranza qualificata dell assemblea per la scelta di un rapporto massimo 2:1; - l ipotesi di valutazione ex post dei rischi e del relativo pagamento con malus (cioè riduzione ex post in connessione a risultati, rischi e perdite), 3

3 clawback (restituzione della parte variabile fino al 50%) e retention (mantenimento nel tempo dei risultati). 3. IL MECCANISMO DI RISOLUZIONE DELLE CRISI BANCARIE Il titolo assegnato al paragrafo evidenzia un profilo conseguente al necessario compromesso del 18/12/13. Le scelte possibili concernono la prevenzione, la gestione e la risoluzione delle crisi bancarie; chiaramente si è prescelta la terza, lasciando al complesso della direttiva CRD IV gli aspetti prudenziali finalizzati alla prevenzione, restando invece mista la definizione del secondo momento. L approfondimento di questi contenuti è sviluppato nell articolo di De Chiara cui si rimanda. Il SRM prevede: 1) un ruolo residuale importante degli Stati membri nella sua governance; 2) un utilizzo sostanzialmente nullo del ESM, che continuerà a finanziare solo gli Stati in difficoltà e non le banche; 3) un bassissimo grado di mutualità del futuro fondo di risoluzione delle crisi bancarie almeno nei prossimi dieci anni, quando verranno raccolti dal sistema bancario circa 55mld (circa 1% dei depositi) che serviranno ad alimentarlo. La dimensione del fondo è peraltro minima considerando che negli ultimi sei anni le crisi bancarie europee hanno comportato invece interventi dei governi della UE per oltre miliardi; 4) l utilizzo prevalente di risorse private nel salvataggio degli istituti creditizi. L elemento centrale dell approccio europeo al meccanismo di salvataggio riguarda il principio dei bail-in. In altri termini, l onere delle crisi bancarie dall 1/1/2016 non ricadrà sugli Stati, e quindi sui contribuenti (bail-out), ma su azionisti, obbligazionisti e depositanti (se sopra la soglia dei 100ml ). Questi, infatti, saranno tenuti a coprire la prima perdita fino almeno all 8% degli attivi della banca. Di seguito entrerà in opera il SRM per un altro 5% e, solo dopo tale copertura, il bail-out potrà aiutare le banche in difficoltà, sempre che ciò venga consentito dall organo comunitario incaricato di gestire le crisi. Anche in ragione della dimensione contenuta del Fondo di risoluzione, il sistema approntato può svolgere un indubbio ruolo di sostegno di sicurezza per il sistema finanziario, ma non avrebbe efficienza risolutiva nel caso di crisi delle maggiori banche comunitarie. Con tutte le cautele, e non desiderando proporre alcuna ipotesi su specifiche banche, la struttura del fondo non è in grado di coprire rischi che si manifestassero prima del 2017 e non coprirebbe più esigenze parziali di alcune banche non maggiori, dovendosi supporre, come anticipato, che il primo 8% dei debiti non onorati sia coperto all interno del patrimonio e delle passività tipiche e che, quindi, la crisi sia adeguatamente grave rispetto alle dimensioni dell istituto coinvolto. 4. ALCUNE CONSEGUENZE MICRO- E MACRO-ECONOMICHE In quanto bail-in, il meccanismo dovrebbe limitare il moral hazard di chi investe nel capitale delle banche o gli fa credito senza donare adeguata attenzione ai rischi, ritenendoli garantiti dallo Stato. Non è tuttavia chiaro quanto l azzardo sia stato rilevante in questi anni, ricordando che gli azionisti delle banche salvate hanno comunque pagato un prezzo, laddove i corsi azionari si sono, almeno inizialmente, fortemente ridotti. Inoltre, i manager ritenuti responsabili del default sono sempre stati rimossi, anche se con il corredo delle liquidazioni contrattualmente previste. Le simulazioni effettuate evidenziano che in caso di crisi della dimensione di quelle registrate in questi anni sia gli obbligazionisti junior che senior, e in alcuni casi anche i depositanti (seppur solo quelli maggiori), verrebbero penalizzati dal SRM. Penalizzare questi creditori e sottrargli l assicurazione implicita comporta quasi certamente l aumento del costo della raccolta bancaria: obbligazionisti e depositanti istituzionali dovranno essere remunerati per il maggior rischio. Ne può conseguire l aumento del costo del credito per imprese e famiglie e/o la riduzione della quantità disponibile, già assai scarsa. Ancora più rischiosa è l ipotesi per le banche italiane le cui eventuali difficoltà derivano dalla negativa congiuntura economica con conseguente crescita delle sofferenze e non dall eccesso di operatività finanziaria strutturata. Nel contempo, anche sotto il profilo della raccolta, le obbligazioni uguagliano per dimensione i depositi bancari in molte aziende maggiori e sono sottoscritte da risparmiatori al dettaglio; inoltre una percentuale significativa di queste non è certamente plain vanilla, bensì indicizzata, strutturata, quando non subordinata. Infine, gli stessi soggetti sono titolari, insieme alle banche, di ingenti volumi di titoli di Stato che le banche sarebbero costrette a vendere in caso di crisi di liquidità generando la caduta dei prezzi e quindi del valore in mano agli stessi risparmiatori-clienti. Fermo restando che non vi sono presupposti per queste ipotesi di crisi (essendo ben 4

