8. Interazione puntuale

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1 8. Interazione puntuale 8. Hamiltoniana e spettro. 8.2 Espansione in autofunzioni. 8.3 Evoluzione asintotica per t ±. 8.4 Problema della diffusione in meccanica quantistica. 8.5 Applicazione all interazione puntuale. 8.6 Il caso di due interazioni puntuali. 8.7 Appendice: Estensioni autoaggiunte di A. 8.8 Appendice: Completezza delle autofunzioni generalizzate. 8. Hamiltoniana e spettro In questo capitolo studiamo la dinamica di una particella in dimensione uno soggetta ad una interazione puntuale, cioè ad un potenziale che ha la forma di una delta di Dirac. Il motivo di questa scelta è che si tratta di un caso relativamente semplice da trattare e tuttavia non banale, nel senso che la dinamica riproduce le proprietà essenziali tipiche della dinamica in dimensione uno nel caso generale, quando l interazione è descritta da un generico potenziale V (x) che tende a zero per x. Formalmente l hamiltoniana si scrive H = 2 2m + αδ (8.) dove δ è la misura di Dirac posta per semplicità nell origine e α R è una costante di accoppiamento. Dal punto di vista fisico le interazioni puntuali si introducono per modellizzare situazioni in cui una particella è soggetta ad una forza molto intensa e con un range molto piccolo (rispetto alla lunghezza d onda tipica della particella). Un esempio tipico, studiato da Fermi nel 936, è quello dei neutroni lenti interagenti con i nuclei di una sostanza condensata. Dal punto di vista matematico, il primo problema da affrontare è dare un significato all espressione formale (8.) come operatore autoaggiunto in L 2 (R). In questo paragrafo risolveremo tale problema procedendo in due passi successivi: i) prima daremo una definizione ragionevole di cosa si intende per hamiltoniana con interazione puntuale; ii) quindi costruiremo esplicitamente la famiglia di operatori autoaggiunti che soddisfa la definizione data. Per dare una buona definizione partiamo dalla osservazione seguente. Una delta di Dirac posta nell origine ha effetto solo su funzioni che sono diverse da zero nell origine; quindi una hamiltoniana con interazione puntuale nell origine deve ridursi all hamiltoniana libera quando è applicata a funzioni regolari che si annullano nell origine.

2 Questo suggerisce di considerare l operatore A, D(A ) in L 2 (R) definito da A = 2 2m, D(A ) = {u L 2 (R) u H 2 (R), u() = } (8.2) Si verifica facilmente che l operatore (8.2) è simmetrico ma non autoaggiunto e che una sua estensione autoaggiunta è l hamiltoniana libera. Risulta dunque naturale pensare che ogni altra eventuale estensione autoaggiunta deve descrivere una interazione concentrata solo nell origine. Diamo allora la seguente definizione. Definizione 8... Si dice hamiltoniana con interazione puntuale nell origine una qualunque estensione autoaggiunta in L 2 (R) di (8.2), diversa dall hamiltoniana libera H. Consideriamo ora il secondo passo. La strategia consiste nel costruire esplicitamente l aggiunto A, verificare che A non è simmetrico e quindi caratterizzare tutte le restrizioni autoaggiunte di A diverse dall hamiltoniana libera. Ciascuna di tali restrizioni sarà dunque una hamiltoniana con interazione puntuale. Per formulare questo risultato e definire dominio e azione di tale hamiltoniana è conveniente utilizzare la funzione G λ, λ >, trovata nel capitolo precedente come nucleo integrale del risolvente libero R ( λ) e la sua trasformata di Fourier G λ (x) = 2m e 2m λ x 2 λ (8.3) G λ (k) = 2 k 2 2m + λ (8.4) Si noti che G λ appartiene a H (R) ma non a H 2 (R) (verificare). Denoteremo anche con G z il nucleo integrale di R (z). Definiamo allora il seguente operatore Definizione { D(H α )= u L 2 (R) u = w λ + q G λ, w λ H 2 (R), w λ () = ( α + G λ () ) } q (8.5) (H α + λ)u = (H + λ)w λ (8.6) dove λ è un qualunque numero positivo. Osserviamo che la definizione 8..2 non dipende dalla scelta del parametro λ > (verificare). Nella proposizione seguente dimostriamo che H α, D(H α ) rappresenta l hamiltoniana con interazione puntuale. 2

