GIDM Rassegna 24, 23-28, 2004
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- Flaviana Bellini
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1 RIVASCOLARIZZAZIONE DELLE CORONARIE IN PAZIENTI CON DIABETE MELLITO: LA RIVOLUZIONE CONTINUA M. BAMOSHMOOSH, R. TESTA, P. MARRACCINI Istituto di Fisiologia Clinica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa riassunto summary Il diabete è un importante fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di coronaropatia. Da quando è stata introdotta la rivascolarizzazione percutanea delle arterie coronariche (PTCA), numerosi studi sono stati condotti per valutarne l efficacia e per metterla a confronto con la rivascolarizzazione chirurgica (CABG). I risultati di questi studi hanno evidenziato che il CABG è probabilmente la tecnica migliore per trattare i pazienti diabetici, anche se sia la PTCA sia il CABG rimangono procedure particolarmente impegnative. Infatti, i diabetici rispetto ai non diabetici hanno una minor sopravvivenza a breve e lungo termine e una maggior incidenza di infarto e di ristenosi se trattati con PTCA. Gli stent sono stati introdotti per migliorare i risultati della PTCA e ormai vengono utilizzati in oltre la metà delle procedure. L uso degli stent non ha tuttavia ridotto il fenomeno della ristenosi, specialmente nei pazienti diabetici dove interessa circa il 30% dei casi. È da segnalare tuttavia che da una parte l uso di particolari presidi farmacologici quali l infusione di eparina, l uso di eparina a basso peso molecolare, di ticlopidina, clopidogrel oltre agli inbitori delle glicoproteine IIb/IIIa ha ridotto l incidenza di trombosi intrastent. Dall altra, l uso di stent ricoperti con sostanze antineoplatiche (DES) che modulano l iperplasia neointimale ha determinato la terza rivoluzione in cardiologia invasiva dopo quelle dell introduzione della PTCA e degli stent. I risultati finora ottenuti con i DES sono promettenti e sembrano in grado di sconfiggere la ristenosi, il vero incubo dei cardiologi interventisti. Parole chiave. Diabete, PTCA, stent, drug eluting stents. Coronary revascularization in diabetic patients: the ongoing revolution. Diabetes mellitus is an important independent risk factor for the development of coronary artery diseases (CAD). Since the introduction of the percutaneous coronary angioplasty (PTCA) several trials have been performed to evaluate the outcomes of PTCA and to compare them with the results of surgical revascularization (CABG): both strategies showed to be effective in the treatment of patients with CAD. However the data of these trials showed that the revascularization of diabetic patients is challenging either after PTCA or CABG. In fact diabetic patients have a higher incidence of ristenosis, a lower long term survival and a lower freedom from major cardiac events if compared with non diabetic patients. Yet CABG seemed to be the better alternative in the treatment of diabetic patients. Stents have been introduced to improve the outcomes of PTCA. Nowadays stenting procedures is a default technique for coronary artery revascularization. However there are still up to 30% of late ristenosis especially in diabetic patients. The use of appropriate antiplatelet therapy like the glycoprotein IIb/IIIa inhibitors reduced the risk of stent thrombosis especially in the diabetic patients. The introduction of the drug-eluting stents (DES, stents coated with antiproliferative drugs that modulate the proliferation of the smooth muscular cells of the vessel wall), for interventional cardiologists, seems to be the third revolution for the treatment of CAD after balloon angioplasty and stenting. So far the results obtained with the use of these DES are very encouraging and promise to realize the dream of interventional cardiologists also for the diabetic patients of an era of no ristenosis. Key words. Diabetes, PTCA, stent, drug eluting stents. Introduzione: coronaropatia e diabete La prevalenza della malattia diabetica è in crescente aumento non solamente nei Paesi occidentali, ma anche e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (1). Secondo varie casistiche, circa il 10% dei pazienti che 23
