Analisi matematica 3 Corso di Ingegneria online

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1 Funzioni di più variabili Analisi matematica 3 Corso di Ingegneria online Argomenti del programma limiti, continuità derivabilità, differenziabilità 3 punti critici, estremi liberi 4 il teorema delle funzioni implicite 5 curve e superfici: definizioni 6 estremi vincolati 7 integrazione multipla, misura di Peano Jordan in R (cenni) 8 curve e superfici: calcolo integrale Il materiale esposto è tratto principalmente dai seguenti libri: ) M.Bramanti, C.D.Pagani, S.Salsa MATEMATICA, calcolo infinitesimale e algebra lineare, prima edizione Settembre, Zanichelli, (successivamente indicato con [BPS]) ) M.Bramanti, C.D.Pagani, S.Salsa MATEMATICA, calcolo infinitesimale e algebra lineare, seconda edizione Settembre 4, Zanichelli, (successivamente indicato con [BPS]) 3) M.Bertsch R.Dal Passo Lezioni di Analisi Matematica I Editrice Aracne oppure M.Bertsch R.Dal Passo Elementi di Analisi Matematica I Editrice Aracne, (successivamente indicati con [BD] e [BD]. È sufficiente solo uno dei due) Volta per volta verrà evidenziato quale dei precedenti volumi è stato usato. Inoltre si indicheranno quali esercizi studiare dalla raccolta pubblica (chiamata d ora in poi come esercizi in rete ) e consultabile al sito: Bisogna scaricare i file dal titolo ) funzioni di due variabili: continuita, differenziabilita, punti critici vincolati e non vincolati ) integrali curvilinei, doppi, tripli, superficiali, equazioni differenziali. Prima della stampa è necessario scaricare i due programmi gs6w3.ee e gsv34w3.ee Sebbene le presenti lezioni tendano a essere autoconsistenti è opportuno che ci si doti di uno dei libri [BPS], [BPS] oppure [BD]. Il libro [BD] tratta solo gli argomenti dei capitoli ), ) e 3). Gli esercizi con uno o più asterischi sono più difficili /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5

2 Limiti Il materiale è tratto da [BD]. In particolare si è usata la definizione di pag. 9 (7.) con alcune differenze. In [BD] gli autori usano l R e Ṙ in quanto vogliono trattare simultaneamente il caso l = ± e il caso in cui vada all infinito. Qui abbiamo separato lo studio di l finito e infinito. In [BPS] l argomento limiti è trattato nel capitolo 4.. In [BPS] l argomento limiti è trattato nel capitolo, paragrafi. e.. Si possono consultare gli esercizi ivi contenuti e per quel che riguarda gli esercizi in rete, vanno studiati tutti quelli in.7 tranne gli esercizi con uno o più asterischi. Questi ultimi possono essere studiati in seconda lettura. Sia dato lo spazio R n con n intero maggiore di uno. Indicheremo gli elementi di R n con = (,..., n ) oppure con y = (y,..., y n ). In R n è data la distanza euclidea fra due punti def = ( n ( i i )) /. Nella maggior parte dei casi faremo esempi con n =. È possibile che vengano usate altre distanze def def come y = i y i oppure y = ma i y i i n i= Con la parola distanza si intende una qualsiasi funzione ρ: R n R n [, + ) che soddisfa i seguenti requisiti standard: ) ρ(, y), ) ρ(, y) = = y 3) ρ(, y) = ρ(y, ), 4) ρ(, y) ρ(, z) + ρ(y, z) i= La nozione di distanza genera immediatamente la nozione di convergenza in R n. Data una successione { n }, essa converge ad, ( n n ) se ε n ε : n > n ε = n y < ε Dimostrare che n y se e solo se ( n ) k y k per ogni k =,..., n (convergenza componente per componente). Infatti se n y, allora essendo ( n ) k y k n y, dalla convergenza della successione segue la convergenza componente per componente. Viceversa da n y n ma ( n ) k k n y k segue che che la convergenza componente per componente implica la convergenza della successione. Esercizio Dimostrare che le tre distanze sono tutte equivalenti. In altre parole dimostrare che esistono delle costanti c, c, c 3, eventualmente dipendenti da n ma non da né da y, per cui y c y c y c 3 y Dimostrazione ) y c y è immediata con c = in quanto y è pari ad almeno una delle quantità i y i. ) y c y è pure immediata con c =. Infatti la disuguaglianza è equivalente a n i= ( i i ) ( n i= i i ) che è chiaramente vera. 3) y c 3 y è vera con c 3 = n. Innanzitutto se prendiamo i y i = j y j per ogni i e j otteniamo n y c 3 y e quindi c 3 deve almeno essere grande quanto n. Poi /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5

3 facciamo vedere per induzione che effettivamente la costante giusta è n. Per n = chiaramente c 3 =. Supponiamo ora che la disuguaglianza è vera per n n. Per n = n + dobbiamo far vedere che n + i= i y i ma i n + i y i. n + i= i y i = n i= i y i + n + y n + n ma i n i y i + n + y n + (n + ) ma i n + i y i = (n + ) y. Come si vede dalla dimostrazione, se il numero n delle componenti fosse infinito (spazi di dimensione infinita) l argomento non è più valido. In tal caso infatti non è più vero che le norme sono equivalenti Esercizio Trovare la minima costante per cui y c y per ogni e y Dimostrazione Applicando il risultato precedente troviamo c =. Per dimostrare che tale numero è il più piccolo possibile dobbiamo far vedere che se c < allora esistono o e y o tali che o y o > c o y o. Per facilitare i calcoli assumiamo y o =. Basta prendere o e o j = per j =,..., n. Esercizio Trovare la minima costante c per cui y + y c ( y ) + ( y ) Dimostrazione Potremmo applicare il risultato dell esercizio e scrivere y c 3 y c 3 c y = y ma non siamo sicuri che sia il numero più piccolo possibile ed infatti non lo è. Allo scopo prendiamo y = y = e otteniamo + c + Se = abbiamo c da cui c. Se possiamo dividere per ed ottenere + c +. Chiamando = t ed elevando al quadrato otteniamo + t + t c ( + t ) da cui t (c ) t + c per ogni t. Per t = abbiamo c e questo c era da aspettarselo. Cerchiamo ora il minimo in funzione di c della parabola t (c ) t + c e imponiamo che sia maggiore o uguale a zero. Il minimo della parabola ha t = c e l ordinata è (c ) da cui c. Dobbiamo far vedere ora che se prendiamo un numero positivo c <, troviamo una coppia ( o, o ) tale che + > c + Si può verificare che qualsiasi coppia (a, a) soddisfa la richiesta. Definizione. Dato o R n, e dato un numero reale positivo r, l insieme B o (r) def = { R n : o < r} si dice sfera aperta di centro o e raggio r. A volte la parola aperta viene omessa. L insieme B o (r) def = { R n : o r} si dice sfera chiusa di centro o e raggio r e si indica con B o (r). L insieme B o (r) def = { R n : o = r} si dice frontiera di B o (r) e si indica con B o (r). Sia ora E R,. Un punto y E è detto punto interno ad E se r > : B y (r) E L insieme dei punti interni ad E è indicato o E. La sfera aperta B (r) è chiaramente un insieme aperto. /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 3