4 differente lo stato di difficoltà delle banche attualmente sotto osservazione e/o commissariate), il meccanismo individuato corre il rischio di costituire un fattore di rassicurazione nelle fasi di generazione del default, ma di rivelarsi inconsistente a fronte del reale manifestarsi degli eventi, rigenerando l esigenza degli interventi di bail out. 5. LE CARATTERISTICHE DEL SRM Dal punto di vista tecnico il Consiglio Europeo ha definito la creazione di un Comitato e di un Fondo. Sarà compito del Parlamento Europeo definirne la regolamentazione. Di fatto verranno trasferiti a livello comunitario i contributi nazionali di protezione, provvedendo in seguito alla gestione in forma mutualistica, nell arco di 10 anni, un periodo certamente necessario, ma non utile per la gestione dei problemi attuali dei bail in in essere. Ancor più precisamente, il sistema agirà in modo progressivo decrescendo le quote a carico del paese della banca in crisi e accrescendo quelle mutualistiche. In particolare, gli interventi del Fondo nel periodo transitorio saranno rimborsati dal settore bancario mediante prelievi finalizzati. Di fatto opereranno due meccanismi, uno di supervisione (SSM) già in vigore dal novembre 2013, ed uno di risoluzione (SRM) sopra descritto. La connessione tra i due dovrebbe evitare la necessità di negoziazioni davanti allo stato di crisi, il conflitto decisionale su singoli casi e favorire la gestione ex ante delle crisi, laddove i mercati percepissero la certezza della procedura di difesa del sistema. Appare interessante, per quanto potenzialmente rischiosa la previsione della partecipazione al SRM non solo dei Paesi di Eurozona, quanto anche di quelli Ue che aderissero con accordi di cooperazione bilaterali. Dal punto di vista procedurale, la decisione di intervento avviene attraverso due vie; la decisione della BCE nel definire lo stato di crisi oppure l intervento del board del SRM che disponga lo stato di difficoltà in seguito alla applicazione dei parametri definiti dal suo Regolamento. I temi in discussione riguardano ancora: - la definizione dello stato di potenziale crisi - la quantificazione dei parametri di probabilità della crisi (per interventi ex ante) - la struttura dei possibili schemi di soluzione delle crisi, in assenza dei quali vi sarebbe il rischio di una negoziazione in condizioni di stress, come nei casi finora occorsi. I poteri del board di SMR sono ampi e le sue decisioni entrano in vigore entro 24 ore dall assunzione, salvo decisioni a maggioranza del Consiglio Europeo o interventi della Commissione, casi augurabilmente estremi al fine di non decapitare la potestà del board, esaltando la opportuna separatezza fra scelte politiche e autonomia dei sistemi di Vigilanza. La struttura del board è ipotizzata con 23 membri (ad oggi): un direttore esecutivo, quattro membri a tempo pieno e i 18 rappresentanti dei paesi aderenti, al momento quelli di Eurozona. Le decisioni di intervento prevedono peraltro l azione di proposta del comitato esecutivo (5 membri) e dei rappresentanti dei paesi coinvolti, salvo il caso in cui la liquidità coinvolta nella decisione ecceda la quota del 20% del capitale disponibile del Fondo, oppure la ricapitalizzazione della banca in crisi superi il 10% dello stesso valore. Ulteriore coinvolgimento è previsto quando, nell anno solare, siano stati già impegnati 5mld. In tutti questi casi il board decide a maggioranza di 2/3 e tutti i Paesi hanno lo stesso peso salvo quelli che fossero rappresentati anche nel Direttorio. Questa quota peraltro deve rappresentare almeno il 50% dei contributi, il che innalza il potere dei principali membri. Ulteriormente, tuttavia, il board plenario potrebbe opporsi alla scelta del Direttorio a semplice maggioranza sia nel caso di utilizzo del fondo sia in quello (soprattutto nel periodo transitorio) di mutualizzazione dell intervento. È opportuno precisare un importante differenza fra SSM e SRM, laddove il primo coinvolge solo le banche maggiori sotto il profilo della vigilanza, mentre l intervento finanziario concerne tutto il sistema nazionale delle banche compreso le minori. In attesa di future modifiche strutturali, quindi anche banche popolari, Casse di Risparmio o Regionali e Banche di Credito Cooperativo sono coperte dagli interventi. È peraltro evidente il percorso (non ancora ben definito né accettato da molti) verso una maggiore armonizzazione delle regole nazionali che disciplinano governance, struttura, gestione e vigilanza di queste banche ancora molto numerose in diversi Paesi. Anche le banche centrali nazionali subiscono ingerenze progressive delle strutture comunitarie (BCE, EBA, SSM e SRM). In caso di carenza d azione, il potere di azione di quest ultima sarebbe prevalente, riproponendo i casi già registrati per Grecia e Cipro. L auspicio è che eventuali casi non abbiano luogo prima del 2016 quando le procedure saranno completamente in vigore (presupponendo il completamento di tutti i regolamenti richiesti e l approvazione dei Parlamenti nazionali per almeno l 80% 5

