Note di Scienza delle Costruzioni. Fabrizio Davì. [Nome autore]

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1 1 Note di Scienza delle Costruzioni Fabrizio Davì [Nome autore]

2 2 Illustrazione di copertina: Manoscritto autografo di Isaac Newton sulle leggi della dinamica. Cambridge Digital Library ( Queste note sono state interamente redatte dall autore con il LaTex Document Preparation System, utilizzando un MacBookPro 17 Retina, OSX.7.5. Disponibili on-line all indirizzo: Tutti i diritti riservati. Sono vietate la riproduzione e la diffusione, anche parziali, senza l esplicita autorizzazione da parte dell autore.

3 Note di Scienza delle Costruzioni Corso di Laurea in Ingegneria Civile e Ambientale Fabrizio Daví Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Architettura, Universitá Politecnica delle Marche Ancona Versione aprile 2016

4 ii

5 Introduzione Queste note di Scienza delle Costruzioni non hanno la pretesa di essere una dispensa o tantomeno un libro. Sono la trascrizione tipografica delle note manoscritte reperibili da alcuni anni sul mio sito personale e costituiscono una traccia degli argomenti svolti a lezione seguendone abbastanza fedelmente lo sviluppo cronologico. Gli studenti sono caldamente invitati a studiare su di un valido testo di Scienza delle Costruzioni tra i molti reperibili in commercio. Queste note sono inoltre un lavoro in progress e non hanno una struttura definitiva: i lettori sono pregati di segnalare ogni errore od inconsistenza rilevate nel testo. Queste note sono scaricabili gratuitamente: si diffidano perció i soliti approfittatori della fatica altrui dal rivenderle a scopo di lucro. Se poi ci tenete tanto fatelo pure, sperando che i soldi cosí accumulati vengano spesi in antidiarroici. Passando alle cose serie, arriviamo come d uso alle dediche. Queste note sono dedicate a Paolo, Morton ed Emanuele, senza il cui infaticabile e spesso frustrato sforzo non saprei nulla di quello che so. Sono anche dedicate a Cinzia, con l augurio che un giorno i suoi figli le possano leggere con la stessa facilitá con cui le leggo io. Fabrizio Daví, Ancona, 2013 iii

6 iv INTRODUZIONE

7 Indice Introduzione iii 1 Cenni di Algebra e Analisi Vettori Tensori Generalitá ed operazioni tra tensori Componenti di un tensore. Matrici Asse. Proiezioni ortogonali Determinante, Cofattore Autovalori e autovettori. Rappresentazione spettrale Rotazioni. La formula di Rodriguez Analisi tensoriale Gradiente Divergenza, Rotore, Laplaciano Cinematica Deformazioni Analisi locale della deformazione La decomposizione polare di F Moti Rigidi Moti rigidi piani Vincoli Sistemi vincolati Classificazione dei vincoli per corpi rigidi piani Deformazioni Infinitesime Il tensore di deformazione infinitesima Le equazioni di compatibilitá Statica Azioni alla Cauchy Il principio delle potenze virtuali Equilibrio per sistemi rigidi vincolati La tensione Il teorema di Cauchy: il tensore degli sforzi v

8 vi INDICE Tensioni principali Il cerchio di Mohr Il tensore degli sforzi di Piola-Kirchhoff Relazioni Costitutive Materiali elastici lineari Restrizioni a priori su C Materiali conservativi Simmetrie materiali Materiali isotropi Le relazioni costitutive Il problema elastico Lo stato elastico Le equazioni di Navier Le equazioni di Beltrami-Michell I principi variazionali Il principio dei lavori virtuali Il principio di minimo dell energia potenziale totale Il principio di minimo dell energia complementare Travi I: la teoria tecnica Curve in R 3. Regioni a forma di trave Statica delle Travi Travi ad asse rettilineo Travi reticolari Le equazioni della linea elastica Le misure di deformazione Travi elastiche lineari Travi rettilinee: le equazioni della linea elastica Le condizioni al contorno per l equazione della linea elastica Gli effetti delle variazioni termiche Travi deformabili a taglio Materiali conservativi L energia potenziale elastica: il principio di minimo L energia complementare: il principio di massimo Le equazioni di Müller-Breslau Travi II: il problema di Saint Venant Generalitá ed ipotesi Geometria Materiale Azioni Il postulato di Saint Venant Soluzione Il metodo semi-inverso

9 INDICE vii La soluzione delle equazioni di bilancio Lo stato di deformazione Le equazioni di compatibilitá La determinazione delle costanti La determinazione delle funzioni di ingobbamento Il campo di spostamenti Le tensioni principali Saint Venant: casi di sollecitazione Forza Normale Flessione Flessione Semplice Forza Normale eccentrica Flessione e Taglio La trattazione rigorosa: cenni La formula di Jourawsky Il taglio nelle sezioni in parete sottile aperta Torsione Il problema di Neumann per la funzione di ingobbamento La soluzione di Prandtl La formula di Bredt La soluzione di Saint Venant per le sezioni rettangolari allungate Il centro di torsione I criteri di sicurezza Generalitá: materiali duttili Il criterio di Tresca Il criterio di Huber-Von Mises Le verifiche di sicurezza per il problema di Saint Venant Cenni sui materiali fragili Il criterio di Rankine Il criterio di Mohr-Coulomb Il criterio di Drucker Il carico critico Euleriano 187 A Geometria delle masse 193 B Profilati 209 C Tabelle η ij ed η i0 219 Bibliografia 223

10 viii INDICE

11 Capitolo 1 Cenni di Algebra e Analisi 1.1 Vettori Denotiamo con E lo spazio euclideo tridimensionale e con lettere maiuscole i punti appartenenti a tale spazio, ad esempio A E. Dati due punti A E, B E definiamo il vettore v come differenza tra i due punti: v = B A ; (1.1) A v B Fig Rappresentazione grafica di un vettore denotiamo con V la collezione di tutti i vettori associati allo spazio euclideo E: tale collezione é uno spazio essendo chiuso rispetto alle operazioni di somma e prodotto per uno scalare: v + w V, αv V, v V, w V, α R ; (1.2) definiamo V lo spazio vettoriale associato ad E. Assegnati tre vettori u, v e w appartenenti a V e tre numeri reali α, β e γ si dice l insieme delle combinazioni lineari del tipo: span{u, v, w}, (1.3) αu + βv + γw. (1.4) La dimensione n = dim(v) di uno spazio vettoriale é il numero massimo di vettori che generano lo spazio; poiché V é associato allo spazio tridimensionale 1

12 2 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI E si ha n = 3. Si definisce Base una collezione di n = 3 vettori linearmente indipendenti in V. Sia {u, v, w}, una base in V, allora ogni elemento z V puó essere rappresentato come una combinazione lineare degli elementi della base: z = αu + βv + γw, (α,, β, γ) R 3. (1.5) Dati due vettori u V e v V, si definisce prodotto scalare l operazione: : V V R, V V (u, v) u v R, (1.6) che gode della proprietá commutativa u v = v u e della proprietá distributiva rispetto alla somma: u (v + w) = u v + u w, u V, v V, w V. Si hanno le seguenti definizioni: i- Due vettori u e v si dicono ortogonali se u v = 0 ; ii- Si definisce norma di u lo scalare positivo u = u u ; iii- Si definisce versore un vettore a norma unitaria, i.e. u = 1. Dato un generico vettore v il suo versore é vers(v) = v 1 v ; iiii- L angolo θ tra due vettori u e v é definito come: θ = cos 1 Una base {e 1, e 2, e 3 } si dice Ortonormale se: u v u v ; (1.7) e i e j = δ ij, i, j = 1, 2, 3, (1.8) dove l operatore delta di Kronecker é definito come: { 1, i = j, δ ij = 0, i j. (1.9) Dato v V se ne definiscono le componenti nella base ortonormale {e 1, e 2, e 3 } che d ora in poi indicheremo con {e k }, k = 1, 2, 3 mediante la: v i = v e i, i = 1, 2, 3 ; (1.10) é immediato verificare che il vettore v ammette la seguente rappresentazione in base: 3 v = v 1 e 1 + v 2 e 2 + v 3 e 3 = v k e k = v k e k. (1.11) k=1

13 1.1. VETTORI 3 Nell ultima espressione si é fatto uso della notazione di Einstein che assume in una espressione binomia la sommatoria tra indici ripetuti. Nel seguito si assumerá sistematicamente che nella sommatoria gli indici latini assumano valori 1, 2, 3, mentre gli indici greci assumeranno valori 1, 2. Mediante l introduzione di una base, a ciascun elemento v V, associamo un elemento di R 3 che rappresentiamo come vettore colonna: [v] v 1 v 2 v 3, (1.12) E opportuno ricordare che a ciascun vettore v possono corrispondere diverse rappresentazioni come vettore colonna in ragione della base scelta. Mediante la rappresentazione in base possiamo esprimere il prodotto scalare in termini delle componenti dei vettori. Se u = u i e i e v = v j e j si ha: u v = u i e i v j e j = u i v j δ ij = u i v i = u 1 v 1 + u 2 v 2 + u 3 v 3. (1.13) Dati due vettori u V e v V, si definisce prodotto vettoriale l operazione: : V V V, V V (u, v) u v = w V. (1.14) Si hanno le seguenti definizioni: i- Due vettori u e v si dicono paralleli se u v = 0 ; ii- u v = v u (anticommutativitá) ; iii- L angolo θ tra due vettori u e v é definito come: 1 u v θ = sin u v ; (1.15) Il prodotto vettoriale tra gli elementi della base ortonormale {e k } é definito mediante la relazione: e i e j = ɛ ijk e k, (1.16) dove il simbolo di Ricci ɛ ijk é tale che: 1, {ijk} = 123, 231, 312, ɛ ijk = 1, {ijk} = 132, 321, 213, 0, in tutti gli altri casi. (1.17) Osserviamo che questa definizione del simbolo di Ricci corrisponde ad avere assunto una base ortonormale antioraria.

14 4 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI e 3 e 1 e 2 Fig Base {e 1, e 2, e 3 } antioraria Mediante la rappresentazione in base possiamo esprimere il prodotto vettoriale in termini delle componenti dei vettori: se infatti u = u i e i e v = v j e j si ha: w = u v = u i e i v j e j = u i v j ɛ ijk e k = w k e k (1.18) = (u 2 v 3 u 3 v 2 )e 1 + (u 3 v 1 u 1 v 3 )e 2 + (u 1 v 2 u 2 v 1 )e 3, da cui la rappresentazione come vettore colonna: [w] = [u v] u 2v 3 u 3 v 2 u 3 v 1 u 1 v 3. (1.19) u 1 v 2 u 2 v Tensori Generalitá ed operazioni tra tensori Un tensore del secondo ordine, che indichiamo con una lettera maiuscola in neretto A, é una trasformazione lineare dallo spazio vettoriale V in se stesso: A : V V, V u Au = v V. (1.20) I tensori del secondo ordine appartengono ad uno spazio, che denominiamo Lin, avente dimensione m = n 2 e per il quale valgono le: A + B Lin, αa Lin, A Lin, B Lin, α R, (1.21) poiché n = 3, si ha m = 9. Alcuni tensori significativi sono: i- Diade o prodotto tensoriale A = a b, a V, b V: (a b)u = (b u)a, u V. (1.22) ii- Tensore Identitá I: iii- Tensore Nullo 0: Iu = u, u V. (1.23) 0u = 0, u V. (1.24)

15 1.2. TENSORI 5 Si definisce Trasposto di un tensore A e lo si indica A T, l unico tensore tale che: Au v = u A T v. (1.25) Un tensore A si dice Simmetrico se: ed Antisimmetrico se: A = A T, (1.26) A = A T. (1.27) Per ciascun tensore A si definiscono la parte simmetrica e la parte antisimmetrica rispettivamente come: chiaramente: sym A = 1 2 (A + AT ), skw A = 1 2 (A AT ) ; (1.28) sym A + skw A = A, (1.29) ed indicando con Sym e Skw rispettivamente il sottospazio dei tensori simmetrici e quello dei tensori antisimmetrici si ha che Lin = Sym Skw. L identitá é simmetrica: per quando riguarda la diade si ha (a b)u v = (b u)(a v) = u (b a)v = u (a b) T v, (1.30) per cui ed inoltre (a b) T = b a, (1.31) Sym(a b) = 1 2 (a b + b a), Skw(a b) = 1 (a b b a). (1.32) 2 Se A Sym definiamo la sua parte sferica, sph A: e la sua parte deviatorica, dev A: si ha che sph A = 1 (tr A)I, (1.33) 3 dev A = A sph A ; (1.34) tr(sph A) = tr A, tr(dev A) = 0. (1.35) Detti Sph e Dev i sottospazi di Sym dei tensori sferici e deviatorici, si ha Sym Sph Dev. Definiamo adesso alcune operazioni tra tensori mediante le diadi: a- Traccia tr : Lin R, tr(a b) = a b ;

16 6 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI b- Prodotto di composizione : Lin Lin Lin, (a b) (c d) = (b c)a d : osserviamo che normalmente si omette il simbolo, ovvero A B = AB, e che A A = AA = A 2. c- Prodotto scalare : Lin Lin R, (a b) (c d) = tr((a b) (c d) T ) = Osserviamo che : = (a c)(b d). a- Due tensori T e W si dicono ortogonali se T W = 0 ; b- Si definisce norma di A lo scalare positivo A = A A ; c- Dalla definizione di prodotto scalare inoltre si ha che tr T = T I ; d- T Sym e W Skw si ha T W = 0 ; e- A Sph e B Dev si ha A B = 0 ; f- A Lin si ha A 2 = sym A 2 + skw A 2 ; g- T Sym si ha T 2 = sph T 2 + dev T 2 ; Componenti di un tensore. Matrici Consideriamo la trasformazione lineare A Lin con u V e v V: u = Av ; se indichiamo con v = v j e j la rappresentazione nella base ortonormale {e k }, possiamo scrivere nella medesima base le componenti di u come: u i = Ae j e i v j. (1.36) Osserviamo che, per la definizione di traccia di una diade e di prodotto scalare si ha: Ae j e i = tr(ae j e i ) = A e i e j. (1.37) Osserviamo che le nove diadi {e i e j }, i, j = 1, 2, 3 sono tra di loro ortonormali e pertanto sono una base di Lin: definiamo allora le Componenti del tensore A: A ij = A e i e j, (1.38) per modo che la (1.36) si riduce al prodotto righe per colonna tra la matrice [A ij ] ed il vettore colonna [v j ]: u i = A ij v j. (1.39)

17 1.2. TENSORI 7 La matrice [A ij ] é pertanto la rappresentazione mediante le componenti rispetto alla base {e i e j }, i, j = 1, 2, 3, del tensore A: [A] A 11 A 12 A 13 A 21 A 22 A 23 ; (1.40) A 31 A 32 A 33 abbiamo: 1- [I] = [(I) ij ] = [δ ij ], 2- [a b] = [(a b) ij ] = [a i b j ], 3- [A T ] = [(A T ) ij ] = [A ji ], 4- se T Sym, allora T ij = T ji. Pertanto dim(sym) = 6, 5- se W Skw, allora W ij = W ji. Pertanto dim(skw) = 3, 6- [AB] = [(AB) ij ] = [A ik B kj ], 7- tr A = A kk = A 11 + A 22 + A 33, 8- A B = A ik B ik, 9- [sph A] = [(spha) ij ] = [( 1 3 tr A)δ ij]. Pertanto dim(sph) = 1, 10- [dev A] = [(deva) ij ] = [A ij ( 1 3 tr A)δ ij]. Pertanto dim(dev) = Asse. Proiezioni ortogonali Sia W Skw un tensore antisimmetrico e sia ω V. Se: Wa = ω a, a V, (1.41) diciamo ω asse di W e W tensore assiale di ω; necessariamente Wω = 0. Assumendo nella base ortonormale {e k } le rappresentazioni in componenti a = a h e h, ω = ω k e k e W = W ij e i e j, W ij = W ji, abbiamo dalla (1.41): W ij e i e j a h e h = ω k e k a h e h, W ij a h δ jh e i = ω k a h ɛ khi e i, W ih a h e i = ω k a h ɛ khi e i ; dovendo valere l eguaglianza per ogni a, ovvero per ogni a h, ed essendo ɛ khi = ɛ hik si ottiene: W ih = ɛ hik ω k,, (1.42) relazione tra le componenti dell asse e del suo tensore assiale. In forma matriciale, note le componenti dell asse: ω 1 0 ω 3 ω 2 [ω] ω 2, [W] ω 3 0 ω 1 ; (1.43) ω 3 ω 2 ω 1 0

18 8 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI viceversa, note le componenti del tensore assiale: [W] 0 W 12 W 13 W 12 0 W 23 W 13 W 23 0, [ω] W 23 W 13 W 12. (1.44) Se un tensore antisimmetrico é rappresentato in forma diadica, abbiamo inoltre la seguente identitá, detta dualitá di Hodge: W = a b b a, ω = b a. (1.45) Consideriamo il tensore P(e) = e e, e = 1. Per ciascun vettore v V si ha: Pv = (e e)v = (v e)e = v ; (1.46) Il vettore v é la proiezione ortogonale di v sulla direzione e: definiamo pertanto il tensore P(e) il Proiettore ortogonale su e. Denotiamo con v la proiezione ortogonale di v sul piano normale ad e; poiché: v = v v, (1.47) dalla definizione di Proiettore ortogonale e di Identitá risulta: v = Iv Pv = (I P)v ; (1.48) definiamo P (e) il Proiettore complementare, ovvero il tensore che proietta il vettore v sul piano ortogonale a e: P (e) = I P(e) = I e e. (1.49) Tra i proiettori ed i tensore assiale associati al medesimo vettore e vale la relazione: Osservazione 1 Applicando W e P ad un vettore v: P (e) = W 2 (e). (1.50) π W(e) lo proietta sul piano ortogonale ad e e lo ruota di 2 antiorario intorno ad e ; in senso W 2 (e) lo proietta sul piano ortogonale ad e e lo ruota di π in senso antiorario intorno ad e ; P (e) lo proietta sul piano ortogonale ad e ; P(e) lo proietta lungo la direzione di e ;

19 1.2. TENSORI 9 P(e)v v e W 2 (e)v P (e)v W(e)v Fig Relazione tra W e P Determinante, Cofattore Siano u V, v V, w V tre vettori linearmente indipendenti, ovvero u v w 0. Definiamo Determinante di un tensore A lo scalare det A: Au Av Aw = (det A)u v w ; (1.51) se scegliamo come tre vettori linearmente indipendenti i vettori di una base ortonormale con e 1 e 2 e 3 = 1, in componenti si ha: det A = A i1 A j2 A k3 ɛ ijk (1.52) = A 11 A 22 A 33 + A 21 A 32 A 13 + A 31 A 12 A 23 A 31 A 22 A 13 A 21 A 12 A 33 A 11 A 32 A 23 ; é facile verificare che, per la regola di Sarrus, questo é il determinante della matrice associata ad A nella base {e k }, ovvero: det A = det[a ij ]. Definiamo Cofattore di un tensore A il tensore A : dove, se det A 0, si ha: Au Av = A (u v), (1.53) A = (det A)(A 1 ) T = (det A)(A T ) 1 = (det A)A T. (1.54) Si hanno le seguenti identitá tr A = 1 2 ((tr A)2 A 2 ), (1.55) det A = (det A) 2.

20 10 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI Autovalori e autovettori. Rappresentazione spettrale Sia A Lin, si cercano, se esistono, le coppie (λ, u), dove λ é un numero complesso ed u V tali che: Au = λu : (1.56) si definiscono λ autovalore ed u autovetture di A; come é noto il sistema omogeneo che deriva dalla (1.56) ammette soluzioni non banali per dove: det(a λi) = 0, (1.57) det(a λi) = λ 3 λ 2 ι 1 (A) + λι 2 (A) ι 3 (A) = 0, (1.58) essendo ι k (A), k = 1, 2, 3 gli invariati ortogonali del tensore A: ι 1 (A) = tr A, ι 2 (A) = tr A, (1.59) ι 3 (A) = det A. Per il teorema fondamentale dell algebra la (1.57) ammette tre soluzioni e pertanto il problema agli autovalori (1.56) ammette tre autocoppie (λ 1, u 1 ), (λ 2, u 2 ) e (λ 3, u 3 ). Se A Sym ed inoltre é definito positivo, ovvero Au u > 0, u V/{0}, allora λ k R +, k = 1, 2, 3 e gli autovalori formano una base ortonormale {u 1, u 2, u 3 } detta riferimento principale. Nel riferimento principale il tensore ammette la rappresentazione spettrale: e la matrice associata é diagonale: A = λ 1 u 1 u 1 + λ 2 u 2 u 2 + λ 3 u 3 u 3, (1.60) [A] λ λ λ 3. (1.61) Osserviamo che la matrice associata al cofattore di A nel riferimento principale é: λ 2 λ [A ] 0 λ 1 λ 3 0, (1.62) 0 0 λ 1 λ 2 e pertanto: ι 1 (A) = λ 1 + λ 2 + λ 3, ι 2 (A) = λ 2 λ 3 + λ 1 λ 3 + λ 1 λ 2, (1.63) ι 3 (A) = λ 1 λ 2 λ 3. Se A Lin, dalla (1.58) discende il seguente risultato (Teorema di Cayley- Hamilton): A 3 A 2 ι 1 (A) + Aι 2 (A) ι 3 (A)I = 0. (1.64)

21 1.2. TENSORI Rotazioni. La formula di Rodriguez Definiamo Trasformazioni Ortogonali quegli elementi Q Lin che preservano angoli e distanze: necessariamente: u u = Qu Qu, u v = Qu Qv, u V, v V ; (1.65) Qu Qu = Q T Qu u = u u, Qu Qv = Q T Qu v = u v, Q T Q = I (1.66) (1.67) Poiché per la definizione di inversa Q 1 : Q 1 Q = I, si ha che le trasformazioni ortogonali hanno: Q 1 = Q T. (1.68) Applicando il determinante al primo ed al secondo membro della (1.68) e ricordando che det Q 1 = (det Q) 1 e che det Q T = det Q, si arriva a: (det Q) 2 = 1 ovvero det Q = ±1. (1.69) Definiamo Rotazioni le trasformazioni ortogonali con det Q = 1 e Riflessioni quelle con det Q = 1. Ci occupiamo solo delle rotazioni che formano un sottoinsieme Rot Lin detto gruppo delle Rotazioni. Le rotazioni infatti non sono un sottospazio poiché non sono chiuse rispetto alle operazioni di somma e prodotto per uno scalare. Osserviamo che Q = det Q(Q 1 ) T = Q, (1.70) per la (1.68) ed essendo det Q = 1. Ne segue che: ι 1 (Q) = tr Q, ι 2 (Q) = tr Q = tr Q = ι 1 (Q),, (1.71) ι 3 (Q) = det Q = 1, e l equazione caratteristica (1.58) diviene : λ 3 λ 2 ι 1 (Q) + λι 1 (Q) 1 = (λ 1)(λ 2 + ι 1 (Q)) = 0, (1.72) che ammette l autovalore λ = 1: di conseguenza esiste una direzione e tale che Qe = e che viene detta Asse di rotazione. Noto l asse di rotazione, l altro parametro che consente di caratterizzare la rotazione é l angolo di rotazione ϕ: una rotazione pertanto é caratterizzata da

22 12 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI tre parametri, due che individuano la direzione dell asse ed uno che descrive la rotazione, ovvero (e, ϕ). Possiamo dare una rappresentazione esplicita delle rotazioni in termini di questi due parametri. Consideriamo la rotazione di un vettore v V mediante una rotazione di asse e: v Qv ; decomponendo v nella sua proiezione ortogonale v lungo l asse e v ortogonalmente all asse si ha: Qv = Qv + Qv = Q(v e)e + Qv (1.73) = (v e)qe + Qv = (v e)e + Qv = v + Qv. La rotazione Q agisce pertanto solo sulla proiezione del vettore v sul piano ortogonale all asse e puó essere studiata in questo piano. Ponendo v = v u, u = v v, (1.74) consideriamo la trasformazione piana u Qu con u = A O e Qu = B O: l arco AB puó scriversi esprimendo B O come Poiché: B O = (B C) + (C A) + (A O). (1.75) C A = sin ϕw(e)u, (1.76) B C = (1 cos ϕ)w 2 (e)u, A C B ϕ O Fig Rappresentazione della rotazione nel piano ortogonale ad e dove W(e) é il tensore assiale associato ad e, si ha che dalla (1.75) Qu = sin ϕw(e)u + (1 cos ϕ)w 2 (e)u + u, da cui, moltiplicando per la v ed osservando che W(e)v = W(e)v: Qv = v + sin ϕw(e)v + (1 cos ϕ)w 2 (e)v.

23 1.3. ANALISI TENSORIALE 13 Infine, dalla (1.73) Qv = v + Qv = v + v + sin ϕw(e)v + (1 cos ϕ)w 2 (e)v, (1.77) dalla quale fattorizzando v si arriva all espressione di Q: Q ϕ e = I + sin ϕw(e) + (1 cos ϕ)w 2 (e), (1.78) conosciuta come Formula di Rodriguez. Esempio 1 Rotazione intorno ad e 3 Consideriamo nel riferimento ortonormale {e 1, e 2, e 3 } la rotazione antioraria di un angolo ϕ intorno all asse e 3 : le matrici dei tensori W(e 3 ) e W 2 (e 3 ) sono: [W(e 3 )] , [W 2 (e 3 )] applicando la (1.78) otteniamo la ben nota espressione: [Q ϕ 3 ] 1.3 Analisi tensoriale Gradiente cos ϕ sin ϕ 0 sin ϕ cos ϕ ; (1.79). (1.80) Consideriamo una applicazione V x φ(x) R, regolare. Definiamo gradiente di φ(x) in un punto x 0 del suo insieme di definizione, la trasformazione lineare φ(x 0 ) tale che: φ(x) = φ(x 0 ) + φ(x 0 ) (x x 0 ) + o( x x 0 ) ; (1.81) le sue componenti in una base ortonormale {e k } sono date dalle: essendo φ e k = φ, k, k = 1, 2, 3, (1.82) φ, k = φ x k, e la rappresentazione come vettore colonna é: φ, 1 [ φ] φ, 2. φ, 2

24 14 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI Dato un vettore m, m = 1, definiamo la derivata di φ nella direzione di m lo scalare: m φ = φ m. (1.83) In maniera del tutto analoga per V x v(x) V, regolare, ne definiamo il gradiente in un punto x 0 del suo insieme di definizione v(x 0 ): v(x) = v(x 0 ) + v(x 0 )(x x 0 ) + o( x x 0 2 ) ; (1.84) le componenti di v sono date dalla: essendo v e i e j = v i,j, i, j = 1, 2, 3, (1.85) v i,k = v i x k, e la loro rappresentazione matriciale é: v 1,1 v 1,2 v 1,3 [ v] v 2,1 v 2,2 v 2,3. v 3,1 v 3,2 v 3,3 Dato un vettore m, m = 1, definiamo la derivata di v nella direzione di m il vettore: m v = v[m]. (1.86) Per φ(x) R, u(x) V e v(x) V ed Ω E con frontiera regolare Ω avente normale esterna n, n = 1, valgono le seguenti identitá: (u v) = T u[v] + T v[u] ; (1.87) φ = Ω Ω v = φn ; (1.88) Ω Ω v n ; (1.89) Divergenza, Rotore, Laplaciano Dato un campo vettoriale V x v(x) V, regolare, ne definiamo la divergenza div v(x) come: ovvero in componenti: div v(x) = tr v(x), (1.90) div v = v k,k = v 1,1 + v 2,2 + v 3,3. (1.91)

25 1.3. ANALISI TENSORIALE 15 Definiamo il rotore curl v(x) del campo vettoriale v(x) come (2 volte) l asse della parte antisimmetrica del gradiente: ed in componenti: curl v(x) a = 2 skw v(x)[a], a = cost., (1.92) curl v = v i,j ɛ ijk e k (1.93) ovvero [curl v] u 2,3 u 3,2 u 3,1 u 1,3 u 1,2 u 2,1. Se x ϕ(x) é un campo scalare ed x v(x) un campo vettoriale, regolari, si hanno le indentitá: curl ϕ = 0, curl v = 0. (1.94) Dato un campo tensoriale V x S(x) Lin, regolare, ne definiamo la divergenza div S(x) mediante la: ed in componenti: div(s T a) = a div S, a = cost., (1.95) div S = S ij,j e i, i, j = 1, 2, 3, (1.96) ovvero: [div S] S 11,1 + S 12,2 + S 13,3 S 21,1 + S 22,2 + S 23,3 S 31,1 + S 32,2 + S 33,3. Definiamo il Laplaciano v(x) di un campo vettoriale v(x) la divergenza del gradiente: ed in componenti v(x) = div v(x), (1.97) v(x) = v i,kk e i, i, k = 1, 2, 3, (1.98) ovvero: [ v] v 1,11 + v 1,22 + v 1,33 v 2,11 + v 2,22 + v 2,33 v 3,11 + v 3,22 + v 3,33 = v 1 v 2 v 3.

26 16 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI Per v(x) V e S(x) Lin ed Ω E con frontiera regolare Ω avente normale esterna n, n = 1, valgono le seguenti identitá: div(sv) = v div S T + S T v, (1.99) div v = Ω Ω Ω div S = curl v = v n, teorema della Divergenza ; (1.100) Ω Ω Ω Sn ; (1.101) v n,. (1.102) (1.103) Per S un disco in E con frontiera regolare S avente normale esterna n, vale il teorema di Stokes: curl v n = v dx. (1.104) S Infine, se X Skw é il tensore assiale associato al vettore posizione x, per S Lin vale la seguente identitá: Esercizi S div(xs) = IhS + x (div S), (IhS) i = ɛ jik S jk. (1.105) [1 ] Se A = I + αb, mostrare che: i)- A 1 = I αb + o(α 2 ), ii)- det A = 1 + α tr B + α 2 tr B + α 3 det B. [2 ] Per mezzo del teorema di Cayley-Hamilton mostrare vera l identitá (1.55) 1. [3 ] Se Q 1 Rot, Q 2 Rot ed α R mostrare che (struttura di gruppo di Rot): i)- Q 1 + Q 2 / Rot, ii)- αq 1 / Rot, iii)- Q 1 Q 2 Rot. [4 ] Mediante la rappresentazione in componenti mostrare vera l identitá (1.45). [5 ] Mostrare che (idempotenza): P n = P, (P ) n = P, n = 1, 2,....

27 1.3. ANALISI TENSORIALE 17 [6 ] Mediante la rappresentazione in componenti mostrare vera la (1.105). [7 ] Una rappresentazione delle rotazioni alternativa alla formula di Rodriguez é quella in termini degli Angoli di Eulero, ovvero mediante tre rotazioni Q i di angolo φ i intorno ad un asse w i, i = 1, 2, 3: Q = Q 3 Q 2 Q 1. Nella base ortonormale {e k } i tre assi di rotazione sono rappresentati come: ed i tre angoli sono detti: w 1 = e 3, w 2 = Q 1 e 1, w 3 = Q 2 Q 1 e 3, φ 1 = ψ, precessione, φ 2 = θ, nutazione, φ 3 = ϕ, rotazione propria. Determinare, nella base {e k } la matrice della rotazione Q espressa in termini degli angoli di Eulero.

28 18 CAPITOLO 1. CENNI DI ALGEBRA E ANALISI

29 Capitolo 2 Cinematica 2.1 Deformazioni Consideriamo un sottoinsieme aperto Ω E ed identifichiamo i punti X Ω mediante il loro vettore posizione x(x) = X O, con O E. Definiamo Deformazione l applicazione vettoriale: X f Y = f(x) f(ω) Ω Fig Deformazione f : Ω E, Ω X f(x) = Y E, (2.1) avente rappresentazione vettoriale ed in componenti (in una opportuna base): y = f(x), y k = f k (x 1, x 2, x 3 ), k = 1, 2, 3, se sono soddisfatte le seguenti condizioni: i- f C 1 (Ω) ; ii- f localmente iniettiva ; iii- det f > 0, 19

30 20 CAPITOLO 2. CINEMATICA dove dove con il simbolo f si denota il gradiente di f(x), avente rappresentazione matriciale: [ f] f 1,1 f 1,2 f 1,3 f 2,1 f 2,2 f 2,3. f 3,1 f 3,2 f 3,3 D ora in avanti indicheremo con F(x) = f(x) il gradiente di deformazione: definiamo inoltre Defomazione omogenea una deformazione con F costante. Identifichiamo Ω con un continuo materiale, di cui Ω é la Configurazione di riferimento; indichiamo con B = f(ω) l immagine di Ω mediante la deformazione e la chiamiamo Configurazione deformata o corrente. Osservazione 2 Le ipotesi sulla deformazione implicano che non siano possibili compenetrazioni o fratture per effetto della deformazione stessa e che l orientamento locale venga preservato Analisi locale della deformazione Consideriamo un punto x 0 Ω: poiché la deformazione é localmente iniettiva, consideriamo lo sviluppo in serie di Taylor della deformazione in un intorno di x 0 : f(x) = f(x 0 ) + F(x 0 )(x x 0 ) + o( x x 0 2 ) ; (2.2) La deformazione F(x 0 ) é omogenea e nel seguito la indicheremo semplicemente con F. Se poniamo y 0 = f(x 0 ), abbiamo che a meno di infinitesimi di ordine superiore: y y 0 = F(x x 0 ), (2.3) e pertanto la deformazione di vettori della configurazione di riferimento uscenti da x 0 in vettori della configurazione deformata é totalmente descritta a partire dalla conoscenza del gradiente della deformazione omogenea F nell intorno di x 0. Deformazione di elementi di linea Consideriamo una curva γ per x 0 e consideriamo il vettore tangente x x 0 = αe, e = 1: prima della deformazione la sua lunghezza iniziale é L i = x x 0 = α ; per effetto della deformazione il vettore tangente a γ si trasforma in: avente lunghezza: y y 0 = αfe, L f = y y 0 = α Fe. Se definiamo la variazione Lagrangiana di lunghezza come: δl = L f L i L i, (2.4)

31 2.1. DEFORMAZIONI 21 otteniamo Osserviamo che: δl = Fe 1. (2.5) Fe 2 = Fe Fe = F T Fe e = F T F e e ; (2.6) introducendo il tensore destro di deformazione di Cauchy-Green C = F T F, dalla (2.5) si ha che l allungamento di un elemento di linea diretto come e viene determinato tramite le componenti del tensore C mediante la: Il tensore C ha le seguenti proprietá: a- C Sym: b- C é definito positivo: δl = C e e 1. (2.7) (F T F) T = F T (F T ) T = F T F ; Cu u = F T Fu u = Fu Fu = Fu 2 > 0, u V/{0}. In un riferimento ortonormale la matrice associata a C é simmetrica: [C] C 11 C 12 C 13 C 22 C 23 ; (2.8) C 33 dalla (2.7) si osserva che le componenti sulla diagonale principale consentano di determinare le variazioni di lunghezza di elementi di linea diretti come i versori della base. Se per un punto x 0 consideriamo due curve γ 1 e γ 2 aventi rispettivamente versori tangenti g ed e, l angolo compreso tra le due curve é: θ i = cos 1 (e g) ; dopo la deformazione, l angolo compreso tra le due curve deformate diviene: θ f = cos 1 Fe Fg ( Fe Fg ) = cos 1 ( C g e Fe Fg ). Se definiamo la variazione di angolo come: si ha: θ = θ f θ i, (2.9) θ = cos 1 ( C g e Fe Fg ) cos 1 (e g) ; (2.10) ad esempio, posti e = e 1 e g = e 2, dalla (2.10) si arriva alla: C 12 θ 12 = cos 1 ( ) π C11 C 22 2 ; (2.11) gli elementi della matrice di C fuori dalla diagonale principale consentono di determinare le variazioni di angolo tra le direzioni dei versori della base.