2 vengono sottoposti a cateterismo cardiaco e circa il 20% dei pazienti che vengono rivascolarizzati per via percutanea sono diabetici. I pazienti diabetici che giungono in sala di emodinamica rispetto a quelli non diabetici, hanno una maggior incidenza di malattie associate, sono più giovani, ipertesi e dislipidemici e il sesso femminile è maggiormente rappresentato. Infatti, il diabete tende a ridurre la protezione contro le malattie cardiovascolari che le donne hanno grazie alla presenza degli ormoni sessuali. Da un punto di vista anatomico le coronarie dei diabetici, se confrontate con quelle dei non diabetici, sono più esili, più diffusamente malate, sia prossimalmente sia distalmente, hanno un maggior numero di stenosi critiche, una più alta incidenza di malattia dei tre vasi, del tronco comune e della discendente anteriore prossimale (2). Inoltre, i pazienti diabetici presentano una disfunzione endoteliale legata alla minor produzione di prostaglandine PGI2, alla maggior inattivazione dell ossido nitrico e alla maggior produzione di endotelina 1. Tale disfunzione endoteliale determina una compromissione della riserva coronarica (3), una abnorme e paradossa risposta all infusione coronarica di acetilcolina e un possibile ritardo nello sviluppo del circolo collaterale (4). Prima rivoluzione: la PTCA L introduzione dell angioplastica coronarica (PTCA) alla fine degli anni 70 ha aggiunto alla cardiologia invasiva una nuova dimensione. Da allora l angiografia coronarica non è solo una procedura diagnostica, ma è anche un importante strumento terapeutico. Solo per fare un esempio, l American Heart Association riporta che nel 1999 negli Stati Uniti sono stati effettuati circa interventi di rivascolarizzazione chirurgica (CABG), mentre nello stesso anno sono state eseguite oltre un milione di PTCA. Negli anni 80 e 90 sono stati effettuati numerosi studi per confrontare l efficacia della PTCA rispetto alla CABG nel trattare le coronaropatie: la PTCA, in quanto chiaramente meno invasiva, è risultata ben tollerata dai pazienti, con tempi di ospedalizzazione più brevi, oltre a dimostrarsi economicamente più vantaggiosa, pur ottenendo altrettanto buoni risultati nel trattare la malattia coronarica monovasale, bivasale e trivasale compresa la coronaropatia della discendente anteriore prossimale (5-9). Tuttavia i diabetici sono un gruppo particolare di pazienti. Infatti, tutti gli studi hanno evidenziato che la rivascolarizzazione dei pazienti diabetici, sia mediante PTCA sia con CABG, è particolarmente impegnativa perché il diabete è un importante fattore predittivo indipendente del risultato postprocedurale (10). Nell analizzare i risultati dei vari trial che hanno confrontato la PTCA al CABG due sono le domande che dovremmo porci. 1) I risultati della PTCA nei pazienti diabetici sono peggiori di quelli dei pazienti non diabetici? 2) Per i diabetici la chirurgia è più indicata dell angioplastica? I risultati della PTCA nei pazienti diabetici sono peggiori di quelli dei pazienti non diabetici? Lo studio BARI, che vanta la più grande popolazione di pazienti e che ha confrontato i risultati della PTCA con quelli del CABG e ha anche analizzato i risultati dei diabetici rispetto ai non diabetici, mostra come già dopo un solo mese dalla PTCA i diabetici abbiano una maggior tendenza alla progressione dell aterosclerosi specie nel vaso trattato con la PTCA rispetto ai non diabetici (22% vs 12% p < 0,004) (10). Dati del registro del National Heart, Lung, and Blood Institute mostrano che il successo postprocedurale immediato della PTCA è sostanzialmente sovrapponibile sia nei pazienti diabetici sia nei non diabetici. Tuttavia, già durante la degenza ospedaliera, i diabetici hanno una maggior incidenza di dissezioni e occlusione coronarica (rispettivamente 21,6% vs 15,8% e 