4 L insieme vuoto per definizione è aperto. Definizione. La frontiera di E, E, è definita come l insieme dei punti (non necessariamente appartenenti a E) tali che qualunque sia la sfera aperta contenente il punto, tale sfera contiene sia punti di E che punti del complementare E c. In formule y E se r >, B y (r) E B y (r) E c Un punto y E può appartenere ad E così come al complementare. La frontiera della sfera aperta appartiene al complementare mentre la frontiera della sfera chiusa apppartiene alla sfera. Per definizione E = E c. Definizione.3 y è punto di accumulazione per E (in simboli y E ) se r > B y (r) E\{y} = In altre parole parole, ogni sfera aperta contenente y, deve contenere almeno un punto di E. In termini di successioni si traduce in { n } : n E, n n + y n o : n y n > n o Osservazione i) I punti interni sono di accumulazione. Viceversa i punti di accumulazione non è detto siano interni. Un punto di accumulazione, se non è interno, è di frontiera. Non è detto che se y E allora y E. Ad esempio la frontiera della sfera aperta è costituita da punti di accumulazione che non appartengono alla sfera aperta. Definizione.3 y E è punto isolato se r > : B y (r) E\{y} = Un punto isolato è necessariamente di frontiera. Un punto di frontiera o è di accumulazione o è isolato. Definizione.3 E E è detto chiusura di E e si indica con E. Dunque un insieme è detto chiuso se E E. Esempi E = B o (r) e prendiamo un punto che sta sul bordo della sfera aperta ossia un punto y tale che y o = r. Prendiamo una successione di punti tutti situati lungo il raggio che congiunge y a o e che converge a y. Tale successione soddisfa la richiesta della definizione e quindi y E Esercizio Dimostrare che sono equivalenti le affermazioni: ) E è chiuso, ) E E, 3) E c è aperto Dimostrazione ) = ). Siccome E è costituita da punti isolati o da punti di accumulazione, è immediato. ) = 3). Supponiamo E c non aperto. Vuol dire che esiste y E c tale che per B y (r) E per ogni r. Ma allora vuol dire che y o è punto interno ad E e questo è impossibile poiché y E c, oppure y E e questo pure è impossibile in quanto abbiamo assunto ) vera. 3) = ). Sia y E. Se y E abbiamo concluso. Se y E allora y E c ma questo è impossibile in quanto E c è aperto e quindi tutti i suoi punti sono interni e quindi y non può appartenere a E. /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 4

5 Essendo aperto, R è chiuso. Certamente R è aperto per cui è chiuso. Gli insiemi e R sono gli unici insiemi sia aperti che chiusi. Esercizio ) Dimostrare che E o = ( o E c) c o ( o ), ) E = E\ E, 3) E\ E =, 4) Dimostrare che E è un insieme chiuso ossia E = E, 5) dare almeno un esempio in cui E E e E E, 6) dire se ( o E) = E ed in caso negativo dare un esempio. Dimostrazione ) È come dire ( E o ) c = Ec. Il complementare di E o è dato dai punti interni di E c ( o ( E c ) ) e dai punti di frontiera ossia ( E o ) c ( o = E c ) E c = E c ) E = E o E. Se da E = E E passiamo a E = E o E, abbiamom tolto da E esattamente i punti di frontiera. o ( o ) 3) E\ E =. Ovvia. Se da E tolgo i suoi punti interni, il risultato è un insieme che non ha punti interni. 4) Sappiamo che E = E E per cui E = E se e solo se E = E ( E) e ci basta mostrare che ( E) = E. Per questo usiamo la definizione. y ( E) significa che r > B y (r) E, B y (r) ( E) c Sia z B y (r) E e sia ρ la distanza di z dalla frontiera di B y (r). Prendiamo ora B z (r ) con r < d. Siccome z E, succede che B z (r ) E e B z (r ) E c ossia y E. 5) Sia E R, E = { R: = n, n N}. Ogni punto è isolato ed inoltre E = {}. Ne segue E = E {}. 6) È chiaramente falsa. Sia E = {}. Ebbene o E = ma E = {}. Sia dato un insieme E. Dire se o (E) = ( o E). In caso contrario fornire un esempio. Risposta È falso. Sia E = Q R. Ebbene o E = mentre E = R. Dunque E = E E = E E. Inoltre i) E = o E E e ii) E = o E E. Una delle ultime due è sbagliata. Trovare quale e perché. La ii) è sbagliata in quanto non vi sono compresi i punti isolati. Esrcizio Dimostrare che E = E oppure dare degli esempi che contraddicono l affermazione. Dimostrazione Abbiamo E = ( E ) o o \ E = E\ E E\ E o = E da cui E E. L affermazione opposta è falsa. Sia E = Q e quindi Q = R e quindi E =. D altra parte E = R. Esercizio Dimostrare che (E ) = E oppure trovare un controesempio. Risposta È falsa. Vera è (E ) E e ciò segue facilmente dalla definizione. Chiaramente è falsa (E ) E. Sia E = { R : = n, n N}. E = {} e (E ) =. Esercizio Dimostrare che E = E ossia E è chiuso. Dimostrazione Sia { n } con n E e supponiamo che n y. In tal modo y E. Per definizione, dentro B n (r) c è per ogni r un elemento di E diverso da n, diciamo n. È chiaro che n y ossia y E da cui la tesi /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 5

6 Una seconda dimostrazione è la seguente. Sappiamo che E = o E E\{punti isolati di E} = E\{punti isolati di E}. Quindi E\{punti isolati di E} = E\{punti isolati di E} = E Esercizio Dato l insieme E = { R : = m +nm, n, m N}. Trovare E, E, o E, (E ), E Risposta E = { R : = n, n N} {}, E = E {}, o E =, (E ) = {}, E = E {}. Esercizio Dimostrare che se E è numerabile allora pure E è numerabile. Dimostrazione Consideriamo il caso in cui E R. Supponiamo che E non sia numerabile. Se un punto appartiene ad E o è un punto di accumulazione di E o è un punto isolato. Evidentemente solo la seconda è possibile. Facciamo vedere che dato un qualsiasi insieme E, l insieme dei punti isolati di E è al più numerabile. Sia quindi y E isolato. Abbiamo (a, b) y e (a, b) E =. Al posto di (a, b) prendiamo un intervallo aperto (α y, β y ) (a, b) tale che α y, β y Q. Poi definiamo f: R {insieme degli intervalli aperti}, f(y) = (α y, β y ). La funzione è iniettiva. Infatti se f(y) = f(z) allora (α y, β y ) = (α z, β z ) il che implica y = z in quanto, essendo y e z punti isolati, all interno di (α y, β y ) non devono esserci altri punti di E all infuori di y e lo stesso per (α z, β z ). Siccome l insieme degli intervalli cui entrambe gli estremi sono razionali è numerabile, è numerabile anche il dominio della funzione ossia la tesi. Esercizio Dire quali delle seguenti affermazioni è vera e quale falsa. Quelle vere dimostrarle mentre per o quelle false fornire un controesempio: ) (A B) = A o B, o o ) (A B) = A o B, o 3) A B = A B, 4) A B = A B, 5) (A B) = A B, 6) (A B) = A B Esercizio Sia A una famiglia di indici non necessariamente numerabile e sia {E α } una famiglia di insiemi o aperti E α = E α. Dimostrare E α è aperto. α A Esercizio Sia {E k } k una famiglia di aperti. ) Dimostrare che l intersezione di un numero finito di aperti è un insieme aperto. ) dimostrare che k E k è aperto ovvero trovare un controesempio. /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 6

