Report su Relazioni del Corso Avanzato "Bruno Bergamasco"

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1 Report su Relazioni del Corso Avanzato "Bruno Bergamasco" A cura di Aristide Merola, Carlo Alberto Artusi e Maurizio Zibetti A partire dal 1997, data della scoperta della prima forma di parkinsonismo monogenico dovuto a mutazione del gene dell'alfa sinucleina, si sono succeduti importantissimi sviluppi nell'ambito della genetica della malattia di Parkinson. Grazie anche al fondamentale contributo dei ricercatori italiani il numero di lavori che ha trattato e chiarificato importanti aspetti di questo argomento è cresciuto in maniera esponenziale, e la rivista Neurology ha recentemente identificato nella genetica il primo e più importante aspetto da considerare e rivalutare nel moderno approcio alla malattia di Parkinson. Si può infatti dire che ad oggi, la visione globale della malattia di Parkinson sia ampiamente cambiata; il ruolo fondamentale della genetica è stato riconosciuto all'interno di quella complessa cascata di eventi patogenetici che vede sia l'alfa sinucleina, sia i mitocondri, prendere parte a quel processo la cui via finale è rappresentata dalla degenerazione del neurone dopaminergico. La malattia non può più quindi essere vista come un fenomeno dovuto esclusivamente a fattori ambientali o a fattori genetici, ma come un complesso concatenarsi di eventi, in cui ciascuno di questi fattori sembra rappresentare una possibile concausa. Overview sulla genetica della malattia di Parkinson V. Bonifati La malattia di Parkinson o, per meglio dire, le malattie di Parkinson sono probabilmente tutte a carattere genetico; si va sempre più affermando la teoria di una modulazione di fattori ambientali che agicono su un substarto di fattori genetici. I moderni studi di popolazione iniziano ad evidenziare come nell'ambito delle mutazioni genetiche implicate nella malattia di Parkinson si possano riconoscere due aspetti fondamentali, la frequenza della mutazione nella popolazione ed il correlato clinico della mutazione. Vi possono essere mutazioni molto frequenti, ma caratterizzate da un basso "effect size", ovvero un basso rischio di sviluppare malattia, e mutazioni poco frequenti ma caratterizzate da un elevato richio di sviluppare la malattia. Uno degli aspetti più importanti che si è venuto a delineare nel corso degli ultimi anni è appunto la presenza di varianti intermedie, che si associano ad un aumentato rischio di sviluppare la malattia pur in assenza di certezza dello sviluppo della malattia stessa, in relazione alla presenza di una "penetranza variabile". Gli studi di "linkage", che venivano eseguiti su famiglie di soggetti affetti, sono stati attualmente superati dagli studi di "genome wide association" e dai più moderni studi di "whole genome sequence", che rappresentano la più innovativa frontiera degli studi genetici, divenuti possibili grazie alla evoluzione delle moderne tecnologie. Nell'ambito delle mutazioni connesse alla malattia di Parkinson si possono riconoscere delle varianti autosomiche dominanti, come le mutazioni PARK-1 e PARK-8, mutazioni autosomiche recessive con fenotipo clinico "tipico", come le mutazioni PARK-2, PARK-6 e PARK-7 e mutazioni autosomiche recessive con fenotipo clinico "atipico", come le mutazioni dei geni "PARK-9", "PARK-14" e " PARK-15". Queste ultime si caratterizzano per la presenza di una sintomatologia parkinsoniana associata alla compresenza di sintomi "atipici". Nuovi loci associati allo sviluppo di malattia di Parkinson sono poi stati recentemente individuati nel gene della glucocerebrosidasi (GBA), che in condizioni di omozigosi si associa alla malattia di Gaucher, mentre in condizioni di eterozigosi sembra aumentare il rischio di sviluppare malattia di

2 Parkinson; in particolare queste forme di malattia correlate al GBA sono molto frequenti in Israele e in Giappone. Tuttavia appare necessario che nuovi studi di genetica, con tecnologie più avanzate, giungano a fornire un panorama più completo di quelle che sono le complesse interazioni fra geni, che verosimilmente avvengono in natura, senza fermarsi alla semplice analisi di un singolo polimorfismo alla volta. Queste analisi verosimilmente permetteranno di chiarire anche altri aspetti, come quelli della interazione geni/ambiente, seguendo un mixed model che tiene conto di vari modificatori genetici associati a modificatori ambientali, che attualmente non sono ancora stati identificati (fatta eccezione per il fumo di sigaretta, che per motivi ancora poco chiari sembra proteggere dal rischio di sviluppare malattia di Parkinson) ma che sicuramente hanno un ruolo nella patogenesi della malattia. Nell'analisi moderna della genetica e delle modificazioni molecolari conseguenti alla trascrizione dei geni bisogna considerare come numerosi fattori possono compartecipare: non tutti i geni possono essere espressi allo stesso