32 22 CAPITOLO 2. CINEMATICA Deformazione di elementi di superficie Consideriamo per un punto x 0 due curve aventi rispettivamente vettori tangenti αe e βg, e = g = 1: definiamo l elemento di area orientata per x 0 avente normale esterna m: d(area) = αe βg = αβm, m = e g, m = 1 ; dopo la deformazione, l elemento di area orientata per y 0, avente normale esterna n é dato dalla: Fe Fg d(area) = αfe βfg = αβ Fe Fg n, n = Fe Fg, n = 1, che per la (1.53) puó essere riscritta come: da cui: d(area) = αβ F (e g) n. (2.12) Definiamo la variazione Lagrangiana di area: δa = o, in termini del tensore C: d(area) d(area) d(area), (2.13) δa = F (e g) 1, (2.14) δa = C (e g) (e g) 1. (2.15) Deformazione di elementi di volume Consideriamo per un punto x 0 tre curve aventi rispettivamente vettori tangenti αe, βg e σw, e = g = w = 1 linearmente indipendenti, ovvero tali che e g w 0: definiamo l elemento di volume per x 0 mediante il prodotto misto dei tre vettori: d(v ol) = αe βg σw = αβσe g w ; l elemento di volume per y 0 dopo la deformazione é: d(vol) = αfe βfg σfw = αβσfe Fg Fw, che per la (1.51) puó essere riscritta come: Definiamo la variazione Lagrangiana di volume: d(vol) = αβγ det F(e g w). (2.16) δv = d(vol) d(v ol) d(v ol), (2.17) da cui: ed in termini del tensore C: δv = det F 1, (2.18) δv = det C 1. (2.19)

33 2.2. LA DECOMPOSIZIONE POLARE DI F La decomposizione polare di F La conoscenza di (F, F, det F) o delle corrispondenti quantitá espresse in termini di C consente di descrivere completamente la deformazione in un intorno di x 0. Osserviamo peró che possiamo sempre pensare di realizzare una deformazione mediante un moto rigido ed una deformazione propriamente detta. In particolare, possiamo pensare di deformare il corpo intorno alla configurazione di riferimento e poi di ruotarla rigidamente nella configurazione corrente oppure di ruotare la configurazione di riferimento nella configurazione corrente e quindi deformarla. Ció implica che ogni deformazione f possa essere decomposta in una rotazione rigida r e due deformazioni pure u e v: f = r u = v r, (2.20) Ω u(ω) f = r u f = v r r(ω) f(ω) da cui passando ai gradienti: Fig La decomposizione polare di f f = r u = v r ; (2.21) il gradiente della rotazione rigida é un tensore di rotazione R = r Rot. Per il Teorema di decomposizione polare (Cauchy), i gradienti di u e v sono due tensori

34 24 CAPITOLO 2. CINEMATICA simmetrici e definiti positivi, rispettivamente il tensore sinistro di deformazione pura V = v Sym ed il tensore destro di deformazione pura U = u Sym. Si ha pertanto che il gradiente di deformazione ammette le due decomposizioni polari: F = RU = VR. (2.22) In termini della decomposizione polare (2.22) 1, il tensore C diviene: C = (RU) T RU = UR T RU = U 2, (2.23) e non dipende pertanto dalla rotazione rigida R. Analogamente il cofattore C ed il determinante di C dipendono solamente da U: C = (det U) 2 U 2, det C = (det U) 2. (2.24) Esempio 2 Dilatazione semplice Consideriamo, nel riferimento {e k }, la deformazione avente matrice del gradiente F: ε 0 0 [F] ; per la condizione di conservazione dell orientamento locale det F = ε > 0. Studiamo la deformazione mediante il suo effetto sui vettori della base: Fe 1 = εe 1, Fe 2 = e 2, Fe 3 = e 3 ; e 2 e 1 e 2 e 1 ε Fig Dilatazione semplice l elemento di volume cubico in x 0 viene deformato in un parallelepipedo a base quadrata con il lato maggiore diretto come e 1. La variazione di volume associata a questa deformazione é: δv = ε 1 osserviamo che per 0 < ε < 1 si ha una diminuzione di volume, per ε > 1 un aumento di volume mentre la condizione ε = 1 implica che non ci sia variazione di volume. Le deformazioni per cui si ha det F = 1 sono dette isocore.

35 2.2. LA DECOMPOSIZIONE POLARE DI F 25 Il cofattore di F é: [F ] ε ε ad esempio, la variazione di area della superficie di normale e 3 = e 1 e 2 é: : δa 3 = F e 3 1 = ε 1, mentre é immediato verificare che l area della superficie avente normale e 1 resta invariata. Il tensore di deformazione C associato ad F é: [C] ε e l unica variazione di lunghezza non nulla é quella nella direzione di e 1 :, δl 1 = C 11 1 = ε 1, non avendosi variazioni di angolo. In termini della decomposizione polare (2.22) 1 si ha che R = I (non si ha rotazione rigida) ed U F. Esempio 3 Scorrimento puro Consideriamo, nel riferimento {e 1, e 2, e 3 }, la deformazione avente matrice del gradiente F: 1 γ 0 [F] ; si ha det F = 1, la deformazione é isocora e γ puó assumere segno positivo o negativo. Applicando il gradiente di deformazione ai vettori della base: Fe 1 = e 1, Fe 2 = γe 1 + e 2, Fe 3 = e 3 ; γ e 2 e 1 e 2 e 1 Fig Scorrimento puro

36 26 CAPITOLO 2. CINEMATICA l elemento di volume cubico in x 0 viene deformato in un prisma obliquo a base quadrata inclinato di un angolo θ, tan θ = γ rispetto alla direzione di e 2. Il cofattore di F é: [F ] γ 1 0 : e l unica variazione di area non nulla é quella della superficie di normale e 1 é: δa 1 = F e 1 1 = 1 + γ 2 1. Il tensore di deformazione C associato ad F é: [C] 1 γ 0 γ 1 + γ 2 0, e l unica variazione di lunghezza non nulla é quella nella direzione di e 2 : δl 2 = C 22 1 = 1 + γ 2 1, mentre la variazione di angolo tra la direzione e 1 e la direzione e 2 é: θ 12 = cos 1 γ ( ) π 1 + γ 2 2. (2.25) Per determinare la deformazione pura U = C e la rotazione R = FU 1 é necessario anzitutto determinare le autocoppie (νk 2, u k) di C che sono date dalle: ν1 2 = 1 + γ2 2 + γ 1 + γ2 4, u 1 = cos θe 1 sin θu 2, ν 2 2 = 1 + γ2 2 γ 1 + γ2 4, u 2 = sin θe 1 + cos θu 2, (2.26) con: sin θ = ν 2 3 = 1, u 3 = e 3 1 ν1 2 (1 ν 2 1 ) 2 + γ, cos θ = γ 2 (1 ν 2 1 ) 2 + γ. 2 Ne consegue che il tensore U: U = ν 1 u 1 u 1 + ν 2 u 2 u 2 + u 3 u 3, ammette la rappresentazione nella base {e k }: ν 1 cos 2 θ + ν 2 sin 2 θ sin θ cos θ(ν 2 ν 1 ) 0 [U] ν 1 sin 2 θ + ν 2 cos 2 0 ; (2.27) 1

37 2.3. MOTI RIGIDI 27 mentre il tensore inverso ha la rappresentazione: ν 1 sin 2 θ + ν 2 cos 2 sin θ cos θ(ν 2 ν 1 ) 0 [U 1 ] 1 ν 1 ν 2 ν 1 cos 2 θ + ν 2 sin 2 θ 0 1, (2.28) e la rotazione R ha quindi matrice [R] = [FU 1 ]. 2.3 Moti Rigidi Se U=V=I la deformazione é un atto di moto rigido, F = R Rot. Se assumiamo t R(t), t [0, τ) una traiettoria nello spazio delle rotazioni, la (2.3) diviene: y(t) y 0 (t) = R(t)(x x 0 ) ; (2.29) osserviamo banalmente che la condizione (2.29) implica che Infatti: y(t) y 0 (t) = const., t. (2.30) y(t) y 0 (t) = R(t)(x x 0 ) = = R(t)(x x 0 ) R(t)(x x 0 ) = (2.31) = R T (t)r(t)(x x 0 ) (x x 0 ) = x x 0. Derivando la (2.29) rispetto al tempo, otteniamo la velocitá: ẏ(t) ẏ 0 (t) = Ṙ(t)(x x 0) ; (2.32) se ricaviamo (x x 0 ) dalla (2.29) e lo sostituiamo nella (2.32), otteniamo l espressione della velocitá ẏ(t) ẏ 0 (t) riferita ai vettori della configurazione deformata y(t) y 0 (t): ẏ(t) ẏ 0 (t) = W(t)(y(t) y 0 (t)), W(t) = Ṙ(t)RT (t), (2.33) con W detto tensore di spin. Si dimostra facilmente che il tensore di spin é antisimmetrico. Infatti, dalla definizione di rotazione: R(t)R T (t) = I, t : derivando: Ṙ(t)R T (t) + R(t)ṘT (t) = 0. (2.34)

38 28 CAPITOLO 2. CINEMATICA Poiché W T (t) = (Ṙ(t)RT (t)) T = R(t)ṘT (t), dalla (2.34) si ha che W(t) = W T (t). Se indichiamo con ω(t) il vettore assiale associato al tensore di spin la (2.33) puó essere riscritta come: ẏ(t) = ẏ 0 (t) + ω(t) (y(t) y 0 (t)), (2.35) detta Formula di Poisson. Mediante la (2.35) la velocitá di un qualsiasi punto del sistema rigido puó essere determinata a partire dalla conoscenza delle due funzioni vettoriali, rispettivamente la velocitá di traslazione e la velocitá angolare: t ẏ 0 (t), t ω(t), (2.36) dette parametri del moto rigido; le due funzioni vettoriali equivalgono a sei funzioni scalari e pertanto si dice che un moto rigido ha sei gradi di libertá. Esempio 4 Rotazione intorno ad e 3 Considerando la matrice associata alla rotazione R ϕ e si ha: sin ϕ cos ϕ 0 [Ṙ] ϕ cos ϕ sin ϕ 0, e dalla definizione di W e della velocitá angolare ω: [W] 0 ϕ 0 ϕ 0 0, ω ϕ Moti rigidi piani. (2.37) Un moto rigido si definisce piano se esiste un vettore fisso e tale che le velocitá di tutti i punti del sistema rigido sono ortogonali ad e: ẏ(t) e = 0, t ; (2.38) ne consegue dalla (2.35) che necessariamente in un moto rigido piano: Se poniamo e = e 3, dalla (2.37) e dalla (2.35) si ha: ω e = 0. (2.39) ẏ 1 = ẏ ϕ(y 2 y 0 2) (2.40) ẏ 2 = ẏ 0 2 ϕ(y 1 y 0 1) le tre funzioni: t ẏ 0 1(t), t ẏ 0 2(t), t ϕ(t), (2.41)

39 2.4. VINCOLI 29 sono i parametri del moto rigido piano che ha pertanto tre gradi di libertá. A tale proposito osserviamo che se in un corpo rigido piano identifichiamo due punti A e B, qualsiasi altro punto C resta univocamente determinato valendo le: C A = d 1 = cost., C B = d 2 = cost., t ; pertanto possiamo studiare il moto di un corpo rigido piano mediante lo studio del moto del segmento B A ed identificare il corpo rigido con l asta rigida B A stessa. D ora in poi quindi parleremo di aste rigide come sinonimo di corpi rigidi piani. C C A Ω B A B A B Fig Corpo rigido Ω e Asta rigida (B-A) 2.4 Vincoli I vincoli sono limitazioni imposte al moto t x(t) dei punti x E. La trattazione che segue é applicabile sia a sistemi di punti, dove x rappresenta il vettore posizione di un punto dello spazio euclideo, sia a sistemi il cui moto é descritto da tre parametri. Ad esempio, se identifichiamo le coordinate di x con (y 1, y 2, ϕ), la trattazione che segue é applicabile alla descrizione dei moti rigidi di aste vincolate. Vincoli semplici Consideriamo una regione G E e la funzione ϕ : G R, tale che: ϕ C 1 (G), ϕ 0, (2.42) sull insieme S 0 {x G ϕ(x) = 0} (2.43) che rappresenta una superficie in R 3.

40 30 CAPITOLO 2. CINEMATICA ϕ(x) n(x) x(t) ẋ(t) γ ϕ(x) = 0 Fig Vincolo semplice Se in x 0 S 0 si ha, ad esempio, ϕ, 3 (x 0 ) 0, per il teorema della funzione implicita, δ > 0, una sfera ed una funzione B δ (x 0 1, x 0 2) {(x 1 x 0 1) 2 + (x 2 x 0 2) 2 < δ 2 }, g C 1 (B δ (x 0 1, x 0 2)), tale che la porzione di superficie S 0 B δ (x 0 1, x 0 2) ammette la rappresentazione Inoltre x 3 = g(x 1, x 2 ), (x 1, x 2 ) B δ (x 0 1, x 0 2). (2.44) g, 1 = ϕ, 1 ϕ, 3, g, 2 = ϕ, 2 ϕ, 3, in B δ (x 0 1, x 0 2). (2.45) e la superficie di vincolo S 0 ammette il piano tangente π in x 0 : π { (x x 0 ) m = 0, m = ϕ ϕ (x 0) }. (2.46) Sia A un insieme aperto e limitato di R 2, denotiamo con q (q 1, q 2 ) i punti di A e sia q x(q), (x 1 (q), x 2 (q)) : A B δ (x 0 1, x 0 2), una trasformazione invertibile, il che é assicurato se assumiamo [ ] xα det 0, q A. (2.47) q β La (2.44) si puó allora parametrizzare in termini delle coordinate lagrangiane q A: x 1 = x 1 (q 1, q 2 ), x 2 = x 2 (q 1, q 2 ), q A (2.48) x 3 = g(x 1 (q 1, q 2 ), x 2 (q 1, q 2 )).

41 2.4. VINCOLI 31 Il moto di x in V ha 3 gradi di libertá che si riducono a due se é vincolato a muoversi su di una superficie: le coordinate lagrangiane sono in numero pari ai gradi di libertá. Una rappresentazione del moto di x(q) con q x j (q), j = 1, 2, 3 date dalla (2.48) contiene le restrizioni del vincolo; tale rappresentazione tuttavia é solo locale. Consideriamo una traiettoria t x(t): la condizione che durante il moto il punto si muova sulla superficie di vincolo é: poiché: ϕ(x(t)) = 0, ϕ = ϕ(x(t)) = 0, t ; (2.49) ϕ(x(t)) = ϕ ẋ = 0, t, (2.50) dalla (2.46) abbiamo che le velocitá compatibili con il vincolo sono tangenti alla superficie di vincolo. Definiamo velocitá lagrangiana l applicazione t q(t). Osservazione 3 Vincoli multipli Per sottolineare l importanza della condizione ϕ 0, consideriamo la funzione ϕ(x) = x 2 : il moto di un punto vincolato a ϕ(x) = 0 consiste solo del vettore nullo x = 0 ed essendo ϕ = 0, le osservazioni del paragrafo precedente non sono valide. Tuttavia il moto di x é ben determinato e consiste in t x(t) = 0, t > 0. Analogamente la funzione ϕ(x) = x x 2 2 permette moti solo lungo l asse delle x 3 e si ha ϕ = 0. Per un punto x vincolato a muoversi su S 0 le osservazioni precedenti non sono valide e tuttavia S 0 determina univocamente la traiettoria di x, avendo il moto un solo grado di libertá, potendosi prendere t q(t) = x 3 (t) come coordinata lagrangiana. Nel primo esempio si puó imporre al punto di soddisfare: mentre nel secondo esempio si puó imporre ϕ i (x) = x i = 0, i = 1, 2, 3, (2.51) ϕ α (x) = x α = 0, α = 1, 2 ; (2.52) il vincolo in (2.51) si dice triplo e quello in (2.52) si dice doppio. Vincoli doppi Consideriamo le due superfici di vincolo: { ϕ 1 (x) = 0 ϕ 2 (x) = 0, (2.53) che verificano le seguenti ipotesi i- ϕ α C 1 (G), α = 1, 2 ; ii- L insieme C {{ϕ 1 = 0} {ϕ 2 = 0}} =, (ovvero il sistema (2.53) ammette soluzioni) ;

42 32 CAPITOLO 2. CINEMATICA iii- La matrice jacobiana: [ ϕ1,1 ϕ [ϕ α,i ] 1,2 ϕ 1,3 ϕ 2,1 ϕ 2,2 ϕ 2,3 ], per x C ha rango massimo, ovvero i due vettori ϕ 1 e ϕ 2 sono indipendenti, x C. L ipotesi [iii-], che puó essere riscritta in maniera equivalente come: ϕ 1 ϕ 2 0, implica che x 0 C fissato, la matrice jacobiana possiede elementi non nulli: senza perdere in generalitá possiamo assumere che ϕ 1,1 (x 0 ) 0. Per il teorema delle funzioni implicite, δ > 0, una sfera ed una funzione g C 1 (B δ (x 0 2, x 0 3)) B δ (x 0 2, x 0 3) (x 2 x 0 2) 2 + (x 3 x 0 3) 2 < δ 2, x 1 = g(x 2, x 3 ), (x 2, x 3 ) B δ (x 0 2, x 0 3), tale che C B δ (x 0 2, x 0 3) si puó rappresentare come il grafico di g. vincolare (2.53) si puó riscrivere come Il sistema ϕ 2 (g(x 2, x 3 ), x 2, x 3 ) = f 2 (x 2, x 3 ) = 0, (x 2, x 3 ) B δ (x 0 2, x 0 3). (2.54) Se assumiamo, senza perdere in generalitá, che f 2, 2 (x 0 ) 0, per il teorema delle funzioni implicite, ε > 0 ed un intervallo I ε (x 0 3 ε, x ε) ed una funzione h(x 3 ) C 1 (I ε ) tale che l insieme di livello {f 2 = 0} C B δ (x 0 2, x 0 3) ; x 3 x 0 3 < ε, si puó rappresentare come il grafico di Ponendo x 2 = h(x 3 ), x 3 I ε. (2.55) k(x 3 ) = g(h(x 3 ), x 3 ), x 3 I ε, (2.56) si conclude che il vincolo doppio (2.53) determina in un intorno di x 0 C la traiettoria di x tramite le equazioni parametriche x 1 = k(τ), x 2 = g(τ), x 3 = τ, τ I ε. (2.57) Se G é un intervallo di R e q τ(q) : G I ε, é regolare ed invertibile, la curva (2.57) ammette rappresentazione x i = x i (q), i = 1, 2, 3, q G, (2.58)

43 2.4. VINCOLI 33 in termini del parametro lagrangiano q G, dove: x 1 (q) = k(τ(q)), x 2 (q) = h(τ(q)), x 3 = τ(q). Tale rappresentazione non é unica ed é solo locale. Il vincolo doppio (2.53) riduce ad uno i gradi di libertá del moto di x. Consideriamo una traiettoria t x(t): la condizione che durante il moto il punto si muova sul vincolo doppio implica che debba valere la (2.50) per ciascuna superficie di vincolo: ϕ α ẋ = 0, α = 1, 2, t, (2.59) che necessariamente implica che la velocitá ẋ debba essere parallela alla direzione 1 ϕ 2 ϕ: ẋ ( ϕ 1 ϕ 2 ) = 0. (2.60) Vincoli tripli Consideriamo le tre superfici di vincolo: ϕ 1 (x) = 0 ϕ 2 (x) = 0 ϕ 3 (x) = 0, (2.61) che verificano le seguenti ipotesi i- ϕ k C 1 (G), k = 1, 2, 3 ; ii- L insieme C {{ϕ 1 = 0} {ϕ 2 = 0} {ϕ 3 = 0}} (ovvero il sistema (2.61) ammette unica soluzione) ; iii- La matrice jacobiana: [ϕ i,j ] ϕ 1,1 ϕ 1,2 ϕ 1,3 ϕ 2,1 ϕ 2,2 ϕ 2,3 ϕ 3,1 ϕ 3,2 ϕ 3,3 per x C ha det[ϕ i,j ] 0 (i.e. i tre vettori ϕ 1, ϕ 2 e ϕ 2 sono linearmente indipendenti x C). L ipotesi [iii-], che puó essere riscritta in maniera equivalente come: ϕ 1 ϕ 2 ϕ 3 0, implica che x 0 C fissato la matrice jacobiana possiede elementi non nulli. In questo caso il punto x é univocamente determinato, ovvero x(t) = x 0 : inoltre, avendosi: ϕ k ẋ = 0, k = 1, 2, 3, t, ed essendo i tre gradienti linearmente indipendenti, necessariamente ẋ = 0, t.,

44 34 CAPITOLO 2. CINEMATICA Sistemi vincolati Limitiamo la trattazione ad un sistema di n aste rigide R n : indichiamo con z k (z1 k, z2 k, z3 k ) (y1 k, y2 k, ϕ k ) le coordinate del moto rigido del k esimo corpo. Sia G una regione di R 3n i cui punti denotiamo con x (x 1 = z 1 1, x 2 = z 1 2, x 3 = z 1 3,..., x 3n 2 = z n 1, x 3n 1 = z n 2, x 3n = z (n) 3 ), supponiamo agenti sul sistema m vincoli: ed assumiamo che: ϕ j (x 1, x 2,..., x 3n ) = 0, j = 1, 2,..., m. (2.62) i- ϕ j C 1 (G) ; j = 1, 2,..., m ; ii- l insieme delle 3n-uple (x 1, x 2,..., x 3 n) soddisfacenti le (2.62) non é vuoto j = 1, 2,..., m, i.e. B m {ϕ j = 0} ; (2.63) j=1 iii- la matrice Jacobiana [A] [ϕ i,j ], i = 1, 2,..., m, j = 1, 2,..., 3n: ϕ 1,1 ϕ 1,2 ϕ 1,3... ϕ 1,3n 1 ϕ 1,3n ϕ 2,1 ϕ 2,2 ϕ 2,3... ϕ 2,3n 1 ϕ 2,3n [A] ϕ m 1,1 ϕ m 1,2 ϕ m 1,3... ϕ m 1,3n 1 ϕ m 1,3n ϕ m,1 ϕ m,2 ϕ m,3... ϕ m,3n 1 ϕ m,3n abbia rango massimo r, x G, (r min{m ; 3n}). Le condizioni di indipendenza dei vincoli espresse mediante la matrice Jacobiana [A] sono dette condizioni di Föppl. Possiamo avere i tre casi seguenti: 1. Sistemi labili (m < 3n). In tal caso la matrice Jacobiana ha rango m ed il sistema possiede k = 3n m gradi di libertá. Inoltre localmente si possono scegliere k parametri lagrangiani q = (q 1, q 2,..., q k ) e 3n funzioni q x j (q), j = 1,..., 3n regolari ed invertibili tali che le coordinate dei punti del sistema soddisfano x j = x j (q) ; j = 1,..., 3n. 2. Sistemi cinematicamente determinati (m = 3n). La configurazione del sistema resta determinata dai vincoli. 3. Sistemi cinematicamente sovradeterminati (m > 3n). Il sistema non ha gradi di libertá e la configurazione del sistema é determinata dalla scelta di 3n vincoli indipendenti.

45 2.4. VINCOLI Classificazione dei vincoli per corpi rigidi piani Se consideriamo un asta rigida, i vincoli che possono agire in un suo punto sono quelli riportati nella Tabella 2.1: i primi tre vincoli sono vincoli semplici, Tabella 2.1: Cinematica dei vincoli per un sistema piano Nome Simbolo ẏ 1 ẏ 2 ϕ Carrello, Pendolo Carrello, Pendolo Doppio Bipendolo Cerniera Pattino, Bipendolo Pattino, Bipendolo Incastro i successivi tre sono vincoli doppi e l ultimo é l unico vincolo triplo possibile. Nell esempio successivo mostreremo come la condizione di isostaticitá del sistema dipenda non solo dal numero dei vincoli che agiscono ma anche dalla loro disposizione che influenza il rango della matrice Jacobiana. Esempio 5 Arco a tre cerniere Consideriamo il sistema formato da due aste rigide AB e BC con A B = B C = L. Nei due punti A e B agisce un vincolo a cerniera, e le due aste sono collegate tra loro nel punto B mediante una cerniera. Una struttura siffatta é detta Arco a tre cerniere. Assumiamo e 1 diretto come la congiungente dei punti A e C. Indichiamo con β l angolo che le due aste formano con la direzione di e 1. Abbiamo due corpi rigidi, pertanto n = 2, mentre le tre cerniere sono ciascuna un vincolo doppio per cui m = 6. B e 2 β A e 1 C Fig Arco a 3 cerniere

46 36 CAPITOLO 2. CINEMATICA Cerniera in A Cerniera in C Cerniera in B Poiché 3n = m la condizione necessaria di isostaticitá é verificata. Se indichiamo con (y 1 1, y 1 2, θ 1 ) le coordinate dell asta AB e con (y 2 1, y 2 2, θ 2 )quelle dell asta BC, la generica funzione di vincolo é data dalla: ϕ k (y 1 1, y 1 2, θ 1, y 2 1, y 2 2, θ 2 ) = 0, k = 1, 2, Abbiamo, assumendo implicitamente che sin θ α θ e 1 cos θ α 0, α = 1, 2: ϕ 1 (y 1 1, y 1 2, θ 1, y 2 1, y 2 2, θ 2 ) = y 1 1 = 0, (2.64) ϕ 2 (y 1 1, y 1 2, θ 1, y 2 1, y 2 2, θ 2 ) = y 1 2 = 0, ϕ 3 (y 1 1, y 1 2, θ 1, y 2 1, y 2 2, θ 2 ) = y 2 1 = 0, (2.65) ϕ 4 (y 1 1, y 1 2, θ 1, y 2 1, y 2 2, θ 2 ) = y 2 2 = 0, ϕ 5 (y 1 1, y 1 2, θ 1, y 2 1, y 2 2, θ 2 ) = θ 1 L sin β θ 2 L sin β = 0, (2.66) ϕ 6 (y 1 1, y 1 2, θ 1, y 2 1, y 2 2, θ 2 ) = θ 1 L cos β + θ 2 L cos β = 0 ; la matrice [A] associata alle sei funzioni di vincolo é: L sin β 0 0 L sin β 0 0 L cos β 0 0 L cos β e si ha: det[a] = 2L sin β cos β 0, β {0, π 2 }. Il sistema é isostatico se le tre cerniere non sono allineate: se le cerniere sono allineate i 6 vincoli non sono linearmente indipendenti ed il sistema risulta labile, non essendo verificata la condizione sufficiente di isostaticitá. 2.5 Deformazioni Infinitesime Introduciamo il campo di spostamento u(x) che misura la differenza tra un punto x Ω e la sua immagine y = f(x) mediante la deformazione f: u(x) = f(x) x ; (2.67)

47 2.5. DEFORMAZIONI INFINITESIME 37 da cui, passando ai gradienti: u(x) = F(x) I, (2.68) e denominando H = u il gradiente di spostamento abbiamo la relazione tra il gradiente di deformazione e quello di spostamento: F = I + H, (2.69) ed il tensore destro di Cauchy-Green diviene, in termini di H: C = (I + H) T (I + H) = I + 2 sym H + H T H. (2.70) Il tensore di deformazione infinitesima Consideriamo ora situazioni in cui la deformazione F é prossima all identitá, ovvero introduciamo un piccolo parametro α con cui immaginiamo formalmente di controllare la norma del gradiente spostamento H: ne consegue che: F(α) = I + αh, C(α) = I + 2α sym H + α 2 H T H. (2.71) Valutando la variazione di lunghezza di elementi di linea mediante la (2.7) arriviamo alla: δl(α) = 1 + 2α sym He e + α 2 He 2 1 ; (2.72) poiché abbiamo supposto α un piccolo parametro, sviluppiamo in serie di Taylor la (2.72) nell intorno della configurazione di riferimento, ovvero per α = 0: con e da cui δl(α) = δl(0) + dδl dα (0)α + o(α2 ), (2.73) δl(0) = 0, dδl dα (0) = sym He e + α He α sym He e + α2 He 2 α=0 = sym He e, δl(α) = α sym He e + o(α 2 ). (2.74) A meno di infinitesimi di ordine superiore in α, la variazione degli elementi di linea viene pertanto descritta mediante il tensore di deformazione infinitesima E = sym H : (2.75) in particolare, le componenti sulla diagonale principale E 11, E 22, E 33 esprimono la variazione di lunghezza nella direzione degli assi coordinati. In maniera del tutto analoga si puó mostrare che le componenti fuori dalla diagonale principale E 12, E 13, E 23 esprimo l approssimazione lineare delle variazioni d angolo tra le direzioni coordinate (2.10).

48 38 CAPITOLO 2. CINEMATICA Per quanto riguarda la variazione di volume si ha: e rappresentando H nel riferimento principale si ha: det 1 + αh αh αh 33 δv (α) = det(i + αh) 1, (2.76) = 1 + α(h 11 + H 22 + H 33 ) + o(α 2 ). Ne consegue che poiché tr H = tr(sym H), a meno di infinitesimi di ordine superiore la variazione di volume infinitesima é espressa dalla: δv = tr E = E 11 + E 22 + E 33 ; (2.77) una deformazione isocora é quindi caratterizzata da: tr E = 0. (2.78) Infine, per quanto riguarda la variazione di elementi di superficie é sufficiente osservare che: F = det(i + αh)(i + αh T ) 1 = I + o(α). (2.79) Se invece consideriamo la parte antisimmetrica del gradiente di spostamento: skw H = skw(f I), (2.80) osserviamo che se la deformazione é un atto di moto rigido F = R, dalla formula di Rodriguez, per ϕ piccoli, si ha: F I = R I = ϕw + o(ϕ 2 ), (2.81) e di conseguenza la parte antisimmetrica di H rappresenta la deformazione rigida infinitesima: skw H = ϕw ; nel seguito con un abuso di notazione denoteremo skw H = W. Le misure di deformazione e di rotazione infinitesima dipendono linearmente dal campo di spostamento: u E(u) = 1 2 ( u + T u), u W(u) = 1 2 ( u T u), (2.82) ed in una base ortonormale {e k } le loro componenti sono definite mediante le: E ij = E ji = 1 2 (u i,j + u j,i ), W ij = W ji = 1 2 (u i,j u j,i ) ; (2.83)

49 2.5. DEFORMAZIONI INFINITESIME 39 in termini di rappresentazione matriciale abbiamo: 1 u 1,1 2 (u 1 1,2 + u 2,1 ) 2 (u 1,3 + u 3,1 ) [E] 1 u 2,2 2 (u 2,3 + u 3,2 ), u 3,3 [W] (u 1 1,2 u 2,1 ) 2 (u 1,3 u 3,1 ) 1 ( ) 0 2 (u 2,3 u 3,2 ). ( ) ( ) 0 Osservazione 4 Misure di deformazione Osserviamo che se la deformazione é una rotazione rigida R si ha: C = I, E = 0 ; (2.84) si definisce misura di deformazione, una quantitá tensoriale che si annulla se la deformazione é rigida. Esprimendo C in termini di H e della sua parte simmetrica abbiamo: C = I + 2E + H T H, da cui: 1 2 (C I) = E HT H. Definiamo tensore di deformazione di Green-Lagrange la misura di deformazione D data dalla: D = 1 (C I) ; 2 osserviamo che a meno di infinitesimi di ordine superiore D E. Osservazione 5 Campi di spostamento solenoidi e irrotazionali Esprimendo la traccia del tensore E in termini delle componenti del campo di spostamento abbiamo per la (1.90): tr E(u) = tr(sym u) = tr u = div u ; (2.85) una deformazione isocora é quindi caratterizzata da un campo di spostamenti a divergenza nulla o solenoidale: div u = 0. (2.86) Se invece consideriamo la parte antisimmetrica W del gradiente di spostamento abbiamo, per la (1.92): W(u) = skw u = 0 curl u = 0. (2.87) pertanto, una deformazione avente rotazione infinitesima nulla é caratterizzata da un campo di spostamenti a rotore nullo o irrotazionale.