7 Sia data ora una funzione f: E R, f = f() Definizione.4 Sia o E e l R. Diremo che lim o f() = l (f() o l) se ε > δ ε : B o (δ ε ) E\{ o } f() l) < ε Per l = + si ha lim o f() = + se M R δ ε : B o (δ ε ) E\{ o } f() > M Per l = si ha lim o f() = se M R δ ε : B o (δ ε ) E\{ o } f() < M Osservazioni i) La scrittura B o (δ ε ) E\{ o } vuol dire che: o < δ ε e E\{ o } (qualora o E, l ultima parte \{ o } è superflua. Metterla contempla tutti i casi). ii) B o (δ ε ) E tiene conto del fatto che una funzione potrebbe non essere definita in tutto un intorno del punto o. Ad esempio si consideri la funzione f: E R R f(, ) = E = { R :,, (, ) (, )} (il primo quadrante con esclusione dell origine). iii) Da un punto di vista grafico, lim o f() = l vuol dire che più ci si avvicina al punto o e più ci si avvicina al valore l in ordinate (esattamente come nelle funzioni di una variabile). Porre attenzione al fatto che il valore della funzione in o (che potrebbe neppure esistere se o E) non ha alcuna importanza. iv) Se E = R n allora diremo che lim o f() = l se ε > δ ε : o < δ ε, o f() l < ε ed analogamente se l = ± v) La definizione di limite nel caso in cui va all infinito è la seguente: lim + f() = l se ε > M ε t.c. { R n : > M ε } E f() l < ε. Proprietà dei limiti P Il limite, qualora esista, è unico P Se lim y f() = l R e lim y g() = l R allora lim y (f + g)() = l + l (la somma dei limiti è il limite della somma) l = +, l = + l + l = +, l =, l = l + l =, l = +, l = oppure l =, l = + allora l + l è indeterminato se l R e l = ± allora l + l = ± P3 Se lim y f() = l e lim y g() = l allora lim y (f g)() = l l (il prodotto dei limiti è il limite del prodotto) l = ±, l = ± l l = +, l = ±, l = l l =, l = ±, l = oppure l = l = ± allora è indeterminata se l R e l = ± allora l l = + P4 Se lim y f() = l e lim y g() = l allora lim y ( f g )() = l l del quoziente) (il quoziente dei limiti è il limite P5 Siano date f: E R n R e g: R R g = g(y). Sia o E un punto in cui la funzione f ammette limite l (finito o infinito) ed inoltre supponiamo che esiste una sfera B o (r) tale che f() l per ogni B o (r) (si dice che f è definitivamente diversa da l). Supponiamo inoltre che lim y l g(y) = l. Allora la funzione (g f)() ammette limite l in o ossia lim o (g f)() = l P6 lim y f() = l per ogni successione { k } tale che k k + y si ha y k = f( k ) k + l. La P6 (conosciuta anche come Teorema ponte ) implica che se indichiamo con S E un sottoinsieme di E tale che y S, e se indichiamo con f S la restrizione di f a S, deve accadere che lim y f S = l Osservazioni i) Per capire l importanza in P5 della limitazione f() l definitivamente, si considerino { { l y = l le due funzioni per l : f: R R e g: R R f() = + l <, g(y) = y y l /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a def

8 , g f() = { + l <.Si vede che f() ammette limite in ogni punto e g(y) ammette limite per y l e vale l. f però viola la condizione di essere definitivamente diversa dal valore l ed infatti la funzione g f non ammette limite in nessun punto che sia del tipo (, ) ii) Un altro esempio, anche più semplice del precedente, è dato da f(, ) = + { { e g(y) = l y = l y y con l. Si ottiene (g f)(, ) = + = + +. Come si vede la funzione g f ammette limite in tutti i punti tranne quelli della circonferenza di raggio. Se infatti prendiamo un sfera B o (r) dove ( o, y o ) = (cos ϑ o, sin ϑ o ) accade che se B o (r) ma (cos ϑ, sin ϑ) allora (g f)() = + def = e per o, f(). Se però prendiamo B o (r) e (, ) = (cos ϑ, sin ϑ) allora (g f)() l. Il limite dunque non esiste nei punti della circonferenza di raggio. La ragione è dovuta al fatto che, dato un qualsiasi punto con + =, non è vero che la funzione f(, ) = è definitivamente diversa dal valore o in un intorno di o. Infatti f( o cos ϑ, o sin ϑ) = o per qualsiasi valore di ϑ. z = z + z = + g(y) l f()= + (,) y vista dall alto (g f)() = + l=(g f)() (g f)()= + (,) È chiaro che se si fosse definita g(y) = { l y = yo y y y o con l y o e y o >, il resto tutto uguale, la nuova funzione g f non avrebbe ammesso limite sull insieme + = y o. D altro canto sia f() che (g f)() ammettono limite nel punto = (, ) in quanto f(, ) = + è definitivamente diversa dal valore zero in un qualsiasi intorno dell origine privato dell origine stessa. iii) Tali esempi sono delle generalizzazioni di esempi analoghi per funzioni di una variabile. Si consideri { { { > + g() = =, f() =, (g f)() = + > Dimostrazione Dimostriamo la P. Supponiamo che l l ed entrambi finiti. Abbiamo = f() /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 8