modo da tutti i neuroni, ed inoltre la cromatina sembra subire nel tempo numerose modificazioni che avvengono per mezzo di fenomeni di metilazione del DNA e che possono portare ad una variabile espressività del patrimonio genetico nel corso della vita. Tutto questo rientra nel novero dei fattori stocastici che nel mixed model contribuiscono allo sviluppo della malattia in associazione con il brain aging e con i precitati fattori genetici e ambientali. Appare inoltre possibile che esistano meccanismi di compensazione/protezione nei confronti dello sviluppo della malattia, e che un malfunzionamento di alcuni di questi meccanismi possa essere implicato nello sviluppo del Parkinson. In tal caso appare evidente come nuove frontiere terapeutiche potrebbero essere rappresentate da farmaci in grado di potenziare tali meccanismi. Tuttavia alcuni aspetti non chiari legano ancora la neuropatologia della malattia di Parkinson alla genetica: se è vero che la neuropatologia del Parkinson è caratterizzata dall'accumulo di aggregati di alfa-synucleina, che forma i "corpi di Lewy", è altrettanto vero che il significato funzionale dei corpi di Lewy è ancora lontano dall'essere compreso, in quanto questi potrebbero rappresentare un meccanismo di protezione, piuttosto che una causa patogenetica di malattia. E' tra l'altro evidente che i corpi di Lewy sono assenti in alcune varianti genetiche di malattia, come nel caso del Parkinson associato a mutazioni della parkina. Inoltre numerose caratteristiche cliniche possono differenziare forme genetiche di malattia di Parkinson da forme di malattia idiopatica; la giovane età all'esordio, prima di ogni altro fattore, rappresenta una peculiarità delle forme di malattia ad ereditarietà genetica recessiva. Le mutazioni dei geni Parkina, Pink-1 e DJ-1 si caratterizzano infatti per un frequente esordio prima dei 40 anni, e solo una minoranza dei pazienti ha un esordio oltre i 55 anni. Nonostante ciò, non si conoscono manifestazioni cliniche che permettano di distinguere tra loro le mutazioni di questi tre geni. In generale, l'eziopatogenesi delle forme di Parkinson a trasmissione autosomica recessiva vede implicato il mitocondrio, ed in particolare i processi di "mitofagia", ovvero la degradazione del mitocondrio all'interno della cellula nel momento in cui la sua funzionalità viene ad essere compromessa. Nell'ambito della cascata di eventi che vede lo sviluppo dei parkinsonismi monogenici a trasmissione autosomica recessiva, sembra che PINK-1 agisca a monte della parkina, per quanto la via effettrice comune ci resti ignota, mentre DJ-1 che pare correlata ad una via cellulare parallela ma distinta. Una nuova variante genetica, a trasmissione autosomica recessiva, è poi rappresentata dalla mutazione del gene FBXO7 (PARK-15), in cui si osserva una degenerazione quasi "pura" delle cellule dopaminergiche. Nell'ambito delle mutazioni genetiche autosomiche dominanti si riconoscono le mutazioni del gene dell'alfa-synucleina (PARK-1) che, per quanto siano state le prime ad essere descritte, rappresentano una forma molto rara di malattia. Le mutazioni della alfa-sinucleina (SNCA) possono essere di vario tipo, mutazioni puntiformi, duplicazioni o triplicazioni del gene, con una relativa

3 variabilità nel fenotipo clinico di malattia; le mutazioni puntiformi e le triplicazioni sono in genere responsabili di forme clinicamente più aggressive, mentre le duplicazioni clinicamente possono apparire come un Parkinson tipico e mimare persino un Parkinson sporadico per via della penetranza incompleta. L'alfa-sinucleina è una proteina dalla naturale tendenza al misfolding spontaneo e all'accumulo in "Corpi di Lewy", anche se, come già detto in precedenza, il significato funzionale del corpo di Lewy rimane lungi dall'essere spiegato, considerato anche il fatto che è possibile che i corpi di Lewy siano presenti in alcune fasi della malattia e non in altre, o che siano riscontrati accidentalmente anche nei cervelli di soggetti non affetti dalla malattia. Nel corso degli ultimi anni grandissima importanza è stata poi riconosciuta alle mutazioni del gene LRKK-2, molto frequenti nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Anche le mutazioni del gene LRKK-2 possono essere riscontrate in soggetti affetti sia da malattia di Parkinson sporadica, sia familiare, in quanto la mutazione è caratterizzata da una penetranza incompleta. In Nord Africa il 42% dei pazienti con Parkinson familiare, il 30% dei pazienti con Parkinson sporadico e ben il 2% dei controlli presentano una mutazione di LRKK-2, con una presumibile penetranza subclinica. In generale, nella valutazione della penetranza di una mutazione bisogna andare a valutare un parametro definto "odds ratio", che è in grado di fornire una stima dell'effetto che esiste fra la presenza della mutazione ed il rischio di sviluppare la malattia; nel caso delle mutazioni di LRRK-2 