3 Proposizione L operatore H α, D(H α ) è autoaggiunto e definisce l hamiltoniana con interazione puntuale nell origine e intensità α R. Inoltre il risolvente R α (z), con Iz, si scrive α ( R α (z) = R (z) G z, ) G z (8.7) + α G z () Dimostrazione Si verifica facilmente che l operatore (8.5), (8.6) è una estensione di A. Facciamo vedere che si tratta di un operatore simmetrico. Se u, u 2 D(H α ) si ha ((H α + λ)u, u 2 ) = ((H + λ)w λ, w 2 + q 2 G λ ) = ((H + λ)w λ, w λ 2 ) + q 2 ((H + λ)w λ, G λ ) = (w λ, (H + λ)w λ 2 ) + q 2 ((H + λ)w λ, G λ ) = (u q G λ, (H + λ)w λ 2 ) + q 2 ((H + λ)w λ, G λ ) = (u, (H α + λ)u 2 ) q (G λ, (H + λ)w λ 2 ) + q 2 ((H + λ)w λ, G λ ) (8.8) Osserviamo ora che per j =, 2 risulta (G λ, (H +λ)wj λ ) = ((H +λ)wj λ, Gλ ) = dk w j λ (k) = wj λ () = ( α + G λ () ) q j (8.9) Sostituendo in (8.8) si dimostra la simmetria. Per dimostrare che l operatore (8.5), (8.6) è autoaggiunto utilizziamo il criterio di autoaggiuntezza. Fissata f L 2 (R), dobbiamo allora trovare u = w λ + q G λ D(H α ) tale che (H α z)u = f, con Iz. Tenuto conto di (8.6), l equazione si scrive (H z)w λ (z + λ)q G λ = f (8.) Siccome q = α +α G λ () wλ (), il problema è ridotto a trovare w λ H 2 (R) soluzione dell equazione (H z)w λ α + (λ + z) + α G λ () wλ () G λ = f (8.) Applicando il risolvente libero R (z) si ottiene w λ α = R (z)f (λ + z) + α G λ () wλ ()R (z)g λ (8.2) Da (8.2) si vede che w λ è determinata dal suo valore nell origine. Riscriviamo la (8.2) usando la prima identità di risolvente (z + λ)r (z)r ( λ) = R (z) R ( λ) w λ = R (z)f 3 α + α G λ () wλ () ( G z G λ) (8.3)

4 Valutando questa equazione nell origine si trova w λ () = ( + αgλ ())(R (z)f)() + αg z () (8.4) Sostituendo in (8.3) si ottiene w λ H 2 (R) e quindi u = w λ + qg λ D(H α ). Abbiamo così provato che H α è una estensione autoaggiunta di A. Resta da far vedere che se  è una estensione autoaggiunta di A allora esiste α R tale che  = H α. La dimostrazione di questo fatto è riportata in appendice. Per verificare infine la (8.7) basta osservare che la soluzione di (H α z)u = f trovata prima si scrive esplicitamente u = R (z)f α + αg z () (R (z)f)()g z R α (z)f (8.5) Osservazione i) Il generico elemento del dominio (8.5) si scrive come somma di un termine regolare w λ H 2 (R) e un termine più singolare q G λ H (R). Inoltre la relazione che lega q e w λ () in (8.5) va interpretata come la condizione al bordo che un elemento u del dominio soddisfa nell origine. Si noti che q = 2 [ u ( + ) u ( ) ], 2m 2m w λ () = u() q 2 λ (8.6) e quindi la relazione scritta in termini di u diventa u ( + ) u ( ) = 2mα 2 u() (8.7) ii) Si osservi che per α = si riottiene l hamiltoniana libera. iii) L azione dell hamiltoniana (8.6) si può riscrivere equivalentemente come Siccome per x si ha (H G λ )(x) = λ G λ (x) allora risulta H α u = H (u q G λ ) λ q G λ (8.8) (H α u)(x) = (H u)(x), per x (8.9) 4