50 40 CAPITOLO 2. CINEMATICA Le equazioni di compatibilitá Consideriamo il problema di verificare se un assegnato tensore simmetrico E sia la parte simmetrica di un gradiente di spostamento. Tale problema implica l esistenza di un campo di spostamenti associato ad E ed ammette soluzione se le componenti del tensore sono di classe C 2 (Ω) con Ω semplicemente connesso e si ha: curl curl E = 0 ; (2.88) queste equazioni, dette equazioni di compatibilitá cinematica di Saint Venant, hanno la seguente rappresentazione in componenti: ovvero, esplicitamente: E ij,hk + E hk,ij + E ih,jk + E jk,ih = 0, (2.89) E 11, 22 +E 22, 11 2E 12, 12 = 0, E 11, 33 +E 33, 11 2E 13, 13 = 0, E 33, 22 +E 22, 33 2E 32, 32 = 0, (2.90) E 11, 23 +E 23, 11 E 12, 13 E 13, 12 = 0, E 22, 13 +E 13, 22 E 12, 23 E 23, 12 = 0, E 33, 12 +E 12, 33 E 13, 23 E 23, 13 = 0. Se le (2.88) sono verificate, il campo di spostamenti x u(x) associato al campo di deformazioni x E(x) puó essere determinato integrando le (2.82) lungo una curva di Jordan γ Ω, ovvero mediante la formula di Cesáro: u(x) = E(z)dz + (z x) curl E(z)dz, (2.91) γ γ ovvero in componenti: u i (x) = (E ij (z) + (E ij,k (z) E kj,i (z))(x k z k ))dz j. (2.92) Esempio 6 Dilatazione semplice Consideriamo la dilatazione semplice da cui γ F = εe 1 e 1 + e 2 e 2 + e 3 e 3, E = sym(f I) = (ε 1)e 1 e 1, W = skw(f I) = 0. e si ha tr E = (ε 1), mentre la rappresentazione matriciale é: [E] ε

51 2.5. DEFORMAZIONI INFINITESIME 41 Osserviamo che per ε > 1 si ha un allungamento infinitesimo nella direzione di e 1 mentre per ε < 1 si ha un accorciamento infinitesimo nella medesima direzione con corrispondente aumento o diminuzione di volume. Il tensore E é in forma spettrale e le sue autocoppie sono (ε 1, e 1 ) e (0, e), quest ultima con molteplicitá due essendo e un generico vettore ortogonale ad e 1. Poiché gli autovalori (detti deformazioni principali) sono caratterizzati da un unico autovalore diverso da zero: ε 1 = ε 1, ε 2 = ε 3 = 0 definiamo lo stato di deformazione monoassiale. L unica componente di spostamento non nulla é, a meno di un moto rigido: u 1 (x) = (ε 1)x 1. Esempio 7 Deformazioni principali e direzioni principali di deformazione Consideriamo in un base ortonormale {e k } la deformazione avente matrice: [E] E 11 E 12 0 E 22 0 E 33 e determiniamo le autocoppie (ε k, u k ), k = 1, 2, 3 con gli autovalori e gli autovettori detti rispettivamente deformazioni principali e direzioni principali di deformazione. Poiché:, det(e εi) = (E 33 ε)((e 11 ε)(e 22 ε) E 2 12) = 0 abbiamo che (ε 3 = E 33, u 3 = e 3 ) é una autocoppia. Gli altri due autovalori sono determinati mediante la: (E 11 ε)(e 22 ε) E 2 12 = ε 2 (E 11 + E 22 )ε + (E 11 E 22 E 2 12) = 0, le cui soluzioni sono: ε 1,2 = E 11 + E 22 2 ± ( E 11 E 22 ) E12 2. (2.93) Uno stato di deformazione avente i tre autovalori non nulli é detto triassiale. Poiché gli autovettori formano una base ortonormale, necessariamente gli autovettori u 1 ed u 2 saranno ortogonali ad u 3 = e 3 e pertanto possiamo rappresentarli come: u 1 = cos θe 1 + sin θe 2, u 2 = sin θe 1 + cos θe 2 ; poiché la: det(e ε 1 I)u 1 = 0, (2.94)

52 42 CAPITOLO 2. CINEMATICA ammette soluzione non banale appartenente al kernel di (E ε 1 I), é sufficiente considerare solo la prima equazione del sistema (2.94): da cui l espressione dell angolo θ: Esempio 8 Scorrimento puro Consideriamo lo scorrimento puro: da cui (E 11 ε 1 ) cos θ + E 12 sin θ = 0, tan θ = ε 1 E 11 E 12. (2.95) F = I + γe 1 e 2, E = sym(f I) = γ 2 (e 1 e 2 +e 2 e 1 ), W = skw(f I) = γ 2 (e 1 e 2 e 2 e 1 ). In questo caso si ha tr E = 0, la deformazione é isocora e le rappresentazioni matriciali di E e W sono: γ [E] γ [W] γ γ con scorrimento infinitesimo tra le direzioni di e 1 ed e 2 dato dalla componente: E 12 = E 21 = γ 2 ; risultato che possiamo ottenere anche linearizzando la (2.25) nell intorno di γ = 0.. e 2 γ 2 γ e 1 e 2 γ 2 2 γ e 1 2 Fig Deformazione e rotazione infinitesime nello scorrimento puro

53 2.5. DEFORMAZIONI INFINITESIME 43 Il campo di spostamenti ha le due sole componenti non nulle, a meno di moti rigidi: u 1 (x) = γ 2 x 2, u 2 (x) = γ 2 x 1. Dai risultati dell esempio precedente con E 11 = E 22 = 0 ed E 12 = γ 2 abbiamo: ε 1 = γ 2, ε 2 = γ 2, ε 3 = 0, θ = π 4 ; Nel riferimento principale pertanto la deformazione di scorrimento puro tra le direzioni di e 1 ed e 2 equivale ad una dilatazione nella direzione 2 2 u 1 = 2 e e 2, ed una contrazione nella direzione ortogonale u 2. Uno stato di deformazione con ε 1 0, ε 2 0 ed ε 3 = 0 si dice biassiale. Esercizi [1 ] Mostrare che l asse di una rotazione R é il medesimo del tensore di spin associato. [2 ] Mostrare che in un moto rigido piano t esiste un punto x C (t) avente velocitá nulla (teorema di Chasles). [3 ] Dato il tensore di deformazione: E(x) = Kx 2 (e 1 e 3 + e 3 e 1 ) Kx 1 (e 2 e 3 + e 3 e 2 ), con K costante arbitraria, verificare che é compatibile e determinare l associato campo di spostamento u(x). [4 ] Mostrare che le componenti E ij, i j esprimono, a meno di infinitesimi di ordine superiore, la variazione d angolo tra le direzioni e i ed e j. [5 ] Definita la deformazione media di Ω: mostrare che: Ē = Ē = 1 Vol(Ω) Ω E, 1 u n + n u, 2Vol(Ω) Ω dove n é la normale esterna alla frontiera Ω.

54 44 CAPITOLO 2. CINEMATICA

55 Capitolo 3 Statica 3.1 Azioni alla Cauchy Consideriamo una regione B E con frontiera regolare B. Secondo il modello di Cauchy, identifichiamo B con la configurazione deformata di un continuo Ω, ovvero B f(ω) ed assumiamo che il mondo esterno interagisca con il continuo i cui punti occupano la regione B mediante due sole tipologie di azioni: f(x) n(y) s(y) f(ω) = B y x f(ω) = B b(y) Ω Fig Azioni alla Cauchy Azioni a distanza: Rappresentano le azioni che il mondo esterno esercita a distanza su ciascun elemento di volume in B. Le definiamo Azioni di volume e rappresentano delle densitá di forza per unitá di volume: y b(y) ; (3.1) Azioni di contatto: Rappresentano le azioni che il mondo esterno esercita attraverso ciascun elemento di superficie della frontiera B. Le definiamo Azioni di superficie e rappresentano delle densitá di forza per unitá di superficie: y s(y). (3.2) 45

56 46 CAPITOLO 3. STATICA Consideriamo una porzione P B e ipotizziamo di poter conoscere le azioni di superficie s che la porzione B P esercita su P. Dato allora un sistema di azioni alla Cauchy (b, s) per P definiamo: Risultante delle forze agenti su P: r(p) = b(y)d(vol) + P P s(y)d(area) ; (3.3) Momento Risultante rispetto ad un polo y 0 delle forze agenti su P: m 0 (P) = (y y 0 ) b(y)d(vol) + (y y 0 ) s(y)d(area). (3.4) P Osservazione 6 Formula di trasposizione dei momenti Dati due punti y 1 ed y 0, consideriamo: m 1 (P) = (y y 1 ) b(y) + (y y 1 ) s(y), P dove per semplicitá abbiamo omesso di indicare d(area) e d(vol) cosa che faremo sistematicamente d ora in poi. Poiché sostituendo si ha: m 1 (P) = (y y 0 ) b(y)+ P P P y y 1 = (y y 0 ) + (y 0 y 1 ), P da cui la formula di trasposizione dei momenti: Osserviamo che: (y y 0 ) s(y)+(y 0 y 1 ) ( b(y)+ s(y)), P P m 1 (P) = m 0 (P) + r(p) (y 1 y 0 ). i- (r(p) = 0, m 0 (P) = 0) = m k (P) = 0, y k, ii- m(p) = 0 = m k (P) = r(p) (y k y 0 ) ; la relazione [ii-] é nota anche come Teorema di Varignon. 3.2 Il principio delle potenze virtuali Assegnato un sistema di azioni (b, s) per P, ed assegnata una distribuzione di velocitá t ẏ(t) compatibile con eventuali vincoli presenti, definiamo Potenza Virtuale la quantitá scalare: W (P) = b ẏ + s ẏ ; (3.5) P P

57 3.2. IL PRINCIPIO DELLE POTENZE VIRTUALI 47 se consideriamo un moto rigido avente parametri (ẏ 0, ω), dalla (3.5) si ha: W (P) = b (ẏ 0 + ω (y y 0 ) + s (ẏ 0 + ω (y y 0 ) = P P = ẏ 0 ( b + s) + ω ( (y y 0 ) b + (y y 0 ) s) = P P = ẏ 0 r + ω m 0. Postulato 1 (Principio delle potenze virtuali) Un continuo B é in equilibrio per un sistema di azioni (b, s) se e solo se P B la potenza virtuale W (P) si annulla per ogni atto di moto rigido: Condizione necessaria (r 0, m 0 0) W (P) = 0, (ẏ 0, ω) ; Condizione sufficiente W (P) = 0, (ẏ 0, ω) (r 0, m 0 0). Definiamo equazioni di Eulero le condizioni necessarie e sufficienti di equilibrio: r(p) = 0, m 0 (P) = 0, y 0, P B. (3.6) Reazioni Vincolari Definiamo reazione vincolare l azione di contatto s R il cui effetto é quello di mantenere il punto y(t) sulla superficie di vincolo ϕ(y(t)) = 0, t. Definiamo Liscio un vincolo per il quale la potenza delle reazione vincolare é nulla per ogni velocitá ẏ(t) compatibile con il vincolo: P s R ẏ(t) = 0, ẏ(t) : ϕ(y(t)) = 0 ; (3.7) dalla (2.50) segue che in ogni vincolo liscio la reazione vincolare é parallela al gradiente della superficie di vincolo, ovvero: s R = λn, λ R, n = ϕ ϕ. (3.8) Definiamo Scabro o con attrito un vincolo per il quale la potenza della reazione vincolare é negativa per ogni velocitá ẏ(t) compatibile con il vincolo: s R ẏ(t) < 0, ẏ(t) : ϕ(ẏ(t)) = 0 ; (3.9) in questo caso la reazione vincolare possiede anche una componente s tangente alla superficie di vincolo e diretta come la velocitá: s R = λn + s, s = λ ẏ(t) ẏ(t), 0 λ λ tan γ, (3.10) dove l angolo γ é l angolo di attrito. Di seguito considereremo solamente vincoli lisci. P

58 48 CAPITOLO 3. STATICA Equilibrio per sistemi rigidi vincolati Le equazioni di Eulero (3.6), condizione necessaria e sufficiente per l equilibrio di un sistema rigido vincolato, corrispondono a 6 equazioni scalari ed i parametri del moto rigido (ẏ 0, ω) corrispondono alla assegnazione di 6 funzioni del tempo. Possiamo allora avere i seguenti casi: (a) Il sistema non é vincolato, é in moto rigido e mediante le equazioni di Eulero (3.6) é possibile determinare un sistema di azioni per le quali il sistema é equilibrato; (b) Sul sistema agiscono m < 6 vincoli indipendenti ϕ m = 0; il sistema si dice Labile o Staticamente sottodeterminato e mediante le ((3.6) possiamo determinare le reazioni vincolari λ k, k = 1, 2,..., m e le coordinate lagrangiane q j, j = 1, 2,... 6 m che descrivono la configurazione equilibrata, se esiste ; (c) Sul sistema agiscono m = 6 vincoli indipendenti ϕ m = 0 ; il sistema si dice Cinematicamente determinato o Isostatico e mediante le (3.6) possiamo determinare le reazioni vincolari λ k, k = 1, 2,..., 6. (d) Sul sistema agiscono m > 6 vincoli indipendenti ϕ m = 0 ; il sistema si dice Cinematicamente sovradeterminato o Iperstatico e mediante le (3.6) possiamo determinare m 6 reazioni vincolari equilibrate λ k, k = 1, 2,..., m > 6. Sistemi piani In un sistema piano i parametri del moto sono, in una opportuna base {e 1, e 2, e 3 }, le tre funzioni del tempo (ẏ 1, ẏ 2, ϕ) e pertanto la potenza virtuale si riduce alla: W(P) = r 1 ẏ 1 + r 2 ẏ 2 + m 0 3 ϕ, (3.11) dove nel computo delle azioni si é tenuto conto delle eventuali reazioni vincolari presenti. La condizione di equilibrio per un sistema piano puó quindi scriversi: r 1 = 0, la somma di tutte le forze nella direzione e 1 é nulla; r 2 = 0, la somma di tutte le forze nella direzione e 2 é nulla; m 0 3 = 0, la somma di tutti i momenti rispetto ad un polo O arbitrario é nulla. Le reazioni vincolari per i vincoli agenti su di un sistema piano descritti dalla tabella (2.1) sono determinate a partire dalla (3.11) richiedendo, nell ipotesi di vincoli lisci, l annullamento della potenza virtuale delle reazioni vincolari: W(P) = 0, (ẏ 1, ẏ 2, ϕ) Pertanto la tabella (2.1) puó venire completata descrivendo quali reazioni vincolari sono associate a ciascun vincolo, come indicato nella tabella (3.1).

59 3.2. IL PRINCIPIO DELLE POTENZE VIRTUALI 49 Tabella 3.1: Reazioni vincolari per un sistema piano Nome Simbolo ẏ 1 ẏ 2 ϕ λ 1 = r 1 λ 2 = r 2 λ 3 = m 0 3 Carrello, Pendolo Carrello, Pendolo Doppio Bipendolo Cerniera Pattino, Bipendolo Pattino, Bipendolo Incastro Esempio 9 Asta rigida appoggiata Consideriamo un asta AB di lunghezza L vincolata all estremo A mediante una cerniera ed all estremo B mediante un carrello che impedisce le traslazioni nella direzione ortogonale a (B A). e 2 A e1 B Fig. 3.2 Trave appoggiata Assumendo (B A) = Le 1, i parametri del moto rigido sono, ad esempio, le componenti della velocitá di A e la velocitá angolare dell asta AB, ovvero (ẏ A 1, ẏ A 2, θ). La velocitá del punto B é quindi data dalla: e le tre condizioni di vincolo sono: Cerniera in A: ẏ B 1 = ẏ A 1 θl, (3.12) ẏ B 2 = ẏ A 2 + θl, ϕ 1 (y A 1, y A 2, θ) = y A 1 = 0, ϕ 2 (y A 1, y A 2, θ) = y A 2 = 0 ; Carrello in B: ϕ 3 (y A 1, y A 2, θ) = y B 2 = y A 2 + θl.

60 50 CAPITOLO 3. STATICA Osserviamo che nello scrivere la condizione in B si é implicitamente supposto sin θ θ e 1 cos θ 0. La matrice Jacobiana [A] associata ai vincoli é pertanto: [A] L, (3.13) ed essendo det[a] = L 0 i vincoli sono indipendenti. Se passiamo al problema di equilibrio per le reazioni vincolari, per la la cerniera in A le due reazioni λ 1 = r A 1 e λ 2 = r A 2 mentre in B abbiamo λ 3 = r B 2. Le equazioni di bilancio (3.2.1) risultano: somma di tutte le forze nella direzione e 1 : r A 1 = somma dei carichi esterni nella direzione e 1 ; somma di tutte le forze nella direzione e 2 : r A 2 + r B 2 = somma dei carichi esterni nella direzione e 2 ; somma di tutti i momenti rispetto ad A: Lr B 2 = somma dei momenti dei carichi esterni rispetto ad A. A r A 1 r A 2 L B r B 2 Fig Reazioni vincolari La matrice di equilibrio [S] associata al primo membro delle equazioni di bilancio é: [S] ; (3.14) 0 0 L é immediato osservare che: [S] = [A] T, (3.15) e che di conseguenza la condizione di indipendenza dei vincoli puó essere verificata in termini delle equazioni di bilancio per le reazioni vincolari λ k.

61 3.3. LA TENSIONE La tensione Consideriamo un continuo B ed una superficie Σ regolare. Indichiamo con Σ la superficie intersezione tra Σ e B: Σ Σ B ; in un punto y Σ indichiamo con n(y, Σ) la normale a Σ, per modo che denotiamo con B + la parte di B per cui n(y, Σ) é la normale esterna e con B quella per cui n(y, Σ) é la normale esterna essendo: B + B B, B + B =. B Σ B Σ y s(y, n) n(y) y s(y, n) B + Fig Azioni su Σ Assumiamo definita in y Σ la densitá di azioni superficiali s + (y, Σ) che la parte B + esercita su B e con s (y, Σ) quella che la parte B esercita su B +. Assunzione 1 (Cauchy) La densitá di azioni superficiali in y dipende dalla superficie Σ tramite la normale n(y): s(y, Σ) = s(y, n(y)). (3.16) Assunzione 2 (Newton-principio di azione e reazione) : Per la (3.16) si ha: s(y, n(y)) = s(y, n(y)). (3.17) s + (y, Σ) = s(y, n(y)), s (y, Σ) = s(y, n(y)), (3.18)

62 52 CAPITOLO 3. STATICA e necessariamente per la (3.17) : s + (y, Σ) = s (y, Σ). Definiamo tensione in un punto y su una superficie di normale n(y) la funzione vettoriale che rappresenta la densitá di azioni superficiali su Σ : t = t(y, n(y)). (3.19) Osservazione 7 Continui di Cauchy e di Cosserat: Abbiamo assunto a-priori l esistenza di una densitá di azioni superficiali su Σ. In realtá é corretto definirla come limite della risultante e del momento risultante delle azioni di superficie agenti su su di un area D in y Σ. Dette f(d) e c(d) tali risultanti si definiscono la tensione t = t(y, n(y)) e la coppia di tensione µ = µ(y, n(y)) rispettivamente: t(y, n(y)) = lim f(d), µ(y, n(y)) = lim c(d). (3.20) diam(d) 0 diam(d) 0 Nel passaggio al limite, la condizione che sia il diametro di D a tendere a zero previene definizioni di tensione in cui l area di D tende a zero in elementi di linea. Definiamo Continuo di Cauchy un continuo per il quale µ 0. Definiamo Continuo di Cosserat o continuo polare un continuo per il quale µ 0. Notiamo che le travi della teoria tecnica di cui al Cap. 6 sono il piú semplice esempio di continuo polare monodimensionale. 3.4 Il teorema di Cauchy: il tensore degli sforzi Il seguente teorema mostra come la dipendenza della tensione in un punto y dalla normale n(y) sia lineare e mostra l esistenza di una tensore detto tensore degli sforzi o tensore di Cauchy, dipendente dalle azioni (b, s) su B che associa alla normale la corrispondente tensione. Teorema 1 (Cauchy-esistenza del tensore degli sforzi) : esiste un tensore T = T(y) tale che y si ha t(y, n(y)) = T(y)n(y) e che verifica: div T + b = 0, in B, T = T T, in B, (3.21) Tn = s, su B, La dimostrazione é tecnica. Consideriamo nell intorno di y un elemento di volume infinitesimo dp B di forma tetraedrica con tre facce aventi normale esterna n = e i, i = 1, 2, 3 e la quarta avente normale esterna generica n. Per la (3.6) 1 e la definizione di tensione, avendo indicato con da k le parti di frontiera con normale e k e con da n quella di normale n: t(y, e k ) + t(y, n) + b(y) = 0 ; (3.22) da k da n dp

63 3.4. IL TEOREMA DI CAUCHY: IL TENSORE DEGLI SFORZI 53 t( e 1 ) n e 1 t( e 2 ) 2 e 2 y t( e 3 ) e 3 t(n) da n poiché l elemento di volume é infinitesimo, possiamo confondere il valore puntuale con il valore medio e scrivere: Poiché Area(dA k )t( e k ) + Area(dA n )t(n) + V ol(dp)b = 0. (3.23) Area(dA k ) = (n e k )Area(dA n ), ed essendo t( e k ) = t(e k ), arriviamo alla: (( n e k )t(e k ) + t(n))area(da n ) + V ol(dp)b = 0, (3.24) da cui dividendo per Area(dA n ): (n e k )t(e k ) + t(n) + Se poniamo δ = diam(p) e passiamo al limite: V ol(dp) Area(dA n ) b = 0, (3.25) lim (n e k)t(e k ) + t(n) + V ol(dp) δ 0 Area(dA n ) b = 0, (3.26) poiché Area(dA n ) = O(δ 2 ) e V ol(dp) = O(δ 3 ), arriviamo alla: t(n) = (n e k )t(e k ), (3.27) da cui, per la definizione di prodotto tensoriale e ponendo: si arriva alla tesi: T = t(e k ) e k, (3.28) t(n) = (n e k )t(e k ) = Tn. (3.29) Per mostrare vere le (3.21), osserviamo che nei punti y B si ha: s(y) = t(y) = T(y)n(y), (3.30)

64 54 CAPITOLO 3. STATICA da cui la (3.21) 3. Inoltre dalla (3.6) 1, per la (3.30): Tn + b = 0, (3.31) e per la (1.99) 3 si ha: B B B div T T + b = 0, (3.32) che dovendo valere P B porta, per localizzazione, alla: div T T + b = 0. (3.33) Resta da mostrare la simmetria di T per verificare le (3.21) 1,2. Consideriamo le (3.6) 2 che, per le (3.21) 3 possono scriversi come: (y y 0 ) Tn + (y y 0 ) b = 0 ; (3.34) B detto Y Skw il tensore assiale associato al vettore y y 0 abbiamo che per la (1.99) 3 YTn = div(yt), (3.35) B B che per la (1.105) a sua volta diviene: div(yt) = Y div T T + IhT = (y y 0 ) div T T + IhT. (3.36) B B Abbiamo pertanto che dalla (3.6) 2 si ha: (y y 0 ) (div T T + b) + IhT = 0, (3.37) B che per le (3.33) e dovendo valere P B si riduce alla: B B IhT = 0, (3.38) ovvero, in componenti: [IhT] T 23 + T 32 T 13 T 31 T 12 + T 21 = [0], da cui T Sym che mostra vera la (3.21) 2 e per sostituzione nella (3.33) verifica la (3.21) 1. In una base ortonormale la rappresentazione in componenti delle (3.21) é: T ij,j + b i = 0, T ij = T ji, T ij n j = s i ; (3.39)

65 3.4. IL TEOREMA DI CAUCHY: IL TENSORE DEGLI SFORZI 55 le (3.39) 1 sono dette anche equazioni indefinite di equilibrio: T 11,1 + T 12,2 + T 13,3 + b 1 = 0, T 12,1 + T 22,2 + T 23,3 + b 2 = 0, (3.40) T 13,1 + T 23,2 + T 33,3 + b 3 = 0, mentre le (3.39) 3 sono dette anche equazioni ai limiti: T 11 n 1 + T 12 n 2 + T 13 n 3 = s 1, T 12 n 1 + T 22 n 2 + T 23 n 3 = s 2, (3.41) T 13 n 1 + T 23 n 2 + T 33 n 3 = s 3. Definiamo tensione normale la componente della tensione t(n) nella direzione n: T nn = t(n) n = Tn n ; (3.42) definiamo inoltre il vettore delle tensioni tangenziali la proiezione di t(n) sul piano di normale n: t = P (n)t(n) = Tn T nn n, P (n) = I n n. (3.43) É immediato verificare che, scelto ad esempio n = e 3, la tensione normale é la componente T 33 mentre il vettore delle tensioni tangenziali é: t = T 13 e 1 + T 23 e 2 ; le componenti sulla diagonale principale sono pertanto le tensioni normali nelle direzioni dei versori della base, mentre quelle fuori dalla diagonale rappresentano le tensioni tangenziali, il primo indice indicando la direzione della tensione ed il secondo la normale al piano (ovvero la componente T ij, i j rappresenta la componente nella direzione di e i della tensione tangenziale nel piano ortogonale ad e j ) Tensioni principali Dal problema agli autovalori per il tensore di Cauchy T otteniamo tre autocoppie (σ k, u k ) con autovalori reali ed autovettori ortonormali per la simmetria del tensore degli sforzi. Nella base di autovalori il tensore ha rappresentazione spettrale σ T σ 2 0, σ 3 e pertanto lungo le direzioni principali di tensione u k si hanno solamente tensioni normali σ k dette tensioni principali. Uno stato di tensione si definisce monoassiale se due autovalori sono nulli, biassiale se un solo autovalore é nullo, triassiale se tutti i tre autovalori sono diversi da zero.

66 56 CAPITOLO 3. STATICA Esempio 10 (Trazione (compressione) uniforme) : Consideriamo il tensore di Cauchy: σ 0 0 [T] ; lo stato di tensione é monoassiale con e dalle (3.21) 1 abbiamo: σ 1 = σ, σ 2 = σ 3 = 0, σ, 1 +b 1 = 0, b 2 = b 3 = 0, n = e 2 σ σ n = e 1 n = e 1 n = e 2 Fig Trazione uniforme e pertanto se ad esempio σ = cost. il tensore degli sforzi é in equilibrio per azioni di volume nulle. Se consideriamo un elemento di volume cubico con le facce ortogonali ai versori della base ortonormale, abbiamo che per le (3.21) 3 le azioni di superficie s sono nulle sulle facce di normale n = ±e 2 ed n = ±e 3, mentre sulle facce di normale n = ±e 1 avremo una trazione uniforme se σ > 0 ed una compressione uniforme per σ < 0: s = ±σe 1. Esempio 11 (Taglio puro) : Se consideriamo invece il tensore di Cauchy: [T] 0 τ 0 τ , τ > 0 ; lo stato di tensione é biassiale e dalle (2.93) abbiamo Per le (3.21) 1 abbiamo: σ 1 = τ, σ 2 = τ, σ 3 = 0. τ, 2 +b 1 = 0, τ, 1 +b 2 = 0, b 3 = 0.

67 3.4. IL TEOREMA DI CAUCHY: IL TENSORE DEGLI SFORZI 57 τ n = e 2 τ τ n = e 1 n = e 1 τ n = e 2 Fig Taglio puro In questo caso se τ = cost. il tensore degli sforzi é in equilibrio per azioni di volume nulle. Se consideriamo un elemento di volume cubico con le facce ortogonali ai versori della base ortonormale, abbiamo che per le (3.21) 3 le azioni di superficie s sono nulle sulle facce di normale n = ±e 3, mentre sulle facce di normale n = ±e 1 avremo delle azioni di taglio: s = ±τe 2, mentre su quelle dinormale n = ±e 2 avremo delle azioni di taglio: s = ±τe 1. Esempio 12 (L equazione dell idrostatica) : In idrostatica si assume che, su di una superficie di normale n, si abbia solamente una tensione normale di compressione t(y, n(y)) = π(y)n(y), π = π(y) > 0, dove la funzione y π(y) é detta pressione idrostatica. Il tensore degli sforzi associato a questa definizione di tensione é il tensore sferico T(y) = π(y)i, la cui rappresentazione matriciale é: [T] π 0 0 π 0 π, π > 0 ; lo stato di tensione essendo triassiale. Se consideriamo un fluido che occupa un semispazio infinito B, assumiamo un riferimento {e 1, e 2, e 3 } con i vettori e 1 ed e 2 nel piano B che rappresenta il pelo libero della massa fluida ed e 3 normale esterna alla massa fluida. Le azioni di volume e di superficie sono: b = ρge 3, s(0) = π 0 e 3, dove ρ é la densitá del fluido, g l accelerazione di gravitá e π 0 atmosferica. Le (3.21) divengono, poiché div(πi) = π: la pressione π + ρge 3 = 0, π(0)e 3 = π 0 e 3,

68 58 CAPITOLO 3. STATICA che in componenti π, 1 = π, 2 = 0, π, 3 = ρg, π(0, 0, 0) = π 0. (3.44) Integrando le (3.44) si ottiene l equazione dell idrostatica: Il cerchio di Mohr π(y 1, y 2, y 3 ) = π 0 + ρgy 3. Consideriamo uno stato di tensione biassiale, rappresentato in un riferimento opportuno dal tensore degli sforzi: T 11 T 12 0 [T] T 22 0, (3.45) 0 i cui autovalori non nulli sono: σ 1 = T 11 + T 22 2 σ 2 = T 11 + T ( T 11 T 22 ) T12 2, ( T 11 T 22 ) T12 2. Introduciamo due assi coordinati (σ, τ), rispettivamente l asse delle tensioni normali e l asse delle tensioni tangenziali. Se consideriamo i due punti: si ha che M ( T 11 + T 22 2 P M = τ, 0), P (T 11, T 12 ), ( T 11 T 22 ) T12 2. T 12 P (T 11, T 12 ) (σ 2, 0) B M Q A (σ 1, 0) σ P T 22 T 11 Fig Il cerchio di Mohr

69 3.5. IL TENSORE DEGLI SFORZI DI PIOLA-KIRCHHOFF 59 La circonferenza di centro M e raggio R = P M é detta cerchio di Mohr: il punto P é detto polo e l intersezione P tra la circonferenza e la retta τ = T 12 ha coordinate P (T 22, T 12 ). Il cerchio di Mohr ha le seguenti proprietá: Ogni coppia di punti P (T 11, T 12 ) e P (T 22, T 12 ) della circonferenza rappresenta uno stato di tensione ; I due punti A = M + R (σ 1, 0) e B = M R (σ 2, 0), intersezione della circonferenza con la retta τ = 0 rappresentano le tensioni principali ; Le due direzioni ortogonali P A e P B rappresentano le direzioni principali: infatti detto Q (T 11, 0) tan θ = A Q P Q = σ 1 T 11 T 12, per la (2.95) fornisce l angolo del quale la base di autovettori é ruotata rispetto al riferimento in cui é descritto il tensore (3.45). Osserviamo che per θ = π 4 il punto: S ( T 11 + T 22 2, T 12 ), individua il massimo valore della tensione tangenziale associata al tensore (3.45), pari a τ max = T 11 + T 22 2 = σ 1 σ 2 2. (3.46) 3.5 Il tensore degli sforzi di Piola-Kirchhoff Il tensore di Cauchy T é definito sulla configurazione deformata B f(ω): possiamo darne una descrizione nella configurazione di riferimento. Infatti dalla (3.21) 1 : b d(vol) + Tn d(area) = 0, B B per la (2.12) e la (2.16) arriviamo alla: b(det F)d(V ol) + Ω Ω TF m d(area) = 0. (3.47) Se definiamo il tensore degli sforzi di Piola-Kirchhoff la misura dello sforzo riferita alla configurazione di riferimento Ω: S = TF, (3.48) dovendo valere la (3.47) P Ω, per la (1.99) 3 arriviamo alla Div S + b r = 0, b r = (det F)b, (3.49)

70 60 CAPITOLO 3. STATICA dove Div denota la divergenza rispetto ad x. Chiaramente il tensore di Piola- Kirchhoff non é simmetrico e dalla (3.21) 2 si ha: SF T Sym. (3.50) Nel caso di deformazioni infinitesime, poiché F = I + o(α), abbiamo che a meno di infinitesimi di ordine superiore il tensore di Piola-Kirchhoff e quello di Cauchy coincidono: S = T + o(α), ed inoltre essendo y(x) = x + αu(x), assumeremo y x a meno di infinitesimi di ordine superiore, confondendo la configurazione deformata con quella di riferimento.

71 Capitolo 4 Relazioni Costitutive 4.1 Materiali elastici lineari Un materiale si dice elastico se la misura di sforzo dipende solamente dalla misura di deformazione: T = T(F) ; (4.1) si dice linearmente elastico o elastico lineare se la misura di sforzo dipende linearmente della deformazione infinitesima: T = C[E], (4.2) dove il tensore del quarto ordine C : Sym Sym é detto Tensore di Elasticitá. In componenti: T ij = C ijhk E hk, (4.3) e per la simmetria di T e di E si hanno le seguenti restrizioni, dette simmetrie minori C ijhk = C jihk = C ijkh, (4.4) che riducono pertanto a 36 le componenti di C, dette Moduli Elastici Restrizioni a priori su C Il tensore di elasticitá deve verificare delle restrizioni che gli danno una plausibilitá fisica. In particolare richiederemo che C verifichi le seguenti tre restrizioni: 1. Invertibilitá: garantisce l esistenza della relazione costitutiva inversa; 2. Forte ellitticitá garantisce che il lavoro compiuto dalla componente di sforzo lungo la direzione di deformazione che é coniugata nel lavoro sia positivo; 3. Definita Positivitá garantisce l esistenza di una energia di deformazione positiva. 61

72 62 CAPITOLO 4. RELAZIONI COSTITUTIVE Nel dettaglio abbiamo: C deve essere invertibile, ovvero deve esistere il Tensore delle Cedevolezze K = C 1 tale che: E = K[T]. (4.5) C deve essere fortemente ellittica, ovvero C[a b] [a b] > 0 a b Lin. (4.6) C deve essere definita positiva, ovvero C[A] A > 0, A Sym. (4.7) Osservazione 8 Moti Rigidi Essendo C : Sym Sym, necessariamente C[W] = 0, W Skw. conseguenza: Di T(u) = 0, u(x) : u(x) = u 0 + Wx, W Skw. Inoltre il lavoro compiuto da un generico sforzo T é nullo per ogni atto di moto rigido: T W = 0, u(x) : u(x) = u 0 + Wx, W Skw. (4.8) Osservazione 9 Restrizioni a priori su K Osserviamo che banalmente la definita positivitá di C implica quella del tensore inverso K e che pertanto: 4.2 Materiali conservativi K[T] T > 0, T Sym /{0}. (4.9) Indichiamo con dl il lavoro compiuto dallo sforzo T per una variazione di deformazione de: dl = T de. Consideriamo una storia di deformazione, ovvero una curva γ Sym che colleghi una deformazione E 0 ed una E 1. Definiamo il lavoro speso lungo la curva γ: L γ = E1 E 0 T de ; (4.10) Un materiale linearmente elastico si dice conservativo se é verificata una delle tre condizioni equivalenti: Esiste una funzione ϕ = ϕ(e) C 1 (Sym), detta densitá di energia potenziale elastica tale che, γ Sym: L γ = ϕ(e 1 ) ϕ(e 0 ) ; (4.11)

73 4.2. MATERIALI CONSERVATIVI 63 Il lavoro compiuto su ogni curva chiusa γ Sym é nullo: T de = 0 ; (4.12) il lavoro dl é un differenziale esatto: γ T(E) = ϕ (E). (4.13) E Le tre condizioni (4.11)-(4.13) sono delle condizioni necessarie. Se ϕ C 2 (Sym) e Sym é semplicemente connesso, abbiamo la condizione sufficiente di conservativitá: Se ϕ C 2 (Sym) e Sym é semplicemente connesso allora: T ij E hk = T hk E ij, (4.14) é condizione sufficiente perché il materiale sia conservativo. Dalla (4.3), per le (4.14) abbiamo la cosiddetta simmetria maggiore: C ijhk = C hkij, C = C T, (4.15) che riduce il numero delle componenti indipendenti di C a 21 moduli elastici. La densitá di energia potenziale elastica tale che: T = ϕ = C[E], (4.16) E puó essere determinata valutando la (4.11) lungo una curva di Jordan γ Sym tra E 0 e E arrivando alla: ϕ(e) = 1 C[E] E > 0, (4.17) 2 positiva per effetto della restrizione a priori (4.7). In componenti la (4.17) si esprime come: ϕ(e ij ) = 1 2 C ijhke ij E hk. (4.18) La matrice associata al tensore di elasticitá in un riferimento {e 1, e 2, e 3 } é: C 1111 C 1122 C 1133 C 1112 C 1113 C 1123 C 2222 C 2233 C 2212 C 2213 C 2223 [C] C 3333 C 3312 C 3313 C 3323 C 1212 C 1213 C C 1313 C 1323 C 2323

74 64 CAPITOLO 4. RELAZIONI COSTITUTIVE Un materiale per il quale esiste una densitá di energia potenziale elastica Sym E ϕ(e) R + per il quale valgono le (4.16) si dice iperelastico e la relazione costitutiva é data dalla: ovvero in componenti: T = C[E], C = C T, (4.19) T ij = C ijhk E hk, C ijhk = C jihk = C ijkh = C hkij. 4.3 Simmetrie materiali Per un materiale elastico lineare definiamo Gruppo delle Simmetrie Materiali in un punto x B il sottogruppo G Rot tale che: G {Q Rot QC[E]Q T = C[QEQ T ], E Sym} ; (4.20) osserviamo che, per Q G: ϕ(qeq T ) = 1 2 C[QEQT ] QEQ T = 1 2 QC[E]QT QEQ T (4.21) = 1 C[E] E = ϕ(e). 2 Un materiale si dice Anisotropo se G Rot ed Isotropo se G Rot. Il piú semplice materiale anisotropo é il materiale Triclino, per il quale il gruppo di simmetrie materiali contiene solamente l identitá: G {I} ; un materiale triclino é descritto da 21 moduli elastici indipendenti. Maggiore é il numero delle rotazioni contenute in G, maggiore é la simmetria del materiale e minore é il numero delle componenti indipendenti. Nel caso del materiale isotropo si dimostra che le componenti indipendenti sono al massimo Materiali isotropi In un materiale isotropo G Rot e per la (4.21): ϕ(qeq T ) = ϕ(e), Q Rot, (4.22) la dipendenza dell energia da E é per tramite degli invariati ortogonali: ϕ(e) = ϕ(ι 1 (E), ι 2 (E), ι 3 (E)) ; (4.23) poiché per la (4.17) l energia dipende in maniera quadratica da E, non potrá dipendere da ι 3 (E) e sará una combinazione lineare del tipo: ϕ(e) = αι 2 1(E) + βι 2 (E), (4.24)

75 4.3. SIMMETRIE MATERIALI 65 dipendendo solamente da due parametri α e β che caratterizzano il materiale isotropo. Per l identitá (1.55) 1 si ha: ϕ(e) = (α + β 2 )ι2 1(E) β 2 E 2, (4.25) e di conseguenza si arriva alla rappresentazione della densitá di energia potenziale elastica per un materiale isotropo in termini delle due costanti di Lamé (µ, λ): ϕ(e) = 1 2 (2µ E 2 + λ(tr E) 2 ), 2µ = β, λ = 2α + β. (4.26) La rappresentazione in componenti della (4.26) é: ϕ(e ij ) = 1 2 (2µ(E ije ij + λ(e kk ) 2 ) (4.27) = 1 2 (2µ(E E E E E E 2 23) + λ(e 11 + E 22 + E 33 ) 2 ). Restrizioni a priori: definita positivitá Osserviamo che nella rappresentazione (4.26) le due variabili E e tr E non sono indipendenti. Infatti se E = 0 si ha tr E = 0. Poiché: E 2 = sph E 2 + dev E 2, sph E 2 = 1 9 (tr E)2 I = 1 3 (tr E)2, la (4.26) puó essere scritta in funzione delle due variabili indipendenti sph E e dev E come: ϕ(e) = 1 2 (2µ dev E 2 + (2µ + 3λ) sph E 2 ), (4.28) e diviene immediato mostrare come per la condizione di definita positivitá si debba avere: µ > 0, 2µ + 3λ > 0. (4.29) Osservazione 10 Energia di volume e di distorsione Osserviamo che il secondo termine della (4.28) dipendendo solamente da tr E, tiene conto dell energia associata alle sole variazioni di volume: ϕ vol (E) = 2µ + 3λ sph E 2, 2 mentre il primo termine, detto energia di distorsione terrá conto delle sole variazioni di forma: ϕ dist (E) = λ 2 dev E 2, essendo pertanto ϕ(e) = ϕ vol (E) + ϕ dist (E).