si osservano degli OR di circa 10, mentre nel caso di patologie a trasmissione mendeliana l'or può arrivare sino a 30. La peculiarità delle forme di malattia di Parkinson associate a mutazioni del gene LRRK-2 è inoltre rappresentata dall'estrema variabilità della neuropatologia associata, che può caratterizzarsi sia per la presenza di corpi di Lewy (nel 98% dei pazienti con mutazione di LRKK-2), sia per la presenza di accumuli di ubiquitina o di proteina tau. LRRK-2 è una proteina complessa che tende alla dimerizzazione, tuttavia non è ben chiaro quale sia la sua reale funzione biologica e non si sa se le mutazioni descritte possano rappresentare un guadagno biologico o una perdita funzionale della proteina. Tra le varie ipotesi sul funzionamento della proteina, ce n'è una che la vede implicata nella via degli endosomi e degli autosomi. Una delle più recenti possibiltà offerte dalle moderne tecniche di ricerca vede la possibilità di "riprogrammare" le cellule umane, partendo da fibroblasti estratti dal sangue periferico o da una biopsia della cute, che verranno dedifferenziate e poi ridifferenziate in neuroni, con l'indubbio vantaggio di avere a disposizione una gran quantità di cellule cerebrali del soggetto malato in questione, come se si avesse a disposizione una sorta di biopsia cerebrale su cui poter eseguire studi di fisiopatologia cellulare. Appare inoltre verosimile che lo sviluppo delle tecniche moderne porterà in breve tempo a nuove ed importanti scoperte, sopratutto grazie alla maggior semplicità e rapidità di analisi del DNA umano che ben presto permetterà di compiere nel giro di pochissimo tempo il lavoro che in passato ha richiesto anni: è infatti plausibile che le nuove tecnologie saranno in grado di eseguire un'analisi completa del DNA del singolo individuo in circa 20 minuti. Genetica delle forme recessive E.M. Valente

4 I parkinsonismi autosomici recessivi possono arrivare ad interessare una importante porzione delle forme di parkinsonismo monogenico ad esordio giovanile. Fra questi vanno riconosciute tre forme principali: PINK-1, DJ-1 e PARKINA. Le mutazioni di PINK-1 si caratterizzano per l'interessamento degli arti inferiori con tipiche alterazioni dell'andatura, ed in alcuni casi per fenomeni distonici e per un caratteristico beneficio indotto dal sonno, con una netta modificazione della sintomatologia parkinsoniana fra le prime ore del mattino e le ore serali; inoltre, i casi dovuti a mutazioni PINK-1 presentano usualmente un'ottima e più duratura risposta alla levodopa ed una lenta evoluzione di malattia. In termini generali la lenta evoluzione di malattia può essere considerata come una caratteristica comune di tutte le forme autosomiche recessive. Le moderne tecniche di "target resequencing" consentono di eseguire uno studio accurato e contemporaneo di tutti i geni coinvolti nella genesi di malattia, portando all'evidenza che i soggetti portatori di due mutazioni esordiscono prima di quelli che presentano una sola mutazione; l'essere portatore di una sola mutazione in eterozigosi sembra rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di malattia, con un odds ratio che risulterà però solo lievemente aumentato rispetto ai controlli (rischio basso). Si è visto peraltro che anche in soggetti sani con singola mutazione in eterozigosi di questi geni è presente una alterazione della captazione dopaminergica alla PET, evidente indice di un deficit subclinico. Come già accennato, le forme recessive possono presentare alcune peculiarità dal punto di vista semeiologico; spesso infatti si caratterizzano per la presenza di alterazioni caratteriali e di disturbi psichiatrici, mentre un'interessante studio sui disturbi olfattivi nella malattia di Parkinson e nei parkinsonismi monogenici ha evidenziato come la funzionalità olfattiva sia preservata in alcuni pazienti con forme di parkinsonismo a trasmissione autosomica recessiva, anche se allo stato attuale non vi sono chiare spiegazioni del fenomeno. Altre forme monogeniche recessive di Parkinson sono state recentemente riconosciute, anche se associate ad aspetti di "atipia". Fra queste la degenerazione pallido-piramidale di Kufor-Rakeb, che si caratterizza per paresi di sguardo, deficit cognitivo, atrofia generalizzata e segni piramidali, ed una forma di distonia-parkinsonismo dovuta alla mutazione PLA2G6 descritta da Bathia. Lo studio dei parkinsonismi monogenici autosomici recessivi ha permesso di evidenziare alcuni dei meccanismi che sembrano essere interessati nella neurodegenerazione, sui quali si può osservare una concomitanza di fattori. E' possibile che l'interazione di due aspetti principali, quali l'accumulo di proteine misfolded e la disfunzione di meccanismi mitocondriali, porti ad una interazione tossica da cui successivamente scaturirà un danno neuronale. Le proteine Parkina, PINK-1 e DJ-1 fungono da fattori protettivi contro entrambi i