9 f() = (f() l )+(l l)+(l f() l l (f() l ) (f() l). Ora scegliamo B o (δ l l ) 4 e quindi si ottiene l l l l = l l che è impossibile Sia ora l = + mentre l è finito. Abbiamo f() = (f() l) + l. Ora per B o (δ A ), A >, abbiamo f() l < A e quindi f() A + l. Ma questo è impossibile in quanto essendo l = +, B o (δ M ) implica f() > M. Quindi all interno del più piccolo fra B o (δ A ) e B o (δ M ) abbiamo f() A + l e contemporaneamente f() > M. Dimostrazione di P6 Supponiamo che lim o f() = l R e sia { k } una successione tale che k k + o. Sappiamo che data una sfera B (δ o ε ), se k o è abbastanza grande, k B o (δ ε ) per def ogni k > k o e quindi f( k ) l < ε. Viceversa supponiamo ora che y k = f( k ) l. per ogni k + successione { k } tale che k k + o. Procediamo per assurdo e supponiamo che il limite della funzione non sia l. Vuol dire che ε > t.c. δ > δ B o (δ) E\{ o } t.c. f( δ ) l ε. Prendiamo allora la successione {δ } e corrispondentemente la successione { n n } def =. Si ha n n n + o ma corrispondentemente abbiamo f( n ) l ε e questo è in contrasto con il fatto che y k = f( k ) l Dimostrazione di P5. Per ipotesi sappiamo che ε > δ ε t.c. y l < δ ε y l f(y) l < ε e che ε > δ ε : B o (δ ε ) E\{ o } f() f( o ) < ε e f() l definitivamente. Ora prendiamo B o (δ δε ) E\{ o } e ne consegue che g(f()) l < ε. Il fatto che f() l definitivamente implica che l argomento di g(y) sarà definitivamente diverso da l come richiesto nella definizione di limite. Esempi E Sia data la funzione f: E R R, f() = { + < = E = { R : }. Prendiamo un punto y interno a E. Chiaramente il limite in y si può fare e vale y + y. Sia ora y E. Anche in questo caso si può fare il limite e vale y + y. + sin E f() = In questo caso non si può fare il limite nei punti con = = a causa della presenza di sin. La dimostrazione di ciò fa uso della proprietà P6. Sia infatti { k } = {(a, π +kπ )} una successione tale k (a, ). La funzione sulla successione vale f(a, ( ) k ) = a + e quindi lim n + f(a, ( ) k ) = a +. Se d altro canto prendessimo un altra successione {y k } = {(a, )}, avremmo lim 3π +kπ n + f(a, (y ) k ) = a. Poiché y (a, ) ne segue che la funzione non k ammette limite in un qualsiasi punto (a, ). E3 f(, ) = + il cui dominio è R \{(, )} e si voglia sapere in quali punti la funzione ammette limite. Se il punto (y, y ) è diverso dall origine, certamente la funzione ammette limite l = y y. y +y Questo accade per i teoremi generali sui limiti di funzioni scritti prima. Basta osservare che e + sono polinomi e che fuori dall origine +. Nell origine quest ultima condizione cade e quindi non si può applicare la proprietà P4). Quando non è possibile usare teoremi generali bisogna andare ad investigare con dei conti specifici il comportamento della funzione. Essendo la funzione il rapporto di due polinomi aventi uguale grado è ragionevole aspettarsi che la funzione non ammetta limite. Ed infatti se consideriamo le infinite restrizioni (ne basterebbero due) f(, m) = m +m vediamo che il limite della funzione dipende da m e quindi non può esistere. /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 9

10 Continuità Sia data sempre f: E R n R e prendiamo E. Se è un punto isolato di E (.) allora per definizione la funzione è continua. Definizione.5 è continua in y Se ε > δ ε : B o (δ ε ) E f() f( ) < ε allora si dice che la funzione Osservazioni i) rispetto alla definizione di limite le differenze sono due. La prima è che f(y) (presente al posto di l) deve essere finito. La seconda è che stavolta si considera una sfera aperta con centro in senza escludere o stesso. ii) se una funzione è continua in un punto ammette di certo limite in quel punto iii) Se una funzione è continua in ogni punto del suo dominio è detta continua Le proprietà P P6 si estendono alle funzioni continue. Per quanto riguarda la P5 è chiaro che non ha senso dire che f è definitivamente diversa da f( o )) Esempi E Sia data la funzione di una variabile f: E R R f = f() e consideriamola come funzione di un certo numero n di variabili. Dunque abbiamo una funzione F : E R n R tale che F (,,..., n ) = f( ). È evidente che se la funzione f( ) è continua in, la funzione F () è continua nell insieme { } R n. E Con l esempio E) e le proprietà P) e P3) dei limiti (estendibili alle funzioni continue) si di dimostra che i polinomi di n variabili sono funzioni continue. Sia infatti P () = M M k =N k =N a k,k k k un polinomio di due variabili (con un numero di variabili maggiori è lo stesso). Con la P dimostriamo che se ciascun elemento a k,k a k,k k k è continuo, tutta la somma è continua. Con la P3 dimostriamo che se k e k sono continue anche il prodotto lo è. Ora i monomi appena scritti sono continui grazie all esempio E). E3 la proprietà P5) ci consente di dire che molte (quasi tutte) le funzioni che incontreremo sono continue. Ad esempio la funzione f(, ): R R = sin( ) è continua in tutto il dominio. Così pure la funzione f(,, 3 ): R 3 R f(,, 3 ) = e 3 3. E4 la proprietà P6 è utile nel dimostrare quando una funzione non è continua in un punto. Sia data ad esempio la funzione f(, ) = + (, ) (, ) e se ne voglia studiare la continuità nel (, ) = (, ) suo dominio che è R. Se il punto (y, y ) è diverso dall origine, certamente la funzione è continua. Ciò deriva dall esempio E3 scritto prima osservando che l = f(, ). Nell origine, non esistendo il limite, la funzione non può essere continua. Vedremo in seguito che sarà necessario considerare funzioni vettoriali ossia funzioni del tipo f: E R n R m e m >. Le definizioni di limiti e continuità sono le stesse solo che ora, nello spazio di arrivo della funzione, vanno considerati sfere aperte e non più intervalli aperti. Ad esempio lim o f() = l y E, vuol dire che ε > δ ε : B o (δ ε ) E\{ o } f() l < ε e per la continuità accade (.) Dicesi y punto isolato di E se esiste una sfera aperta contenente y e nessun altro punto di E. Un punto isolato di E appartiene a E /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5

11 lo stesso (.). Si dimostra che la nozione di limite è equivalente a dimostrare che lim o f k () = l k per ogni k ossia la convergenza di f() verso l avviene componente per componente. Abbiamo in altre parole il seguente Teorema. lim o f() = l se e solo se lim o f k () = l k per ogni k Dimostrazione Sia lim o f() = l. Poiché f k () l k f() l segue che B o (δ ε ) E\{ o } f k () l k < ε. Viceversa supponiamo che lim o f k () = l k per ogni k ossia ε n > δ(k) ε : n B o (δ (k) ε ) E\{ n o } f k () l k < ε n (si noti che δ(k) ε n dipende da k). Si prenda ora Per B o (δ ε ) E\{ o } abbiamo f() l n k= f k () l k < n ε n = ε. min k n δ(k) def ε n Ricordiamo qui la definizione di insieme compatto (K) di R n. Un insieme K R n è detto compatto se da ogni successione { (k) } K si può estrarre una sottosuccessione { (n k) } convergente in K ossia tale che lim k + (n k) = y K. Questa è solo una delle definizioni di insieme compatto in R n. Un altra possibile è quella che segue. Sia {O α } una famiglia (non necessariamente numerabile) di aperti per cui K α O α. La famiglia di aperti è detta un ricoprimento di K. Ebbene si ha Proposizione. Un insieme è compatto se da ogni ricoprimento costituito da insiemi aperti si può estrarre un sottoricoprimento finito. Una seconda proposizione è Proposizione. In R n un insieme è compatto (assumiamo la compattezza per successioni) se e solo se è chiuso e limitato. Dimostrazione Sia K R n compatto. Facciamo vedere che è limitato. Supponiamo che non lo sia e e quindi n N n : n. Costruiamo allora una successione di punti in modo tale che n n e j i per ogni i, j. Dalla successione così ottenuta e che chiamiamo { n }, non si può estrarre nessuna sottosuccessione convergente dal momento che tutti i punti della successione distano fra loro almeno. Facciamo ora vedere che K è chiuso. Sia quindi K e quindi esiste una successione { n } K tale che n. Essendo K compatto, da { n } possiamo estrarre una sottocuccessione { nk } che converge ad un punto di K. Ma allora anche la successione converge allo stesso punto ossia K in quanto se una successione converge, tutte le sue sottosuccessini convergono allo stesso limite. Facciamo vedere ora che se un insieme K è chiuso e limitato allora è compatto. Sia quindi { n } K con K chiuso e limitato. Sia { nk } { n } una sottosuccessione di { n }. Per Bolzano Weierstrass, essendo K limitato, la sottosuccessione { nk } converge ad un valore che chiamiamo che quindi è punto di accumulazione di K. Siccome K è chiuso K e quindi K è compatto. Esercizio*** Sia dato un insieme compatto. Si individui una famiglia numerabile di insiemi aperti O k tale che: ) K O k, O k+ O k, k= O k = K Esercizio*** Sia E un insieme aperto in R n. Dimostrare che esiste una successione di insiemi compatti {K i, i } tale che: K i E, K i K i+, i K i = E Teorema. Sia f: K R una funzione continua e K R n un insieme compatto. Allora Im(f) è un sottoinsieme compatto si R = δ ε. (.) È chiaro che f() l =( m k= (f k() l k ) ) / /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5