31,6% vs 20,3%). Il follow up a 9 anni mostra che i diabetici hanno una maggior incidenza di mortalità (35,9% vs 17,9%), di infarto miocardico non fatale (29,0% vs 18,5%) e di necessità di rivascolarizzazione sia chirurgica (36,7% vs 27,4%) sia mediante una seconda PTCA (43,7% vs 36,5%) (11). Simili dati sono stati riportati dal gruppo della Emory University. Infatti, Stein e coll. riportano che a un follow up di 5 anni i diabetici hanno una minore sopravvivenza (81% vs 89%), una maggiore incidenza di infarti (11% vs 7%) e una maggiore necessità di rivascolarizzazione chirurgica (23% vs 14%) (12). Da questi dati si evince che i risultati dell angioplastica nei pazienti diabetici sono peggiori di quelli dei non diabetici. Per i diabetici la chirurgia è più indicata dell angioplastica? Per rispondere a questo quesito i dati del BARI mostrano che a un follow up di 7 anni la sopravvivenza dei pazienti non diabetici è virtualmente identica sia che questi siano stati trattati chirurgicamente che con 24
3 PTCA (86,8% vs 86,4% p = ns). I risultati non ottimali della PTCA nei diabetici possono spiegare perché la sopravvivenza dopo PTCA sia inferiore a quella dopo CABG (55,7% vs 76,4% p < 0,0011), specialmente se la rivascolarizzazione chirurgica è stata effettuata utilizzando un condotto arterioso (13). È tuttavia da segnalare che nei pazienti diabetici anche la sopravvivenza dopo CABG è più bassa rispetto a quella dei non diabetici (76,4% vs 86,8%) (13). La minore sopravvivenza sia dopo PTCA sia dopo CABG nei pazienti diabetici è legata alla incompleta rivascolarizzazione, alla progressione della malattia aterosclerotica nei vasi non trattati e, nel caso della PTCA, alla ristenosi dei segmenti trattati. Il processo di ristenosi è dovuto a due fenomeni: uno meccanico, il rimodellamento elastico della parete vasale, e uno dinamico, l iperplasia neointimale. Quest ultima è legata alla migrazione e proliferazione di cellule muscolari lisce e fibroblasti attraverso la liberazione di mediatori dell infiammazione in conseguenza del danno alla parete vasale prodotto dalla PTCA. Seconda rivoluzione: gli stent Gli stent hanno permesso di migliorare i risultati immediati della PTCA in quanto hanno determinato la possibilità di aumentare il diametro vasale postprocedurale (net gain). La riduzione della ristenosi è stata messa in relazione all abolizione del rimodellamento elastico della parete vasale nonostante una maggiore tendenza alla proliferazione neointimale. L uso degli stent è progressivamente aumentato e attualmente sono impiegati in oltre la metà delle procedure di PTCA. Van Belle ha dimostrato che anche nei pazienti diabetici l uso di stent ha migliorato i risultati delle procedure di PTCA. Infatti, a un follow up di 6 mesi l uso di stent ha ridotto l incidenza di ristenosi e di occlusione coronarica rispettivamente dal 62% al 27% (p < 0,0001) e dal 13% al 4% (p < 0,005). A un follow up di 4 anni, inoltre, i pazienti diabetici trattati con stent avevano una minore necessità di rivascolarizzazione chirurgica (52,1% vs 35,4% p < 0,001) e una minore incidenza di morte e di infarto fatale (26,0% vs 14,8% p < 0,02) (14). Nell analizzare i risultati delle procedure di stenting nei pazienti diabetici due sono i quesiti da valutare. 1) I risultati delle procedure di stenting nei diabetici sono peggiori di quelli dei pazienti non diabetici? 2) Per i diabetici la chirurgia è più indicata delle procedure di PTCA più stent? I risultati delle procedure di stenting nei diabetici sono peggiori di quelli dei pazienti non diabetici? Elezi e coll. riportano che a un follow up di un anno i diabetici rispetto ai non diabetici hanno una minore sopravvivenza priva di eventi (73,1% vs 78,5% p < 0,001), una maggiore incidenza di infarto miocardico (10,1% vs 5,6% p < 0,001), una maggiore frequenza di ristenosi (37,5% vs 28,3% p < 0,001) e di occlusione dei vasi trattati con stent (5,3% vs 3,4% p < 0,03) (15). Simili dati sono riportati da Abizaid e coll. che mostra