meccanismi patogenetici suddetti. Normalmente le proteine mal ripiegate vengono ubiquitinate, e da questa modificazione consegue il messaggio cellulare che la proteina dovrà essere degradata per mezzo del proteasoma; tuttavia se le dimensioni della proteina sono eccessive questa non riuscirà a passare attraverso il proteasoma e dovrà pertanto essere distrutta per autofagia dal lisosoma. La Parkina è un'ubiquitin-3-ligasi e ha una funzione di ancoraggio dell'ubiquitina al proteasoma; si è poi visto che anche PINK-1 e DJ-1 contribuiscono al funzionamento dei meccanismi ubiquitina-proteasoma. Inoltre è noto come sia PINK-1, sia DJ-1 e Parkina siano proteine implicate nel funzionamento mitocondriale, e di conseguenza una loro anomalia porterà ad un malfunzionamento del mitocondrio; per contro, l'overespressione delle tre proteine favorisce la protezione da danni cellulari, ossidativi e mitocondriali. I mitocondri sono organelli dinamici presenti in gran numero

5 all'interno delle cellule, la cui funzione viene finemente regolata da una serie di proteine. In caso di malfunzionamento di un mitocondrio, questo dovrà prontamente essere distrutto, al fine di evitare danni maggiori per la cellula. Questo processo usualmente avviene con una cascata di eventi che sembra essere iniziata proprio dalla proteina PINK-1, la quale viene richiamata sulla superficie mitocondriale, per poi successivamente reclutare anche Parkina. A questo punto si verificherà una ubiquitinazione di varie proteine della superficie mitocondriale che hanno la funzione di permettere la fusione del mitocondrio con altri mitocondri con il risultato di un isolamento del mitocondrio danneggiato e di richiamo di fattori atti allo sviluppo dell'autofagia, che inizierà contestualmente allo sviluppo di un complesso denominato " Beclin-1". A tutto questo conseguirà la distruzione del mitocondrio. La chiarificazione di questi aspetti riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella ricerca di nuove strategie terapeutiche, maggiormente volte alla neuroprotezione; è difatti possibile che la via autofagica possa essere implicata sia nei meccanismi di sviluppo della malattia di Parkinson, sia in più generali meccanismi di "invecchiamento" dell'organismo. Genetica delle forme dominanti S. Goldwurm I principali parkinsonismi monogenici a trasmissione autosomica dominante sono identificati con le sigle PARK-1/4 e PARK-8; tuttavia possono essere considerate in questo gruppo anche alcune malattie neurodegenerative, come la SCA-2 e la SCA-3 che si possono presentare con sintomatologia extrapiramidale. Inoltre, bisogna ricordare la recente scoperta di forme dovute a mutazione del gene GBA. Parlando di forme autosomiche dominanti è opportuno citare la famiglia di Contursi in cui è stata identificata per la prima volta una mutazione responsabile di malattia di Parkinson, nel gene della alfa-sinucleina (SNCA). Successivamente sono state descritte numerose forme di mutazioni a carico del gene della SNCA, sia dovute a mutazioni puntiformi (A53T; A30P; E46K), sia dovute a duplicazioni (tre copie normali di alfa-sinucleina) o a triplicazioni del gene (quattro copie normali della proteina). Una particolarità è appunto rappresentata dal fatto che nelle forme caratterizzate da triplicazione del gene la malattia di Parkinson è di solito più aggressiva e presenta una maggiore tendenza alla demenza. Si suppone infatti un effetto dose, direttamente correlato all'accumulo di SNCA e, di conseguenza, alla formazione di corpi di Lewy. Questa ipotesi è proprio supportata dal fatto che nei pazienti con duplicazione o con triplicazione del gene la proteina è iperespressa ma è normale, e che nella triplicazione l'iperespressione maggiore correla con una malattia più aggressiva. Ad ogni modo, va ricordato che la più frequente mutazione autosomica dominante associata alla malattia di Parkinson è quella correlata al gene della LRRK-2 (PARK-8). Questa mutazione, che è stata inizialmente identificata nel 2004, si associa a modificazioni della proteina LRRK-2, la cui funzione biologica non è stata ancora completamente descritta e chiarificata. Sappiamo che LRRK- 2 è una grossa proteina che funziona come un dimero, tuttavia il suo ruolo biologico non è ancora stato descritto nel dettaglio; tutte le mutazioni scoperte si localizzano a livello del sito catalitico della proteina, e la più frequente oltre che la più studiata è sicuramente la mutazione G2019S, che è stata riscontrata nel 5-6% delle forme di malattia di Parkinson familiare e nell'1% delle forme di Parkinson sporadico. La penetranza della mutazione risulta essere variabile da un 28% all'età di 60 anni ad un 74% all'età di 80 anni, e quindi la differenza clinica fra i soggetti portatori è molto grande. Va tuttavia tenuto conto del fatto che la maggior parte di questi dati proviene da famiglie su cui è stata eseguita una ricerca genetica a causa della elevata probabilità di riscontrare una mutazione, e pertanto le stime ottenute forniscono una verosimile sovrastima del fenomeno. Dati clinici più accurati sarebbero ottenibili da una ricerca a tappeto, eseguita su una popolazione