76 66 CAPITOLO 4. RELAZIONI COSTITUTIVE Le relazioni costitutive Ricordando che tr E = E I, possiamo derivare la (4.26) rispetto alla deformazione E ed arrivare alla relazione sforzo-deformazione conosciuta come Legge di Hooke generalizzata: T(E) = 2µE + λ(tr E)I, T ij = 2µE ij + λ(e kk )δ ij, (4.30) la cui rappresentazione esplicita in componenti é: T 11 = (2µ + λ)e 11 + λ(e 22 + E 33 ), T 22 = (2µ + λ)e 22 + λ(e 11 + E 33 ), T 33 = (2µ + λ)e 33 + λ(e 11 + E 22 ), (4.31) T 12 = 2µE 12, T 13 = 2µE 13, T 23 = 2µE 23. é: La rappresentazione matriciale del tensore di elasticitá per materiali isotropi [C] 2µ + λ λ λ µ + λ λ µ + λ µ 0 0 2µ 0 2µ. La relazione costitutiva (4.30) puó facilmente essere invertita. Infatti applicando l operatore di traccia ad ambo i membri si ha: tr T = (2µ + 3λ) tr E, che, essendo 2µ + 3λ > 0 per la definita positivitá puó essere invertita: tr E = 1 tr T ; (4.32) 2µ + 3λ sostituendo nella (4.30) e ricavando E si arriva alla relazione deformazionesforzo: E(T) = 1 + ν E T ν E (tr T)I, E ij = 1 + ν E T ij ν E (T kk)δ ij, (4.33) con le due costanti tecniche modulo di Young E e modulo di Poisson ν definite dalle: µ(2µ + 3λ) λ E =, ν = µ + λ 2(µ + λ).

77 4.3. SIMMETRIE MATERIALI 67 La rappresentazione esplicita in componenti della (4.33) é: E 11 = 1 E T 11 ν E (T 22 + T 33 ), E 22 = 1 E T 22 ν E (T 11 + T 33 ), E 33 = 1 E T 33 ν E (T 22 + T 33 ), (4.34) E 12 = 1 2G T 12, E 13 = 1 2G T 13, E 23 = 1 2G T 23, con il modulo di elasticitá tangenziale G > 0 definito come: G = (4.35) E 2(1 + ν) = µ. (4.36) La condizione di definita positivitá per K, applicata alla (4.33) porta alla: K[T] T = E(T) T = 1 + ν E T 2 ν E (tr T)2 > 0, (4.37) che scritta in termini della parte sferica e della parte deviatorica di T diviene: 1 + ν E dev T ν E sph T 2 > 0, (4.38) da cui le restrizioni a priori su E e ν: E > 0, 1 < ν < 1 2. (4.39) Osservazione 11 Modulo di comprimibilitá e modulo di elasticitá tangenziale Poiché dalla (4.32): sph T = (2µ + 3λ) sph E, definiamo Modulo di comprimibilitá il rapporto: Inoltre, essendo 2µ + 3λ = sph T sph E > 0. (4.40) dev T = 2µ dev E, possiamo ridefinire il Modulo di elasticitá tangenziale come: avendosi infine: 2µ = 2G = dev T dev E > 0, sph T 2 = 2ϕ vol (E), dev T 2 = 2ϕ dist (E). (4.41)

78 68 CAPITOLO 4. RELAZIONI COSTITUTIVE Esercizi [1 ] Un materiale si dice Trasversalmente isotropo se il gruppo delle simmetrie materiali contiene le rotazioni di angolo θ intorno ad una direzione e: G {Q θ e} ; in questo caso l energia dipende da 5 invariati, dove: ϕ(e) = ϕ(ι 1 (E), ι 2 (E), ι 3 (E), ι 4 (E), ι 5 (E)), (4.42) ι 4 (E) = P(e) E, ι 5 (E) = P(e)E 2. Determinare la forma dell energia, la relazione costitutiva e le restrizioni a priori associate alla (4.42).

79 Capitolo 5 Il problema elastico 5.1 Lo stato elastico Per un continuo B definiamo lo Stato Elastico S associato ad un sistema di azioni (b, s) la tripletta S {u, E, T} per la quale valgono le equazioni di congruenza (2.82) 1, le relazioni costitutive (4.19) e le equazioni di bilancio (3.21). Assumiamo che la frontiera B di B, avente normale esterna n, sia formata da due parti disgiunte 1 B e 2 B, ovvero: ed assumiamo che: B 1 B 2 B, 1 B 2 B, (5.1) s = Tn, su 1 B, u = u 0, su 2 B. (5.2) Definiamo il problema elastico, ovvero la determinazione dello stato elastico S associato a (b, s) rispettivamente: Problema di trazione: Se 1 B B e 2 B ; Problema di posizione: Se 2 B B e 1 B ; Problema misto: Se B 1 B 2 B. 5.2 Le equazioni di Navier Consideriamo il problema misto; rappresentando la deformazione in termini di spostamento mediante le (2.82) 1 e lo sforzo mediante le relazioni costitutive (4.19): mediante le (3.21) arriviamo quindi alle equazioni di equilibrio in termini di spostamento: div C[ u] + b = 0, in B, C[ u]n = s, su 1 B, u = u 0, su 2 B, (5.3) 69

80 70 CAPITOLO 5. IL PROBLEMA ELASTICO la cui rappresentazione in componenti é: Se il materiale é isotropo, poiché: dalle (5.3) si ha: C ijhk u h,kj + b i = 0, in B, C ijhk u h,k n j = s i, su 1 B, (5.4) u k = u 0 k, su 2 B. T(u) = µ( u + T u) + λ(div u)i, µ div( u + T u) + λ div((div u)i) + b = 0, e poiché per la definizione (1.97) di Laplaciano e per le identitá: e poiché inoltre: div T u = (div u), div((div u)i) = (div u), Tn = µ( u + T u)[n] + λ(div u)n = µ(2 u + T u u)[n] + λ(div u)n = 2µ n u + µn curl u + λ(div u)n, dalle (5.3) otteniamo le equazioni di equilibrio in termini di spostamento per un continuo isotropo B, dette Equazioni di Navier : µ u + (µ + λ) (div u) + b = 0, in B, 2µ n u + µn curl u + λ(div u)n = s, su 1 B, (5.5) u = u 0, su 2 B. Nel caso di materiali incomprimibili, con div u = 0, le (5.5) si riducono alle: µ u + b = 0, in B, 2µ n u + µn curl u = s, su 1 B, (5.6) u = u 0, su 2 B. 5.3 Le equazioni di Beltrami-Michell Consideriamo il problema di trazione e consideriamo un tensore T Sym equilibrato, ovvero che verifica le (3.21). Rappresentando la deformazione mediante le (4.5) ed imponendo la compatibilitá cinematica mediante le (2.88), otteniamo le equazioni di compatibilitá in termini di sforzo: curl curl K[T] = 0, in B, div T = b, in B, (5.7) Tn = s, su B.

81 5.4. I PRINCIPI VARIAZIONALI 71 Se il materiale é isotropo, valendo le (4.33), e per le identitá: curl curl T = T + (tr T) 2 sym (div T), curl curl(tr T)I = (tr T)I + (tr T), per le (3.21) 1 arriviamo alla: T + 1 ν (tr T) + 2 sym b (tr T)I ; (5.8) 1 + ν 1 + ν applicando l operatore traccia alla (5.8) si ottiene: 1 ν (tr T) = div b, 1 + ν che sostituita nuovamente nella (5.8) permette di ottenere le equazioni di compatibilitá in termini di sforzo per un continuo isotropo B, dette Equazioni di Beltrami-Michell : T + 1 ν (tr T) + 2 sym b + (div b)i = 0 ; (5.9) 1 + ν 1 + ν l equazione (5.9) si riduce alla forma molto piú semplice nel caso b = 0: 5.4 I principi variazionali Il principio dei lavori virtuali T + 1 (tr T) = 0. (5.10) 1 + ν Consideriamo su B un sistema di azioni (b, s) equilibrate, ovvero che verificano le (3.21) ed un campo di spostamenti congruente, ovvero che verifica le le (2.82) e compatibile con i vincoli. Definiamo il lavoro delle azioni esterne: L ext = b u + s u. (5.11) Poiché per la (3.21) 1 e la (1.99) 1 : b u = div T u = B ed inoltre per la (1.99) 3 e la (3.21) 2 div(tu) = mentre per la (2.82) e la (4.8): T u = B B B B B B B B Tu n = div(tu) + T u, B B Tn u, T E + T W = T E. B B

82 72 CAPITOLO 5. IL PROBLEMA ELASTICO Di conseguenza L ext = B T E + (s Tn) u, B che per la (3.21) 3 fornisce l eguaglianza tra L est ed il lavoro interno: L int = T E. (5.12) Possiamo pertanto enunciare il principio dei lavori virtuali per continui deformabili: B Principio 1 (Lavori virtuali per continui deformabili) In un continuo deformabile B il lavoro delle azioni esterne é uguale a quello delle azioni interne per ogni sistema di azioni (b, s) equilibrate, ed ogni un campo di spostamenti u congruente: b u + s u = T E(u). (5.13) B B B Consideriamo i due stati elastici S 1 {u 1, E 1, T 1 } associato al sistema di azioni (b 1, s 1 ) e S 2 {u 2, E 2, T 2 } associato al sistema di azioni (b 2, s 2 ); dal principio dei lavori virtuali discendono allora i seguenti teoremi: Teorema 2 (Betti) Se B é un continuo iperelastico, ovvero C = C T, allora il lavoro compiuto dalle azioni (b 1, s 1 ) per lo spostamento u 2 dello stato elastico S 2 é uguale al lavoro compiuto dalle azioni (b 2, s 2 ) per lo spostamento u 1 dello stato elastico S 1. Consideriamo, per la (5.13): b 1 u 2 + s 1 u 2 = T 1 E 2 = B C[E 1 ] E 2 = B C T [E 2 ] E 1 = B C[E 2 ] E 1 = B B B T 2 E 1 = b 2 u 1 + s 2 u 1. B B B Teorema 3 (Kirchhoff) Dato un sistema di azioni (b, s), la soluzione u del problema di trazione é unica a meno di un moto rigido. Supponiamo per assurdo, che al medesimo sistema di azioni (b, s) corrispondano due stati elastici S 1 S 2. Consideriamo allora lo stato elastico differenza D = {w = u 1 u 2, D = E 1 E 2, S = T 1 T 2 }, corrispondente al sistema di azioni nullo (0, 0). Per (5.13) abbiamo: 0 = S D = C[D] D : B B

83 5.4. I PRINCIPI VARIAZIONALI 73 per la definita positivitá di C, necessariamente: e quindi Ne consegue che D = sym( u 1 u 2 ) = 0, (u 1 u 2 ) = W Skw. u 1 (x) = u 2 (x) + Wx, e pertanto due soluzioni del problema di trazione possono differire al piú per un atto di moto rigido Il principio di minimo dell energia potenziale totale Per un materiale conservativo dotato di una densitá di energia potenziale elastica (4.17), definiamo l Energia potenziale elastica del corpo B: Φ(u) = 1 C[ u] u, (5.14) 2 B dove abbiamo rappresentato la deformazione in termini di spostamento mediante le equazioni di congruenza (2.82) 1. Se indichiamo con Π(u) l energia potenziale delle azioni di volume e delle azioni di superficie prescritte sulla porzione di frontiera 1 B, supposte conservative: Π(u) = b u + s u, (5.15) B 1B definiamo Energia potenziale totale del corpo B il funzionale: u U(u) = Φ(u) Π(u), (5.16) che ad ogni campo di spostamenti B x u(x) appartenente ad un opportuno spazio di funzioni F associa un numero reale: F u U(u) R. Principio 2 Minimo dell Energia Potenziale Totale La soluzione u del problema di equilibrio in termini di spostamenti (5.3) rende minima l energia potenziale totale (5.16) tra tutti gli spostamenti v A, dove A é lo spazio delle funzioni di spostamento cinematicamente ammissibili, ovvero sufficientemente regolari e compatibili con i vincoli. Supponiamo u il minimo del funzionale e consideriamo una perturbazione u + ɛv con ɛ un piccolo parametro e v A. Definiamo la variazione prima del funzionale nella direzione della perturbazione v: U(u + ɛv) U(u) δu(u)[v] = lim ; (5.17) ɛ 0 ɛ

84 74 CAPITOLO 5. IL PROBLEMA ELASTICO la condizione di minimo del funzionale é: δu(u)[v] = 0, v A. Dalla (5.17), passando al limite si ha: δu(u)[v] = C[ u] v B B b v s v, B dove l ultimo integrale é valutato su tutta la frontiera poiché v = 0 su 2 B. Per la (1.99) 1, infine: δu(u)[v] = (div C[ u] + b) v + (C[ u] s) v = 0, v A, B B da cui si ottengono la (5.3) 1 e le condizioni al contorno naturali (5.3) Il principio di minimo dell energia complementare Consideriamo la differenza tra il lavoro virtuale (5.13) e l energia potenziale totale: Λ(T) = T E(u) b u s u U(u), (5.18) B B poiché il lavoro virtuale si annulla per ogni coppia u, E ammissibile (congruente e compatibile con i vincoli) e per ogni tensore degli sforzi T in equilibrio con le azioni (b, s), alla condizione di minimo di U(u) corrisponderá una condizione di massimo per il funzionale Λ(T) cosí definito: T Λ(T) = 1 K[T] T Tn u, (5.19) 2 B e chiamato Energia Complementare, nel senso che complementa l energia potenziale totale rispetto al lavoro. Con abuso di linguaggio denominiamo tale condizione di massimo: Principio 3 Minimo dell Energia Complementare La soluzione T delle equazioni di compatibilitá in termini di tensione (5.7) rende minima l energia complementare (5.19) tra tutti i tensori degli sforzi T D, dove D é lo spazio dei tensori simmetrici staticamente ammissibili, ovvero sufficientemente regolari e che verificano le equazioni di bilancio: B 2B div T + b = 0 in B, Tn = s su 1 B. Supponiamo T il minimo del funzionale e consideriamo una perturbazione T + ɛ T con ɛ un piccolo parametro e T D. Definiamo la variazione prima del funzionale nella direzione della perturbazione T: δλ(t)[ T] Λ(T + ɛ = lim T) Λ(T), (5.20) ɛ 0 ɛ

85 5.4. I PRINCIPI VARIAZIONALI 75 la condizione di minimo del funzionale é: δλ(t)[ T] = 0, T D. Dalla (5.20), passando al limite si arriva alla condizione di minimo δλ(t)[ T] = K[T] T Tn u = 0, T D. B Dal principio dei lavori virtuali (5.13) e dalla definizione di energia complementare abbiamo: Teorema 4 (Clapeyron) Dato uno stato elastico S associato alle azioni (b, s), il lavoro compiuto da tali azioni per gli spostamenti u S é il doppio dell energia complementare associata a T S. 1B Dal principio dei lavori virtuali (5.13), con T E = T K[T] = 2Λ(T) si ha: b u + s u = 2Λ(T). B B

86 76 CAPITOLO 5. IL PROBLEMA ELASTICO

87 Capitolo 6 Travi I: la teoria tecnica 6.1 Curve in R 3. Regioni a forma di trave Una curva in R 3 é una applicazione γ : I (0, τ) R E che assumiamo semplice e regolare, tale che (0, τ) t P (t) E. b(z) = w 2 (z) n(z) = w 1 (z) γ P (z) p(z) t(z) = w 3 (z) O Fig Curva in R 3 Assegnata una curva γ definiamo la lunghezza d arco z(t) = t 0 dp dτ (τ)dτ : 77

88 78 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA per modo che z(τ) z(0) = L, lunghezza della curva. Se assumiamo di riparametrizzare la curva in termini della lunghezza d arco, si ha che il vettore: t(z) = P (z) = dp dz (z), P (z) = 1, é il vettore Tangente alla curva γ. Scelto un punto O E, definiamo il vettore posizione dei punti della curva: Si definiscono: p(z) = P (z) O V. vettore Normale alla curva il vettore z n(z): n(z) = P P, n = 1 ; (6.1) vettore Binormale alla curva il vettore z b(z): b(z) = t(z) n(z). (6.2) Definiamo in z (0, L) riferimento intrinseco alla curva γ il riferimento ortonormale {w 1 (z) = n(z), w 2 (z) = b(z), w 3 (z) = t(z)}; si ha che: w k = Lw k, k = 1, 2, 3, (6.3) dove il tensore L Skw é il tensore di curvatura di γ. Mediante le due funzioni z κ(z) e z τ(z) dette rispettivamente curvatura e torsione di γ, il tensore di curvatura di γ puó essere rappresentato nel riferimento intrinseco dalla matrice: [L] 0 τ κ τ 0 0 κ 0 0, e le (6.3) si riducono alle ben note formule di Frenet: w 1 = τw 2 κw 3, w 2 = τw 1, (6.4) w 3 = κw 1. Definiamo Regione a forma di trave una regione cilindrica Ω E, tale che Ω = S I con S R 2 la sezione retta ed i punti dell asse I siano i punti di una curve semplice e regolare γ. La frontiera di Ω si decompone pertanto in tre porzioni disgiunte Ω S 0 S L M, dette rispettivamente basi S 0 = S {0}, S L = S {L} e mantello M S I.

89 6.2. STATICA DELLE TRAVI 79 S L z = L S 0 z = 0 S z w 3 (z) x M y(z) p(z) Fig Regione Ω a forma di trave Per effetto della geometria della regione, il generico punto y Ω puó rappresentarsi come: y(x, z) = p(z) + x, (6.5) dove z p(z) é il vettore posizione dei punti della curva γ essendo z la lunghezza d arco, mentre x é il vettore posizione dei punti della sezione retta, essendo x w 3 = Statica delle Travi Consideriamo una corpo rigido B Ω che occupa una regione a forma di trave. Dalla equazione di Eulero (3.6) 1 : L 0 = b + s = ( b + s) + s + s ; (6.6) Ω Ω 0 S S S 0 S L definiamo la densitá di azioni esterne per unitá di lunghezza il vettore z q(z) q(z) = b + s, (6.7) S e la risultante delle azioni di superficie sulla sezione retta S il vettore z r(z): r(z) = s, (6.8) per modo che la (6.6) possa essere riscritta come: r(l) + r(0) + L 0 S S q(z)dz = 0. (6.9)

90 80 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Per il teorema fondamentale del calcolo integrale possiamo riscrivere la (6.9) come: L (r (z) + q(z))dz = 0 r = dr dz, (6.10) 0 che per localizzazione porta alla Equazione di bilancio delle forze per travi curvilinee: r (z) + q(z) = 0. (6.11) Dalla equazione di Eulero (3.6) 2 : 0 = y b + y s Ω L Ω = ( p b + x b + p s + x s) (6.12) 0 S S + p(0) s + x s + p(l) s + x s ; S 0 S 0 S L S L se definiamo la densitá di coppie esterne per unitá di lunghezza il vettore z k(z): k(z) = x b + x s, (6.13) S S e la coppia risultante delle azioni di superficie sulla sezione retta S il vettore z c(z): c(z) = x s, (6.14) possiamo riscrivere la (6.12) come: poiché: L 0 S (p q + k)dz + p(0) r 0 + p(l) r L + c(l) + c(0) = 0 ; (6.15) p(0) r 0 + p(l) r L = arriviamo alla: L 0 L 0 (p(z) r z ) dz = L 0 w 3 (z) r z + p(z) r z, (p (q + r z) + w 3 (z) r z + k)dz + c(l) + c(0) = 0, (6.16) dalla quale per la (6.11), il teorema fondamentale del calcolo integrale e localizzando, si arriva alla Equazione di bilancio delle coppie per travi curvilinee: c (z) + k(z) + w 3 (z) r(z) = 0. (6.17) Le equazioni di bilancio per le travi curvilinee (6.11) e (6.17) sono un sistema di equazioni differenziali ordinarie del primo ordine che, assegnate opportune

91 6.2. STATICA DELLE TRAVI 81 condizioni al contorno od iniziali in numero di sei, consentono di associare alle azioni esterne (z q(z), z k(z)) riferite alla curva γ, le azioni interne (z r(z), z c(z)) anch esse riferite alla curva γ. Definiamo le componenti delle azioni interne nel riferimento intrinseco: r w α = T α, Taglio, α = 1, 2 ; r w 3 = N, Forza Normale ; (6.18) c w α = C α, Coppia flettente, α = 1, 2 ; c w 3 = C 3, Coppia torcente, le caratteristiche della sollecitazione riferite ad un punto z della curva γ. La rappresentazione delle equazioni di bilancio in componenti é data dalle: r i + r j (e j ) e i + q i = 0, (6.19) m i + m j (e j ) e i + ɛ 3ki r k + k i = 0, che scritte esplicitamente in termini delle caratteristiche di sollecitazione divengono rispettivamente (Eulero, 1771): T 1 τt 2 + κn + q 1 = 0, T 2 + τt 1 + q 2 = 0, (6.20) N κt 1 + q 3 = 0 ; Travi piane C 1 τc 2 + κc 3 T 2 + k 1 = 0, C 2 + τc 1 + T 1 + k 2 = 0, C 3 κc 1 + k 3 = 0. (6.21) In una trave piana la curva γ é una curva contenuta nel piano ortogonale alla binormale w 2 con τ 0, per cui le (6.20) e (6.21) si riducono alle: T 1 + κn + q 1 = 0, T 2 + q 2 = 0, (6.22) N κt 1 + q 3 = 0 ; C 1 + κc 3 T 2 + k 1 = 0, C 2 + T 1 + k 2 = 0, C 3 κc 1 + k 3 = 0. (6.23) Se κ = R 1 = cost. la curva é un arco di circonferenza di raggio R. In questo caso, scelta la parametrizzazione in lunghezza d arco z = θr: f = 1 R f, θ,

92 82 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA N(θ) C 2 (θ) z T 1 (θ) θ R Fig Caratteristiche di sollecitazione in un arco dalle equazioni (6.22) 1,3 e (6.23) 2 ricaviamo le equazioni di bilancio degli archi piani, relative alle sollecitazioni (q 1, q 3, k 2 ) nel piano dell arco ed alle associate caratteristiche (N, T 1, C 2 ): T 1, θ +N + Rq 1 = 0, N, θ T 1 + Rq 3 = 0, (6.24) C 2, θ +RT 1 + Rk 2 = Travi ad asse rettilineo Una trave ad asse rettilineo é caratterizzata da κ = τ = 0, pertanto le (6.20) e (6.21) divengono: T α + q α = 0, α = 1, 2, (6.25) N + q 3 = 0 ; C 1 T 2 + k 1 = 0, C 2 + T 1 + k 2 = 0, (6.26) C 3 + k 3 = 0. Osserviamo che se γ é una retta, come in questo caso, i vettori normale e binormale non sono definiti e pertanto w 1 e w 2 sono una coppia di vettori ortogonali nel piano normale a w 3. In tal caso le equazioni di bilancio devono essere indipendenti dalla scelta del riferimento mentre é evidente che le (6.26) dipendono dalla scelta del riferimento. Questa ambiguitá puó essere rimossa introducendo il vettore m dei momenti flettenti tale che: c(z) = w 3 m(z), (6.27) le cui componenti M α = m w α, α = 1, 2 sono tali che C 1 = M 2 e C 2 = M 1. In tal modo le (6.26) possono essere riscritte in termini dei momenti flettenti e del momento torcente M 3 = C 3 in una forma indipendente dalla scelta del sistema di riferimento: M α T α + k α = 0, α = 1, 2, (6.28) M 3 + k 3 = 0.

93 6.2. STATICA DELLE TRAVI 83 D ora in poi assumiamo che le azioni siano interamente contenute in un piano e che k α = 0. Omettendo gli indici e ponendo come d uso p = q 3 e k = k 3 le equazioni di bilancio di una trave piana che forniscono le caratteristiche di sollecitazione (N, T, M) in funzione delle azioni (p, q) sono: N + p = 0, T + q = 0, (6.29) M T = 0, cui si aggiunge l equazione di bilancio del momento torcente M 3 = M t : M t + k = 0. (6.30) Il sistema di equazioni differenziali ordinarie del primo ordine (6.29) puó essere trasformato in un sistema del secondo ordine ricavando T dalla (6.29) 3 : M = T, (6.31) ottenendo le equazioni di bilancio che forniscono le caratteristiche di sollecitazione (N, M) in funzione delle azioni (p, q): N + p = 0, M + q = 0. (6.32) il sistema (6.29) o la sua versione contratta (6.32) ammettono soluzione se sono note 3 condizioni iniziali o al contorno. Le condizioni al contorno per le equazioni di bilancio Il sistema (6.29) o la sua versione contratta (6.32) ammettono soluzione se sono note 3 condizioni iniziali o al contorno. Se consideriamo una trave rettilinea di asse (0, L) nei punti della frontiera C {0, L} sono assegnabili al piú 6 azioni, ovvero la forza normale, il taglio ed il momento flettente per ciascun estremo. Si hanno perció tre possibilitá: Il sistema é labile: si possono avere ad esempio le tre condizioni iniziali in z = 0 (o l analoga per z = L): N(0) = N 0 M (0) = T 0 M(0) = M 0 ; (6.33) o l unica condizione per la (6.32) 1 e le 2 condizioni al contorno in z = 0 e z = L per la (6.32) 2 : N(0) = N 0 M(0) = M 0 M(L) = M L, (6.34) e le due condizioni ottenibili dalle precedenti sostituendo N(0) = N 0 con N(L) = N L, se e solo se le azioni assegnate al bordo ed i carichi sono

94 84 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA equilibrati, ovvero, dati (N 0, T 0, M 0 ) le azioni (N L, T L, M L ) verificano le: N 0 + N L + T 0 + T L + M 0 + M L + T L L + L 0 L 0 L 0 p(z)dz = 0, q(z)dz = 0,, (6.35) q(z)zdz = 0. Il sistema é isostatico e la (6.35) consente di determinare univocamente le reazioni vincolari. Le assegnazioni delle condizioni al contorno sono identiche a quelle del caso precedente con le reazioni vincolari in luogo delle tre azioni esterne incognite. Il sistema é iperstatico. Si hanno k > 3 reazioni vincolari e le (6.35) forniscono k 3 soluzioni equilibrate. Le assegnazioni delle condizioni al contorno sono identiche a quelle del caso precedente ma consentono di determinare k 3 soluzioni dipendenti da k 3 reazioni vincolari incognite. Piú in generale, dato un sistema di travi S, le equazioni di equilibrio consentono la determinazione delle caratteristiche di sollecitazione se il sistema é labile ed é soggetto ad un sistema di carichi esterni in equilibrio oppure se il sistema é isostatico. Nel caso di sistemi k-volte iperstatici, é possibile la determinazione di una famiglia di k caratteristiche di sollecitazione soluzione delle (6.32). I diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione Le soluzioni z N(z), z T (z) e z M(z) vengono rappresentate tracciandone il grafico direttamente sul sistema di aste rigide ed utilizzando le aste rigide come fondamentale secondo le seguenti convenzioni: La Forza Normale ed il Taglio sono positivi se sono diretti come nella figura ed il diagramma é rappresentato con il segno: N T T N Fig Convenzioni di segno positivo per N e T se N > 0 la forza normale si dice di trazione, mentre é di compressione se N < 0.

95 6.2. STATICA DELLE TRAVI 85 Il Momento Flettente viene riportato dalla parte delle fibre tese definite nella figura dalla linea tratteggiata: Fig Fibre tese ed il diagramma é rappresentato senza segno. In presenza di una azione concentrata, il diagramma della caratteristica di sollecitazione corrispondente ha una discontinuit. Se ad esempio sull asta rigida é applicata una forza F ortogonale all asta, il taglio T subirá un salto: T s F T d Fig Definizione di [T ] e per l equilibrio: T s T d F = 0, (6.36) ponendo T s T d = [T ], dalla (6.36) abbiamo [T ] = F ; analogamente per una azione concentrata Q diretta come l asta ed una coppia concentrata C abbiamo: [N ] = Q, [M ] = C ; Esempio 13 Trave appoggiata caricata Consideriamo la trave dell esempio 9, e supponiamola caricata con una azione concentrata verticale F = F e 2 nel punto di mezzeria C, ovvero tale che C A = L/2e 1 :

96 86 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA e 2 F A e1 B C Fig Trave appoggiata rimuovendo i vincoli e sostituendoli con le reazioni vincolari incognite F A r A 1 r A 2 C B r B 2 le equazioni di bilancio dell esempio 9 divengono: la cui soluzione é: r A 1 = 0, r A 2 + r B 2 F = 0, r B 2 L F L 2 = 0, r A 1 = 0, r A 2 = r B 2 = F 2. Sostituendo al posto delle reazioni vincolari incognite abbiamo quindi: F A F 2 C B F 2 ed essendo il sistema isostatico, le equazioni (6.32) ammettono soluzione unica e possiamo tracciare i diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione. Preliminarmente osserviamo che essendo p = 0 e q = 0, dalle (6.32) i diagrammi di N e T saranno costanti a tratti, mentre quello di M sará lineare e tratti. Inoltre poiché in C é applicata una azione concentrata, si avrá [T ] = F, il diagramma di T non sará continuo in C e quello di M non sará derivabile in C.

97 6.2. STATICA DELLE TRAVI Diagramma della forza normale N: poiché N(0) = r A 1 = 0, abbiamo N 0 per 0 z L ; 2. Diagramma del taglio T : poiché T (0) = r2 A = F/2, abbiamo T = F/2 > 0 per le convenzioni di segno adottate per 0 z < L/2, mentre essendo T (L) = r2 B = F/2, abbiamo T = F/2 < 0 per le convenzioni di segno adottate per L/2 < z L, ovvero: F 2, 0 z < L 2, T (z) = F 2, L 2 < z L ; 3. Diagramma del momento flettente M: il momento flettente é lineare in z, ovvero M(z) = a + bz. 0 z L/2 le condizioni iniziali sono: M(0) = 0, M (0) = T (0) = F 2, Nel tratto da cui M(z) = F 2 z. Nel tratto L/2 z L le condizioni al contorno sono: da cui M( L 2 ) = F L 4, M(L) = 0, M(z) = F (L z). 2 per cui F 2 z, 0 z L 2, M(z) = F 2 (L z), L 2 z L. Restano da determinare le fibre tese per poter passare al tracciamento del diagramma di M. A tale scopo, sezioniamo la trave in un punto immediatamente a sinistra del punto C e rappresentiamo il momento incognito M C agente in quel punto. A F 2 C M C

98 88 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Per l equilibrio dei momenti rispetto a C abbiamo: F L 2 2 M C = 0, da cui M C = F L/4 ed essendo positivo il verso assunto é quello corretto. Pertanto le fibre tese sono quelle inferiori. Osserviamo anche che essendo il momento lineare, per tracciarne il diagramma é sufficiente conoscerne il valore in due punti. Valutando pertanto M C con una equazione di equilibrio, conosciamo i valori di M(0) = 0, M(L) = 0 ed M C = F L/4 che consentono l immediato tracciamento del diagramma. Il risultato finale é pertanto: 0 N F 2 + F 2 T F L 4 M Fig Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione Simmetrie Una sistema piano di travi S si dice simmetrico se esiste un asse di simmetria e nel piano della struttura tale che la geometria della struttura é invariate per rotazioni di π intorno all asse di simmetria. asse di simmetria e S

99 6.2. STATICA DELLE TRAVI 89 Un sistema di azioni per S (interne ed esterne) si dice simmetrico se é invariate per rotazioni di π intorno all asse di simmetria. Se pertanto consideriamo le caratteristiche di sollecitazione valutate nei punti di ascissa curvilinea ±s rispetto all asse di simmetria (individuato da s = 0) abbiamo, in ragione delle convenzioni di segno adottate: N( s) = N(s), T ( s) = T (s), M( s) = M(s), (6.37) s = 0 F F s M( s) T ( s) N( s) e M(s) s T (s) N(s) da cui si ha che il momento flettente e la forza normale sono funzioni pari, ovvero simmetriche rispetto all asse, mentre il taglio é una funzione dispari, ovvero antisimmetrica rispetto all asse. Ne consegue che T (0) = 0 ovvero che il taglio si annulla in corrispondenza dell asse di simmetria. In conseguenza di ció possiamo studiare una struttura simmetrica caricata simmetricamente limitandosi allo studio di metá struttura vincolata in corrispondenza dell asse di simmetria mediante un pattino, ovvero un vincolo per cui T 0. I diagrammi della struttura si otterranno ribaltando intorno all asse quelli di N ed M e ribaltando e cambiando di segno quello di T. F Un sistema di azioni per S (interne ed esterne) si dice antisimmetrico se cambia di segno per rotazioni di π intorno all asse di simmetria. Se pertanto consideriamo le caratteristiche di sollecitazione valutate nei punti di ascissa curvilinea ±s rispetto all asse di simmetria abbiamo, in ragione delle convenzioni di segno adottate: N( s) = N(s), T ( s) = T (s), M( s) = M(s), (6.38)

100 90 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA F s M( s) T ( s) N( s) s = 0 e F s M(s) T (s) N(s) da cui si ha che il momento flettente e la forza normale sono funzioni dispari, ovvero antisimmetriche rispetto all asse, mentre il taglio é una funzione pari, ovvero asimmetrica rispetto all asse. Ne consegue che N(0) = 0 ed M(0) = 0 ovvero che la forza normale ed il momento flettente si annullano in corrispondenza dell asse di simmetria. In conseguenza di ció possiamo studiare una struttura simmetrica caricata antisimmetricamente limitandosi allo studio di metá struttura vincolata in corrispondenza dell asse di simmetria mediante un carrello, ovvero un vincolo per cui N 0 ed M 0. I diagrammi della struttura si otterranno ribaltando intorno all asse quelli di T e ribaltando e cambiando di segno quelli di N ed M. F Travi reticolari Una trave reticolare (o travatura reticolare), é un insieme di a aste rettilinee collegate tra loro mediante n cerniere dette nodi e caricate solamente in corrispondenza dei nodi. Per l equilibrio di una singola asta B A abbiamo: r A + r B = 0, (B A) r B = 0, (6.39)

101 6.2. STATICA DELLE TRAVI 91 B r A A B A r A r B r B Asta pendolare e di conseguenza le reazioni ai nodi A e B sono dirette come l asta B A. L unica caratteristica di sollecitazione agente sull asta é pertanto la forza normale costante N. Si dice asta pendolare un asta rettilinea caricata alle estremitá e sollecitata solamente da forza normale. In una travatura reticolare pertanto tutte le aste sono pendolari e ciascuna di esse equivale ad un grado di vincolo: la relazione tra il numero di nodi n ed il numero delle aste a é di conseguenza: 2n a = 3 ; (6.40) tale relazione é solamente una relazione necessaria che garantisce che la travatura possieda 3 gradi di libertá e sia, da un punto di vista cinematico, assimilabile ad un corpo rigido per il quale valgono le condizioni di labilitá, isostaticitá ed iperstaticitá. La condizione sufficiente, che rende conto della topologia del sistema, é data dalle condizioni di Föppl. Poiché per una travatura reticolare infatti, a ciascuna asta di lunghezza l jk corrisponde una condizione di vincolo di rigiditá nelle 2n incognite (x n 1, x n 2 ): ϕ h (x n 1, x n 2 ) = (x j 1 xk 1) 2 + (x j 2 xk 2) 2 l jk = 0, h = 1, 2,... a, ponendo: (x 1 = x 1 1, x 2 = x 1 2,... x 2n 1 = x n 1, x 2n = x (n) 2 ), la condizione sufficiente di Föppl prescrive che la matrice Jacobiana: [A] [ϕ i,j ], i = 1, 2,..., a, j = 1, 2,..., 2n = 3 + a, debba avere rango r = a. Le due travature nell esempio in figura hanno n = 10 ed a = 17, per cui in ambedue i casi 2n a = 3, ma nella travatura inferiore la maglia quadrata di destra é labile per effetto della disposizione delle aste.