che al follow up a un anno la sopravvivenza priva di eventi dei diabetici trattati con stent è minore di quella dei pazienti non diabetici (63,4% vs 76,2% p < 0,04). I risultati sono specialmente a sfavore dei pazienti con diabete tipo 1. Infatti, la mortalità intraospedaliera dei pazienti con diabete tipo 1 è maggiore di quella dei pazienti con diabete tipo 2 e dei pazienti non diabetici (2% vs 0% e 0,3%). Analogamente, la sopravvivenza priva di eventi è minore (60% vs 70% e 76%) e l incidenza della rivascolarizzazione della lesione colpevole (target lesion revascularization, TLR) è maggiore (28% vs 17,6% e 16,3%) nei pazienti con diabete tipo 1 confrontati con i pazienti con diabete tipo 2 e i pazienti non diabetici (16). Per i diabetici la chirurgia è più indicata delle procedure di PTCA più stent? Per rispondere a questo quesito lo studio ARTS mostra che al follow up a un anno i pazienti diabetici hanno una sopravvivenza priva di eventi minore se trattati con stent piuttosto che con CABG (63,4% vs 84,4% p < 0,001). Inoltre, i pazienti diabetici trattati con stent necessitano di una seconda rivascolarizzazione due volte di più dei pazienti diabetici trattati con CABG (21,6% vs 12,4%) oltre ad avere una maggior mortalità (6,3% vs 3,1% p = ns). La non significatività di quest ultimo dato è probabilmente legata al non sufficientemente lungo periodo di follow up (17). Ristenosi degli stent I non ottimali risultati delle procedure di stenting sono dovuti alla ristenosi, che è legata a due fenomeni: a) la trombosi intrastent e b) l iperplasia neointimale. Trombosi intrastent L angioplastica è una tecnica che induce un traumatismo della parete vasale, e l impianto di stent introduce una struttura metallica di biocompatibilità limitata 25
4 all interno del vaso in contatto con il sangue. Entrambe queste azioni attivano il sistema flogistico ed emocoagulativo con il rischio di avere una trombosi intravascolare. Per ridurre i rischi di trombosi intrastent sono stati utilizzati diversi presidi farmacologici quali l infusione di eparina per ore o l uso di eparina a basso peso molecolare, la somministrazione di antiaggreganti piastrinici come la ticlopidina, il clopidogrel e, recentemente, gli inibitori delle glicoproteine (GP) IIb/IIIa come l abciximab, il tirofiban e l eptifibatide. Gli inbitori delle GP IIb/IIIa agiscono bloccando i recettori glicoproteici IIb/IIIa presenti sulle membrane piastriniche che favoriscono l adesione piastrinica alla parete endoteliale traumatizzata. Ciò impedisce l attivazione e l aggregazione piastrinica che sono momenti fondamentali per la formazione del trombo. Non sembrano esserci particolari benefici nell usare differenti inbitori delle GP IIb/IIIa. Lo studio TARGET infatti ha evidenziato che a un follow up di un anno la mortalità era sovrapponibile con l uso di tirofiban piuttosto che abciximab (2,1% vs 2,9% p = 0,4) come del resto anche l incidenza di infarto e urgente TVR (15,7% vs 16,9% p = 0,6) (18). Nello studio EPISTENT pazienti diabetici sottoposti a procedure di stenting sono stati randomizzati a ricevere abciximab o placebo. Il controllo a 6 mesi ha evidenziato che i pazienti trattati con abciximab avevano una minore incidenza di morte e di infarto (6,2% vs 12,7% p = 0,029) e una minore necessità di TVR (8,1% vs 16,6% p = 0,021), oltre ad avere un maggiore net gain angiografico (0,88 mm vs 0,55 mm p = 0,011) e un minore indice di perdita tardiva (late loss index, LLI) (0,40 mm vs 0,60 mm p = 0,061) (19). L effetto favorevole dell abciximab sulla mortalità è confermato da una metanalisi che evidenzia una riduzione della mortalità sia nei pazienti non diabetici (dal 2,6% al 1,9%; p = 0,09) sia in quelli diabetici (dal 4,5% al 2,5%; p = 0,031). L uso di abciximab era particolarmente utile nei pazienti diabetici in cui era stata effettuata una rivascolarizzazione plurivasale: infatti, in questi pazienti la mortalità si riduceva dal 7,7% allo 0,9% (p = 0,018). Inoltre, nei pazienti con insulinoresistenza (diabete, obesità e ipertensione) la mortalità è stata ridotta dal 5,1% al 2,3% (p = 0,044) (20). Esiste quindi un ampia casistica clinica controllata che documenta l efficacia terapeutica degli inbitori delle GP IIb/IIIa, specie nei pazienti diabetici. A documentazione di questo fatto, è utile sottolineare come l incidenza di occlusione completa del vaso trattato a 6 mesi sia nettamente superiore nei pazienti diabetici che non sono stati trattati con inibitore delle GP IIb/IIIa (14% vs 3% p < 0,004). L uso di inibitori delle GP IIb/IIIa sembra agire proprio nella riduzione delle occlusioni coronariche acute e subacute che peraltro sono un fattore predittivo indipendente di mortalità (21). La maggior tendenza trombogenica dei pazienti diabetici è dovuta al fatto che, rispetto ai pazienti non diabetici, essi hanno piastrine più grandi con una maggiore concentrazione di recettori GP IIb/IIIa e un maggior pool di piastrine attivate con una conseguente maggiore concentrazione di P selectina, trombospondina e trombossano TXA2. Inoltre, i pazienti diabetici hanno una ridotta concentrazione di antitrombina III e una ridotta capacità fibrinolitica legata a una maggiore concentrazione dell inibitore dell attivatore del plasminogeno (PAI-1) (3). Iperplasia neointimale I pazienti diabetici hanno una particolare predisposizione a sviluppare iperplasia neointimale che rappresenta il principale meccanismo del fenomeno della ristenosi. Si ipotizza che ciò sia dovuto al fatto che i diabetici hanno un alta concentrazione dell insulin growth factor-1, del platelet derived growth factor e del fibroblast growth factor. Inoltre, è stato notato che l iperplasia neointimale dei diabetici è caratterizzata da un maggior contenuto di tessuto fibroso rispetto ai controlli (22). Per ridurre l iperplasia neointimale sono stati ideati degli speciali stent più biocompatibili in grado di indurre una minore iperplasia neointimale quali gli stent al cromo-cobalto. Per trattare la ristenosi, sono state utilizzate tecniche alternative alla PTCA classica che prevedono di asportare il materiale neoformato o ridurne la proliferazione e in particolare sono state utilizzate l aterectomia e la brachiterapia. Quest ultima, che consiste in un applicazione locale (a livello della ristenosi) di una sorgente radioattiva gamma- o betaemittente mediante un palloncino di angioplastica, è una interessante tecnologia, ma purtroppo è costosa, impegnativa e i risultati finora ottenuti non sono ancora molto incoraggianti. Terza rivoluzione: gli stent medicati L introduzione dei drug eluting stents (DES) o stent medicati per i cardiologi interventisti, per dirla come ha recentemente scritto Antonio Colombo, ha rappresentato la terza rivoluzione dopo quelle dell impiego della PTCA e degli stent. Dato che l iperplasia neointimale ha una qualche somiglianza con la proliferazione tumorale, gli stent sono stati ricoperti di sostanze antiproliferative che 26
5 vengono gradualmente rilasciate (da qui il termine DES) per modulare la proliferazione delle cellule muscolari lisce e dei fibroblasti che migrano nella parete vasale in seguito al trauma della PTCA. Inizialmente agenti antitumorali, quali il metotrexate e la colchicina, sono risultati inefficaci nel ridurre l iperplasia neointimale; successivamente altri farmaci, antineoplastici o immunosoppressori, sono stati impiegati con successo in studi sperimentali e clinici randomizzati. I farmaci più utilizzati sono il sirolimus, il paclitaxel, il tacrolimus e l actinomicina D. Per verificare l efficacia dei DES sono stati programmati dei trial clinici che prevedevano anche l utilizzo dell ecografia intravascolare coronarica (IVUS), al fine di poter più dettagliatamente quantificare l iperplasia neointimale e quindi valutare il minimo diametro luminale (minimal lumen diameter, MLD), il LLI, la stenosi a livello del vaso trattato (diameter stenosis, DS) e la stenosi ai lati del vaso trattato (binary stenosis, BS). Almeno 2 di questi trial hanno