6 assolutamente non selezionata di soggetti parkinsoninani e non; purtroppo stime di questo tipo non sono ancora disponibili in letteratura. Da un punto di vista clinico, il fenotipo di malattia dovuto a mutazioni di LRKK-2 si presenta estremamente simile a quello descritto nella malattia di Parkinson sporadica. Altre mutazioni descritte di questa proteina sono la R1441C, particolarmente frequente nella zona di Napoli (anche se ciò potrebbe essere legato alla presenza di un effetto fondatore ed avere pertanto scarsa rilevanza in altre regioni o nazioni), e le mutazioni G2385R ed R1628P. Queste ultime due in particolare rappresenterebbero dei fattori di suscettibilità, nel senso che aumenterebbero il rischio relativo di sviluppo di malattia nei soggetti portatori. I dati di neuropatologia disponibili al momento evidenziano la presenza di corpi di Lewy nella maggior parte dei casi, mentre in una piccola parte di soggetti sono stati riscontrati anche aggregati di proteina TAU, seppur in presenza di una sintomatologia non compatibile con PSP. Si stima infatti che più del 50% dei portatori di mutazione LRKK-2 abbiano una forma pura di malattia di Parkinson, che circa il 25% degli affetti non presenti corpi di Lewy e che, come già accennato, una piccola percentuale di pazienti presentino depositi di proteina TAU. Ulteriore capitolo è quello relativo alle mutazioni del gene della glucocerebrosidasi (GBA), un enzima lisosomiale che idrolizza i glucocerebrosidi. Le mutazioni del GBA sono associate ad un odds ratio di circa 5,3, e presentano una clinica molto simile a quella della malattia di Parkinson idiopatica, eccezion fatta per una tendenza ad esordio più precoce. Principi generali del test genetico e applicazioni nella malattia di Parkinson P. Mandich Nella malattia di Parkinson la familiarità è stata riconosciuta in un % dei casi, con un rischio relativo di sviluppare la malattia di circa 2-7 volte. Tuttavia, ogni analisi di familiarità deve tener conto di una serie di fattori, tra cui la morte precoce di familiari che potrebbero non aver avuto il tempo di sviluppare la malattia, la penetranza incompleta di alcune mutazioni, la formulazione di diagnosi errate, un'anamnesi familiare inadeguata, la non corretta attribuzione di paternità ed infine l'influenza di fattori ambientali o genetici modificatori. Al momento attuale non esiste un test genetico per valutare il rischio di sviluppare malattia di Parkinson, ma solamente tests che permettono di evidenziare o meno la presenza di alcune mutazioni. Esistono addirittura società private che hanno sviluppato kit per testare l'eventuale presenza delle mutazioni più frequenti, come la G2019S del gene che codifica la proteina LRRK-2, con le possibili implicazioni etiche e speculative che ne possono derivare. Diviene pertanto indispensabile che la comunità scientifica codifichi direttive chiare ed unanimi a tal proposito. Le linee guida della EFNS del 2009 raccomandano la ricerca di mutazioni della LRRK-2 in due categorie di pazienti: gli ebrei Aschenaziti ed i nord africani, in quanto appartenenti a popolazioni ad elevato rischio di mutazione, e in pazienti con almeno un familiare affetto da malattia. La ricerca di mutazioni autosomiche recessive di malattia di Parkinson viene invece raccomandata in soggetti con età di esordio inferiore ai 35 anni. Inoltre, vanno anche ricordate altre patologie genetiche potenzialmente responsabili di un quadro di parkinsonismo, come le pre-mutazioni dell'x fragile (FXTAS); queste ultime si caratterizzano per la

7 presenza di iperintensità dei peduncoli cerebellari medi, con una prevalenza di 1/800 soggetti e con una penetranza del 30% circa. Va poi citata la malattia di Huntigton ad esordio giovanile, la cui ricerca genetica non deve essere dimenticata, pur considerando le importanti conseguenze familiari e sociali di una simile diagnosi. Più in generale si può affermare che un test genetico può essere caratterizzato da una validità analitica che consta dell'accuratezza nell'identificare il genotipo, da una validità clinica che indica la capacità di predire una specifica malattia, e da una ricaduta clinica, ovvero il rapporto rischio/beneficio conseguente all'esecuzione del test. In Italia è stato sancito che ad ogni test genetico deve corrispondere una consulenza genetica, volta a gestire le possibili implicanze psicologiche dell'esito del test. Uno degli aspetti principali nella gestione di una consulenza genetica è legata alla "non-direttività" che deve essere associata alla stessa: il medico non può, nel caso di una consulenza genetica, relazionarsi con il paziente secondo un modello paternalistico ma deve gestire le