102 92 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Un nodo di una travatura reticolare si dice canonico se vi convergono solamente due aste: una travatura reticolare si dice a maglie triangolari se tutte le aste sono disposte in modo da formare triangoli. In una travatura a maglie triangolari esiste sempre un nodo canonico. Per la determinazione delle azioni sulle aste, si puó procedere mediante vari metodi che ora illustriamo. Si utilizza nel seguito la convenzione di numerare i nodi ed indicare con N ik lo forza normale sull asta che collega il nodo i con il nodo k (ovviamente l ordine degli indici é irrilevante, ovvero N ik = N ki ). Supponiamo la travatura isostatica per modo che le reazioni vincolari siano determinate. A titolo di esempio consideriamo la semplice travatura riportata in figura: F F F h R 1 a a a R 7 Metodo dell equilibrio al nodo Con questo metodo si inizia da un nodo canonico nel quale convergendo due aste, si hanno solamente due incognite, le forze normali agenti sulle due aste che convergono al nodo. Detta ad esempio R 1 l azione nota applicata al nodo, sia essa una azione esterna o una reazione vincolare, se nel nodo era applicato un

103 6.2. STATICA DELLE TRAVI 93 vincolo, per l equilibrio delle forze al nodo 1 si ha: N 13 + N 12 cos α = 0, R 1 + N 12 sin α = 0, tan α = 2h a, (6.41) Adottiamo la convenzione di rappresentare le forze normali incognite come trazioni, ovvero uscenti dal nodo, per modo che nella soluzione delle equazioni un valore negativo della forza normale incognita rappresenta uno sforzo di compressione. Si procede quindi al nodo adiacente nel quale convergono tre aste: poiché lo sforzo in una delle tre aste é stato determinato per l equilibrio al nodo 1, anche in questo nodo, nel nostro caso il nodo 2, si hanno solamente due incognite ed abbiamo: N 12 cos α + N 23 cos α + N 24 = 0, N 12 sin α + N 23 sin α + F = 0. (6.42) Per l equilibro al nodo 3 abbiamo: N 13 + N 35 N 23 cos α + N 34 cos α = 0, N 23 sin α + N 34 sin α = 0. (6.43) 1 α R 1 N 12 N 13 2 F α N 12 N 24 N 23 N 13 N 23 N 34 3 α N 35 Si procede in questa maniera sino alla determinazione delle forze normali in tutte le aste. Osserviamo nell esempio specifico che per la simmetria delle azioni esterne, la forza normale é simmetrica e si avrá: N 46 = N 42, N 45 = N 43, N 46 = N 42, N 56 = N 23, N 57 = N 13, riducendosi l equazione di equilibrio al nodo 4 ad una identitá. Il sistema di equazioni di equilibrio associato alle (6.41), (6.42) e (6.43) diviene cos α N 12 0 sin α N 13 R 1 cos α 0 cos α N 23 R sin α 0 sin α N 24 = 0 F, 0 1 cos α 0 cos α 1 N sin α 0 sin α 0 N 35 0 e la matrice [A ] ha determinante det[a ] = sin 3 α 0. Il medesimo risultato puó essere ottenuto per via grafica decomponendo la forza F lungo due direzioni e successivamente la forza normale N 12 lungo altre

104 94 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA due direzioni, ripetendo l operazione di decomposizione di una forza nota lungo due direzioni per tutti i nodi della struttura. Un metodo grafico che riunisce tutte le operazioni di successiva decomposizione di una forza lungo due direzioni ed equivale alla risoluzione del sistema di equazioni di equilibrio al nodo é il diagramma Cremoniano del quale riportiamo in figura un esempio: Un esempio di diagramma Cremoniano (fonte: Wikipedia) Metodo di Ritter Si dice Sezione di Ritter una immaginaria sezione della travatura ottenuta una curva Σ che taglia tre aste, due delle quali convergenti nel medesimo nodo. In tal modo per determinare le tre forze normali incognite disporremo, sulla porzione P della struttura ottenuta mediante la sezione Σ delle due equazioni di equilibrio delle forze e della equazione di equilibrio del momento rispetto al nodo nel quale convergono le due forze. Ad esempio, per la sezione Σ 1 che attraversa le aste 1 3, 2 3 e 2 4 abbiamo:

105 6.3. LE EQUAZIONI DELLA LINEA ELASTICA 95 h Σ F F F 2 N 24 N Σ 1 Σ 2 0 N 23 1 N R N 13 N 35 1 a a a R 7 N 24 + N 13 + N 23 cos α = 0, N 23 sin α F + R 1 = 0, (6.44) N 13 h R 1 a 2 = 0. Con un numero adeguato di sezioni di Ritter si possono determinano le azioni in tutte le aste. Un vantaggio del metodo é che permette di determinare la forza normale in un asta generica N ik senza dovere determinare le azioni nelle aste precedenti come invece avviene mediante l equilibrio al nodo. Per la travatura reticolare dell esempio, stante la simmetria, sono necessarie solamente tre sezioni di Ritter, la prima delle quali é la (6.44), mentre la seconda, Σ 2 fornisce: N 24 + N 34 cos α + N 35 = 0, N 34 sin α F + R 1 = 0, (6.45) N 35 h + F a R 1 3a 2 = 0. e la sezione Σ 0 che taglia le aste 1 2 ed 1 3 equivale all equazione di equilibrio al nodo (6.41). Anche del metodo di Ritter esiste una versione grafica detta metodo di Culmann. 6.3 Le equazioni della linea elastica Le misure di deformazione Consideriamo il campo di spostamenti (u, v) definito in ogni punto z ( 0, L ) dalle due funzioni u = u(z) e v = v(z) che rappresentano rispettivamente lo spostamento assiale (ovvero nella direzione dell asse della trave) e quello trasversale (ovvero nella direzione ortogonale all asse della trave).

106 96 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Possiamo quindi definire il lavoro virtuale compiuto delle azioni esterne equilibrate (p, q) per ogni spostamento congruente (ovvero compatibile con i vincoli ed infinitesimo) (u, v) come: L ext = L 0 (pu + qv)dz. (6.46) Poiché le azioni esterne sono equilibrate, per le (6.32) possiamo scrivere la (6.46) come L 0 (pu + qv)dz = che integrata per parti porta alla: L 0 L (Nu Mv )dz (Nu + M v Mv ) 0 (N u + M v)dz, (6.47) L 0. (6.48) Definiamo le Equazioni di congruenza per una trave rettilinea le equazioni che forniscono le misure di deformazione (ε, κ) in funzione delle misure di spostamento (u, v): u ε(u) = u, v κ(v) = v. (6.49) Poiché T = M, otteniamo l espressione del lavoro virtuale compiuto dalle azioni interne (le caratteristiche di sollecitazione N ed M) per le deformazioni ε e κ: L int = e si ha L int = L ext : L 0 L (Nu Mv )dz = 0 (Nε + Mκ)dz (Nu + T v Mv ) L 0 L 0, (6.50) (pu + qv)dz + (Nu + T v Mv L, (6.51) per ogni coppia (N, M) equilibrata (ovvero che verifica le (6.32)) ed ogni coppia (ε, κ) congruente (ovvero che verifica le (6.49)). Osservazione 12 Estensione e Curvatura Se consideriamo due punti z (0, L) e z 0 (0, L) ed i loro spostamenti assiali z u(z) e z 0 u(z 0 ), possiamo definire la lunghezza iniziale come l i = z z 0 e quella finale, dopo la deformazione come l f = u(z) u(z 0 ). Poiché u (z) = lim z z 0 u(z) u(z 0 ) z z 0, ne consegue che ε rappresenta una misura della estensione assiale: ε = u l f = lim, li 0 l i 0

107 6.3. LE EQUAZIONI DELLA LINEA ELASTICA 97 Se consideriamo una funzione z v(z), se ne definisce le Curvatura mediante la: v κ =, (1 + (v ) 2 ) 3 2 che si riduce alla curvatura cinematica (6.49) 2 nell ipotesi che v (z) << 1. Sotto la medesima ipotesi si ha infine che la Rotazione é data dalla: Travi elastiche lineari v = tan ϕ ϕ. Il materiale di cui immaginiamo essere formata la trave si dice Elastico (e di conseguenza parliamo di travi elastiche), se le caratteristiche di sollecitazione dipendono unicamente dalle misure di deformazione: N = N(ε, κ), M = M(ε, κ) ; (6.52) il materiale si dice Lineare (e di conseguenza parliamo di travi elastiche lineari) se la dipendenza (6.52) é lineare: N(ε, κ) = K 11 ε + K 12 κ, (6.53) M(ε, κ) = K 21 ε + K 22 κ. La matrice [K] rappresenta le proprietá elastiche del materiale ed é detta matrice di rigidezza del materiale. Assumiamo che la trave sia omogenea, ovvero che le componenti K αβ siano costanti. Perché le (6.53) abbiano plausibilitá fisica é necessario che [K] obbedisca alle seguenti restrizioni: [K] deve essere invertibile, ovvero deve esistere la matrice delle cedevolezze [C] = [K] 1 tale che: ε(n, M) = C 11 N + C 12 M, (6.54) κ(n, M) = C 21 N + C 22 M. e pertanto det[k] 0. (6.55) [K] deve essere fortemente ellittica, ovvero N(ε, 0)ε > 0, M(0, κ)κ > 0, (ε, κ), (6.56) e pertanto K 11 > 0, K 22 > 0. (6.57) [K] deve essere definita positiva, ovvero N(ε, κ)ε + M(ε, κ)κ > 0, (ε, κ), (6.58) e pertanto K 11 > 0, K 22 > 0, det[k] > 0. (6.59)

108 98 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Osservazione 13 Restrizioni a priori Ciascuna di queste condizioni, dette Restrizioni a priori su [K] ha un preciso significato fisico: l invertibilitá implica che le misure di sforzo e di deformazione possono assumere il ruolo di variabile indipendente, la forte ellitticitá che il lavoro compiuto da una caratteristica di sollecitazione per la variabile cinematica duale nel lavoro deve essere positivo e la definita positivitá che la densitá di lavoro interno deve essere positiva. Chiaramente: Definita Positivitá Forte Ellitticittá Invertibilitá. Osservazione 14 Travi Isotrope Una trave elastica lineare si dice isotropa se K 12 = K 21 = 0 ed in questo caso chiamiamo K 11 = EA rigidezza estensionale e K 22 = EJ rigidezza flessionale con E una quantitá che descrive le proprietá del materiale ed A e J rispettivamente l area e l inerzia della sezione retta S. N(ε) = EAε, EA > 0, M(κ) = EJκ, EJ > 0. (6.60) Travi rettilinee: le equazioni della linea elastica Assegnato un sistema di azioni (p, q) per la trave, definiamo Stato elastico la tripletta D = {(u, v), (ε, κ), (N, M)} per la quale valgono le equazioni di congruenza (6.49), le relazioni costitutive (6.60) e le equazioni di bilancio (6.32). Per determinare lo stato elastico D sostituiamo le (6.49) nelle (6.60): N = EAu, M = EJv, (6.61) e successivamente sostituiamo le (6.61) nelle (6.32) arrivando alle equazioni di equilibrio in termini di spostamento: EAu + p = 0, EJv + q = 0, (6.62) dette equazioni della linea elastica, rispettivamente estensionale e flessionale, che associano alle azioni (p, q) il campo di spostamenti (u, v). La soluzione di queste equazioni richiede la conoscenza di due condizioni per la (6.62) 1 e di quattro condizioni per la (6.62) Le condizioni al contorno per l equazione della linea elastica Anticipando un risultato che dedurremo rigorosamente nella prossima sezione, osserviamo che le condizioni al contorno per le (6.62) sono deducibili dall annullarsi in C {0, L} della forma bilineare: (N EAu )u (T + EJv )v + (M + EJv )ϕ) = 0 ; (6.63) C Abbiamo ancora una volta tre possibilitá:

109 6.3. LE EQUAZIONI DELLA LINEA ELASTICA 99 La trave é labile: si hanno pertanto k vincoli indipendenti con 0 k 2 ed avremo k condizioni sugli spostamenti o rotazioni e 6 k condizioni statiche sulle forze o coppie, consistenti con la (6.63) e che verificano la (6.35). La soluzione é determinata a meno di 3 k parametri di moto rigido. Se k = 0 il problema si dice di Trazione, mentre se k 0 si dice misto. Ad esempio se la trave é libera nello spazio k = 0 e le sei condizioni al contorno sono date dalle: u (0) = N 0 EA, v (0) = T 0 EJ, v (0) = M 0 EJ, u (L) = N L EA, v (L) = T L EJ, v (L) = M L EJ, essendo (N L, T L, M L ) determinati dalle (6.35). Queste condizioni, che verificano la (6.63), consentono la determinazione del campo di spostamenti a meno del moto rigido arbitrario: u(z) = c, v(z) = a + bz. La trave é isostatica: si hanno pertanto 3 vincoli indipendenti e 3 condizioni cinematiche sugli spostamenti o rotazioni e 3 condizioni statiche sulle forze o coppie, consistenti con la (6.63). La soluzione é determinata univocamente e si ha un problema misto. Ad esempio se la trave é incernierata in z = 0 ed appoggiata in z = L, per la (6.63) le uniche azioni esterne applicate sono N L, M 0, M L e le sei condizioni al contorno sono date dalle: u(0) = 0, v(0) = 0, v (0) = M 0 EJ, u (L) = N L EA, v(l) = 0, v (L) = M L EJ ; é immediato constatare che queste condizioni verificano la (6.63). La trave é iperstatica: si hanno pertanto k vincoli indipendenti con 4 k 6 ed avremo k condizioni sugli spostamenti o rotazioni e 6 k condizioni statiche sulle forze o coppie che rispettano la (6.63) e la soluzione é univocamente determinata. Se k = 6 il problema si dice di posizione, mentre si dice misto negli altri casi. Ad esempio per una trave incastrata ad ambedue le estremitá si ha: condizioni che verificano (6.63). u(0) = 0, v(0) = 0, v (0) = 0, u(l) = 0, v(l) = 0, v (L) = 0,

110 100 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Gli effetti delle variazioni termiche Supponiamo che una trave piana abbia sezione retta di altezza H e che t 2 e t 1 siano le temperature sulle due superfici della trave. Supponendo che la temperatura vari linearmente lungo l altezza della sezione, definiamo la temperatura media t 0 ed il salto di temperatura t: t 0 = t 2 + t 1 2, t = t 2 t 1. (6.64) Indicato con α il coefficiente di dilatazione lineare del materiale, le deformazioni associate alle variazioni termiche saranno: ε t = αt 0, κ t = α t H, (6.65) per cui le deformazioni totali dovute alle variazioni termiche ed alle caratteristiche di sollecitazione, espresse in termini di spostamento mediante le (6.49), sono: u (z) = αt 0 + N(z) EA, v (z) = α t H + M(z) EJ. (6.66) Osservazione 15 Esistenza e unicitá della soluzione Le equazioni della linea elastica (6.62) sono un sistema di equazioni differenziali ordinarie lineari. Per il teorema di unicitá ed esistenza della soluzione, assegnate le opportune condizioni al contorno od iniziali, per ogni sistema di azioni (p = p(z), q = q(z)), esiste una unica soluzione (u = u(z), v = v(z)) definita su (0, L) sotto l ipotesi che le funzioni p(z) e q(z) siano Lipschitziane (ovvero abbiano derivata limitata). Nel caso di sistemi labili, l assegnazione delle condizioni al contorno non garantisce l unicitá della soluzione che é definita a meno di un moto rigido: u(z) = c, v(z) = a + bz, a, b, c = costanti Travi deformabili a taglio Se consideriamo lo spostamento trasversale v = v(z) come il grafico di una funzione, la retta tangente al grafico in un punto z (0, L) ha inclinazione ϕ data dalla: tan ϕ = v ; nell ipotesi che v << 1 si ha pertanto che: tan ϕ ϕ = v. Se per un punto z (0, L) consideriamo una fibra materiale AA inizialmente ortogonale alla linea d asse della trave indeformata, dopo la deformazione questa fibra materiale avrá subito una rotazione θ cui é associata una curvatura (ovvero la quantitá cinematica per la quale il momento flettente M compie lavoro)

111 6.3. LE EQUAZIONI DELLA LINEA ELASTICA 101 definita come κ = θ. Nel ricavare le (6.62) abbiamo implicitamente assunto che: θ = ϕ = v, per cui κ = θ = v, ovvero che fibre AA inizialmente ortogonali alla linea d asse, rimangano ortogonali alla linea d asse dopo la deformazione. Conseguenza di questa assunzione é che il taglio T non compie lavoro interno e viene determinato tramite l equazione di equilibrio (6.29) 3 e la relazione costitutiva (6.61) 2 (come appariva anche dalla (6.63)): T = M = EJv. (6.67) Un siffatto modello é detto trave di Kirchhoff o trave indeformabile a taglio in quanto non esiste una quantitá cinematica per la quale il taglio compie lavoro interno. Nel caso piú generale la rotazione delle fibre AA non coincide con l angolo ϕ della tangente alla linea d asse deformata e si ha: θ = ϕ + γ = v + γ, (6.68) e pertanto l angolo γ = θ+v misura lo scorrimento delle fibre AA. Se scriviamo il lavoro virtuale delle azioni esterne, mettendo questa volta in conto anche le coppie k α = µ abbiamo: per le equazioni di equilibrio (6.29) 1,2 e la integrando per parti si arriva alla: L int = L L ext pu + qv + µθ ; (6.69) L 0 0 M T + µ = 0, (6.70) Nu + T (θ + v ) + Mθ, (6.71) e pertanto otteniamo le tre misure di deformazione, in luogo delle due misure di deformazione (6.49): ε = u, γ = θ + v, κ = θ. (6.72) Se ipotizziamo le relazioni costitutive lineari ed isotrope: N = EAε, T = κgaγ, (6.73) M = EJκ, dove κga > 0 é la rigidezza a taglio essendo κ il fattore di taglio di Timoshenko, dipendente dalla forma della sezione, arriviamo mediante le (6.29) 1,2 e la (6.70) alle equazioni per le travi di Reissner-Timoshenko o travi deformabili a taglio: EAu + p = 0, κga(θ + v ) + q = 0, (6.74) EJθ + GA(θ + v ) + µ = 0.

112 102 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Osservazione 16 Vincoli interni Le equazioni della linea elastica (6.62) possono facilmente essere ricavate dalle (6.74) ponendo γ = 0 che infatti implica θ = v. Dalle (6.73) si ha peró in tal caso che T = 0, risultato inconsistente con la (6.29) 2 e la (6.70). In realtá, la condizione γ = 0 é un vincolo sulle deformazioni del tipo: φ(ε, γ, κ) = 0, cui é associata una reazione vincolare λ che non compie lavoro per le deformazioni ammissibili (ε, κ), ovvero: λ = T ; in tal modo il taglio non viene ad essere determinato da una relazione costitutiva, bensí viene determinato mediante le equazioni di equilibrio ottenendo correttamente la (6.67). In maniera del tutto analoga, sia dalle (6.62) che dalle (6.74) possiamo ricavare la teoria delle travi inestensibili, ponendo come vincolo: φ(ε, γ, κ) = ε = 0, avendo in questo caso la forza normale completamente reattiva e determinabile mediante la (6.29) 1 : λ = N, λ + p = 0 ; nell ipotesi che p = 0 si ha che in una trave inestensibile N = costante, dipendente pertanto dal valore dalla forza normale al contorno, ad esempio N 0 = N(0). Esempio 14 Spostamenti in una trave appoggiata caricata Consideriamo la trave dell esempio 13, e proponiamoci di determinare gli spostamenti (u, v) mediante le (6.62). Iniziamo con il problema per la linea elastica estensionale: essendo p = 0, dalla (6.62) 1 si ha che: u(z) = a + bz, e le condizioni sono di tipo iniziale in quanto, dai risultati dell esempio 13 e dalla condizione di vincolo: si ha quindi che u(0) = 0, N(L) = EAu (L) = 0 u (0) = 0 ; u(z) = 0, z (0, L). Per quanto riguarda il problema della linea elastica flessione, dalla (6.62) 2 si ha che le soluzioni devono avere una forte regolatitá, ovvero v(z) C 4 (0, L): dai risultati dell esempio 13 invece abbiamo che il taglio T = EJv non é continuo e pertanto le soluzioni dell equazione sono al massimo di classe C 2 (0, L).

113 6.3. LE EQUAZIONI DELLA LINEA ELASTICA 103 Per rimuovere il problema scegliamo di scomporre la soluzione in due soluzioni distinte v 1 e v 2 di classe v(z) C 4 (0, L) definite rispettivamente sui due intervalli: I 1 (0, L 2 ), I 2 ( L 2, L), e di imporre nel punto C le condizioni di salto cinematiche sulla v e sulla v : [v ] = 0, [v ] = 0, e quelle statiche sul momento M e sul taglio T : [M ] = 0, [T ] = F. Le condizioni di vincolo in A e B implicano separatamente le condizioni al contorno per ciascuna delle due soluzioni: v 1 (0) = 0, M 1 (0) = 0, v 2 (L) = 0, M 2 (L) = 0. Poiché in I 1 e in I 2 q = 0, dalla (6.62) 2 si ha che le due soluzioni hanno la rappresentazione: v α (z) = a α + b α z + c α z 2 + d α z 3 ; e le condizioni al contorno e di salto, mediante le relazioni costitutive forniscono: v 1 (0) = 0, v 1 (0) = 0, v 2 (L) = 0, v 2 (L) = 0, v 1 ( L 2 ) v 2( L 2 ) = 0, v 1( L 2 ) v 2( L 2 ) = 0, v 1 ( L 2 ) v 2 ( L 2 ) = 0, EJ(v 1 ( L 2 ) v 2 ( L )) = F. 2 Determinando le otto costanti di integrazione mediante queste condizioni si arriva alla soluzione, espressa in termini della variabile adimensionale ζ = z/l: v max (3ζ 4ζ 3 ), 0 ζ 0.5, v(z) = v max ( 1 + 9ζ 12ζ 2 + 4ζ 3 ), 0.5 ζ 1, dove l abbassamento massimo é dato dalla: v max = v 1 ( L 2 ) = v 2( L 2 ) = F L3 48EJ.

114 104 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA ζ = 0 ζ = 0.5 ζ = 1 v 1 (ζ) v 2 (ζ) Fig Grafico dello spostamento v(ζ) 6.4 Materiali conservativi Consideriamo il lavoro infinitesimo dl compiuto per portare le caratteristiche (N, M) e le deformazioni (ε, κ) alle caratteristiche (N + dn, M + dm) ed alle deformazioni (ε+dε, κ+dκ); a meno di infinitesimi di ordine superiore abbiamo: dl = (N + dn)(ε + dε) + (M + dm)(κ + dκ) (Nε + Mκ) (6.75) = N dε + M dκ + ε dn + κ dm. In questa espressione i primi due termini rappresentano il lavoro compiuto dalle variazioni di deformazione per caratteristiche costanti, mentre gli ultimi due rappresentano il lavoro compiuto dalle variazioni di caratteristiche a deformazioni costanti. Consideriamo il lavoro associato ai primi due termini: dl 1 = N dε + M dκ ; (6.76) nel piano delle deformazioni (ε, κ) consideriamo una regione A di deformazioni ammissibili e consideriamo una storia di deformazione, ovvero una curva γ A che collega la deformazione (ε 0, κ 0 ) alla deformazione (ε 1, κ 1 ). Il lavoro speso lungo la storia di deformazione γ sará dato dalla: L 1 γ = N dε + M dκ. (6.77) γ Un materiale si dice conservativo (una trave si dice conservativa) se é verificata una delle tre condizioni equivalenti: Esiste una funzione ϕ = ϕ(ε, κ) C 1 (A), detta densitá di energia potenziale elastica tale che, γ A: L 1 γ = ϕ(ε 1, κ 1 ) ϕ(ε 0, κ 0 ) ; (6.78) Il lavoro compiuto su ogni curva chiusa γ A é nullo: N dε + M dκ = 0 ; (6.79) il lavoro dl 1 é un differenziale esatto: N(ε, κ) = ϕ (ε, κ), ε γ ϕ M(ε, κ) = (ε, κ). (6.80) κ

115 6.4. MATERIALI CONSERVATIVI 105 Le tre condizioni (6.78), (6.79) e (6.80) sono delle condizioni necessarie. Se ϕ C 2 (A) ed il dominio A é semplicemente connesso, abbiamo la condizione sufficiente di conservativitá: Se ϕ C 2 (A) ed A é semplicemente connesso allora: N κ = M ε, (6.81) é condizione sufficiente perché il materiale sia conservativo (la trave sia conservativa). Osserviamo che la condizione sufficiente (6.81) implica che per un materiale descritto mediante le (6.53) la matrice delle rigidezze [K] sia simmetrica: K 12 = K 21, e che tale condizione é banalmente verificate dalle relazioni (6.60) per travi isotrope. La conservativitá implica quindi l esistenza di una densitá di energia potenziale elastica tale che ϕ ε = EAε, ϕ = EJκ, (6.82) κ e che puó essere determinata valutando la (6.78) lungo una curva di Jordan tra (ε 0, κ 0 ) e uno stato di deformazione generico (ε, κ): ϕ(ε, κ) ϕ(ε 0, κ 0 ) = (ε,κ0) (ε 0,κ 0) EAεdε + (ε,κ) (ε,κ 0) EJκdκ, (6.83) da cui, a meno di una costante, l espressione della densitá di energia potenziale elastica: ϕ(ε, κ) = 1 2 EAε EJκ2 > 0, (6.84) positiva per effetto delle restrizioni a priori EA > 0 ed EJ > 0. Osservazione 17 Travi Anisotrope In una trave anisotropa la densitá di energia potenziale elastica ha espressione: ϕ(ε, κ) = 1 2 (K 11ε 2 + K 22 κ 2 + 2K 12 εκ) > 0, positiva per effetto della definita positivitá di [K] L energia potenziale elastica: il principio di minimo Definiamo Energia potenziale elastica di una trave: Φ(u, v) = 1 2 L 0 (EA(u ) 2 + EJ(v ) 2 )dz, (6.85)

116 106 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA dove si é espressa la (6.84) mediante le equazioni di congruenza (6.49). Consideriamo inoltre un sistema di azioni esterne conservative (p, q) e supponiamo che su una parte C 1 della frontiera C = {0, L} siano assegnate delle azioni esterne (N, T, M) anch esse conservative. Possiamo quindi definire una Energia potenziale dei carichi: Π(u, v) = L 0 (pu + qv)dz + (Nu + T v Mv ). (6.86) C1 Si definisce l Energia potenziale totale la differenza U(u, v) = Φ(u, v) Π(u, v): L U(u, v) = 1 (EA(u ) 2 + EJ(v ) 2 )dz 2 0 (Nu + T v + Mϕ) ; C1 L 0 (pu + qv)dz (6.87) l energia potenziale totale é un Funzionale che ad ogni coppia di funzioni (z u(z), z v(z)) associa, mediante la (6.87) un numero reale: F (u, v) U(u, v) R, dove F é un opportuno spazio di funzioni. Principio 4 Minimo dell Energia Potenziale Totale La soluzione (u, v) del problema (6.62) con assegnate condizioni al contorno, rende minima l energia potenziale totale (6.87) tra tutti gli spostamenti (u, v) F v, essendo F v uno spazio di funzioni di spostamento cinematicamente ammissibili ( sufficientemente regolari e compatibili con i vincoli). Supponiamo (u, v) il minimo del funzionale e consideriamo una perturbazione (u + ɛu 0, v + ɛv 0 ) con ɛ un piccolo parametro e (u 0, v 0 ) F v. Definiamo la variazione prima del funzionale nella direzione della perturbazione (u 0, v 0 ): Φ(u + ɛu 0, v + ɛv 0 ) Φ(u, v) δu[u 0, v 0 ] = lim ; (6.88) ɛ 0 ɛ la condizione di minimo del funzionale é: δu[u 0, v 0 ] = 0, (u 0, v 0 ) F v. Poiché, dalla (6.88), passando al limite si ha: δu[u 0, v 0 ] = L 0 (EAu u 0 + EJv v 0 pu 0 qv 0 )dz (Nu 0 + T v 0 Mv 0), C1 e poiché integrando per parti si ha: EAu u 0 = (EAu u 0 ) EAu u 0,

117 6.4. MATERIALI CONSERVATIVI 107 ed EJv v 0 = (EJv v 0) EJv v 0 = (EJv v 0 EJv v 0 ) + EJv v 0, si arriva alla L δu[u 0, v 0 ] = ((EAu + p)u 0 ( EJv + q)v 0 )dz 0 (N EAu )u 0 (T + EJv )v 0 (M + EJv )v 0) = 0. C1 Localizzando questa espressione e imponendone l annullamento (u 0, v 0 ) F v si ottengono le equazioni della linea elastica (6.62) e le condizioni al contorno statiche o naturali: N EAu = 0, T + EJv = 0, M + EJv = 0, in C 1. (6.89) Esempio 15 Mensola caricata ad un estremo Consideriamo una mensola AB incastrata nella sezione A di ascissa z = 0 e caricata con una azione concentrata verticale F = F e 2 applicata nella sezione B di ascissa z = L: e 2 A e1 F B Fig. 6.9a - Mensola caricata ad un estremo La sezione z = L coincide con la porzione C 1 di frontiera sulla quale sono assegnate le forze e pertanto il funzionale energia potenziale totale si puó scrivere: U{u, v} = 1 2 L 0 EA(u ) 2 + EJ(v ) 2 F v(l), (6.90) essendo nulle nella sezione z = L le azioni che compiono lavoro per lo spostamento u e per la rotazione ϕ = v. Poiché le azioni (p, q) sono nulle i campi di spostamento soluzione hanno rappresentazione: u(z) = c 1 + c 2 z, v(z) = a 1 + a 2 z + a 3 z 2 + a 4 z 3 ; per rendere tali campi di spostamento cinematicamente ammissibili ovvero compatibili con i vincoli si deve avere: u(0) = 0, v(0) = 0, v (0) = 0,

118 108 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA che implicano rispettivamente c 1 = 0, a 1 = 0 ed a 2 = 0. I campi di spostamento cinematicamente ammissibili sui quali rendere minimo il funzionale energia potenziale totale sono pertanto: u(z) = c 2 z, v(z) = a 3 z 2 + a 4 z 3. (6.91) Sostituendo (6.91) in (6.90) otteniamo che il funzionale diviene una funzione dei tre parametri (c 2, a 3, a 4 ): U (c 2, a 3, a 4 ) = 1 2 L 0 EAc EJ(4a a a 3 a 4 z)dz F (a 3 L 2 + a 4 L 3 ), (6.92) = EA 2 c2 2L + EJ(2a 2 3L + 6a 2 4L 3 + 6a 3 a 4 L 2 ) F a 3 L 2 F a 4 L 3 ; la condizione di minimo del funzionale U{u, v} si trasforma quindi nella condizione di minimo della funzione U (c 2, a 3, a 4 ): U c 2 = 0, U a 3 = 0, U a 4 = 0, (6.93) ovvero: EAc 2 L = 0, EJ(4a 3 + 6La 4 ) F L 3 = 0, (6.94) EJ(6a La 4 ) F L 2 = 0. Osserviamo che poiché la matrice dei coefficienti del sistema (6.94), coincidente con la matrice hessiana della funzione U (c 2, a 3, a 4 ), é definita positiva, la soluzione del sistema (6.94): c 2 = 0, a 3 = F L 2EJ, a 4 = F 6EJ, (6.95) é un minimo per la U (c 2, a 3, a 4 ). I campi di spostamento che rendono minimo il funzionale U{u, v} tra tutte le funzioni cinematicamente ammissibili (6.91) sono quindi: u(z) = 0, v(z) = F L 2EJ z2 (L z 3 ), (6.96) cui corrispondono le caratteristiche di sollecitazione: N(z) = 0, M(z) = EJv (Z) = F (z L), T (z) = EJv (z) = F.