incluso pazienti diabetici. Nel RAVEL trial, che è uno studio multicentrico condotto prevalentemente in Europa, i diabetici erano il 15,8% dei 238 pazienti randomizzati a ricevere uno stent convenzionale (Bx Velocity, Cordis) o un DES (Cypher stent). Il follow up a 6 mesi ha mostrato che i diabetici trattati con DES avevano una maggiore libertà da eventi (94% vs 70% p < 0,001), un maggiore MLD (2,31 mm vs 1,56 mm p < 0,001), un minore LLI (0,08 mm vs 0,82 mm p < 0,001), un minore DS (16% vs 38% p < 0,001) e una praticamente virtuale assenza di ristenosi maggiore del 50% del diametro del vaso (0% vs 42% p < 0,001) (23). Analoghi risultati sono stati riportati dallo studio SIRIUS-US condotto negli Stati Uniti. In questo studio i diabetici erano il 24,6% dei 1101 pazienti randomizzati a ricevere uno stent convenzionale (Bx Velocity, Cordis) o un DES (Cypher stent). I dati preliminari di questo trial mostrano come la ristenosi superiore al 50% del diametro del vaso nei pazienti trattati con DES fosse solo del 5% se confrontata con il 39% nei pazienti non trattati con DES (dati ancora non pubblicati). Pertanto i DES, e il sirolimus in particolare, sembrano poter essere uno strumento efficace per ridurre la proliferazione neointimale e la ristenosi, e potrebbero essere lo strumento che consentirà di sconfiggere l incubo della ristenosi anche nei pazienti diabetici. Conclusioni: la rivoluzione continua Nell ultimo decennio in sala di emodinamica si è assistito a un importante innovamento tecnologico che, nonostante gli altrettanti importanti sviluppi che si sono avuti in cardiochirurgia, ha cercato di ridurre il gap che esisteva fra PTCA e CABG. Tuttavia è importante precisare che per alcuni pazienti diabetici il CABG rimane pur sempre la prima opzione terapeutica, specialmente nei casi in cui questi siano affetti da diabete tipo 1 con grave disfunzione ventricolare, nei quali vi sia una coronaropatia con vasi esili e diffusamente malati, una malattia del tronco comune o della discendente anteriore prossimale con una stenosi lunga oltre 20 mm con un diametro vasale inferiore ai 3 mm. È doveroso anche ricordare che sia per la PTCA sia per il CABG un ruolo importante viene svolto dall attento controllo della prevenzione terziaria. Particolare attenzione va rivolta al controllo dell iperglicemia cercando di ridurre l HbA 1c al di sotto del 7%. Una riduzione dell 1% dell HbA 1c corrisponde a una riduzione del 14% di mortalità e infarto miocardico (24). Inoltre, Al-Rashdan e coll. riportano che pazienti diabetici con HbA 1c < 7% hanno un incidenza di eventi cardiaci maggiori (MACE) sovrapponibile ai pazienti non diabetici, mentre quelli che hanno una HbA 1c > 7% hanno un alta incidenza di sviluppare MACE (25). Un attento controllo della glicemia viene fortemente raccomandato dallo studio DIGAMI (26). Il controllo dell assetto lipidico è stato ampiamente dimostrato da vari studi quali il 4S (27) e lo studio CARE (28). Vanno inoltre controllati attentamente l eventuale presenza di ipertensione e nefropatia: la presenza di microalbuminuria è un importante indipendente fattore predittivo di mortalità nei cardiopatici diabetici (29). Un attenta prevenzione porterà sicuramente a un miglioramento dei risultati delle procedure di rivascolarizzazione miocardica per via sia transcutanea sia chirurgica. Bibliografia 1. Amos AF, McCarthy DJ, Zimmet P: The rising global burden of diabetes and its complications: estimates and projections to the year Diabet Med 14 (suppl 5), S1-S85, Ledru F, Ducimetiere P, Battaglia S et al: New diagnostic criteria for diabetes and coronary artery disease: insights from an angiographic study. J Am Coll Cardiol 37, , Loutfi M, Mulvihill N, Fajadet J et al: Percutaneous coronary revascularization in diabetic patients. Paris Course on Revascularization. Maggio 2002, p Abaci A, Oguzhan A, Kahraman S et al: Effect of diabetes mellitus on formation of coronary collateral vessels. 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