scelte del paziente, anche se non le condivide. Un importante modello organizzativo ci è stato fornito dalle esperienze in questo ambito riguardanti la corea di Huntigton; tuttavia, nel caso della malattia di Parkinson o in malattie come la SLA importanti passi avanti devono ancora essere compiuti, sopratutto in relazione alla scelta di come e quando proporre l'indagine genetica. Patogenesi e biomarkers molecolari M. Fasano Uno degli aspetti di maggior fragilità del neurone dopaminergico è la sua proprietà intrinseca di usare dopamina quale neurotrasmettitore. Le vie metaboliche della dopamina risultano infatti essere associate ad un importante stress ossidativo per la cellula, e questo stress ossidativo rappresenta, assieme al danno mitocondriale ed alla disfunzione del complesso ubiquitina-proteasoma, una importante causa di neurodegenerazione. I principali meccanismi patogentici sono rappresentati dall'alterata omeostasi della dopamina (correlata alla funzionalità dell'alfa sinucleina), dall'apoptosi, dallo stress ossidativo, dalla malattia mitocondriale, dallo smaltimento di proteine danneggiate, dall'autofagia e da alterazioni del citoscheletro. Nelle vescicole contenenti il neurotrasmettitore l'ambiente è acido e la dopamina è stabile, all'esterno delle vescicole la dopamina si ossida. Posto questo concetto, sappiamo che lo stress ossidativo porta ad una disfunzione dell'alfa sinucleina che tende, in conseguena di ciò, ad aggregare (così come l'alfa sinucleina mutata o overespressa). La proteina aggregatasi a causa del danno ossidativo buca le vescicole contenenti la dopamina, e questo provoca un ulteriore stress ossidativo all'interno del neurone, instaurando in tal modo un circolo vizioso che porta al danno e infine alla morte della cellula. Infatti, la dopamina nel citosol si ossida e libera acqua ossigenata la quale, nel neurone dopaminergico che contiene molecole di neuromelanina, rompe i polimeri di neuromelanina formando piccole molecole contenenti ferro, che aumentano molto lo stress ossidativo. Il ruolo cellulare dell'alfa sinucleina sembra essere molteplice: da un lato questa interagisce con le heat shock protein, dall'altra parte sembra avere una correlazione anche con proteine come la parkina, PINK-1 e DJ-1. Una qualunque alterazione dei meccanismi in cui è coinvolta è

8 potenzialmente in grado di determinare un accumulo di alfa sinucleina "misfolded" e portare alla formazione di corpi di Lewy. Resta tuttavia ancora da chiarire se il suo ruolo all'interno del neurone debba essere interpretato come quello di una sostanza tossica o di una sostanza volta alla neuroprotezione; l'ipotesi più accreditata vorrebbe che le concentrazioni dell'alfa sinucleina siano il principale determinante della sua potenziale tossicità: una sovraespressione di questa proteina, con successivo accumulo in corpi di Lewy, rappresenterebbe il principale fattore tossico, ma una bassa concentrazione, d'altro canto, costituirebbe una perdita di meccanismi neuroprotettivi. In ogni caso, anche altri meccanismi sono stati collegati alla genesi della malattia di Parkinson. Sappiamo come due sostanze, l'mptp ed il Rotenone, abbiano la capacità di indurre la malattia di Parkinson in relazione alla loro capacità di bloccare la catena mitocondriale, e varie scoperte hanno contribuito a modificare la calssica visione della malattia di Parkinson come quella di una classica malattia del sistema ubiquitina/proteasoma. E' stato studiato per esempio il ruolo dell'autofagia e di uno dei regolatori di questo processo, la molecola VDAC2, importante sia per le funzioni energetiche della cellula sia per l'omeostasi cellulare del calcio. La parkina è attivata da PINK-1, che a sua volta si attiva quando il mitocondrio è danneggiato; la parkina attivata ubiquitina VDAC2, il quale attiva il processo di macroautofagia attraverso il quale la cellula degrada proteine danneggiate, proteine che devono esser eliminate e anche mitocondri danneggiati. Si è visto che le cellule con molta dopamina perdono VDAC2. Un'aspetto molto importante nello studio della malattia di Parkinson è quello connesso alla identificazione di possibili biomarkers. Fra i differenti liquidi biologici che hanno le potenzialità di contenere biomarkers di malattia possono essere identificati il liquor e il plasma. Un ruolo particolare sembra poi essere svolto dai linfociti T, nei quali è stato identificato un metabolismo dopaminergico: i linfociti T-reg sono in grado di sintetizzare dopamina mentre gli altri linfociti T si limitano a ricaptarla attraverso il trasportatore DAT. Studiando i linfociti T nei pazienti con malattia di Parkinson si sono notate interessanti alterazioni a livello del citoscheletro. Nella ricerca dei biomarkers possono essere approcciate stategie "focused" o "unbiased"; le seconde sono ipotesi "free", che si basano sulla ricerca incondizionata di fattori che possano aiutare