119 6.4. MATERIALI CONSERVATIVI L energia complementare: il principio di massimo Consideriamo adesso il lavoro compiuto dalle variazioni di caratteristiche di sollecitazione a deformazioni costanti: dl 2 = ε dn + κ dm ; (6.97) nell ipotesi di materiale conservativo, possiamo ripetere quanto fatto nella sezione precedente e postulare l esistenza di una funzione ψ(n, M), detta densitá di energia complementare, tale che: ε = ψ (N, M), N κ = ψ (N, M). (6.98) M Se assumiamo la trave isotropa, le relazioni costitutive (6.60) possono essere invertite ottenendo: ε(n, M) = N EA, κ(n, M) = M EJ, (6.99) e possiamo in piena analogia con quanto fatto per la densitá di energia potenziale elastica arrivare ad una espressione esplicita della ψ(n, M): ψ(n, M) = 1 2 ( N 2 EA + M 2 Se definiamo l Energia Complementare: osserviamo che: Ψ(N, M) = 1 2 L 0 EJ ) > 0. (6.100) ( N 2 EA + M 2 )dz, (6.101) EJ L int = Φ(u, v) + Ψ(N, M) ; (6.102) se inoltre denotiamo con C 2 la porzione della frontiera C {0, L} sulla quale sono assegnati gli spostamenti (u, v, ϕ), abbiamo che: (Nu + T v + Mϕ) = (Nu + T v Mv ) + (Nu + M v + Mϕ). (6.103) C1 C2 L 0 Ne consegue che se introduciamo il funzionale Energia Complementare, definito come: Λ(N, M) = 1 L ( N 2 2 EA + M 2 EJ )dz (Nu + M v + Mϕ), (6.104) C2 0 si ha che, dall espressione (6.51) del lavoro virtuale L int L ext = 0: U(u, v) + Λ(N, M) = 0. (6.105) Pertanto, la condizione di minimo dell Energia Potenziale Totale equivale alla condizione di massimo dell Energia Complementare (o equivalentemente di minimo di Λ(N, M)). Enunciamo quindi:

120 110 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Principio 5 Massimo dell Energia Complementare La soluzione (N, M) del problema (6.62) con assegnate condizioni al contorno, rende massima l energia complementare (6.104) tra tutte la caratteristiche si sollecitazione (N, M) F e, essendo F e uno spazio di caratteristiche staticamente ammissibili ( che verificano le equazioni di bilancio (6.32)). Supponiamo (N, M) il minimo del funzionale e consideriamo una perturbazione (N + ɛ N, v + ɛ M) con ɛ un piccolo parametro e ( N, M) F e. Definiamo la variazione prima del funzionale nella direzione della perturbazione ( N, M): δλ[ N, M] Λ(N + ɛ = lim N, v + ɛ M) Λ(N, M). (6.106) ɛ 0 ɛ Procedendo come nel caso precedente si arriva alla condizione di minimo del funzionale: δλ[ N, M] = L 0 ( N N EA + M M EJ )dz ( Nu+ M v+ Mϕ) = 0, ( N, M) F e. C2 6.5 Le equazioni di Müller-Breslau Consideriamo un sistema di travi iperstatico S e siano (N, T = M, M) le caratteristiche di sollecitazione soluzione del problema (6.62) per S. La condizione di estremo dell energia complementare prescrive che: S ( N N EA + M M EJ )dz ( Nu + M v + Mϕ) = 0, (6.107) C2 per ogni assegnazione di caratteristiche equilibrate ( N, M). D altro canto, in una struttura k volte iperstatica possiamo determinare k caratteristiche di sollecitazione equilibrate. Immaginiamo allora di rendere isostatica la struttura S rimuovendo k vincoli interni od esterni. In tal modo avremo ottenuto una struttura sulla quale la determinazione delle caratteristiche di sollecitazione é univoca, detta Sistema Principale. Per ripristinare la statica della struttura, immaginiamo di applicare in corrispondenza dei vincoli rimossi, le caratteristiche di sollecitazione o le reazioni vincolari incognite che attraverso questi vincoli si esercitavano. Definiamo Incognite Iperstatiche X j, j = 1, 2... k tali caratteristiche o reazioni. In questo modo il sistema principale viene ad essere caricato dai carichi esterni che agivano sulla struttura S e dalle incognite iperstatiche. Denotiamo con (N 0, T 0, M 0 ) le caratteristiche di sollecitazione dovute alle azioni esterne sul sistema principale isostatico. Denotiamo inoltre con (N j, T j, M j ) le caratteristiche di sollecitazione sul sistema principale isostatico causate dalla incognita iperstatica X j = 1.

121 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU 111 Ne consegue che, per la linearitá delle equazioni di bilancio, le caratteristiche di sollecitazione (N, T, M) possono essere rappresentate come: N = N 0 + X j N j, T = T 0 + X j T j, M = M 0 + X j M j, (6.108) e che tra tutte le k collezioni di incognite iperstatiche (X 1, X 2,... X k ), ne esisterá una che fornisce la soluzione del problema (6.62) per S. Per determinare la collezione di incognite iperstatiche soluzione, assumiamo nella condizione (6.107) di volta in volta N = N j e M = M j, j = 1, 2,... k, ottenendo dalla (6.107) k equazioni algebriche lineari nelle incognite (X 1, X 2,... X k ). Si ha quindi: S ( (N 0 + X i N i )N j EA )dz (6.109) (N j + M jv + M j ϕ) = 0, C2 j = 1, 2,... k, + (M 0 + X i M i )M j EJ da cui ponendo η j0 = S ( N 0N j EA + M 0M j )dz ; (6.110) EJ η ij = ( N in j S EA + M im j EJ )dz = η ji ; (6.111) η jc = (N j u + M jv + M j ϕ), (6.112) C2 arriviamo alle equazioni di Müller-Breslau: η j0 + η ji X i η jc = 0, j = 1, 2,... k. (6.113) Ciascuno dei termini appena definiti ha un preciso significato meccanico. Il primo termine η j0 rappresenta, per le (6.99), il lavoro compiuto dalle caratteristiche associate ai carichi esterni per le deformazioni associate all incognita iperstatica X j = 1 o viceversa il lavoro compiuto dalle caratteristiche associate a X j = 1 per le deformazioni associate ai carichi esterni: η j0 = (N 0 ε j + M 0 κ j )dz = (N j ε 0 + M j κ 0 )dz ; (6.114) S il termine η jc rappresenta il lavoro compiuto dalle caratteristiche associate a X j = 1 per gli spostamenti impressi alla struttura, ad esempio per il moto delle sezioni vincolate. I due termini nel loro complesso rappresentano le azioni esterne che agiscono sulla struttura. I termini η ij detti coefficienti di influenza rappresentano il lavoro compiuto dalle caratteristiche associate all incognita iperstatica X i = 1 per le deformazioni associate all incognita iperstatica X j = 1 e viceversa: η ij = (N i ε j + M i κ j )dz = (N j ε i + M j κ i )dz. (6.115) S S S

122 112 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Introducendo una matrice delle cedevolezze della struttura S, [C ] [η ij ], i, j = 1, 2,... k, un vettore delle azioni esterne [d ] = [η cj η 0j ], j = 1, 2,... k ed un vettore delle incognite iperstatiche [x ] = [X j ], j = 1, 2,... k, le equazioni di Müller-Breslau possono essere poste in forma matriciale: [C ][x ] = [d ] ; (6.116) il sistema ammette unica soluzione se det[c ] 0. A tale proposito basta osservare che gli elementi sulla diagonale principale sono strettamente positivi, rappresentando il lavoro delle caratteristiche per le deformazioni da esse generate, ad esempio: η 11 = ( N 1 2 EA + M 1 2 )dz > 0. (6.117) EJ S Ne consegue che la matrice simmetrica [C ] avendo autovalori positivi sará invertibile. Detta [K ] = [C ] 1 la matrice delle rigidezze della struttura S avremo quindi: [x ] = [K ][d ], (6.118) soluzione del problema iperstatico. Calcolo di spostamenti e rotazioni La condizione di estremo (6.107) puó essere anche usata per determinare spostamenti e rotazioni di punti della struttura S. Se infatti applichiamo una azione (forza, coppia) unitaria, in un punto della struttura, questa compierá lavoro per lo (spostamento, rotazione) effettivo del punto. Tale lavoro appare nel termine sul bordo C 2 dove identifichiamo lo (spostamento, rotazione) da determinare con uno (spostamento, rotazione) assegnato. Le caratteristiche ( N, M) saranno quelle indotte sul sistema principale dalla (forza, coppia) unitaria, mentre le (N, M) sono le caratteristiche soluzione, ottenute ad esempio mediante le soluzione delle equazioni di Müller-Breslau. Se ad esempio vogliamo determinare la rotazione ϕ C di un punto C S, applicando un momento unitario si ha dalla (6.107): 1 ϕ C = ( N N EA + M M )dz, (6.119) EJ S con ( N, M) associate mediante il sistema principale alla coppia unitaria in C. Strutture 1-volta iperstatiche In questo caso abbiamo solo 1 incognita iperstatica X e le equazioni di Müller- Breslau si riducono ad un unica equazione algebrica: η 10 + η 11 X η c1 = 0, (6.120) con η 11 > 0 fornito dalla (6.117) e: η 10 = ( N 0N 1 EA + M 0M 1 EJ )dz, η 1c = (N 1 u + T 1 v + M 1 ϕ), C2 S

123 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU 113 da cui l incognita iperstatica: e le caratteristiche soluzione X = η 1c η 10 η 11, (6.121) N = N 0 + XN 1, T = T 0 + XT 1, M = M 0 + XM 1, con X data dalla (6.121). Cedimenti Vincolari Il termine η ic tiene conto del lavoro compiuto dagli spostamenti assegnati e pertanto consente di valutare gli effetti dei cedimenti vincolari, sia anelastici, ovvero indipendenti dai carichi, sia elastici, ovvero proporzionali ai carichi applicati. Nel caso di cedimenti anelastici, detti δ u, δ v e δ φ i valori costanti dei cedimenti, abbiamo: η jc = (N j δ u + T j δ v + M j δ φ ). (6.122) C2 Nel caso di cedimenti elastici, la relazione costitutiva tra le azioni e gli spostamenti é lineare: N = k u u, k u > 0, T = k v v, k v > 0, M = k φ ϕ, k φ > 0, (6.123) e pertanto: e per le (6.108) quindi, si ha: η jc = ( N jn 0 k u + T jt 0 Variazioni termiche η jc = ( 1 N j N 1 T j T 1 M j M), (6.124) k u k v k φ C2 k v + M jm 0 k φ ) X k ( N jn k k u + T jt k k v + M jm k ). (6.125) k φ C2 In presenza di variazioni termiche abbiamo visto che le caratteristiche di deformazione sono date dalle (6.65) e pertanto, sulla porzione di struttura S soggetta a variazioni termiche, il lavoro delle deformazioni termiche per le caratteristiche equilibrate ( N, M) diviene: S (ε t N + κt M)dz, (6.126) e pertanto le equazioni di Müller-Breslau divengono η j0 + η jt + η ji X i η jc = 0, j = 1, 2,... k. (6.127) con il termine η jt dato dalla: η jt = (αt 0 N j + α t S H M j)dz. (6.128)

124 114 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Osservazione 18 Il teorema di Betti per le travature: Nella condizione di simmetria dei coefficienti di influenza (6.115) é immediato riconoscere l estensione ai sistemi di travi del Teorema di Betti. Osservazione 19 Il teorema di Castigliano: Se applichiamo una forza (coppia) concentrata F in un punto della struttura S, in assenza di spostamenti assegnati sulla porzione di frontiera C 2, nella condizione di minimo (6.107) il termine su C 2 contiene solamente il lavoro che tale forza (coppia) compie per lo spostamento (rotazione) effettivo w del punto. Se eguagliamo le caratteristiche di sollecitazione ( N, M) semplicemente equilibrate con il carico F con quelle effettive dovute alla azione F, ovvero N = N(F ) e M = M(F ), la condizione (6.107) diviene: F w = Ψ(N(F ), M(F )) ; ne consegue che: w = d Ψ(N(F ), M(F )), (6.129) df risultato questo conosciuto come Teorema di Castigliano. Esempio 16 Telaio una volta iperstatico Consideriamo la struttura intelaiata S rappresentata in figura, detta arco a 2 cerniere ed assumiamo che la rigidezza estensionale EA e quella flessionale EJ siano costanti su tutta S. Per questa struttura procederemo nell ordine a: 1. Determinare il grado di iperstaticitá; 2. Scegliere una ( o piú) incognita iperstatica e determinare le caratteristiche di sollecitazione sull associato sistema principale isostatico; 3. Calcolare l incognita iperstatica e determinare le caratteristiche di sollecitazione; 4. Calcolare lo spostamento di sezioni significative.

125 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU 115 B F F C D l A E l 2 l 2 Fig Arco a due cerniere 1. Determinazione del grado di iperstaticitá La struttura é un solo corpo rigido, quindi n = 1 ed é vincolata con due vincoli doppi, le cerniere in A ed E, per cui m = 4. Pertanto m > 3n ed il grado di iperstaticitá é m 3n = 1. Per determinare se i vincoli sono indipendenti, rimuoviamo i vincoli, sostituiamoli con le reazioni vincolari incognite e verifichiamo se la matrice [A] delle equazioni di equilibrio ha rango massimo r = 3. F F l X A Y A l 2 l 2 X E Y E

126 116 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Le equazioni di equilibrio sono (l equilibrio dei momenti é fatto rispetto ad A): X A + X E + F = 0 Y A + Y E F = 0 (6.130) Y E l F l 2 F l = 0 ; la matrice [A] associata é: [A] l, che ha rango massimo r = 3. I vincoli sono indipendenti ed il sistema é una volta iperstatico. 2. Incognita iperstatica, sistema principale e caratteristiche 0 ed 1 Scegliamo come incognita iperstatica il momento nella sezione B: il sistema principale isostatico si ottiene quindi dalla struttura iniziale ponendo una cerniera in B. Per verificare che il sistema sia effettivamente isostatico e non vi siano vincoli dipendenti a seguito del posizionamento della cerniera in B, risolveremo direttamente le equazioni di equilibrio. Se infatti i vincoli sono indipendenti avremo una unica soluzione delle equazioni di equilbrio: viceversa se il sistema é labile le equazioni non saranno risolvibili. X B F X F C D l A E l 2 l 2 Sistema principale caricato con l incognita iperstatica X e le azioni esterne

127 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU i Sistema 0 Il sistema 0 é il sistema principale caricato dalle sole azioni esterne con X = 0. Alle tre equazioni di equilibrio (6.130) aggiungiamo l equazione che esprime l equilibrio alla rotazione rispetto alla cerniera in B di tutte le azioni agenti sull asta AB: X A + X E + F = 0 Y A + Y E F = 0 (6.131) Y E l F l 2 F l = 0 X A l = 0 ; (6.132) F F F B C D F l X A A Y A l 2 l 2 X E E Y E F F 2 3F 2 le equazioni (6.131) hanno soluzione: Sistema 0 caricato dalle azioni esterne X A = 0, X E = F, Y A = 1 2 F, Y E = 3 2 F. Preliminarmente al tracciamento dei diagrammi osserviamo che p = 0 e q = 0 e di conseguenza la forza normale ed il taglio saranno costanti a tratti; il diagramma del taglio ha una discontinuitá in C per effetto del carico applicato F. Inoltre il momento flettente si annulla in A, E e nella cerniera B: pertanto per tracciare il diagramma sará sufficiente valutarlo nelle sezioni C e D. La forza normale sull asta AB vale F/2, sull asta ED vale 3F/2 e sull asta BD vale infine F ; il taglio é nullo sull asta AB e vale F/2 sul tratto AC. Sull asta ED vale F e sul tratto CD vale 3F/2. Per quanto riguarda il momento flettente questo é nullo sull asta AB. Sull asta ED varia linearmente da 0 al valore F l nella sezione D e poiché la reazione

128 118 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA orizzontale in E tende a ruotare intorno a D in senso orario, il momento tende le fibre a destra. Per l equilibrio al nodo il momento nella sezione D dell asta CD tende le fibre superiori. Infine sul tratto BC il momento va dal valore 0 in B al valore F l/4 in C e tende le fibre superiori in quanto la reazione vincolare in A tende a routare intorno a C in senso antiorario. I diagrammi delle caratteristiche N 0, T 0 ed M 0 sono quindi: F F 2 3F F 2 N 0 3F 2 T 0 F F l 4 M 0 F l F l

129 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU ii Sistema 1 Il sistema 1 é il sistema principale caricato dalla sola incognita iperstatica X = 1 con azioni esterne nulle. Le equazioni di equilibrio in questo caso divengono: X A + X E = 0 Y A + Y E = 0 (6.133) Y E l = 0 X A l + 1 = 0 ; (6.134) 1 B 1 C D 1 1 l X A A Y A l 2 l 2 X E E Y E 1 l 1 l che hanno soluzione: Sistema 1 caricato dall incognita iperstatica X = 1 X A = 1 l, X E = 1 l, Y A = 0, Y E = 0. Anche in questo caso p = 0 e q = 0 e di conseguenza la forza normale ed il taglio saranno costanti a tratti. Inoltre il momento flettente si annulla in A, E e vale 1 nella cerniera B: pertanto per tracciare il diagramma sará sufficiente valutarlo nella sezione D. La forza normale sulle aste AB ed ED é nulla mentre sull asta BD vale 1/l; il taglio é nullo sull asta BD, vale 1/l sull asta AB e 1/l sull asta DE; per quanto riguarda il momento flettente sull asta AB questi va dal valore 0 in A al valore 1 in b, con le fibre a destra tese; sul tratto BD, essendo il taglio nullo, il momento é costante, con valore unitario e tende le fibre inferiori. Sull asta ED il momento va dal valore 0 in E al valore 1 in D e per l equilibrio del nodo tende le fibre a sinistra. Abbiamo quindi i diagrammi delle caratteristiche N 1, T 1 ed M 1 :

130 120 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA 1 l + + N 1 1 l T 1 1 l M 1 3. Calcolo dell iperstatica e determinazione delle caratteristiche soluzione L equazione di Müller-Breslau per la struttura S é e per calcolare i termini η 10 = cas η 10 + Xη 11 = 0, N 0 N 1 EA + M 0M 1 EJ, η N = S EA + M 1 2 EJ,

131 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU 121 riportiamo le caratteristiche N 0, N 1, M 0 ed M 1 in forma tabulare, allo scopo di agevolare l uso delle tabelle dell Appendice C. Tabella 6.1: calcolo di η 10 ed η 11 Asta L N 0 N 1 M 0 M 1 AB l F/ BC l/2 F 1/l F l 4 1 F l F l CD l/2 F 1/l 4 1 DE l F 0 F l 1 Asta L N0 N 1 M0 M 1 N 2 1 M 2 1 AB l (1) 2 l(1/3) BC l/2 F/2 (F l/4)(1)(l/2)(1/2) 1/2l (1) 2 l(1/2) CD l/2 F/2 5F l 2 /16 1/2l (1) 2 l(1/2) DE l 0 (F l)(1)l(1/3) 0 (1) 2 l(1/3) totale -F 17F l 2 /24 1/l 5l/3 Dai risultati del calcolo abbiamo η 10 = F 17F l2 l2 = 17F EA 24EJ 24EJ (1 + γ 0), γ 0 = 24 J 17 Al 2 ; 1 η 11 = lea + 5l 3EJ = 5l 3EJ (1 + γ 1), γ 1 = 3 J 5 Al 2 ; Se consideriamo un profilato commerciale, ad esempio un IPE300, dalle tabelle dell Appendice B abbiamo: A = 53, 8 cm 2, J = 8356 cm 4, e per una lunghezza l = 4, 00 m, abbiamo: γ 0 = 1, , γ 1 = Per strutture prevalentemente inflesse quindi, il contributo all incognita iperstatica del lavoro della forza normale é trascurabile: assumeremo pertanto d ora in poi nelle strutture inflesse: M 0 M 1 η 10 = S EJ, η M = S EJ.

132 122 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA Abbiamo quindi il valore dell incognita iperstatica: X = η 10 17F l2 3EJ = η 11 24EJ 5l ed i diagrammi delle caratteristiche sono dati dalle = F l, N = N F l N 1, T = T F l T 1, M = M F l M 1 : F F 2 3F F 2 N 3F F T F F l F l 7 40 F l M F l F l Fig Diagrammi N, T ed M

133 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU 123 Avendo assunto l = 4, 00 m, se assumiamo F = 10 KN, le sezioni piú sollecitate sono la sezione D dell asta BD con: N = 5, 7 KN,, T = 15 KN, M = 23 KNm, ; e la sezione D dell asta DE con: N = 15 KN, T = 5, 75 KN, M = 23 KNm. 3. Il calcolo degli spostamenti Supponiamo di volere determinare, per la struttura S appena risolta, lo spostamento orizzontale del punto B. Se applichiamo una azione orizzontale unitaria F = 1 per la (6.119) si ha: 1 v B = S MM EJ, dove il momento M é in equilibrio sul sistema principale con la forza F = 1 ed M é la soluzione. Risolvendo la struttura isostatica si arriva al diagramma di M: l 1 l M da cui, ripetendo la procedura utilizzata per il calcolo dei termini η 10 ed η 11 si arriva alla: v B = 7 F l 3 24 EJ, il segno positivo indicando che lo spostamento é concorde con la forza unitaria. Per un profilato IPE300 ed l = 4, 00 m, scelto un acciaio da carpenteria Fe510 con E = 2, N/mm 2, per il carico esterno F = 10 KN abbiamo, riportando tutte le lunghezze in millimetri e tutte le forze in Newton: v B = ( ) , = 0, 66 mm,

134 124 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA nella direzione del carico unitario. Esempio 17 Cedimenti vincolari anelastici Supponiamo che sull arco a due cerniere dell esempio precedente non siano applicate azioni esterne ma si abbia invece un cedimento orizzontale δ della sezione E verso destra. In tal caso Xη 11 = η 1C, η 10 = 0, η 1C = T 1 (E)δ = δ l, il segno positivo dovuto al fatto che la reazione in E ed il cedimento sono concordi. Si ha quindi, con i dati dell esempio precedente che X = η 1C η 11 = 3EJ 5l 2 δ, e le caratteristiche di sollecitazione sono date dalle N = XN 1, T = XT 1 e M = XM 1. Se ipotizziamo un cedimento δ = 30 mm abbiamo che il valore del momento massimo in corrispondenza della sezione D é: M = 3EJ 5l 2 δ = 3 2, (10 3 ) 2 1 = Nmm = 19, 74 KNm, valore confrontabile con quelli indotti dal carico esterno F = 10 KN. Esempio 18 Cedimenti vincolari elastici Supponiamo invece che nella sezione A vi sia un vincolo elastico del tipo: in questo caso il termine η 1C diviene: T (A) = kv(a), k > 0 ; η 1C = T 1 (A)v(A) = 1 k T 1(A)T (A) = 1 k T 1(A)(T 0 (A) + XT 1 (A)) = 1 k (T 0(A)T 1 (A) + XT 2 1 (A)), ovvero, con i dati dell esempio T 0 (A) = 0 e T 1 (A) = 1/l: η 1C = 1 kl 2 X, da cui: η 10 + X(η kl 2 ) = 0.

135 6.5. LE EQUAZIONI DI MÜLLER-BRESLAU 125 F B D B F C D A E δ k A E Fig Cedimenti anelastici ed elastici Scrivendo il denominatore come: η kl 2 = η 11(1 + ξ 2 ), ξ 2 = 1 η 11 kl 2, detta X l incognita iperstatica del telaio senza vincolo elastico ed X k quella con il vincolo elastico si ha: X k = X 1 + ξ 2 < X ; é quindi interessante notare che la presenza di un cedimento elastico permette alla struttura una maggiore deformabilitá e riduce le sollecitazioni sulla struttura. Se assumiamo una rigidezza k = 8 KN/mm, abbiamo, con i dati precedenti che il termine adimensionale ξ 2 é ξ 2 = 3EJ 5kl 3 = 3 2, ( ) 3 = 0, 10, e l incognita iperstatica X k si riduce al 90% di quella che si aveva senza cedimenti. Esempio 19 Variazioni termiche Supponiamo infine la struttura non sia sollecitata da azioni esterne e che il tratto BD sia soggetto ad una distibuzione di temperatura t 2 sul lembo superiore e t 1 su quello inferiore con t 2 > t 1 > 0. In tal caso si ha una temperatura media t 0 > 0 ed una variazione lineare di temperatura t che tende le fibre superiori. Abbiamo in questo caso: η 1t + Xη 11 = 0, η 10 = 0, η 1t = l 0 αt 0 N 1 + α t H M 1 = α(t 0 t l H ).

136 126 CAPITOLO 6. TRAVI I: LA TEORIA TECNICA B t 2 > t 1 t 1 > 0 D A E Fig Variazioni termiche Se a titolo di esempio assumiamo t 2 = 50 C e t 1 = 20 C, abbiamo t 0 = 35 C e t = 30 C. Poiché il coefficiente di dilatazione termica per l acciaio é α = 1, ( C) 1, ed essendo H = 300 mm per un profilato IPE300, si ha (trascurando il contributo della forza normale N 1 ) il termine adimensionale η 1t = l 0 α t H M 1 = α t 30 l = 1, H = 0, ed il momento massimo nella sezione D diviene, M = X l = η 1t 3EJ 5l = 0, , = 12, 63 KNm, tende le fibre opposte a quelle indicate nel diagramma di M 1 ed ha il medesimo ordine di grandezza del momento indotto dai carichi esterni.

137 Capitolo 7 Travi II: il problema di Saint Venant 7.1 Generalitá ed ipotesi La determinazione dello stato di tensione e deformazione in un corpo a forma di trave avente sezione retta generica é un problema che ha interessato gli scienziati a partire dal Rinascimento. Dai primi contributi di Galileo, passando per quelli di Bernoulli, Navier, Poisson e Lamé, si arriva alla metá del XIX secolo col problema risolto solo in parte e in assenza di ipotesi unificative. La soluzione completa del problema é dovuta allo scienziato francese Adhémar Jean Claude Barré de Saint Venant, che in una serie di lavori pubblicati tra il 1855 ed il 1883 imposta e risolve completamente il problema utilizzando il metodo inverso, ovvero assumendo a priori un campo si spostamenti e verificando che é soluzione del problema. La soluzione che presentiamo é nella forma dovuta a Clebsch, che per primo osserva come tutte le soluzioni possano essere ottenute mediante una opportuna ipotesi sullo stato di tensione, con un metodo semi-inverso, ovvero assumendo a priori solo una parte della soluzione. Ad oggi il problema risolto da Saint Venant e che da lui prende il nome, é l unico problema di elasticitá tridimensionale risolto in forma chiusa Geometria Assumiamo che B sia un prisma cilindrico retto B = S (0, L) con S R 2, la sezione retta e (0, L) R. 127

138 128 CAPITOLO 7. TRAVI II: IL PROBLEMA DI SAINT VENANT S L n P S z M x 1 e e = e 3 1 x O e S 2 x 2 0 x 3 Fig Il cilindro B La frontiera di B risulta decomposta in tre parti disgiunte B = S 0 S L M, con le basi S 0 = S {0} e S L = S {L} e la superficie laterale o mantello M = S (0, L). Possiamo quindi rappresentare il vettore posizione del generico punto P B come: p = P O = x + ze, x S, z (0, L), e x = 0, e = 1. (7.1) Definiamo asse lo span{e}. Scelto un riferimento ortonormale {e k } con origine in O S 0 ed e 3 e, il tipico punto x = X O della sezione retta ha coordinate (x 1, x 2 ): x = x 1 e 1 + x 2 e 2, (7.2) essendo z é la coordinata assiale Materiale Assumiamo per il materiale linearmente elastico, omogeneo ed isotropo la relazione costitutiva (4.33): Azioni E = 1 + ν E T ν E (tr T)I, E > 0, 1 < ν < 1 2. (7.3) Assumiamo che le azioni di volume siano nulle, che il mantello sia scarico e che siano assegnate le tensioni sulle basi: b = 0, s = 0 su M, s = s 0 su S 0, s = s L su S L ; (7.4)

139 7.2. IL POSTULATO DI SAINT VENANT 129 poiché su tutta la frontiera B B 1 sono assegnate le tensioni, il problema di Saint Venant é un problema di trazione e la condizione necessaria perché ammetta soluzione é che le azioni siano equilibrate: b + s = 0, p b + p s = 0. (7.5) B B B Per effetto della geometria del corpo e delle ipotesi (7.4) sulle azioni, le equazioni di bilancio (7.5) divengono: s + S 0 s = 0, S L x s + Le 3 S 0 s + S L x s = 0, S L (7.6) ed introducendo per la generica sezione S nel punto z dell asse le definizioni di risultante r e momento risultante m sulla sezione: r(z) = s, m(z) = x s. (7.7) dalle (7.6) si giunge alle: S S r 0 + r L = 0, m 0 + m L + Le r L = 0, (7.8) Dalle equazioni (7.8) risulta che l assegnazione delle azioni per il problema di Saint Venant si riduce all assegnazione della coppia risultante e del momento risultante (r 0, m 0 ) sulla base S 0 : B r L = r 0, m L = m 0 + Le 3 r 0 : (7.9) si dice formulazione rilassata questa formulazione del problema, in quanto le condizioni al contorno di trazione sono assegnate in termini integrali anziché puntuali. Definiamo soluzione del problema nella formulazione rilassata lo spostamento u determinato da (r 0, m 0 ): u = u(r 0, m 0 ). Ricordiamo che, avendo a che fare con un problema di trazione, tale soluzione viene sempre ad essere definita a meno di un moto rigido. 7.2 Il postulato di Saint Venant Per il teorema di unicitá di Kirchhoff, a sistemi di azioni distinti corrispondono deformazioni distinte. Nel nostro caso pertanto, a due sistemi di azioni distinti (s 0, s L ) 1 ed (s 0, s L ) 2 corrisponderanno due deformazioni E 1 E 2. Se i due sistemi azioni hanno medesime risultanti (r 0, m 0 ) ci troviamo in presenza di non unicitá della soluzione. Il postulato di Saint Venant (dimostrato rigorosamente da Fichera nel 1972) asserisce che la differenza tra due soluzioni distinte del problema u 1 (r 0, m 0 ) ed

140 130 CAPITOLO 7. TRAVI II: IL PROBLEMA DI SAINT VENANT u 2 (r 0, m 0 ) corrispondenti alla medesime risultanti (r 0, m 0 ) decresce esponenzialmente lungo l asse: u 1 u 2 = C exp( βz). Pertanto, ad una sufficiente distanza dalle basi detta distanza di estinzione le due soluzioni saranno indistinguibili e la soluzione del problema che troveremo sará rappresentativa dello stato di spostamento o di deformazione del corpo. La distanza di estinzione é assunta dell ordine di diam(s). 7.3 Soluzione Per la soluzione del problema di trazione disponiamo delle: equazioni di bilancio relazioni costitutive (7.3); div T = 0, in B, Tn = 0, su M, n e 3 = 0, (7.10) r 0 = Te 3, su S 0, S m 0 = x Te 3, su S 0, equazioni di compatibilitá cinematica (2.88). S Il problema di trazione puó essere risolto mediante le equazioni di Beltrami- Mitchell omogenee (5.10): determinata una soluzione equilibrata delle (7.10) si ricava la corrispondente deformazione mediante le (7.3) e se ne richiede la compatibilitá cinematica mediante le (2.88). Anziché procedere alla integrazione diretta delle (5.10), determiniamo la soluzione mediante il cosidetto metodo semi-inverso che consiste nell assumere nota una parte del tensore degli sforzi Il metodo semi-inverso Il metodo semi-inverso per il problema di Saint Venant consiste nell assumere che le tensioni sui piani paralleli all asse siano parallele all asse medesimo, ovvero che fibre parallele all asse si trasmettano solamente tensioni tangenziali: Tm e 3 = 0, m e 3 = 0. (7.11) Tale ipotesi, detta ipotesi di Clebsch, implica che nel tensore degli sforzi le seguenti componenti siano nulle: T 11 = T 22 = T 12 = 0 ; (7.12)

141 7.3. SOLUZIONE 131 pertanto il tensore degli sforzi si riduce a: 0 0 T 13 T 0 0 T 23, (7.13) T 13 T 23 T 33 che, come verificheremo nel seguito, é uno stato di tensione biassiale La soluzione delle equazioni di bilancio Per effetto dell ipotesi semi-inversa (7.12) le equazioni (7.10) 1 divengono, in componenti: T 13,z = 0, T 13,1 + T 23,2 + T 33,z = 0, T 23,z = 0, (7.14) e derivando (7.14) 3 rispetto a z ed per le (7.14) 1,2 otteniamo: T 33,zz = 0 ; (7.15) per (7.14) 1,2 le tensioni tangenziali sono indipendenti dalla coordinata assiale mentre la tensione normale vi dipende linearmente: T 13 = T 13 (x 1, x 2 ), T 23 = T 23 (x 1, x 2 ), (7.16) T 33 = A(x 1, x 2 ) + zb(x 1, x 2 ). Le condizioni al contorno sul mantello (7.10) 2 divengono, per le (7.12) mentre sulla base S 0 abbiamo: r 0 = ( T 13 )e 1 + ( T 13 n 1 + T 23 n 2 = 0, su M, (7.17) S S T 23 )e 2 + ( S T 33 )e 3, (7.18) m 0 = ( x 2 T 33 )e 1 ( x 1 T 33 )e 2 + ( x 1 T 23 x 2 T 13 )e 3. (7.19) S S S Definiamo caratteristiche della sollecitazione le componenti della risultante e del momento risultante nel riferimento {e k }: T α = T α3, α = 1, 2, Taglio S N = T 33, Forza normale (7.20) S M 1 = x 2 T 33, M 2 = x 1 T 33, Momento flettente S S M t = x 1 T 23 x 2 T 13, Momento torcente, S

142 132 CAPITOLO 7. TRAVI II: IL PROBLEMA DI SAINT VENANT per modo che le risultanti possano essere riscritte come: r 0 = T 1 e 1 + T 2 e 2 + Ne 3, (7.21) m 0 = M 1 e 1 + M 2 e 2 + M t e Lo stato di deformazione Per effetto delle (7.12) la relazione costitutiva (7.3) appare, in termini delle componenti del tensore di deformazione: E 11 = ν E T 33, E 22 = ν E E 33, E 33 = 1 E T 33, (7.22) E 12 = 0, E 13 = 1 2G T 13, E 23 = 1 2G T 23. Utilizzando (7.22) 3 in (7.22) 1,2 e per effetto delle (7.16) otteniamo la rappresentazione del tensore di deformazione per il solido di Saint Venant: E 11 = E 22 = ν E E 33, E 33 = A (x 1, x 2 ) + zb (x 1, x 2 ), (7.23) E 12 = 0, E 13 = E 13 (x 1, x 2 ), E 23 = E 23 (x 1, x 2 ), ovvero le dilatazioni longitudinali sono funzioni lineari della coordinata assiale, quelle trasversali dipendono mediante il modulo di Poisson dalla dilatazione longitudinale, mentre gli scorrimenti tra la sezione retta e l asse sono indipendenti dalla coordinata assiale e la sezione retta non subisce scorrimenti nel suo piano Le equazioni di compatibilitá Le equazioni di compatibilitá (2.88), che hanno la rappresentazione in termini delle componenti del tensore di deformazione (2.90), si riducono per effetto delle (7.23) alle: E 33, 11 = E 33, 22 = E 33, 12 = 0, νe 33, 23 +E 23, 11 E 13, 12 = 0, (7.24) νe 33, 13 +E 13, 22 E 23, 12 = 0.