12 Dimostrazione Si consideri una successione {y (k) } Im(f) e quindi y (k) = f( (k) ). Poi si consideri { (k) } K. Essendo K compatto si può estrarre una sottosuccessione { (nk) } convergente a ξ K. Dalla continuità della funzione f segue che f( (nk) ) f(ξ) ed inoltre ξ Im(f) da cui la tesi. k + Su [BD] gli esercizi da studiare sono tutti quelli del capitolo 7.. Per quel che riguarda gli esercizi in rete quelli da studiare sono:.7 tutti, 4.7 tutti. Non è strettamente necessario studiarli tutti ma un numero sufficiente per poterne risolvere senza l ausilio delle soluzioni. Su [BPS] gli esercizi sono: esempio 4. pag. 353, esempi 4., 4.3 pag. 354, esercizi da 3 a 8 a pag In [BPS] gli esercizi sono: ). e. pag.43 44, ) pag.45 46, 3) /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5

13 derivabilità, differenziabilità Il materiale è essenzialmente preso da [BD]. Le pagine sono da 36 a 335. Il libro dà una definizione di differenziabilità a pagina 33 in cui introdice il vettore a (fare attenzione in quanto nella formula (7.8) vi è un, certamente errore di stampa). Al suo posto deve esservi un o piccolo. Successivamente nel corollario 7. gli autori dimostrano che a = f() ( f() è da loro chiamato f()) come conseguenza della ii) del teorema. Per questa ragione, nelle presenti note, si è partiti con f() da subito nella definizione di differenziabilità. Il teorema 7. è qui suddiviso in: la parte i) corrisponde al nostro Teorema.. La iii) corrisponde al Teorema.. Il Teorema.4 (di Lagrange) corrisponde alla parte ii) del Teorema 7.4 di [BD] e il corollario. corrisponde alla prima osservazione di pag.39. Nell esercizio a pag. 335, deve esservi 6 al posto di + 6 (errore poi corretto in [BD]). Consideriamo una funzione f: E R n R sia y o E che supponiamo essere non vuoto. Definizione. Il limite lim t t (f(,,..., j, j +t, j+,..., n ) f()) è la derivata parziale rispetto a j j n della funzione calcolata nel punto. Una funzione è derivabile in se ammette tutte le derivate parziali in f La derivata parziale j esima può essere scritta anche come j f(), j f(), f j (), j (), D ej f(). Il vettore dato da tutte le n derivate parziali verrà scritto come f() ed è detto gradiente (in ). Le derivate parziali sono un caso particolare delle derivate direzionali Definizione. Dato il vettore v = (v, v,..., v n ) tale che v + v +... v n =. Il limite lim t t (f( + v t, + v t,..., n + v nt) f()) dicesi derivata direzionale della funzione nel punto Osservazioni i) Abbreviando si scrive lim t t (f( + tv) f()). La derivata direzionale in (che si badi bene è un numero reale e non un vettore) si indica talvolta con D v f(). Con v = (,...,,,..., ) ( al j-esimo posto) si ottiene f j. L espressione + tv rappresenta l equazione parametrica della retta passante per ed avente direzione data da v. Quindi, al variare di t, f( + v t, + v t,..., n + v n t) def = f( + tv) è l insieme dei valori delle ordinate della funzione quando ci si muove sulla retta in questione. Definizione.3 Una funzione è differenziabile in se accade che lim h h (f(+h) f() f() h)) =. Se una funzione è differenziabile in ogni punto del suo dominio si dice che è differenziabile Se una funzione è differenziabile in vuol dire che f( + h) = f() + f() h + o( h ). Il limite nella definizione. è n dimensionale sul piano h. È importante notare che per funzioni di più variabili il concetto di derivabilità è ben distinto da quello di differenziabilità. In particolare sussiste il Teorema. Se una funzione è differenziabile in ammette tutte le derivate direzionali e quindi è derivabile. Inoltre la derivata direzionale è data da D v f() = f() v Dimostrazione Essendo la funzione differenziabile abbiamo f( + h) f() = ( f()) h + o( h ). Prendendo h = tv con v = otteniamo f( + h) f() = t( f()) v + o( t ). Se ora si divide tutto per t e si manda t a zero si ottiene: a sinistra f(+tv) f() t e a destra f() v Osservazione La formula D v f() = f() v ci dice che la direzione del gradiente fornisce la direzione di massima ascesa e discesa. Infatti f() v f() v cos ϑ dove ϑ è l angolo fra i due vettori. /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 3