5 iv) Sfruttando la (8.9) e integrando per parti, il valore medio dell hamiltoniana si scrive (u, H α u) = lim dx ū(x)(h u)(x) ε x >ε = 2 2m dx u (x) m lim (ū(ε)u (ε) ū( ε)u ( ε) ) = 2 ε 2m dx u (x) 2 + α u() 2 (8.2) Si noti che l espressione trovata coincide con il valore medio che si calcola direttamente con l hamiltoniana formale (8.). Nella proposizione seguente caratterizziamo lo spettro dell hamiltoniana H α. Proposizione Per α > si ha σ(h α ) = σ c (H α ) = [, + ) (8.2) mentre per α < si ha } σ(h α ) = σ p (H α ) σ c (H α ) = { mα2 [, + ) (8.22) 2 2 e l unica autofunzione associata all unico autovalore E = λ = mα2 è data da 2 2 m α Ψ (x) = e m α 2 x q G λ m α 3 (x), q = (8.23) Dimostrazione Dalla (8.7) si vede che la differenza tra il risolvente di H α e il risolvente libero è un operatore di rango uno e quindi certamente compatto. Applicando il teorema di Weyl si ottiene allora σ ess (H α ) = σ ess (H ) = [, + ) (8.24) Facciamo ora vedere che non esistono autovalori positivi. Supponiamo per assurdo che esistano E > e ψ D(H α ), con ψ non nullo, tali che H α ψ = E ψ. Allora deve risultare ( ψ)(x) = 2mE 2 ψ(x), per x (8.25) D altra parte ogni soluzione dell equazione (8.25) per x > e per x < ha la forma C ± e i 2mE x + C 2 ± e i 2mE x (8.26) 5

6 Per avere ψ L 2 (R) deve risultare C ± = C ± 2 = e quindi l autofunzione ψ deve coincidere con il vettore nullo di L 2 (R). Questo vuol dire che non ci sono autovalori positivi. Allo stesso modo si prova che lo zero non è autovalore. Sia ora α >. Dall espressione (8.2) discende che non esistono autovalori negativi e quindi la (8.2) è provata. Consideriamo infine il caso α < e determiniamo gli eventuali autovalori negativi e i corrispondenti autovettori. Si tratta di risolvere il problema H α ψ = Eψ, E <, ψ D(H α ), ψ = (8.27) Posto E = λ e ψ = w λ +qg λ, si ha che se ψ è soluzione di (H α +λ)ψ = allora (H +λ)w λ = e quindi w λ =. Quindi la soluzione deve avere la forma ψ = qg λ, con = (α + G λ ())q (8.28) Si ottiene dunque una soluzione non nulla se e solo se G λ () = α, cioè se λ = mα 2 /2 2. Infine la costante q si determina imponendo la condizione di normalizzazione. Esercizio Dimostrare la proposizione precedente senza fare uso del teorema di Weyl. Osservazione Nel prossimo paragrafo proveremo la ulteriore proprietà σ sing (H α ) =, cosicchè lo spettro continuo di H α risulta tutto assolutamente continuo. Esercizio Si consideri in L 2 (R) l hamiltoniana H α,β = H + α(g β, )g β, α R, β > (8.29) dove g β (x) = β g(β x) e g L 2 (R) L (R) è una funzione reale, positiva con dx g(x) = (il termine di interazione nell hamiltoniana si dice potenziale separabile). Verificare che l operatore H α,β è autoaggiunto su D(H ) e calcolare il risolvente. Esercizio Verificare che (H α,β z) (H α z) per β e Iz. Esercizio 8... Determinare eventuali autovalori e autovettori di H α,β e studiarne il limite per β. 6