143 7.3. SOLUZIONE 133 Le (7.24) 1,2,3 richiedono che separatamente le due funzioni A (x 1, x 2 ) e B (x 1, x 2 ) verifichino: A, αβ = 0, B, αβ = 0, α, β = 1, 2, ovvero che la dilatazione longitudinale sia una funzione lineare delle coordinate della sezione E 33 (x 1, x 2, z) = a 0 + a 1 x 1 + a 2 x 2 + z(b 0 + b 1 x 1 + b 2 x 2 ), (7.25) che dipende da 6 costanti (a 0, a 1, a 2, b 0, b 1, b 2 ). Mediante le (7.25) possiamo riscrivere le (7.24) 4,5 come: e facilmente integrarle per ottenere: (E 23, 1 E 13, 2 ), 1 = νb 2, (7.26) (E 23, 1 E 13, 2 ), 2 = νb 1, E 23, 1 E 13, 2 = k + ν(b 2 x 1 b 1 x 2 ), k = costante. (7.27) Osserviamo adesso che, dato un vettore v = v α (x 1, x 2 )e α si ha curl v = (v 2, 1 v 1, 2 )e 3 ; se adesso consideriamo l equazione differenziale la sua soluzione sará: curl v = k + k 1 x 1 + k 2 x 2, v = f + k 2 e x (k 1x 2 k 2 x 1 )x, (7.28) con f : S R una funzione arbitraria. Ponendo ora: v 1 = E 13, v 2 = E 23, k = 2c, k 1 = νb 1, k 2 = νb 2 dalla (7.28) otteniamo l espressione degli scorrimenti E 13 (x 1, x 2 ) = f, 1 (x 1, x 2 ) cx 2 ν(b 2 x b 1 x 2 x 1 ), (7.29) E 23 (x 1, x 2 ) = f, 2 (x 1, x 2 ) + cx 1 ν(b 2 x 1 x 2 + b 1 x 2 2), che dipendono oltre che dalle giá introdotte costanti b 1 e b 2 anche dalla nuova costante c e dalla funzione incognita f = f(x 1, x 2 ) detta funzione di ingobbamento. Lo stato di deformazione del problema di Saint Venant é perció totalmente determinato se é noto il valore delle 7 costanti (a 0, a 1, a 2, b 0, b 1, b 2, c) ed é nota la funzione di ingobbamento f = f(x 1, x 2 ): E 13 (x 1, x 2 ) = f, 1 (x 1, x 2 ) cx 2 ν(b 2 x b 1 x 2 x 1 ), E 23 (x 1, x 2 ) = f, 2 (x 1, x 2 ) + cx 1 ν(b 2 x 1 x 2 + b 1 x 2 2), (7.30) E 33 (x 1, x 2, z) = a 0 + a 1 x 1 + a 2 x 2 + z(b 0 + b 1 x 1 + b 2 x 2 ), E 11 = E 22 = νe 33, E 12 = 0.

144 134 CAPITOLO 7. TRAVI II: IL PROBLEMA DI SAINT VENANT La determinazione delle costanti Per determinare le costanti disponiamo delle definizioni delle caratteristiche di sollecitazione una volta che le componenti del tensore degli sforzi sono espresse rappresentando le (7.22) in termini delle deformazioni (7.30). Iniziamo dalla forza normale N; sulla sezione S 0 corrispondente a z = 0 avremo: N = T 33 = E(a 0 + a 1 x 1 + a 2 x 2 ) = EAa 0 + a 1 Ec 1 + a 2 Ec 2, (7.31) S S dove A é l area e c 1, c 2 sono i momenti statici (A.3) della sezione retta S. Scegliendo l origine O del sistema di riferimento coincidente con il baricentro G della sezione abbiamo che per la (A.5) c 1 = c 2 = 0 e di conseguenza: poiché la rigidezza estensionale EA > 0 allora: N = EAa 0 ; (7.32) a 0 = N EA. (7.33) Osserviamo che la forza normale nella sezione z = L risulta invece N = EA(a 0 + Lb 0 ), e di conseguenza per la (7.8) 1 b 0 = 0. Alla medesima maniera otteniamo i momenti flettenti sulla sezione di ascissa z = 0: M 1 = E S x 2(a 0 + a 1 x 1 + a 2 x 2 ) = EJ 12 a 1 + EJ 11 a 2, M 2 = E S x 1(a 0 + a 1 x 1 + a 2 x 2 ) = EJ 22 a 1 + EJ 12 a 2, (7.34) dove le componenti J αβ del tensore di inerzia J G sono definite mediante le (A.8): per la definita positivitá del tensore di inerzia le (7.34) sono invertibili e forniscono: a 1 = J 11M 2 + J 12 M 1 E(J 11 J 22 J 2 12 ), a 2 = J 22M 1 J 12 M 2 E(J 11 J 22 J 2 12 ). (7.35) Se scegliamo il sistema di riferimento coincidente con le direzioni principali del tensore di inerzia J, le (7.35) si riducono alle: a 1 = M 2 EJ 2, a 2 = M 1 EJ 1, (7.36) con le quantitá EJ 1 > 0 ed EJ 2 > 0 dette rigidezze flessionali.

145 7.3. SOLUZIONE 135 Per quanto riguarda i tagli, osserviamo preliminarmente che per la (7.8) 2 M 1 (L) M 1 (0) = LT 2, M 2 (L) M 2 (0) = LT 1, (7.37) con: M 1 (L) M 1 (0) = E S x 2(b 1 x 1 + b 2 x 2 ),, M 2 (L) M 2 (0) = E S x 1(b 1 x 1 + b 2 x 2 ), da cui, nel riferimento principale, otteniamo b 1 = T 1 EJ 2, b 2 = T 2 EJ 1. (7.38) Mediante le (7.33), (7.36) e (7.38) la dilatazione longitudinale (7.25) dipende dalla forza normale, dai momenti flettenti e dai tagli e la corrispondente tensione normale é data dalla: T 33 = N A M 2 zt 1 J 2 x 1 + M 1 + zt 2 J 1 x 2. (7.39) Per determinare c, l ultima costante incognita, procediamo preliminarmente a normalizzare la funzione di ingobbamento f(x 1, x 2 ) rispetto alle costanti b 1, b 2 e c: f(x 1, x 2 ) = cϕ(x 1, x 2 ) + b 1 φ 1 (x 1, x 2 ) + b 2 φ 2 (x 1, x 2 ) ; per modo che f sia una combinazione lineare delle tre funzioni ϕ ingobbamento torsionale, φ 1 e φ 2 ingobbamenti da taglio. In presenza del solo momento torcente, quindi con a 0 = a 1 = a 2 = b 1 = b 2 = 0, le tensioni tangenziali risultano, per le (7.29) e le (7.22) 5,6 T 13 = 2Gc(ϕ, 1 x 2 ), T 23 = 2Gc(ϕ, 2 +x 1 ), (7.40) e di conseguenza, per la definizione data di momento torcente, abbiamo: M t = 2Gc x x 2 2 x 1 ϕ, 2 +x 2 ϕ, 1. (7.41) S L integrale che appare nella (7.41) definisce il momento polare ridotto J0 : J0 = J 0 x 1 ϕ, 2 x 2 ϕ, 1, J 0 = tr J, (7.42) S che dopo alcuni passaggi puó essere riscritto come J0 = J 0 ϕ 2 ; (7.43) é opportuno osservare che per effetto della funzione di ingobbamento torsionale si abbia J 0 J 0, l eguaglianza valendo solo per funzioni tali che S ϕ(x 1, x 2 ) = const..

146 136 CAPITOLO 7. TRAVI II: IL PROBLEMA DI SAINT VENANT In tal modo per la (7.41) e la (7.43) la costante c é: M t c = 2GJ0. (7.44) Le tensioni tangenziali, che dipendono sia dal taglio che dal momento torcente mediante le (7.38) e (7.44) sono allora date dalle: T 13 = M t J0 (ϕ, 1 x 2 ) ν 1 + ν (T 2 (φ 2, 1 +x 2 J 1) T 1 (φ 1, 1 +x 2 x 1 )), 1 J 2 T 23 = M t J0 (ϕ, 2 +x 1 ) ν 1 + ν (T 2 (φ 2, 2 +x 2 x 1 ) T 1 (φ 1, 2 +x 2 J 1 J 2)). 2 (7.45) Lo stato di tensione e deformazione nel cilindro B é quindi totalmente determinato a partire dalle componenti di r 0 ed m 0 mediante le (7.39), le (7.45) e le (7.30), una volta che sono determinate le tre funzioni di ingobbamento ϕ = ϕ(x 1, x 2 ), φ 1 = φ 1 (x 1, x 2 ) e φ 2 = φ 2 (x 1, x 2 ) La determinazione delle funzioni di ingobbamento Per determinare le funzioni di ingobbamento disponiamo ancora della equazione di bilancio (7.14) 3 e della condizione al contorno (7.17), che per le (7.16) sono indipendenti dalla coordinata assiale z e sono quindi definite sulla sezione retta generica S e sulla sua frontiera: T 13,1 + T 23,2 + T 33,z = 0, in S, (7.46) T 13 n 1 + T 23 n 2 = 0, su S. Esaminiamo il caso della torsione, con b 1 = b 2 = 0 e quindi con T 33 = 0: la (7.46) si riduce alla T 13,1 + T 23,2 = 0, in S, (7.47) T 13 n 1 + T 23 n 2 = 0, su S. e per mezzo delle (7.40) dalla (7.47) 1 si arriva alla equazione di campo: ϕ = ϕ, 11 +ϕ, 22 = 0 mentre dalla (7.47) 2 si arriva alle condizioni al contorno che identificano un problema di Neumann per la funzione ϕ(x 1, x 2 ): ϕ = 0, in S, (7.48) n ϕ = t x, su S, con n ϕ = ϕ n la derivata normale di ϕ e t = e 3 n il vettore tangente a S. Osserviamo come la soluzione del problema non dipenda dai moduli elastici del materiale: una soluzione di questo tipo viene chiamata soluzione universale. Un risultato simile si ottiene per le funzioni di ingobbamento del taglio come vedremo nei dettagli al successivo Capitolo 8.

147 7.3. SOLUZIONE Il campo di spostamenti Mediante le equazioni di congruenza (2.82) 1, per integrazione diretta a partire dalle (7.30), o mediante la (2.91) possiamo pervenire alla rappresentazione esplicita delle componenti del campo di spostamento in funzione delle costanti e delle funzioni di ingobbamento: u 1 (x) = ν(x 1 a 0 x 1 x 2 a 2 ) 1 2 (ν(x2 1 x 2 2) + z 2 )a 1 + x 2 zc z3 6 b 1, u 2 (x) = ν(x 2 a 0 x 2 x 1 a 1 ) 1 2 (ν(x2 2 x 2 1) + z 2 )a 2 x 1 zc (7.49) z3 6 b 1, u 3 (x) = z(a 0 + x 1 a 1 + x 2 a 2 ) + φ 1 (x)b 1 + φ 2 (x)b 2 + ψ(x)c + z2 2 (b 1x 1 + b 2 x 2 ) Le tensioni principali Lo stato di sforzo nel problema di Saint Venant é caratterizzato dal tensore degli sforzi (7.13). Determiniano le tensioni principali (σ 1, σ 2, σ 3 ) mediante la (1.58); essendo la (1.58) si riduce alla: ι 1 (T) = T 33, ι 2 (T) = T T 2 23, (7.50) ι 3 (T) = 0. det(t σi) = σ(σ 2 σι 1 (T) + ι 2 (T)) = 0, (7.51) e di conseguenza: σ 1,2 = T 33 2 ± 1 T T 23 2 ), σ 3 = 0 ; (7.52) lo stato di tensione del problema di Saint Venant é in generale uno stato di tensione biassiale. Nei casi di sollecitazione di Forza Normale e Momento Flettente lo stato di tensione diviene monoassiale con σ 1 = T 33, σ 2 = σ 3 = 0, (7.53) mentre nel caso di sollecitazione di Torsione lo stato rimane biassiale con σ 1 = σ 2 = T T 23 2, σ 3 = 0. (7.54)

148 138 CAPITOLO 7. TRAVI II: IL PROBLEMA DI SAINT VENANT Mediante la rappresentazione di Mohr, si ha che nei casi di forza normale e momento flettente su piani inclinati di π/4 rispetto all asse si ha la tensione tangenziale massima: τ max = T 33 2 ; Nel caso di torsione, sui medesimi piani si hanno trazioni e compressioni dati dalle (7.54). τmax σ 2 = 0 σ 1 = T 33 σ 2 = σ 1 σ 1 Fig Cerchi di Mohr per (N, M) ed M t Gli autovettori u k associati agli autovalori σ k, k = 1, 2, 3 sono infine: u 1 = u 2 = u 3 = 1 σ T T 2 23 (T 13 e 1 + T 23 e 2 + σ 1 e 3 ), 1 σ T T 2 23 (T 13 e 1 + T 23 e 2 + σ 2 e 3 ), (7.55) 1 T T 2 23 ( T 23 e 1 + T 13 e 2 ).

149 Capitolo 8 Il problema di Saint Venant: casi di sollecitazione 8.1 Forza Normale Nella sollecitazione di Forza Normale, l unica componente non nulla delle risultanti é N. In tal caso le uniche componenti di sforzo e deformazione non nulle sono: T 33 = N A, E 33 = N EA, E 11 = E 22 = ν N EA, (8.1) e, se il modulo di Poisson é positivo (ν > 0), la sezione subisce una contrazione uniforme per N > 0 ed una dilatazione uniforme per N < 0, viceversa nel caso ν < 0. N > 0, ν > 0 N < 0, ν > 0 Il corrispondente campo di spostamento é, a meno di un moto rigido: u 1 (x, z) = ν N EA x 1, u 2 (x, z) = ν N EA x 2, (8.2) u 3 (x, z) = N EA z. 139

150 140 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE Osservazione 20 Materiali a modulo di Poisson negativo I materiali a modulo di Poisson negativo sono detti Auxetici ed esibiscono un comportamento poco comune, quello di contrarsi se compressi e dilatarsi se tesi. Il fenomeno puó essere facilmente descritto dalla deformazione del cosiddetto esagono auxetico: Fig Esagono auxetico Tra i materiali auxetici, oltre a molti materiali polimerici di sintesi, tra cui il Kevlar, il Gore-Tex ed alcune schiume, abbiamo alcune rocce e minerali, tessuti ossei viventi e la carta. Il sughero ha invece un modulo di Poisson prossimo a zero. 8.2 Flessione Le caratteristiche di sollecitazione sono i due momenti flettenti M 1 ed M 2 (osserviamo che in inglese tale sollecitazione é chiamata bending, indicando con flexure il caso che noi denominiamo di flessione e taglio). Nel riferimento principale l unica componente di tensione non nulla é data dalla: cui sono associate le componenti di deformazione: T 33 = M 2 J 2 x 1 + M 1 J 1 x 2 ; (8.3) E 33 = M 2 EJ 2 x 1 + M 1 EJ 2 x 2, (8.4) E 11 = E 22 = ν( M 2 EJ 2 x 1 + M 1 EJ 1 x 2 ).

151 8.2. FLESSIONE 141 Il campo di spostamenti associato alla flessione é: u 1 (x, z) = νx 1 x 2 M 1 EJ (ν(x2 1 x 2 2) + z 2 ) M 2 EJ 2, u 2 (x, x) = νx 2 x 1 M 2 EJ (ν(x2 2 x 2 1) + z 2 ) M 1 EJ 1, (8.5) u 3 (x, z) = z( M 2 EJ 2 x 1 + M 1 EJ 1 x 2 ). Si definisce Asse Neutro il luogo dei punti per cui la tensione normale é nulla, ovvero tale che: M 2 J 2 x 1 + M 1 J 1 x 2 = 0, da cui l equazione dell asse neutro n, retta passante per l origine e di coefficiente angolare m = tan β: n {(x 1, x 2 ) x 2 = mx 1, m = tan β = M 2J 1 M 1 J 2 }. (8.6) Si definisce inoltre Asse di sollecitazione la traccia sul piano della sezione retta del piano ortogonale al vettore momento flettente (M 1, M 2 ), ovvero il piano nel quale agiscono le forze aventi coppia totale di modulo M = M M 2 2. L asse di sollecitazione s é anch essa una retta per l origine di coefficiente angolare p = tan α: s {(x 1, x 2 ) x 2 = px 1, p = tan α = M 1 M 2 }. (8.7) s M 1 O β x 1 α M M 2 n S x 2 Fig Asse neutro ed asse di sollecitazione

152 142 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE Dalla (8.6) e dalla (8.7) si ha la relazione tra l asse neutro n e l asse di sollecitazione s che mostra come i due assi siano in genere non ortogonali, l ortogonalitá avendosi nel caso la sezione S possieda la cosidetta simmetria polare ovvero J 1 = J 2 : tan β tan α = J 1 J 2 ; (8.8) questa relazione viene detta, per la (A.28) relazione di coniugio, in quanto l asse di sollecitazione e l asse neutro sono coniugati rispetto a J G. Se indichiamo con (n, s) le coordinate di un punto della sezione S nel sistema di riferimento obliquo (A.27) formato dall asse neutro e dall asse di sollecitazione, abbiamo che: x 1 = n cos β + s cos α, x 2 = n sin β s sin α, da cui: J 1 = J s sin 2 β + J n sin 2 α, J 2 = J s cos 2 β + J n cos 2 α,, (8.9) dove: J n = S s 2, J s = S ns 2, ed essendo J ns = ns = 0, S per la (A.26). Poiché inoltre J 12 = 0, abbiamo che: J s sin β cos β J n sin α cos α = 0, (8.10) che fornisce la relazione tra i momenti principali J s e J n nel riferimento obliquo (n, s). Ricordando infine che M 1 = M sin α, M 2 = M cos α, per sostituzione nella (8.3), si arriva dopo alcuni passaggi all espressione mononia: T 33 = M J n s, (8.11) che consente di valutare la tensione normale nella direzione dell asse di sollecitazione. Esempio 20 : Sezione rettangolare Se consideriamo la sezione rettangolare di dimensioni h > b, sollecitata da un momento con M 1 = M 2 ovvero con α = π/4, poiché: dalla relazione di coniugio (8.8) si ha: J 1 = bh3 12, J 2 = hb3 12, tan β = h2 b 2 > 1, β > π 4.

153 8.2. FLESSIONE 143 b n A s M 1 33 x 1 + M α M 2 +T max x 2 β A T max 33 h Fig Flessione deviata - Sezione rettangolare Poiché abbiamo sin β = h 2 h4 + b, cos β = b 2 4 h4 + b, 4 dalla (8.10) ricaviamo J s in funzione di J n : e dalla (8.9) la relazione tra J n e J 2 : Poiché infine si ha: cos β sin β J s = J n cos α sin α = 2J b 2 h 2 n b 4 + h 4, J n = bh3 6 (b 4 + h 4 ) b 4 + h 4 4b 2 h 4 + 2(b 4 + h 4 ) b 4 + h 4. s = x 1 cos α x 2 sin α = 2 2 (x 1 x 2 ), si arriva all espressione della tensione normale misurata nella direzione dell asse di sollecitazione, che raggiunge i valori massimi nei due punti simmetrici rispetto al baricentro G, A ( b/2, h/2) ed A (b/2, h/2): ±T max 33 = ± 2 4 (h + b) M J n.

154 144 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE Moduli di Resistenza Per la (8.3) i valori massimi della tensione normale si raggiungono ai lembi estremi della sezione. Detti pertanto (x 1, x 1) ed (x 2, x 2) tali valori lungo le due direzioni principali, definiamo i Moduli di resistenza W 1 = J 1 x, W 1 = J 1 2 x 2, W 2 = J 2 x, W 1 2 = J 2, (8.12) x 1 per modo che le tensioni ai lembi estremi possono scriversi come: T 33 = M 1 W 1, T 33 = M 1 W 1 M 1 /W 1 + M x 1 1 M 1, T 33 = M 2 W 2, T x 1 x 1 G M 2 33 = M 2. (8.13) x 2 x 2 M 1 /W 1 x 2 M 2 /W 2 + M 2 /W 2 M 2 W 2 Fig Flessione composta e moduli di resistenza Se la sezione possiede un asse di simmetria, ad esempio x 1 = 0, allora: W 1 = W 1 = W 1, T 33 = ± M 1, T 33 = M 2 W 1 W 2, T 33 = M 2 W 2 Se infine la sezione possiede 2 assi di simmetria si ha W 1 = W 1 = W 1, W 2 = W 2 = W 2, e le tensioni normali massime e minime sono date dalla: T 33 = ±( M 1 W 1 ± M 2 W 2 ). (8.14) ;

155 8.2. FLESSIONE 145 Nel caso di una sezione rettangolare le tensioni massime e minime sono raggiunte ai vertici del rettangolo e si ha: W 1 = bh2 6, W 2 = hb2 6. (8.15) Flessione Semplice Se uno dei momenti flettenti é nullo, ad esempio M 2 = 0 si parla di flessione semplice. In tal caso l asse neutro n {x 2 = 0} é ortogonale all asse di sollecitazione s {x 1 = 0} e si ha: T max 33 = ± M 1 W 1 = ± 6M 1 bh 2. (8.16) Gli spostamenti dell asse avente coordinate (0, 0, z) sono dati, mediante le (8.5) dalle: u 1 = u 3 = 0, u 2 = M 1 2EJ 1 z 2, (8.17) l asse subisce quindi uno spostamento nel piano di sollecitazione con curvatura costante e raggio: κ = 1 R = M 1 EJ 1. Nel piano della sezione, le porzioni di sezione tese subiranno, se ν > 0 una contrazione, mentre quelle compresse subiranno una dilatazione, invertendosi i ruoli per materiali auxetici. Nel caso della sezione rettangolare S 0 con z = 0 i punti del contorno subiranno gli spostamenti nel piano: u 1 = νhx 1 M 1 2EJ 1, u 2 = ν( h2 4 x2 1) M 1 2EJ 1, x 2 = ± h 2, b 2 x 1 b 2 ; u 1 = νbx 2 M 1 2EJ 1, u 2 = ν(x 2 2 b2 4 ) M 1 2EJ 1, x 1 = ± b 2, h 2 x 2 h 2.

156 146 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE E 33 = M 1 /EW 1 + M 1 x 1 E 33 = M 1 /EW 1 x 2 Fig Deformazioni della sezione nella flessione semplice (ν > 0) 8.3 Forza Normale eccentrica Se sulla sezione agiscono contemporaneamente le caratteristiche di sollecitazione N, M 1 ed M 2, possiamo individuare un punto C G = x c = e 1 e 1 + e 2 e 2 detto centro di pressione tale che x c Ne 3 = M 1 e 1 + M 2 e 2, (8.18) per modo che le componenti (e 1, e 2 ) dette eccentricitá siano date dalle: e 1 = M 2 N, e 2 = M 1 N, (8.19) per modo che le caratteristiche (N, M 1, M 2 ) siano equivalenti alla sola forza normale N applicata nel centro di pressione. La tensione normale é data dalla T 33 = N A M 2 J 2 x 1 + M 1 J 1 x 2, (8.20) e pertanto l asse neutro non passerá per il baricentro, ma avrá equazione: e 1 ρ 2 x 1 e 2 1 ρ 2 x 2 = 1, (8.21) 2

157 8.3. FORZA NORMALE ECCENTRICA 147 dove si é fatto uso della definizione (A.25) di raggi di inerzia. Nella (8.21) é immediato riconoscere la relazione polo-antipolare (A.31) essendo il centro di pressione il polo e l asse neutro l antipolare. Per quanto osservato nell Appendice A, se il centro di pressione C é interno al nocciolo centrale di inerzia N, l asse neutro é esterno alla sezione e tutta la sezione sará interamente tesa o compressa: viceversa se il centro di pressione C é esterno al nocciolo l asse neutro taglierá la sezione che si dice in questo caso parzializzata essendo in parte tesa ed in parte compressa. A centri di pressione C che giacciono sulla frontiera N del nocciolo sono associati assi neutri tangenti e non secanti la sezione. Le tensioni estreme ai lembi della sezione possono essere ancora determinate mediante i moduli di resistenza: T 33 = N A M 1 W 1, T 33 = N A + M 1 W 1 T 33 = N A + M 2 W 2, T 33 = N A M 2 W 2 che per la sezione rettangolare si riducono alla:, (8.22) T 33 = ± N A ± (M 1 W 1 ± M 2 W 2 ). (8.23), Esempio 21 Sezione rettangolare Nella sezione rettangolare sollecitata da N ed M 1 direttamente il nocciolo di inerzia mediante la: possiamo determinare T 33 = N A ± M 1 W 1 = N A (1 ± 6e 2 h ) ; (8.24) la condizione che l asse neutro sia tangente alla sezione fornisce pertanto: T 33 = 0, e 2 = ± h 6, (8.25) per cui se il centro di pressione della forza normale N é interno al segmento (0, h/6 x 2 h/6) la sezione non é parzializzata. Il segmento di lunghezza h/3 é detto terzo medio. Ripetendo la medesima procedura per N ed M 2, determiniamo il segmento ( b/6 x 1 b/6, 0) e riotteniamo il nocciolo centrale di inerzia dell Esempio 34 dell Appendice A. Sezione rettangolare non resistente a trazione Se la sezione rettangolare dell esempio precedente, sollecitata da N ed M 1, é formata da un materiale non resistente a trazione (T 33 0) ed e 2 > h/6, nella porzione di sezione tesa si ha T 33 = 0. Le caratteristiche di sollecitazione sono quindi assorbite dalla parte di sezione compressa.

158 148 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE b h x 1 C G u e 2 3u T 33 N x 2 Fig Sezione rettangolare non resistente a trazione La distribuzione di tensioni é lineare e l asse neutro avrá distanza 3u dal lembo compresso, con u = h 2 e 2, la distanza tra il centro di pressione C ed il lembo compresso della sezione. In tal modo l equilibrio dei momenti é assicurato poiché la forza normale N é applicata nel baricentro della distribuzione lineare di tensioni. Per l equilibrio delle forze quindi: da cui la tensione massima sulla sezione parzializzata: 8.4 Flessione e Taglio La trattazione rigorosa: cenni N = 1 2 3ubT 33, (8.26) T 33 = 2N 3ub. (8.27) In presenza di azioni di taglio T 1 e T 2 sulla base z = 0, per le (7.37) avremo ad esse associate i momenti flettenti: M 1 (z) = zt 2, M 2 (z) = zt 1 ; (8.28)

159 8.4. FLESSIONE E TAGLIO 149 lo stato di tensione é dato dalle: T 13 = ν 1 + ν (T 2 J 1 (φ 2, 1 +x 2 1) T 1 J 2 (φ 1, 1 +x 2 x 1 )), T 23 = ν 1 + ν (T 2 J 1 (φ 2, 2 +x 2 x 1 ) T 1 J 2 (φ 1, 2 +x 2 2)). (8.29) T 33 = z(x 1 T 1 J 2 x 2 T 2 J 1 ), e gli spostamenti associati al corrispondente di campo di deformazione sono: u 1 (x, z) = T 1 6EJ 2 z 3 u 2 (x, z) = T 2 6EJ 1 z 3, (8.30) u 3 (x, z) = (φ 1 (x) + z2 x 1 2 ) T 1 6EJ 2 + (φ 2 (x) + z2 x 2 2 ) T 2 6EJ 1. La trattazione rigorosa della sollecitazione di flessione e taglio viene svolta determinando le due funzioni di ingobbamento φ 1 e φ 2 associate alle sollecitazioni di taglio T 1 e T 2 rispettivamente mediante le: introducendo le due funzioni: φ 1 = 1 2ν x 1, in S (8.31) ν n φ 1 = x 2 (n x), su S, φ 2 = 1 2ν x 2, in S, (8.32) ν n φ 2 = x 1 (n x), su S ; φ α = φ α 1 2ν x 3 α, 6ν otteniamo un problema di Neumann per l equazione di Laplace omogenea come nel caso della torsione: φ 1 = 0, in S (8.33) n φ1 = x 2 (n x) 1 2ν x 2 ν 1n 1, su S, φ 2 = 0, in S, (8.34) n φ2 = x 1 (n x) 1 2ν x 2 ν 2n 2, su S. É immediato osservare come anche nel caso della sezione circolare i termini sulla frontiera non si annullino: di conseguenza la soluzione esatta in termini delle funzioni di ingobbamento é analiticamente impegnativa. A questo approccio si preferisce invece la seguente soluzione approssimata basata sulle sole equazioni di equilibrio e ricavata nel 1842 da Jourawsky (grafia russa: Zuravskij).

160 150 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE La formula di Jourawsky Consideriamo ad esempio la sollecitazione di taglio T 2 cui é associato un momento flettente M 1 = T 2 (L z). Sezionando il cilindro B é con un piano π di normale m = m α e α, per le ipotesi di Clebsch la tensione sará: t(m) = T m3 e 3, T m3 = T 13 m 1 + T 23 m 2. (8.35) Se indichiamo con c r S π il segmento intersezione tra il piano π e la sezione retta, di lunghezza b r, su di esso stante la simmetria di T agirá la tensione t(e 3 ) = T 3m m. Per la (7.14) 3 e la (7.39) si ha: T 13,1 + T 23,2 T 2 J 1 x 2 = 0 ; (8.36) se indichiamo con S r una delle due porzioni in cui la sezione é divisa dal segmento r, consideriamo: T 13,1 + T 23,2 T 2 x 2 = 0, (8.37) S r J 1 che per le (1.99) 2 diviene: T 13 m 1 + T 23 m 2 T 2 S r = 0, (8.38) S r J 1 dove S r = x 2. S r n c r S r m br O x 1 T 3m T 2 S x 2

161 8.4. FLESSIONE E TAGLIO 151 Fig La formula di Jourawsky indica il momento statico rispetto all origine o della porzione S r della sezione retta. Poiché la frontiera S r é formata da due parti, il segmento c r e la porzione coincidente con S sulla quale per le (7.17) la tensione é nulla, arriviamo alla c r T 3m = T 2 J 1 S r, (8.39) che é una formula esatta, semplicemente equilibrata, che consente di valutare la risultante delle tensioni T m3 = T 3m sulla corda c r. Applicando il teorema del valor medio al primo membro: T 3m b r = T 3m, c r (8.40) si arriva alla relazione che consente di valutare la tensione tangenziale media sulla corda c r di normale m: detta formula di Jourawsky. T 3m = T 2S r J 1 b r, (8.41) Esempio 22 : Sezione rettangolare Consideriamo la sezione rettangolare S {(x 1, x 2 ) b 2 x 1 b 2, h 2 x 2 h 2 }, sollecitata da una azione di taglio T 2. sezione sono: Le caratteristiche geometriche della A = bh, J 1 = bh3 12. Per determinare le T 23 consideriamo corde parallele alla direzione di x 1 con b r = b: in questo caso quindi l andamento della tensione tangenziale lungo x 2 sará determinato dal momento statico S r (x 2 ): S r (x 2 ) = b 2 (h 2 x 2)( h 2 + x 2) = b 2 ((h 2 )2 x 2 2) ;

162 152 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE b h x 1 S r b r m O T 2 T 23 T max 23 S x 2 Fig La formula di Jourawsky per sezioni rettangolari pertanto, ricordando l espressione di J 1 e di A: T 23 = T 2 J 1 b S r(x 2 ) = 6T 2 bh 3 ((h 2 )2 x 2 2) = 3 T 2 2 A (1 (2x 2 h )2 ). (8.42) L andamento é parabolico, la tensione é nulla per x 2 = ± h 2 ed il valore della tensione tangenziale (media) massima si ha sulla corda baricentrica per x 2 = 0: T 23 max = 3 T 2 2 A. (8.43) Per determinare le T 13 consideriamo corde parallele alla direzione di x 2 con b r = h: poiché in questo caso S r (x 1 ) = 0, si ha che le tensioni tangenziali medie sulle corde parallele alla direzione x 2 sono nulle: T 13 = 0. Esempio 23 : Sezione a doppio T Nella sezione a doppio T le due porzioni superiori sono dette ali ed hanno spessore e, mentre la parte verticale é detta anima ed ha spessore a. Quando la sezione é sollecitata da una azione di taglio T 2, per determinare le tensioni T 23 consideriamo corde parallele alla direzione di x 1 : quando queste corde tagliano l ala si ha il medesimo andamento parabolico della sezione rettangolare ed il valore prima dell attaccatura tra l anima e l ala é, essendo b r = b ed avendo

163 8.4. FLESSIONE E TAGLIO 153 indicato con S ala r il momento statico dell ala: T 23 = T 2Sr ala J 1 b = T 2 e(h + e) ; J 1 2 la tensione subisce un salto non appena la corda taglia l anima, poiché si ha b r = a < b, con valore: T 23 = T 2Sr ala J 1 a = T 2 e(h + e) b J 1 2 a = b a T 23. Successivamente la tensione ha un andamento parabolico sino al valore massimo raggiunto per la corda baricentrica per la quale il momento statico S r é relativo a metá sezione: T 23 max = T 2Sr J 1 a = T 2 b J 1 2a (2e2 + h2 4 ). Per determinare le tensioni T13 consideriamo corde parallele alla direzione x 2 con b r = e. Poiché la distanza tra il baricentro dell ala e quello della sezione rimane costante, la tensione ha un andamento lineare: T 13 = T 2 ex 1 (h + e) = T 2 x 1 (h + e), J 1 2e J 1 2 sino al valore massimo: T 13 max = T 2 (b a)(h + e). J 1 2

164 154 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE T max 13 b T 23 T 23 a h x 1 T 2 T max 23 e T max 13 x 2 Fig La formula di Jourawsky per sezioni a doppio T Osservazione 21 : Una relazione approssimata per i profilati Dall esempio precedente é immediato osservare come nelle sezioni a doppio T sia l anima ad assorbire la maggior parte delle tensioni tangenziali. Si puó pertanto assumere una formula approssimata per valutare le tensioni tangenziali massime sulla corda baricentrica del tipo: T max 23 = T 2 ka a, A a = ah 0 (8.44) dove A a = ah 0 rappresenta l area dell anima, essendo h 0 = h 2e la sua altezza. Poiché per la formula di Jourawsky: otteniamo che: T max 23 = T 2S r J 1 a, (8.45) k = J 1 S r h 0 ; (8.46) i valori del coefficiente adimensionale k per varie dimensioni dei profilati commerciali IPE ed HE B sono riportati nella tabella 8.1. In prima approssimazione

165 8.4. FLESSIONE E TAGLIO 155 possiamo ad esempio prendere i seguenti valori del coefficiente k: k 0.95, IPE ; k 1.05, HE. Tabella 8.1: Coefficiente k, profilati IPE: UNI ; HE B: UNI Profilato k Profilato k IPE HE 100B 1.05 IPE HE 120B 1.06 IPE HE 140B 1.06 IPE HE 180B 1.04 IPE HE 220B 1.04 IPE HE 300B 1.03 IPE HE 400B Il taglio nelle sezioni in parete sottile aperta La trattazione approssimata del taglio dovuta a Jourawsky non é cinematicamente ammissibile, essendo basata solamente sulle equazioni di equilibrio. Le tensioni tangenziali T 13 e T 23 equilibrano le azioni di taglio T 1 e T 2, ma come vedremo, non equilibrano il momento torcente M t. Questo effetto risulta particolarmente evidente in sezioni a parete sottile aperte. Consideriamo una curva (0, s o ) s γ(s) R 2, detta linea media e lo spessore (0, s o ) s δ(s) R. Definiamo la sezione retta come il prodotto cartesiano S γ δ e diciamo che la sezione é in parete sottile se δmax << diam(s). Definiamo inoltre la tangente alla curva γ in s (0, s o ): t(s) = dγ ds = sin β(s)e 1 + cos β(s)e 2, t = 1, con β l angolo tra la tangente alla linea media e la direzione x 2. L elemento infinitesimo di area di S é dato quindi dalla: da = δ(s) ds. (8.47)