14 Il coseno è minire o uguale a e vale esattamente quando v è parallelo a f() ed ha lo stesso verso. In tal caso f() f() = f() Se invece il verso è opposto allora f() ( f()) = f() Il viceversa non è vero ossia esistono funzioni che sono, ad esempio, derivabili in un punto ma non sono differenziabili nello stesso punto (si guardino le funzioni f e f dell esercizio..7). Sussiste anche il seguente Teorema. Se una funzione è differenziabile in allora è ivi continua Dimostrazione La stessa di prima osservando che la quantità f( + h) f() tende a zero quando h tende a zero. Il Teorema seguente fornisce delle condizioni sufficienti per sapere quando una funzione è differenziabile Teorema.3 Se una funzione ammette derivate parziali in ogni punto di una sfera aperta contenente ed inoltre tali derivate sono continue in allora la funzione è in quel punto differenziabile Dimostrazione Ci mettiamo nel caso di n =. Dobbiamo far vedere che lim h h (f(+h) f() f() h)) =. Scriviamo l identità f( + h) f() f() = (f( + h, + h ) f( + h, )) + (f( + h, ) f(, )) f() h. Il teorema del valor medio per funzioni di una variabile dà f( + h, + h ) f( + h, ) = f ( + h, ξ )h dove < ξ < + h e f( + h, ) f(, ) = f (ξ, )h dove < ξ < + h. Riunendo il tutto si ottiene f ( +h, ξ )h +f (ξ, )h f() h = h (f (ξ, ) f (, ))+h (f ( + h, ξ ) f (, )). Dividiamo il tutto per h e tenendo conto del fatto che h i h i =,, otteniamo h (f( + h) f() f() h)) (f (ξ, ) f (, )) + (f ( + h, ξ ) f (, )) Quest ultima quantità tende a zero quando h in virtù della continuità delle derivate parziali. Osservazione i) Come dovrebbe essere chiaro, per funzioni di due o più variabili, la differenziabilità è il concetto importante rispetto alla derivabilità (.). Si possono dare infatti delle funzioni di due o più variabili che sono derivabili in un punto ma: ) sono continue oppure non continue; ) sono continue, derivabili ma non differenziabili. Per alcuni esempi concreti si può consultare gli esercizi in rete. ii) Il teorema.3 costituisce una condizione sufficiente (non necessaria) per avere la differenziabilità ossia può aversi una funzione differenziabile ovunque ma le derivate sono discontinue. L esempio in una sin variabile, dove la differenziabilità equivale alla derivabilità, è f() =. In due = y sin variabili è f() = + y (, y) (, ) iii) Notare come nell ipotesi del teorema sia (, y) = (, ) inevitabile che le derivate prime esistano non solo in ma in una sfera aperta intorno a. iv) Una (.) Vale la pena notare che per funzioni di una variabile i concetti di derivabilità e differenziabilità coincidono ossia una funzione è differenziabile se e solo se è derivabile. Per dimostrare l equivalenza dei due concetti cominciamo a supporre che una funzione di una variabile f() dia derivabile in o. Vuol dire che lim o f() f(o) o =f ( o ) e quindi f() f( o) =f ( o o )+o() da cui f() f( o )=f ( o )( o )+o()( o ). Ne segue che f() f( o) f (o)( o) =o() e dunque per o o si ottiene. Se viceversa supponiamo che la funzione è differenziabile in o, la derivabilità segue esattamente come nel caso delle funzioni di più variabili /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 4

15 funzione f ha derivate parziali prime continue in ogni punto di un insieme E si indica con f C (E) Per le funzioni differenziabili valgono le seguenti proprietà : P (f + g)() = f() + g(), P (f g)() = g() f() + f() g(), P3 ( f g )() = g() f() f() g() g (), P4 Sia f: A (a, b) R (A = o A R n ) differenziabile e sia g: (a, b) R derivabile. Allora (g f)() = g (f()) f(). Notare che dal puntoi di vista dimensionale, g (f()) è un numero. Dal Teorema. segue che la direzione individuata nel piano R n da f() è la direzione di massima crescita in quel punto in. Infatti f( + tv) = f( o ) + D v f() + o( t ) e quindi f( + tv) f( o ) = t f() v +o( t ) e quindi la differenza f(+tv) f( o ) è tanto più grande quanto più grande è f() v. Si deve prendere quindi v = f() f() Analizzando la definizione. si vede che quando h, la grandezza f() + f() h costituisce la approssimazione alla funzione nell intorno di a meno di o( h ). Se con h indichiamo o, la relazione z = f( o )+ f( o ) ( o ) è l equazione di un piano passante per il punto ( o, f( o )) e detto piano tangente. Si noti l analogia con le funzioni di una variabile a proposito della retta tangente. Un altra caratteristica importante del gradiente è il fatto che esso è ortogonale alla curve di livello (si veda il capitolo 5). A tal proposito va detto che se una funzione è solo derivabile in un punto (ad esempio l origine) ma non differenziabile, si può certamente definire la quantità f() + f() h. Ciò non vuol dire che esiste il f(h) f() f() h piano tangente in quanto non è verificata la relazione lim h h =. È questa una delle differenze maggiori rispetto alle funzioni di una variabile perché in quel caso l esistenza della derivata f( equivale a lim o +h) f( o ) f ( o )h h h = e quindi si può definire la retta tangente y Si prenda ad esempio la funzione f() = + y Si può verificare che è continua nell origine e che le derivate parziali sono entrambe uguali a zero. Il presunto piano tangente avrebbe f(h) f() f() h h quindi equazione z =. Dovrebbe però essere lim h h = lim h h = e questo h +h è impossibile non appena ci si mette lungo la restrizione h = h. Teorema.3. (della derivata di funzione composta) Data f: E R n R, differenziabile, E = o E e convesso (.). Sia inoltre (t): R n A un vettore ad n componenti costituito da funzioni derivabili. Allora detta h(t) = f( (t),..., n (t)). = f((t), vale la seguente regola h (t) = f() (t) Dimostrazione La differenziabilità ci dà f((t + h)) = f((t)) + f((t)) ((t + h) (t)) + o( (t + h) (t)) ) Dividiamo per h e mandiamo h. Otteniamo f((t + h)) f((t)) t = f((t)) (t) + o( (t + h) (t)) ) h f((t)) (t) (.) Un insieme A= o A Rn è convesso se per ogni A e y A il segmento t+( t)y A dove <t< /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 5

16 Teorema.4 (del valor medio o di Lagrange) Data f: E R n R, differenziabile, E = E o e convesso. È verificata la relazione f(y) f() = f(ξ) (y ) dove ξ appartiene al segmento congiungente e y (indicato con [, y]) Dimostrazione Definiamo la funzione h(t) = f(ty + ( t)). Si badi che h(t) è una funzione di una variabile. h() = f(y), h() = f(). h è derivabile e quindi possiamo applicare il Teorema di Lagrange per cui h() h() = h (ξ) ( ) dove < τ <. Dal teorema precedente otteniamo h (τ) = f(τy + ( τ)) (y ) e quindi h() h() = f(τy + ( τ)) (y ), < τ < da cui il risultato. Corollario. (del Teorema di Lagrange) allora f() è costante in E. Sia E = o E e convesso. Se f() = per ogni E Dimostrazione Supponiamo che esistano due punti e y tali che f() f(y). Vuol dire che h() h() = f(τy + ( τ)) (y ) = e questo è impossibile. Derivate di ordine superiore Se la funzione lo consente, una volta derivato, si può derivare altre volte; tante più volte quanto più la funzione è regolare. Avendo cioè le funzioni f j (), ci si può porre la domanda se le funzioni sono a loro volta derivabili, differenziabili etc. Definizione.4 Se una funzione f() è differenziabile in ogni punto di una sfera aperta contenente il punto e le derivate parziali sono ancora differenziabili in, si dice che la funzione è due volte differenziabile in. Per estensione se una funzione è differenziabile k volte in una sfera aperta contenente il punto e e le derivate k esime sono differenziabili nel punto si dice che la funzione è k volte differenziabile in. Se le derivate parziali k esime sono continue in E si dice che f C k (E) Le derivate seconde della funzione f i () sono date da f i (),..., f i n (). Ad esempio f i j () = lim t t (f i (,..., j, j + t, j+,..., n ) f i (,,..., n )) Del Lemma di Schwarz diamo due dimostrazioni (sotto due ipotesi diverse). Lo studente/ssa ne studi una, quella che preferisce. Lemma. (di Schwarz, prima dimostrazione) Se una funzione ammette derivate parziali seconde miste f i j (), f j i () continue in un punto interno y, esse sono uguali Dimostrazione f i j (y) = lim (f tj t i (y + t j e j ) f i (y)) = lim lim (f(y + t j tj t i t i t j e j + t i e i ) f(y + j t j e j ) (f(y +t i e i ) f(y)). Detta P (t i ) def = f(y +t j e j +t i e i ) f(y +t i e i ), la quantità dentro i due limiti è P (t i ) P () = P (τ i )t i, < τ i (t i ) < t i per il Teorema di Lagrange che possiamo applicare in quanto la funzione è derivabile rispetto a i in un intorno del punto y. P (τ i ) = t i (f i (y+τ i e i +t j e j ) f i (y+τ i e i )). Definiamo ora Q(t j ) def = f i (y+τ i e i +t j e j ) per cui t i P (τ i ) = t i (Q(t j ) Q()) = t j t i Q (τ j ) = t i t j f i j (y+ τ j e j +τ i e i ). Si usa di nuovo il Teorema di Lagrange in quanto f i è a sua volta derivabile in un intorno di y; inoltre abbiamo < τ j (t j ) < t j. Ora dividiamo tutto per t i t j e mandiamo (t i, t j ) (, ) ottenendo lim f (t i,t j ) (,) i j (y + τ j e j + τ i e i ) = f i j (y) in quanto le derivate miste sono continue in y. Ripetendo il ragionamento invertendo t i e t j otteniamo l altra derivata. Osservazioni /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 6