7 8.2 Espansione in autofunzioni In questo paragrafo determineremo esplicitamente le autofunzioni generalizzate associate allo spettro continuo di H α. Il calcolo sarà fatto in modo euristico partendo dalla hamiltoniana formale (8.). Il passo successivo sarà mostrare che tali autofunzioni generalizzate, insieme con l eventuale autofunzione propria, definiscono una trasformazione unitaria ed inoltre che tale trasformazione diagonalizza effettivamente l hamiltoniana H α. In altri termini otterremo l espansione in autofunzioni di H α. Tale espansione è particolarmente utile per lo studio della dinamica in quanto fornisce una rappresentazione esplicita del gruppo unitario definito da H α. Il primo punto è determinare le soluzioni limitate φ dell equazione formale per E. Posto l equazione (8.3) diventa 2 2m φ + α δ φ = E φ (8.3) α = 2mα 2, k2 = 2mE 2. (8.3) φ k 2 φ = α δ φ (8.32) Se ora riguardiamo il membro di destra come un termine noto, la (8.32) si presenta come un equazione non omogenea; la soluzione sarà quindi data dalla soluzione e ikx della corrispondente equazione omogenea più un integrale particolare della non omogenea. Quest ultimo si dovrebbe ottenere invertendo l operatore k 2 e questa, però, è una operazione delicata perchè k 2 appartiene allo spettro di. Sostituiamo allora k 2 con k 2 ± iε, ε >, cosicchè si ottiene φ = e ikx + ( (k 2 ± iε) ) ( α δ φ) (8.33) Passiamo ora al limite ε. Sfruttando l espressione esplicita del nucleo di ( (k 2 ±iε)) trovata nel capitolo 5 otteniamo la seguente coppia di equazioni φ(x, k) = e ikx α dy e i k x y δ (y)φ(y, k) 2i k = e ikx α 2i k e i k x φ(, k). (8.34) Per risolvere la (8.34) basta valutarla in x = e ricavare φ ± (, k) = 7 2i k 2i k ± α (8.35)

8 Sostituendo in (8.34) otteniamo infine le soluzioni richieste dell equazione (8.3) φ + (x, k) = e ikx + R(k)e i k x, φ (x, k) = e ikx + R(k)e i k x φ + (x, k) (8.36) α R(k) = α + 2i k (8.37) Osservazione Le soluzioni trovate (8.36) sono, per ogni k R, funzioni continue, differenziabili per x e inoltre soddisfano φ(x, k) = k 2 φ(x, k), x (8.38) φ ( +, k) φ (, k) = 2mα 2 φ(, k) (8.39) Tuttavia esse non sono elementi di D(H α ) perchè non sono a quadrato integrabile. termini, si può dire che sono solo localmente nel dominio di H α. In altri Sfruttando le autofunzioni generalizzate (8.36) possiamo ora enunciare il teorema di espansione in autofunzioni per l hamiltoniana H α, nei due casi α > e α <. Proposizione i) Per ogni f L 2 (R) esiste il limite in L 2 (R) (W ± f) (k) = lim N y <N dy φ ± (y, k)f(y) ˆf ± (k) (8.4) ii) Sia α >. Allora l operatore W ± : L 2 (R) L 2 (R) è unitario con inverso ( W ± ĝ ) (x) = lim dk ĝ(k)φ ± (x, k), ĝ L 2 (R) (8.4) N k <N Inoltre si ha che u D(H α ) se e solo se dk k 2 û ± (k) 2 < e ( Hα u ) (x) = lim dk 2 k 2 N 2m û±(k) φ ± (x, k) (8.42) k <N iii) Sia α <. Allora l operatore U ± : L 2 (R) L 2 (R) C definito da U ± f = { ˆf±, ˆf }, con ˆf = (Ψ, f), è unitario con inverso ( {ĝ, }) U ± ĝ (x) = lim dk ĝ(k)φ ± (x, k) + ĝ Ψ (x), N k <N ĝ L 2 (R), ĝ C (8.43) 8