166 156 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE T t3 (s)t(s) δ(s) x 1 G T 2 γ(s) x 2 Fig Sezione S aperta in parete sottile. Consideriamo agente un taglio T 2 : le tensioni tangenziali su corde ortogonali alla linea media coincidenti con lo spessore δ e per le quali la normale il versore tangente t alla linea media sono, per la formula di Jourawsky: T t3 = T 2S r J 1 δ(s), S r = x 2 = x 2 δ(s) ds. (8.48) S r γ si ha Poiché ed inoltre T t3 = T 13 sin β + T 23 cos β, (8.49) T 13 = sin β T t3, T23 = cos β T t3, (8.50) dx 1 = sin β ds, dx 2 = cos β ds. (8.51) Per l equilibrio si deve avere: T 1 = T 13 = 0, T 2 = T 23 = 0, M t = S S S x(s) T t3 t = 0, (8.52) dove x = x(s) é il vettore posizione dei punti di γ rispetto al baricentro G di S. Consideriamo la (8.52) 2 ; per le (8.50) 2, (8.48) e (8.51) 2 si ha: S T 23 = γ = T 2 J 1 T 23 δ ds = γ γ S r cos β ds = T 2 J 1 cos β T t3 δ ds S r dx 2. (8.53) γ

167 8.4. FLESSIONE E TAGLIO 157 Poiché: γ S r dx 2 = γ (x 2 S r ), 2 dx 2 x 2 S r,2 dx 2 = (x 2 S r ) so 0 ed essendo S r (s = 0) = S r (s = s o ) = 0 e ds r = x 2 δ ds, si ha che: γ S r dx 2 = γ x 2 2δ ds = J 1 γ x 2 ds r e dalla (8.53) si ottiene la (8.52) 2. In maniera del tutto analoga si dimostra che S T 13 = T 2 x 1 x 2 δ ds = 0, (8.54) J 1 γ poiché nel riferimento principale J 12 = 0, verificando quindi la (8.52) 1. Se infine consideriamo la (8.52) 3, per la (8.48) si ha M t = γ x(s) t T t3 δ ds = T 2 x(s) t S r ds ; (8.55) J 1 γ γ r(s) G T t3 t(s) x(s) ds α + π 2 M t Fig L equilibrio del momento torcente sulla linea media. poiché: x(s) t = x t sin(α + π ) = x cos α = r(s) (8.56) 2

168 158 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE ovvero la (8.56) rappresenta la distanza tra il baricentro G e la direzione della tangente alla curva γ nel punto x; introducendo l area settoriale ω: ω = r(s)ds, dω(s) = r(s)ds, (8.57) la (8.55) diviene: Poiché γ S r dω = γ γ M t = T 2 S r dω. (8.58) J 1 γ d(ωs r ) ω ds r = (ωs r ) so 0 + γ x 2 ωδ ds = γ x 2 ωδ ds, essendo S r (s = 0) = S r (s = s o ) = 0, si arriva dalla (8.58) alla M t = T 2 x 2 ωδ ds, (8.59) J 1 che in generale é diversa da zero. Pertanto in una sezione in parete sottile, l approssimazione insita nella formula di Jourawsky induce un momento torcente. Relazioni del tutto analoghe si ottengono se agisce un taglio T 1 0, arrivando alla: M t = T 1 x 1 ωδ ds. (8.60) J 2 da cui: Si definisce Centro di Taglio il punto C (x 1 (C), x 2 (C)) tale che: γ γ (C G) (T 1 e 1 + T 2 e 2 ) = M t, (8.61) M t = x 2 (C)T 1 + x 1 (C)T 2. (8.62) Pertanto, se le azioni T 1 e T 2 sono applicate nel centro di taglio C anziché nel baricentro G il momento torcente determinato dalle approssimazioni della formula di Jourawsky si annullerá. Dalle (8.59) e (8.60) si arriva all espressione esplicita delle coordinate del centro di taglio: x 1 (C) = 1 x 2 ωδ ds, x 2 (C) = 1 x 1 ωδ ds. (8.63) J 1 J 2 γ Osservazione 22 Momenti statici dell area settoriale I due termini: ω 1 = x 1 ωδ ds, ω 2 = x 2 ωδ ds, (8.64) γ sono detti Momenti statici dell area settoriale per la loro somiglianza formale con i momenti statici dell area della sezione: la (8.63) puó essere scritta in termini dei momenti statici settoriali come: γ x 1 (C) = ω 2 J 1, x 2 (C) = ω 1 J 2. (8.65) γ

169 8.5. TORSIONE 159 Osservazione 23 Assi di simmetria Se la sezione retta ammette un asse di simmetria, il centro di taglio C é sull asse di simmetria: ne consegue che se l azione di taglio é diretta come l asse di simmetria, allora non si ha momento torcente. Se la sezione retta ammette due assi di simmetria, il centro di taglio ed il baricentro concidono, C G e non si ha momento torcente. Se la sezione retta é formata da rettangoli allungati le cui linee medie convergono tutte in un punto, allora quel punto é il centro di taglio C. 8.5 Torsione Il problema di Neumann per la funzione di ingobbamento La soluzione del problema della torsione presentata nel Capitolo 7 fornisce le deformazioni di scorrimento: M t E 13 = 2GJ0 le tensioni tangenziali (ϕ, 1 x 2 ), E 23 = M t 2GJ0 (ϕ, 2 +x 1 ), (8.66) T 13 = M t J0 (ϕ, 1 x 2 ), T 23 = M t J0 (ϕ, 2 +x 1 ), (8.67) ed il campo di spostamento u 1 (x, z) = M t 2GJ0 zx 2, u 2 (x, z) = u 3 (x, z) = M t 2GJ0 zx 1, (8.68) M t 2GJ0 ϕ(x), con la funzione di ingobbamento x ϕ(x) soluzione del problema di Neumann per l equazione di Laplace omogenea: ϕ = 0, in S, (8.69) n ϕ = t x, su S. Se definiamo il fattore di torsione q, dipendente tramite la funzione di ingobbamento dalla forma della sezione S: q = J 0 J 0 1, (8.70)

170 160 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE possiamo scrivere la (7.44) come: c = q M t 2GJ 0 ; (8.71) osserviamo che c ha le dimensioni (Lunghezza) 1, per cui ponendo: Θ(z) = q M t 2GJ 0 z, é immediato verificare che le componenti di spostamento u 1 ed u 2 rappresentano una rotazione rigida di angolo Θ(z) intorno alla direzione e 3 e che possiamo definire l angolo unitario di torsione come: Sezione circolare Se consideriamo la sezione circolare di raggio R θ = Θ, 3 = q M t 2GJ 0. (8.72) S {(x 1, x 2 ) x x 2 2 = R 2 }, poiché i punti della frontiera sono rappresentabili come x = Rn, si ha che la condizione al contorno diviene omogena, ovvero: ϕ = 0, in S, (8.73) n ϕ = 0, su S, e pertanto si ha ϕ = costante. In questo caso q = 1 e lo spostamento nella direzione assiale é costante, con deformazioni di scorrimento e tensioni tangenziali date dalle: E 13 = M t 2GJ 0 x 2, E 23 = M t 2GJ 0 x 1, J 0 = πr4 2, (8.74) e dalle: T 13 = M t J 0 x 2, T 23 = M t J 0 x 1. (8.75) Considerando un piano parallelo all asse e passante per il centro di massa della sezione rette, avente normale m, la tensione tangenziale é T m3 = T 13 m 1 + T 23 m 2, ed essendo: m 1 = x 2 x, m x x 2 2 = 1, 2 x x 2 2 si arriva alla: T m3 = M t r, r = x 2 1 J + x2 2, (8.76) 0 che raggiunge il valore massimo sulla frontiera dove r = R.

171 8.5. TORSIONE 161 Sezione circolare cava Se la sezione circolare é cava, detto R e il raggio esterno ed R i, R i < R e il raggio interno, abbiamo che il raggio medio R m e lo spessore δ sono dati dalle: R m = R e + R i 2, δ = R e R i ; anche in questo caso, valendo le (8.69) 2 anche sulla porzione di frontiera di raggio R i la funzione di ingobbamento é costante, q = 1 ed il momento di inerzia polare é: J 0 = π(r4 e Ri 4), 2 che puó essere riscritto in termini di raggio medio e spessore come J 0 = πr4 m 2 (4 δ R m ( δ R m ) 3 ). (8.77) La tensione tangenziale varia linearmente sullo spessore tra il valore minimo T i m3 ed il valore massimo T e m3: ovvero: T i m3 = M t J 0 (R m δ 2 ), T e m3 = M t J 0 (R m + δ 2 ), (8.78) T m3 = M t J 0 (R m + d), δ 2 d δ 2. (8.79) Sezione ellittica Per una sezione ellittica di semiassi a e b: S {(x 1, x 2 ) x2 1 a 2 + x2 2 b 2 = 1}, detta f(x 1, x 2 ) = 0 la sua rappresentazione implicita, abbiamo che i versori normale e tangente ad S sono: n = kf, α e α = 2k( x 1 a 2 e 1 + x 2 b 2 e 2), t = 2k( x 2 b 2 e 1 x 1 a 2 e 2), con k scelto in modo che n = 1. Ne segue che la (8.69) diviene: x 1 ϕ, 1 a 2 + ϕ, x 2 2 b 2 = x 1x 2 ( 1 b 2 1 a 2 ) ; Assumendo ϕ(x 1, x 2 ) = Bx 1 x 2 (che verifica la (8.69) 1 ) si arriva alla condizione: B( 1 b a 2 ) = 1 b 2 1 a 2, da cui la funzione di ingobbamento ϕ(x 1, x 2 ) = a2 b 2 a 2 + b 2 x 1x 2. (8.80)

172 162 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE Poiché per una sezione ellittica si ha: J G 11 = π 4 a3 b, J G 22 = π 4 b3 a, J 0 = π 4 ab(a2 + b 2 ), ed essendo per la (7.42) e per la (8.80) il momento polare ridotto: J 0 = J 0 (J G 11 J G 22) a2 b 2 a 2 + b 2 = π 4 ab 4a2 b 2 a 2 + b 2, per la definizione di q si arriva alla sua espressione per una sezione ellittica: Sezione rettangolare Se consideriamo la sezione rettangolare q = ( a2 + b 2 ) 2. (8.81) 2ab S {(x 1, x 2 ) b 2 x 1 b 2, h 2 x 2 h 2 }, le condizioni al contorno divengono: ϕ, 1 (± b 2, x 2) = x 2, (8.82) ϕ, 2 (x 1, ± h 2 ) = x 1. Il problema viene risolto introducendo la funzione: ϕ(x 1, x 2 ) = ϕ(x 1, x 2 ) x 1 x 2 che verifica la (8.69) 1 e per modo che le condizioni al contorno (8.69) 2 divengano: ϕ, 1 (± b 2, x 2) = 0, (8.83) ϕ, 2 (x 1, ± h 2 ) = 2x 1, ed adottando il metodo di separazione delle variabili: la soluzione é: ϕ(x 1, x 2 ) = x 1 x 2 32b2 4π 3 ϕ(x 1, x 2 ) = X(x 1 )Y (x 2 ) ; n=0 ( 1) n sin(k n x 1 ) sinh(k n x 2 ) (2n + 1) 3 cosh(k n h 2 ), (8.84) dove k n = 2n + 1 π. b

173 8.5. TORSIONE 163 Per il calcolo del fattore di torsione q, osserviamo preliminarmente che il momento di inerzia polare della sezione rettangolare é: J 0 = bh hb3 12 = bh 12 (b2 + h 2 ) ; mediante la (8.84) e la definizione di J0 si arriva alla: q = β h2 + b 2 12b 2 con il coefficiente β = 1, 141 per le sezioni quadrate con b = h e dato per n > 1 dalla relazione approssimata: Di conseguenza abbiamo: β 3n n 0, 63, n = h b > 1. J 0 = J 0 q che fornisce, ad esempio per le sezioni con n = 2: e per n = 10 mentre per n si ha: n 0, 63 = hb 3 ; (8.85) 3n J 0 = 0, 228hb 3, J 0 = 0, 312hb 3, J 0 = 1 3 hb3. (8.86) Dalle (8.67) si ottiene l espressione delle tensioni tangenziali: T 13 (x 1, x 2 ) = M t J0 (2x 2 32b2 ( 1) n k n cos(k n x 1 ) sinh(k n x 2 ) 4π 3 (2n + 1) 3 h cosh(k n 2 ) ), T 23 (x 1, x 2 ) = M t J0 ( 32b2 4π 3 n=0 n=0 ( 1) n sin(k n x 1 )k n cosh(k n x 2 ) (2n + 1) 3 h cosh(k n 2 ) ) ; (8.87) T max 23 b T 13 h T 23 x 2 x 1

174 164 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE Fig Sezione rettangolare il valore massimo delle tensioni tangenziali é dato da: T max m3 = T 23 (± b, 0). (8.88) 2 Per sezioni con h >> 10b la tensione tangenziale massima puó approssimarsi in: che valendo la (8.86) diviene: T max m La soluzione di Prandtl = M t J 0 b 2, M t T max m3 = 3 2 b 2 h. (8.89) La soluzione del problema della torsione in termini della funzione di ingobbamento ϕ = ϕ(x) é una soluzione equilibrata di un campo di deformazioni compatibile, ovvero una soluzione a lá Navier. Il problema puó evidentemente essere risolto mediante le equazioni di Beltrami-Michell, ovvero rendendo compatibile una soluzione equilibrata. Ricordiamo che, oltre alle equazioni di equilibrio (7.46), disponiamo delle relazioni costitutive: e della equazione di compatibilitá: Una soluzione delle (7.46) 1 é E α3 = 1 2G T α3, α = 1, 2, (8.90) E 23,1 E 13,2 = 2c. (8.91) T 13 = ψ, 2, T 23 = ψ, 1 ; (8.92) dove la funzione ψ = ψ(x 1, x 2 ) C 2 (S) é detta funzione degli sforzi o funzione di Prandtl. Mediante le relazioni costitutive (8.90) e la equazione di compatibilitá (8.91) si arriva alla equazione di campo per la funzione di Prandtl: ψ = 4Gc. (8.93) Dalle condizioni al contorno (7.46) 2, poiché il vettore tangente alla frontiera ha componenti t = m 2 e 1 m 1 e 2, si ottiene che sulla frontiera: t ψ = 0, con t ψ = ψ t la derivata tangente di ψ; essendo la frontiera S una curva chiusa, si ha necessariamente ψ = costante. Poiché della funzione di Prandtl si

175 8.5. TORSIONE 165 utilizzano solo le derivate prime, possiamo porre nulla la costante ed arrivare al problema di Dini per il laplaciano di ψ: ψ = 4Gc, in S, (8.94) ψ = 0, su S. Osserviamo che dalla (7.20) 6 e per le: M t = S x 1 ψ, 1 x 2 ψ, 2 = S ( x 1 ψ), 1 (x 2 ψ), 2 +2ψ, che per la (1.99) 2 e le condizioni al contorno (8.94) 2 fornisce la relazione tra la funzione di Prandtl ed il momento torcente: M t = 2 ψ(x 1, x 2 ). (8.95) S Dalle (8.92) e dalle (7.40) é immediato dedurre le relazioni tra i gradienti delle funzioni di ingobbamento e di Prandtl: e 3 ψ = 2cG( ϕ e 3 x), da cui ψ = 2cG(x + e 3 ϕ), ϕ = e 3 (x 1 ψ). (8.96) 2cG Sezione circolare Nel caso di una sezione circolare di raggio R é facile mostrare che: ψ(x) = cg(x x 2 2 R 2 ), (8.97) da cui per le (8.92) e per la (7.44) riotteniamo: T 13 = M t J 0 x 2, T 23 = M t J 0 x 1. Sezione triangolare equilatera Nel caso della sezione triangolare equilatera di lato a, la soluzione di Prandtl puó essere costruita come prodotto delle equazioni delle rette che formano la frontiera S. In tal modo la condizione al contorno viene automaticamente verificata. Poiché infatti le tre rette che formano la frontiera sono: x 1 = 0, x x 2 a 2 = 0, x 1 3 x 2 a 2 = 0,

176 166 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE x 2 A (0, a 2 ) S C ( a 3 2, 0) B (0, a 2 ) x 1 assumiamo la funzione di Prandtl: Fig La sezione triangolare equilatera ψ(x 1, x 2 ) = C(x 1 x 2 2 x 1 ( x 1 3 a 2 )2 ) ; dalla (8.94) 1 si arriva a determinare il valore del parametro C: 3cG 3 M t C = = q. a 2 aj 0 Le associate tensioni tangenziali, per la (8.92) sono: T 13 = q 3 M t aj 0 x 1 x 2, 3 M t T 23 = q (x 2 2 x a x 1 a2 2 aj ), (8.98) ed il fattore di torsione q puó essere calcolato in: q = La formula di Bredt Dall analisi dello stato tensione per una sezione circolare cava di raggio medi R m e spessore costante δ si é determinato che le tensioni variano linearmente con lo spessore ed hanno un valore medio lungo la circonferenza γ di raggio R m dato dalla (8.79) valutata per d = 0. La trattazione che segue, dovuta a Bredt (1915), fornisce una relazione, basata unicamente sulle equazioni di equilibrio delle forze in direzione dell asse e dei momenti torcenti, che permette una stima della tensione tangenziale media per sezioni chiuse in parete sottile. Consideriamo una curva chiusa (0, s) s γ(s) R 2, γ(0) = γ( s), detta linea media e lo spessore (0, s) s δ(s) R, δ(0) = δ( s). Definiamo la sezione retta cava come il prodotto cartesiano S γ δ e diciamo che la sezione é in parete sottile se δmax << diam(s).

177 8.5. TORSIONE 167 t(s) δ(s) x 1 G γ x 2 Fig Sezione S chiusa in parete sottile Definiamo inoltre la tangente alla curva γ in s (0, s): t(s) = dγ ds, t = 1. Per determinare le tensioni tangenziali, sezioniamo il cilindro B con un piano π parallelo all asse, ovvero di normale m, m e 3 = 0. Su questo piano, la tensione é: Tm = (T 13 m 1 + T 23 m 2 )e 3 = T m3 e 3. (8.99) Poiché N = 0, la risultante delle azioni nella direzione dell asse é: T m3 e 3 + A 1 T m3 e 3 = 0 ; A 2 (8.100)

178 168 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE m τ (s 2 ) π δ(s 2) τ (s 1 ) δ(s 1 ) τ (s 2 ) τ (s 1 ) γ e 3 Fig Equilibrio dei flussi delle tensioni tangenziali poiché la T m3 é indipendente dalla coordinata assiale z per le (7.14) 1,2 ed essendo A 1 = δ(s 1 )L ed A 2 = δ(s 2 )L, definendo il flusso delle tensioni tangenziali sullo spessore δ: τ (s) = T m3 e 3, (8.101) dalla (8.100) si ha: δ(s) τ (s 1 ) = τ (s 2 ). (8.102) Poiché la (8.102) deve valere per ciascun piano π parallelo all asse, ne consegue che: τ(s) = T m3 = cost.. (8.103) δ(s) Per la simmetria del tensore degli sforzi T m3 = T 3m e di conseguenza nel piano della sezione retta il flusso delle tensioni tangenziali avrá norma costante su ciascuna corda δ(s): osserviamo a questo punto che per le (7.17), le tensioni tangenziali saranno tangenti alla frontiera S ed in generale, per la dipendenza di δ dalla coordinata curvilinea s non saranno dirette come la tangente t(s) alla linea media. Se assumiamo: dδ ds << 1, ovvero assumiamo che lo spessore vari molto lentamente lungo la linea media, possiamo assumere che il flusso delle tensioni tangenziali nel piano della sezione retta sia diretto come la tangente alla linea media: τ (s) = ( T m3 )t(s). (8.104) δ(s)

179 8.5. TORSIONE 169 Dato un punto P (s) γ(s) ed un punto fisso O e detto: x(s) = P (s) O, il vettore posizione di P, abbiamo che il momento del flusso delle tensioni tangenziali rispetto ad O é dato dalla: x(s) τ (s)ds, (8.105) γ e per l equilibrio dei momenti torcenti (ovvero rispetto alla direzione e 3 ): M t = e 3 x(s) τ (s)ds, (8.106) ovvero γ M t = ( T m3 )e 3 x(s) t(s)ds. (8.107) δ(s) γ O h τ (s) x(s) ds θ M t γ Poiché Fig L equilibrio del momento torcente e 3 x(s) t(s)ds = x(s) sin θ(s)ds = h(s)ds, (8.108) dove h(s) = x(s) sin θ(s) é la distanza tra il polo O e la direzione della tangente, si arriva alla: M t = ( T m3 ) h(s)ds. (8.109) δ(s) γ

180 170 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE Osserviamo a questo punto che il termine h(s)ds rappresenta il doppio dell area di un triangolo di base ds e di altezza h(s), per cui detta Ω l area della sezione avente come frontiera la linea media γ si ha: h(s)ds = 2Ω ; (8.110) ne consegue che: Per il teorema del valor medio: T m3 = δ(s) T m3, γ M t = ( T m3 )2Ω. (8.111) δ(s) δ(s) dal quale si arriva alla cosiddetta formula di Bredt: T m3 (s) = M t 2Ωδ(s), (8.112) che consente una stima della tensione tangenziale media sullo spessore delle sezioni in parete sottile chiuse. Per valutare il momento di inerzia ridotto J 0 associato alla formula di Bredt, consideriamo l energia complementare associata alle tensioni tangenziali indotte dal momento torcente M t, valutate mediante la formula di Bredt (8.112): Λ(M t ) = 1 2 per il teorema di Clapeyron: γ T m3 2 2G δ(s)ds = 1 4G M 2 t 4Ω 2 γ ds δ(s) ; (8.113) M t θ = 2Λ(M t ), (8.114) da cui l espressione dell angolo unitario di torsione (8.72) associato alla formula di Bredt: θ = 1 M t ds 2G 4Ω 2 δ(s). (8.115) Osserviamo che questa ultima relazione non é congruente ed é pertanto, in genere, solamente una stima grossolana dell angolo unitario di torsione. Dalla (8.115) e dalla (8.72), arriviamo all espressione del momento polare ridotto associato alla formula di Bredt: Esempio 24 Sezione Circolare: γ J0 = 4Ω2 γ ds δ(s). (8.116)

181 8.5. TORSIONE 171 Per la sezione circolare, come abbiamo osservato in precedenza la linea media é una circonferenza di raggio R m e lo spessore δ é costante. Per la la formula di Bredt abbiamo, essendo Ω = πr 2 m: T m3 = M t πr 2 mδ, ed inoltre: J 0 = 2πR 3 mδ. Osserviamo che le soluzioni esatte (8.77) ed (8.79) si riducono alla soluzione di Bredt trascuriamo infinitesimi di ordine O((δ/R m ) 3 ), ovvero per spessori sottili La soluzione di Saint Venant per le sezioni rettangolari allungate Se la sezione in parete sottile é aperta, ovvero la linea media non é una curva chiusa, le tensioni tangenziali possono essere determinate, se la sezione é decomponibile in rettangoli, mediante una relazione dovuta a Saint Venant e che utilizza il valore del momento polare ridotto (8.86) per le sezioni rettangolari allungate con rapporto h/b >> 10. Supponiamo la sezione S decomponibile in m rettangoli S k, k = 1, 2,... m aventi dimensioni h k >> 10b k : per la (8.86), l angolo unitario di torsione di ciascun rettangolo é esprimibile come: M k t θ k = 2GJ0 k, J k 0 = b3 k h k 3, (k non sommato). (8.117) dove M k t é la quota del momento torcente M t agente sul rettangolo S k.

182 172 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE h 1 h 2 b 2 S b 1 M t θ 1 M t 1 S 1 S 2 M t 2 θ 2 M t 3 h 3 S 3 θ 3 b 3 Fig Sezioni plurirettangolari: formula di Saint Venant Poiché tutti i rettangoli S k devono avere il medesimo angolo unitario di torsione, avremo le m 1 equazioni di congruenza: θ 1 = θ 2 =... θ m 1 = θ m = θ ; (8.118) per l equilibrio dei momenti torcenti inoltre si avrá: Per la (8.117) e la (8.118): e dalla (8.119) si arriva alla: m Mt k = M t. (8.119) k=1 M k t = 2GJ k 0 θ, M t = 2GJ0 θ, (8.120) dove il momento polare ridotto della sezione é dato dalla: m J0 = J0 k. (8.121) k=1

183 8.5. TORSIONE 173 Il valore del momento torcente che agisce su ciascun rettangolo S k é quindi dato dalla Mt k = J 0 k J0 M t, (8.122) e per ciascun rettangolo S k si applicano i risultati ottenuti per le sezioni rettangolari allungate. Esempio 25 : Consideriamo la sezione chiusa di spessore δ = a di Fig. 8.14: poiché a Ω 10a a 10a a a 10a a a Fig Sezione chiusa ed aperta di uguale area Ω = 121a 2, = 44a, abbiamo dalle (8.116), (8.112) e (8.115): J0 = 1131a 4, Tm3 = M t 121a 3, θ = 1 2G γ M t 1131a 4. Se adesso consideriamo la sezione aperta di identica area, formata dai quattro rettangoli uguali con b = a, h = 11a abbiamo che il momento polare ridotto della sezione e quelli dei singoli rettangoli sono dati, mediante le (8.117) (8.121), da: J k 0 = 11 3 a4, k = 1, 2, 3, 4, J 0 = 44 3 a4 ; per le (8.122), ogni rettangolo assorbe la medesima quota di momento torcente: M k t = 1 4 M t, k = 1, 2, 3, 4, ed abbiamo che la tensione tangenziale massima, raggiunta nel punto medio dei lati lunghi vale su tutti i rettangoli: T m3 = 6M t 11a 3,

184 174 CAPITOLO 8. SAINT VENANT: CASI DI SOLLECITAZIONE mentre l angolo unitario di torsione risulta, per la (8.120): θ = 1 3M t 2G 44a 4. Dal confronto tra le due sezioni, osserviamo che la sezione aperta é circa 77 volte piú deformabile di quella chiusa mentre la tensione tangenziale massima é 66 volte quella media della sezione chiusa Il centro di torsione Si definisce il centro di torsione Q quel punto intorno al quale una sezione S per un punto dell asse di coordinata z ruota rigidamente di un angolo Θ(z) = θ z. Dette le coordinate del centro di torsione Q (x 1 (Q), x 2 (Q)), per definizione si ha: u 1 (x 1, x 2 ) = θ z(x 2 x 2 (Q)), u 2 (x 1, x 2 ) = θ z(x 1 x 1 (Q)). (8.123) Consideriamo una sezione in parete sottile aperta ed assumiamo agente un momento torcente M t cui é associato un angolo unitario di torsione θ(m t ) ed un taglio T 2 cui é associato un angolo unitario di torsione θ(t 2 ) mediante il momento torcente (8.59) ed un campo di spostamenti dato dalla (8.123). Per il teorema di Betti: M t θ(t 2 )z = T 2 u 2 (M t ) ; (8.124) se il taglio T 2 é applicato nel centro di taglio si ha: θ(t 2 ) = 0, u 2 (M t ) = θ(m t )z(x 1 (C) x 1 (Q)), (8.125) e per la (8.124) necessariamente, essendo θ(m t ) 0, si ha che per ogni z: x 1 (C) = x 1 (Q). (8.126) Valendo le medesime considerazioni per un taglio T 1 se ne deduce che il centro di torsione Q coincide con il centro di taglio C (8.65).

185 Capitolo 9 I criteri di sicurezza 9.1 Generalitá: materiali duttili Se esaminiamo il diagramma sforzo-deformazione di una prova di trazione di un materiale duttile quale ad esempio l acciaio, possiamo distinguere tre comportamenti differenti: in una prima fase la relazione tra sforzo e deformazione é lineare; successivamente si ha una fase in cui la deformazione aumenta a sforzo pressoché costante seguita da una fase ad elevate deformazioni che precede la rottura vera e propria. La prima fase é quella del comportamento elastico lineare e si definisce tensione di snervamento σ s il valore della tensione per il quale tale comportamento termina. La seconda fase é detta di incrudimento se la relazione é ancora lineare ma con pendenza minore o di flusso plastico se la deformazione avviene a sforzo costante. La fase finale é detta strizione. Se dalla fase elastica si riporta lo sforzo a zero, non si hanno deformazioni residue ε res che invece si manifestano se si riporta lo sforzo a zero dalla fase incrudente o da quella di flusso plastico. Limitando l analisi alle prime due fasi, possiamo avere tre tipologie di comportamento: Materiali elasto-plastici perfetti; σ σ s ε s ε res ε 175

186 176 CAPITOLO 9. I CRITERI DI SICUREZZA σ = Eε, ε ε s = σ s E, (9.1) Materiali elasto-plastici incrudenti; σ = σ s, ε > ε s = σ s E. σ σ s ε s ε res ε σ = Eε, ε ε s = σ s E, (9.2) Materiali rigido-plastici. σ = Ēε, ε > ε s = σ s E, Ē < E. σ σ s ε res ε σ < σ s, ε = 0, σ = σ s, ε > 0. (9.3) In tutti e tre i casi, l intervallo di sforzo per il quale il materiale resta in fase elastica puó scriversi come: σ σ s 0. (9.4) Se introduciamo la tensione ammissibile σ adm : σ adm = σ s γ s, γ s > 1, (9.5) con γ s coefficiente di sicurezza, possiamo riscrivere la (9.4) come condizione di sicurezza: σ σ adm 0. (9.6)

187 9.1. GENERALITÁ: MATERIALI DUTTILI 177 In presenza di uno stato di sforzo triassiale, definiamo Superficie ammissibile la superficie nello spazio delle tensioni principali (σ 1, σ 2, σ 3 ): F(σ 1, σ 2, σ 3, k) = 0, (9.7) dove il parametro k é determinato in modo da ridurre la superficie ammissibile alla condizione (9.6) per uno stato monoassiale. Gli stati di sforzo per cui F(σ 1, σ 2, σ 3, k) < 0, (9.8) rappresentano il cosiddetto dominio ammissibile, ovvero gli sforzi che non violano mai la condizione di ammissibilitá (9.6). Se assumiamo l ipotesi di isotropia la superficie di snervamento é simmetrica rispetto alle sue variabili. Osserviamo preliminarmente che nello spazio delle tensioni principali la retta σ 1 = σ 2 = σ 3 rappresenta Sph, il sottospazio dei tensori sferici, mentre il piano ortogonale a questa retta e passante per l origine rappresenta Dev, il sottospazio dei tensori deviatorici. σ 3 Sph σ 1 = σ 2 = σ 3 Dev σ1 σ 2 Fig Spazio delle tensioni principali Il criterio di Galileo Storicamente la prima nozione di criterio di sicurezza risale a Galileo Galilei: rifraseggiando in termini del nostro linguaggio il suo criterio, abbiamo: σ k σ adm 0, k = 1, 2, 3, (9.9) che rappresenta nello spazio delle tensioni principali un cubo avente spigolo di lunghezza 2σ adm. Esperimenti sistematici eseguiti nella seconda metá del XIX secolo mostrarono come con il criterio di Galileo si sovrastimasse la resistenza del materiale a tensioni tangenziali. Ció ha portato alla formulazione del primo vero criterio di sicurezza moderno, quello di Tresca.

188 178 CAPITOLO 9. I CRITERI DI SICUREZZA 9.2 Il criterio di Tresca Il criterio di Tresca, o della Tensione tangenziale massima ipotizza che il collasso del materiale avvenga per raggiungimento della massima tensione tangenziale, ovvero: τ max max{ σ 1 σ 2 2, σ 1 σ 3 2, σ 2 σ 3 } k ; (9.10) 2 in uno stato monoassiale, con σ 1 = σ 2 = 0, il collasso del materiale avverrá per σ 3 = σ s, e pertanto la condizione limite di sicurezza sará: σ 3 = σ adm. Poiché in questo caso τ max = σ adm 2 k, (9.11) la (9.10) diviene: max{ σ 1 σ 2, σ 1 σ 3, σ 2 σ 3 } σ adm ; (9.12) La (9.12) é una superficie a 6 falde piane, simmetrica rispetto alle variabili: inoltre poiché uno sforzo sferico T = σi implica τ max 0, i piani saranno paralleli alla retta σ 1 = σ 2 = σ 3. La superficie ammissibile associata al criterio di Tresca é pertanto un cilindro esagonale regolare avente direttrice parallela all asse dei tensori sferici: la sua intersezione con il piano dei deviatorici é un esagono regolare detto esagono di Tresca. Se consideriamo uno stato biassiale con, ad esempio, σ 3 = 0, il criterio di Tresca si riduce a: max{ σ 1 σ 2, σ 1, σ 2 } σ adm, (9.13) e nel piano delle tensioni principali (σ 1, σ 2 ) il dominio ammissibile é un esagono non regolare la cui frontiera intersezione della superficie ammissibile con il piano σ 3 = 0.

189 9.3. IL CRITERIO DI HUBER-VON MISES 179 σ 1 = σ 2 σ 2 σ 1 = σ 2 σ adm σ adm σ adm σ adm σ 1 Fig Il criterio di Tresca per uno stato biassiale 9.3 Il criterio di Huber-Von Mises Il criterio di Huber-Von Mises, o della Massima energia di distorsione ipotizza che il collasso del materiale avvenga per raggiungimento della massima energia associata alle variazioni di forma, ovvero, per la (4.41) 2 : dev T k ; (9.14) poiché il criterio non dipende esplicitamente da sph T, la superficie ammissibile sará un cilindro con la direttrice parallela all asse dei tensori sferici: inoltre la condizione (9.14) implica che la sua intersezione con il piano dei deviatorici sia una circonferenza di raggio k e pertanto la superficie sará un cilindro a sezione circolare. Poiché: e di conseguenza: [dev T] 1 3 si ha dalla (9.14): [sph T] σ 1 + σ 2 + σ , 2σ 1 σ 2 σ σ 2 σ 1 σ σ 3 σ 1 σ 2 1 (2σ1 σ 2 σ 3 ) (2σ 2 σ 1 σ 3 ) 2 + (2σ 3 σ 1 σ 2 ) 2 k,,

190 180 CAPITOLO 9. I CRITERI DI SICUREZZA ovvero: 1 6(σ σ2 2 + σ2 3 σ 1σ 2 σ 1 σ 3 σ 2 σ 3 ) k. (9.15) in uno stato monoassiale, con σ 1 = σ 2 = 0, la condizione ammissibile sará data dalla σ 3 = σ adm, e dalla (9.15) avremo: k = Sostituendo nella (9.15) si arriva alla 6 3 σ adm. σ σ2 2 + σ2 3 σ 1σ 2 σ 1 σ 3 σ 2 σ 3 σ adm. (9.16) σ 3 σ 1 σ 2 Fig. 9.3 La superficie ammissibile di Huber-Von Mises Se consideriamo uno stato biassiale con, ad esempio, σ 3 = 0, il criterio di Huber-Von Mises si riduce a: σ σ2 2 σ 1σ 2 σ adm. (9.17)

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