17 i) notare che il limite da eseguire è (t i, t j ) (, ) e non prima t j e poi t i o viceversa. Quest ultimo limite potrebbe anche non esistere ii) Poiché bisogna calcolare f i j (y) e quindi eseguire f i j, si potrebbe pensare che la derivata f i () debba essere continua in y sulla scorta del teorema per funzioni di una variabile secondo cui se una funzione è derivabile in un punto deve essere continua in quel punto. Invertendo il ruolo di i e j, la stessa cosa si può pensare della derivata f j dovendoci fare sopra la derivata rispetto a i. Così non è e quindi si dia un esempio di funzione di due variabili che verifica le ipotesi del Teorema di Schwarz ma almeno una delle due derivate parziali prime non è continua in y. iii) non si richiede che la funzione sia differenziabile in y né una volta né, tantomeno, due volte. Si dia un esempio quindi di funzione: ) non differenziabile una volta in y per cui vale il teorema ) differenziabile una volta in un intorno di y ma non due volte in y per cui vale il teorema. Lemma. (di Schwarz, seconda dimostrazione) y allora f i j (y) = f j i (y) Se una funzione è differenziabile due volte in Dimostrazione f i j (y) = lim (f tj t i (y + t j e j ) f i (y)) = lim lim (f(y + t j tj t i t i t j e j + t i e i ) f(y + j t j e j ) (f(y +t i e i ) f(y)). Detta P (t i ) def = f(y +t j e j +t i e i ) f(y +t i e i ), la quantità dentro i due limiti è P (t i ) P () = P (τ i )t i, < τ i (t i ) < t i per il Teorema di Lagrange che possiamo applicare in quanto la funzione è derivabile rispetto a i in un intorno del punto y (.3) P (τ i ) = t i (f i (y + τ i e i + t j e j ) f i (y + τ i e i )). Fino a qui la dimostrazione è la stessa di prima. Ora però non possiamo usare di nuovo il teorema di Lagrange in quanto, per le ipotesi date, sappiamo che le derivate seconde esistono solo se calcolate in y. Sappiamo però che le derivate sono funzioni differenziabili in y e quindi f i (y + τ i e i + t j e j ) = f i (y)+ f i (y) (τ i e i +t j e j )+o( τ i + t j ) e f i (y +τ i e i ) = f i (y)+ f i (y) (τ i e i )+o( τ i ). Sottraendo e moltiplicando per t i otteniamo t i ( f i (y))t j e j +o( τ i + t j )+o( τ i ) Ora prendiamo t i = t j e dividiamo tutto per t i. Otteniamo f i j (y)) + o( τ i + t i ) t i Essendo o( τ i + t i ) t i o( τ i + t i ) τ i + t i τ i + t i t i + o( τ i ) t i. Di questa espressione facciamo il limite t j. il limite è f i j (y). o( τ i + t i ) τ i + t i Invertendo i ruoli di t i e t j otteniamo lo stesso risultato da cui la uguaglianza delle derivate seconde. Osservazione i) non si richiede che le derivate miste siano continue. Dare quindi un esempio di funzione che soddisfa le ipotesi della seconda dimostrazione ma ha almeno una delle derivate miste discontinua nell origine. Esercizio Data la funzione (Peano) f(, y) = derivate parziali miste calcolate nell origine. y y + y = si dica se sono uguali o meno le Definizione.5 Sia data una funzione f: E R n R differenziabile un numero sufficiente di volte. Definiamo le seguenti grandezze df( o ) def = n i= f i ( o )d i, d f( o ) def = n i,j= f i j ( o )d i d j, d k f( o ) = n i,i,...,i k = f i..., ik ( o )d i... d ik rispettivamente il differenziale di ordine,, etc.. Si può anche scrivere h i al posto di d i. (.3) deriva dal fatto che differenziabile due volte in y significa che la funzione è differenziabile una volta nell intorno di y e ciascuna derivata è differenziabile una volta in y /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 7

18 Sussiste il seguente Teorema (di Taylor per funzioni di più variabili) Teorema.5 Sia f: E R n R m volte differenziabile in E. Sia h R n tale che il segmento [, + h] E (.4). Vale allora f( + h) = f() + m d k f() k= k! + o( h m ) per h. Inoltre ) f() + m d k f() k= k! è l unico polinomio di grado m che verifica la relazione precedente ) Se f è m volte differenziabile in [, + h], le derivate di ordine m sono ivi continue, f è m + volte differenziabile in (, + h) esiste λ (, ) tale che f( + h) = f() + m k= d k f() k! + dm+ f( + λh) (m + )! Dimostrazione La prima parte della ) si dimostra per induzione. Se m = è la differenziabilità. Sia F (j) (h) def = f(+h) f() j d k f() k= k! e supponiamo che F (j) (h) = o( h j ) per h, j m. Vogliamo far vedere che F (m) (h) = o( h m ) (che F (m) esista, è conseguenza del fatto che f() è m volte differenziabile). Ricordiamo che (.5) d k f() = k i,i,...,i n = i +i +...+in=k k! i!i!... i n! hi h i k f() n n ( ) i i ( ) i... ( n ) i n e quindi d m f() è un polinomio nelle variabili h,..., h n. F (m) (h) è m volte differenziabile in h = e le sue derivate si annullano. Ciò implica che hi F (m) (h) è m volte differenziabile e per l ipotesi induttiva abbiamo hi F (m) (h) = o( h m ) i =,..., m. Per il teorema del valor medio F (m) (h) F (m) () = F (m) (ĥ) = F (m) (ĥ)h = o( h m ) h = o( h m ), ĥ [, + h] Unicità ; supponiamo che esista un polinomio P (h) di grado m tale che f( + h) P (h) = o( h m ). Essendo m d k f() f( + h) = f() + + o( h m ) =. T (m) (h) k! k= ne segue che P (h) T (m) (h) = o( h m ). D altra parte supponiamo che P (h) T (m) (h). Ciò vuol dire che almeno uno dei coefficienti di P (h) è diverso da quello di T (m) (h) avente lo stesso ordine e quindi non può essere P (h) T (m) (h) = o( h m ) in quanto i due polinomi sono di grado m. ) Con le ipotesi di ) la funzione φ(t) = f( + tv), v = h h è m volte derivabile in [, h ] e m + volte derivabile in (, h ). Possiamo applicare il teorema di Taylor con resto di Lagrange per funzioni di un variabile per cui φ(t) = φ() + m k= k! φ(k) ()t k + (m+)! φ(m+) ( λ)t m+, < λ < t oppure t < λ <. (.4) In [BD], Teorema 7.6 pag. 333 e [BD], Teorema 9. pag. 43, vi è [,+d] A. Ad eccezione di A al posto di E, non può accadere che [,+d]=e in quanto E non sarebbe più aperto e del fatto che E debba essere aperto non vi è dubbio (.5) Si noti che tale espressione è uguale alla formula d k f()= n i,i,...,i k = f i i... ik d i d i...d ik, successiva alla (7.9) del libro [BD] /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 8