a classificare meglio differenti forme di malattia, senza che vi siano bias di selezione dei campioni o del marker da studiare. Pare possibile identificare biomarkers dalla combinazione di differenti proteine (sino a 7) che, stando a recenti dati, sembrerebbero in grado di differenziare la malattia di Parkinson da forme di parkinsonismi atipici. Biomarkers clinici M.G. Rizzone Risulta difficoltoso, al giorno d'oggi, trovare una definizione adeguata di malattia di Parkinson, prevalentemente in relazione alla grande variabilità di tipo clinico, genetico e anatomo-patologico che si è progressivamente delineata nella definizione della malattia. Se si stima che i sintomi motori della malattia di Parkinson compaiano quando almeno il 60% dei neuroni dopaminergici è andato perso, risulta verosimile che alcuni sintomi pre-motori possano rappresentare importanti markers clinici precoci. Esiste infatti una lunga fase premotoria di malattia, corrispondente al periodo che va dall'iniziale perdita di neuroni dopaminergici all'esordio dei sintomi motori; tale fase può durare approssimativamente dai 5 ai 50 anni. In ogni caso, uno degli aspetti più critici nella ricerca di sintomi pre-motori con significato di markers precoci è rappresentato dalla sensibilità e dalla specificità di tali sintomi, sopratutto se si

9 tiene conto del fatto che la neuropatologia della malattia di Parkinson non è ancora completamente definita; è noto infatti come corpi di Lewy incidentali siano stati rinvenuti anche in cervelli di soggetti non parkinsoniani, mentre non sono presenti in alcuni casi di malattia di Parkinson ad eziologia genetica. Sintomi premotori con forte evidenza di predittività sono il disturbo olfattivo, la stipsi, il gruppo degli sleep disorders e la depressione. Nell'analisi di questi sintomi ci si deve necesariamente riferire ad un'eziopatogenesi di malattia di Parkinson che segua un andamento simile a quello descritto da Braak. Egli ha diviso la fisiopatologia del Parkinson in sei stadi, con la comparsa dei sintomi motori a partire dal terzo stadio: negli stadi primo e secondo andrebbero dunque ricercati i markers clinici. E' infatti possibile che l'interessamento precoce di alcune strutture del sistema nervoso possa portare i pazienti a sviluppare sintomi in fasi precoci; l'iposmia, per esempio, si può instaurare in un lasso di tempo compreso fra i 2 ed i 7 anni prima della comparsa di Parkinson manifesto, la depressione invece in un lasso di tempo compreso fra i 3 ed i 6 anni prima. Come accennato in precedenza, lo sviluppo di questi sintomi può essere messo in relazione all'interessamento di strutture specifiche, quali il nucleo motore dorsale del vago o i nuclei del locus coeruleus, benchè la sensibilità e la specificità di questi sintomi appaia comunque bassa nel predire l'evoluzione successiva verso malattia di Parkinson. Nell'ambito dei sintomi pre-motori vanno ancora annoverati i disturbi disautonomici (che hanno una frequenza variabile dal 40% al 70% nei pazienti parkinsoniani) e la stipsi, che possono precedere l'esordio della malattia anche di oltre 10 anni, e che sembrano in massima parte legati a disfunzioni di origine sia centrale che periferica; e a testimonianza del fatto che il problema non è solo di origine centrale, per quanto riguarda la stipsi, sono stati trovati aggregati di alfa synucleina in biopsie del colon. Tornando a parlare di iposmia, alcuni studi hanno appurato che soggetti che presentano un deficit olfattivo e che sono parenti di primo grado di pazienti parkinsoniani hanno un rischio 12,5 volte superiore ai controlli di sviluppare la malattia. Tuttavia, l'iposmia si presenta solo poco tempo prima del Parkinson manifesto, e inoltre, come marker clinico, risulta decisamente poco specifica in quanto presente anche in svariate altre patologie, tra cui le demenze e l'atrofia multisistemica (MSA). Ulteriori possibili disturbi pre-motori sono rappresentati dal disturbo comportamentale nel sonno REM (RBD), dall'eccessiva sonnolenza diurna, dalla fatica e dalla discromatopsia. L'RBD ha una prevalenza del 15%-34% nei pazienti parkinsoniani ma, similmente all'iposmia e ad altri sintomi pre-motori, è riscontrabile anche in altre patologie (MSA, malattia a corpi di Lewy) oltre che come malattia idiopatica. In ogni caso, la latenza di questo disturbo è molto lunga: la mediana di durata dell'rbd prima della successiva presentazione di Parkinson è infatti di circa quindici anni; questo però avviene esclusivamente nei soggetti che svilupperanno un Parkinson di tipo tremorigeno. In conclusione, per quanto esistano studi che descrivono il rischio di sviluppare malattia di Parkinson in relazione alla pregressa presenza di uno o più di questi sintomi, bisogna aver presente che allo stato attuale non ci sono markers clinci con valori di sensibilità e specificità sufficienti ad un utilizzo di diagnosi precoce della patologia.