5 dei contributi). È opportuno sottolineare che questa previsione richiede l approvazione da parte di Germania e Francia il cui peso eccede la quota residua in ossequio all art. 114 del Trattato dell Unione. 6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Una prima valutazione comparativa con il modello di regolamentazione adottato negli Stati Uniti evidenzia la preferenza verso una scelta prudenziale in quella soluzione rispetto alla scelta della progettazione di un piano di intervento ex post nel modello europeo. Ciò non significa che quest ultimo manchi di un controllo ex ante, quanto che, per motivi di impostazione strutturale, i meccanismi comunitari risultano assegnati alla competenza di organismi differenti il che rende necessario un coordinamento nell eventuale azione, laddove si ripresentino condizioni di crisi. Il modello delineato con la Volcker Rule negli USA è assegnato nella UE alla competenza dell EBA, mentre il sistema SRM è gestito dalla BCE. Inoltre, la Rule è parte del Dodd-Frank Act, mentre le scelte comunitarie rispondono a normative differenti, forse bisognose di un coordinamento nella loro applicazione. Una considerazione successiva concerne la necessità di donare stabilità al sistema bancario dell Eurozona, che è sistema differente da quella della UE, con alcune importanti differenze relative ai sistemi britannici, svedesi, danesi, nonché degli altri 7 paesi non aderenti all Euro. Proprio per questa valutazione assume un rilievo determinante il risultato degli stress test programmati per l anno 2014, la cui attesa condizionerà l andamento gestionale e di vigilanza dell intero anno. L assetto dei bilanci appare ordinato nella gestione corrente con due fondamentali punti di incertezza: la debolezza potenziale del portafoglio crediti e la possibilità, ancora consentita, di operare largamente nell area degli strumenti derivati anche al di fuori della ordinaria funzione di copertura per i quali essi svolgono un ruolo fondamentale e ineliminabile. Il contesto attuale consente di agire con azioni transfrontaliere che potrebbero eludere le limitazioni imposte dall EBA alle banche maggiori. Si delineano pertanto tre scenari operativi: - quello adeguatamente regolato che esclude o pone sotto adeguato controllo l operato in aree individuate nella black-list, laddove la mancanza dello scambio di informazioni preclude le operazioni incrociate; - quello, al momento opaco o grigio nella sua configurazione, in condizioni nelle quali i diversi paesi appartengono ad aree conformi alla trasparenza, ma non al medesimo meccanismo di regulation e di vigilanza fra Paesi Europei, Ue e di Eurozona e quelli internazionali classificati nelle white list; quello interno all Eurozona per il quale varranno dopo il 2017 le regole delineate in queste note. Ne deriva l ipotesi potenziale che le banche comunitarie potrebbero trovarsi svantaggiate nell azione competitiva, suscitando la scelta di selezionare localizzazioni alternative, tra le quali la più privilegiata potrebbe risultare quella britannica, efficiente, consistente e riconosciuta come valida già da tempo dalle istituzioni di molti Paesi. Quanto sopra, qualora come già ricordato, paesi UE extra euro non aderissero al SRM. Peraltro, la banca è un impresa e come tale vive di gestione del rischio. Il banchiere deve paradossalmente preferire la possibilità di fallire, conoscendo peraltro quale ne sia il percorso e a quanto ammonti il costo del fallimento stesso. Deve conoscere ex ante le condizioni a lui imposte per gli interventi di bail in, nonché gli eventi e le condizioni (trigger events) per i quali scattano condizioni di bail out. Il tutto, al contrario della tendenza attuale, senza eccessi di regolamentazione o di vincoli meramente burocratici (over regulation). Inoltre, è opportuno sapere il prima possibile se nei prossimi anni avremo una Basilea 4 (cioè un nuovo Accordo) oppure un Pillar 4 (cioè un approfondimento dei pilastri già in essere). Un ultima considerazione riguarda l effettivo rischio di una futura condizione di crisi. Le condizioni attuali suscitano incertezza, senza alcuna indicazione circa la loro manifestazione più rischiosa in un prossimo futuro. Per questo appare prioritaria la definizione delle risoluzioni delle crisi, atteso il lungo percorso per l inquadramento dei criteri prudenziali e, più tecnico e conseguente, il trattamento delle situazioni di fallimento. Le crisi bancarie non possono evitarsi in assoluto; è invece utile ridurne la probabilità dell evento ed il costo della sua gestione. Su queste basi si debbono valutare con la dovuta efficacia le proposte in essere. *Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari, Università Parthenope di Napoli. 6

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