19 Se t = h, si ottiene (guardiamo solo l ultima derivata) (m + )! = = (m + )! m+ i,i,...i n = n j= i j =m+ m+ i,i,...i n = n j= i j =m+ (m + )! dm+ f( + λh). (m + )! i!i!... i n! ( h h )i ( h n (m + )! i!i!... i n! ( h h )i ( h n k f( + λv) h )i n ( ) i i ( ) i... ( n ) i ( h )m+ = n k f( + λ h v) h )i n ( ) i i ( ) i... ( n ) i ( h )m+ = n Notare che, ad esempio, da < λ < t h, scrivendo λ = λ h, ne segue < λ <. Osservazioni i) La parte in cui parla della unicità del polinomio è estremamente importante nella pratica in quanto, per le funzioni che comunemente incontreremo, si potrà usare il teorema di Taylor per funzioni di una variabile Esempi Si voglia sapere il polinomio di Taylor di ordine 6 nel punto (, ) della funzione cos( ). Poiché per usiamo le formule del coseno: cos( ) = o(5 ) Se dimostriamo che lim 4 8 ( + )3 = il polinomio che cerchiamo è 4. Ma 4 8 ( + )3 4 e quindi tende a zero. Si tenga presente che ciò che nel Teorema è, nell esercizio è e ciò che nel teorema è d, nell esercizio è (, ). Senza l unicità avremmo dovuto eseguire le derivate della funzione fino all ordine 6. Esempi Si vuole calcolare il polinomio di Taylor di ordine della funzione f(, y) = ln( + ( + y)) centrato in = e y =. Poiché ( + y) = per =, possiamo usare ln( + z) = z + O(z ) da cui ln( + ( + y)) = ( + y) + O( ( + y) ) e quindi il polinomio è P () =. Se invece vogliamo il polinomio fino all ordine, dobbiamo fare ln( + ( + y)) = ( + y) ( + y) + O( 3 ( + y) 3 ). Riscriviamo ( + y) ( + y) come + (y ) + ((y ) + ) = + (y ) (4) ( (y ) + (y ) ) e ( (y ) + (y ) ) ha ordine 3 per cui il polinomio di ordine è P (, y) = + (y ) Esercizio supponendo che in una data funzione di k variabili le derivate miste non sono uguali, quante sono le derivate di ordine M? Se invece le derivate miste sono uguali quante sono? M! Risposta: j!j! j k! = (M + k )! km nel primo caso e = nel secondo M!(k )! j +...+j k =M j k funzioni vettoriali (differenziabili) di più variabili reali j +...+j k =M j k Una funzione f: E R n R m E = E o si dice derivabile, (differenziabile) in y E se ciascuna delle (f )... (f ) n componenti f k k =,..., m è (derivabile) differenziabile. La matrice J f (y) def =... (f m )... (f m ) n (le derivate calcolate in y) è detta matrice Jacobiana o Jacobiano. Siano date ora due funzioni /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5 9

20 f: E R n R m, f = f() e g: U R k V R n, U = U, o dove V E, g = g(z). Si può definire f g: U R m Teorema.6 Se f e g sono differenziabili, la funzione f g è differenziabile e il suo Jacobiano è (f )... (f ) n (g ) z... (g ) zk J f g (z) def = (f m )... (f m ) n (m,n) (g n ) z... (g n ) zk (n,k) Dimostrazione Dobbiamo far vedere che esiste una matrice A m k tale che f(g(z + h)) f(g(z)) Ah lim =. h h f(g(z + h)) f(g(z)) = J f (g(z)) (g(z + h) g(z)) + o( g(z + h) g(z) ) per la differenziabilità di f. Dalla differenziabiltà di g si ha f(g(z+h)) f(g(z)) = J f (g(z))(j g (z)h+o( h ))+o( J g (z)h+o( h ) ) = J f (g(z))(j g (z)h + o( h )) La matrice A è chiaramente quella data. Inoltre abbiamo o( J g (z)h + o( h ) ) = o( h ) essendo J g (z)h J g (z) h Su [BD], sezione 7.. gli esercizi da studiare sono: Esempi da (compreso) a 5. Sugli esercizi in rete gli esercizi da studiare sono:.7 da f a f, 4.7, 6.7 tranne la terza domanda, 8.7 domande iii) e iv). Su [BPS] gli esercizi sono: esempi..8 pag , esercizi 5 pag (con eccezione del 8), 3 6 pag.394. In [BPS]gli esercizi sono: ) capitolo 4., 4.3, 4.4 pag ) esercizi di pag ad eccezione degli esercizi del num.7 Si dica in quali punti la seguente funzione è differenziabile e in quali sono continue le sue derivate parziali prime. È vera la relazione f y (, ) = f y (, )? f(, y) = 3 y + y 4 y 3 Si ha f y (, y) = ( + y ) = = e f (, y) = 3 + y 3 + y = = 3 y + 4 y 3 ( + y ) = = Le derivate sono continue in ogni punto all infuori dell origine e quindi la funzione è differenziabile in R \{}. Nell origine le derivate non sono continue e quindi bisogna usare la definizione che dà lim h h 3 +h3 h +h h h = per cui la funzione è differenziabile anche nell origine. La relazione f y (, ) = f y (, ) è vera. Risposta ad alcuni degli esercizi proposti nelle Osservazioni Prima dimostrazione del Teorema di Schwarz, osservazione ii). sin + y sin y, y La funzione f(, y) = sin y =, y sin y =, y = fa al caso nostro. Detta h(z) def = z sin z /novembre/4; ora537 Analisi matematica 3 corso di Ingegneria online A.A. da 3 4 a 4 5

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