10 Fenotipi clinici M.F. Contarino Per cercare di dare una risposta alla domanda su quando un'eziopatogenesi genetica debba essere sospettata in un paziente parkinsoniano bisogna considerare un insieme di fattori. Questi comprendono la familiarità, non solo di parenti di primo grado ma anche di secondo o terzo grado, la presenza di segni clinici tipici ed anche quella di segni clinici "atipici", i quali possono orientare verso eziologie genetiche specifiche, come nei casi di mutazioni di PARK-15 (segni piramidali) e di PARK-9 (paralisi di sguardo verso l'alto, mini-mioclono della faccia e demenza). Inoltre, devono essere tenute in considerazione anche altre malattie extrapiramidali di origine genetica non park, che entrano in diagnosi differenziale con alcune forme di malattia di Parkinson; è il caso della distonia da mutazione del gene DYT12 o DYT5, in cui può anche osservarsi una moderata risposta alla terapia con levodopa, e dell'atassia spinocerebellare di tipo 2 (SCA-2), che può presentarsi come un parkinsonismo tipico a trasmissione autosomica dominante. Infine si deve considerare l'esistenza di malattie come il morbo di Wilson, la corea di Huntigton, la neuroacantocitosi, le atassie spino-cerebellari e le pre-mutazioni dell'x fragile. Nel caso dei parkinsonismi monogenici da mutazione del gene della SNCA si possono riscontrare quadri clinici variabili, a seconda che si tratti di una mutazione puntiforme, piuttosto che di una duplicazione o triplicazione del gene; nel caso delle mutazioni del gene della Parkina è frequente osservare un Parkinson tipico, un'ottima risposta alla levodopa e alla Deep Brain Stimulation, un'età d'esordio precoce, un DAT SCAN tipico di malattia di Parkinson e, talvolta, iper-reflessia e distonie all'esordio. Nel caso di mutazioni di PARK-6 (PINK-1) sono tipicamente coinvolti gli arti inferiori, mentre nel caso di mutazioni di PARK-8 (LRRK-2) si osservano forme a trasmissione autosomica dominante ma a penetranza incompleta, con caratteristiche cliniche in genere sovrapponibili a quelle da mutazione di Parkina. Si può affermare che tra le forme autosomiche recessive ad esordio giovanile la più frequente è sicuramente la Parkina: in un paziente ad esordio precoce e con familiarità positiva è stimata una probabilità di trovare una mutazione del gene della Parkina che arriva fino al 50%. Tra le forme apparentemente sporadiche, invece, la parte più importante è giocata dalle mutazioni di LRRK-2. E' necessario in ogni caso porre l'attenzione sul fatto che una forma tipica di Parkinson può trovare origine nella mutazione di un gene non park ; d'altro canto, una forma decisamente atipica può corrispondere ad una mutazione park con presentazione usualmente tipica. In conseguenza di ciò, per il momento non è possibile predire il gene mutato di un paziente sulla base della sua presentazione clinica. Infine, per quanto l'analisi genetica della malattia di Parkinson possa contribuire a fornire nuove informazioni e aiutare a definire meglio la diagnosi eziologica, bisogna anche tenere conto delle possibili ricadute psicologiche di un test genetico. Dati recentemente pubblicati in merito all'orientamento dei pazienti verso un test genetico indicano come il 63% dei soggetti sia spaventato dalle possibili ricadute psicologiche dell'esito del test, e come solo il 59% dei pazienti lo

11 eseguirebbe per approfondire la diagnosi eziologica di malattia; il 14% sarebbe assolutamente contrario ed un 27% sarebbe incerto su come comportarsi in merito.

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