9 Inoltre si ha che u D(H α ) se e solo se dk k 2 û ± (k) 2 < e ( Hα u ) (x) = lim dk 2 k 2 N 2m û±(k) φ ± (x, k) + E û Ψ (x) (8.44) k <N Dimostrazione Il punto i) e il fatto che per α > l operatore W ± è unitario vengono provati in appendice. La dimostrazione che per α < l operatore U ± è unitario viene lasciata come esercizio. Facciamo ora vedere che per α > l operatore unitario W ± riduce l hamiltoniana H α ad un operatore di moltiplicazione per 2 k 2. Se u D(H 2m α) si ha ( W± H α u ) (k)= dy φ ± (y, k)(h α u)(y) = lim dy φ ± (y, k)(h u)(y) (8.45) ε y >ε Integrando due volte per parti e usando (8.38), (8.39), (8.7) si ottiene ( W± H α u ) (k)= lim dy (H φ ± )(y, k)u(y) ε y >ε + 2 2m lim ( φ ± ( ε, k)u( ε) φ ± ( ε, k)u ( ε) φ ±(ε, k)u(ε)+φ ± (ε, k)u (ε) ) ε = 2 k 2 [ dy φ ± (y, k)u(y) + 2 (φ 2m 2m ± (, k) φ ±( +, k) ) u()+φ ± (, k) ( u ( + ) u ( ) )] = 2 k 2 2m û±(k) (8.46) Infine il fatto che nel caso α < l operatore unitario U ± riduce H α a operatore di moltiplicazione si prova in modo del tutto analogo (verificare) e quindi la proposizione è provata. Osservazione Si noti che per α = la (8.4) si riduce alla trasformata di Fourier e per questo motivo le funzioni ˆf ± si dicono anche trasformate generalizzate di f. Ricordiamo inoltre che, siccome W ±, nel caso α >, e U ±, nel caso α <, sono unitari, allora in particolare si ha f 2 = W ± f 2 = dk ˆf ± (k) 2, per α > (8.47) f 2 = U ± f 2 = dk ˆf ± (k) 2 + ˆf 2, per α < (8.48) osservazione su W 9

10 L espansione in autofunzioni di H α ottenuta nella proposizione precedente consente di costruire la famiglia spettrale e la misura spettrale associate a H α. Infatti, se α >, f L 2 (R) e u D(H α ), usando il teorema di espansione in autofunzioni si ha (verificare) (f, H α u) = dk 2 k 2 2m ˆf + (k)û + (k) [ ( ) ( ) ( ) ( )] 2m χ (, ) (λ) 2mλ 2mλ = dλ λ 2 ˆf + û + + λ ˆf 2mλ 2mλ + û + Quindi la famiglia spettrale è definita da (8.49) (E α (λ)f, u) = χ (, ) (λ) λ ds 2m 2 s [ ( ) ( ) ( ) ( )] 2ms 2ms ˆf + û + + ˆf 2ms 2ms + û + (8.5) da cui ( ) (E 2 k 2 α (λ)f) + (k) = χ (,λ] 2m Infine si ricava la misura spettrale 2m m f χ (, ) (λ) ( ) α(ω) = dλ 2 λ ˆf 2mλ + Ω 2 ˆf + (k) (8.5) ( ) + ˆf 2mλ 2 + (8.52) Si vede così che la misura spettrale è concentrata sul semiasse reale positivo ed è assolutamente continua. In particolare questo implica che lo spettro singolare continuo è vuoto. Analogamente, per α < si ha 2m m f χ (, ) (λ) ( ) α(ω) = dλ 2 λ ˆf 2mλ 2 ( ) + + ˆf 2mλ χ Ω (E ) ˆf 2 (8.53) Ω e dunque la misura spettrale ha una parte assolutamente continua concentrata sul semiasse positivo e una parte puntuale concentrata sull autovalore negativo E. Anche in questo caso risulta che lo spettro singolare continuo è vuoto.

11 In conclusione del paragrafo accenniamo brevemente al calcolo delle autofunzioni generalizzate nel caso in cui l interazione è definita da un arbitrario potenziale V (x) sufficientemente regolare, diciamo continuo tranne che in un numero finito di punti dove ha discontinuità di prima specie, e che tende a zero per x. Si tratta di trovare soluzioni dell equazione 2 φ + V (x)φ = Eφ, E (8.54) 2m che siano limitate e di classe C (si noti che dall equazione (8.54) risulta che la derivata seconda della soluzione è necessariamente discontinua nei punti di discontinuità del potenziale). 2mV (x) Posto U(x) =, k 2 = 2mE e procedendo come prima, il problema si riduce equivalentemente a risolvere la seguente equazione 2 2 integrale φ ± (x, k) = e ikx dy e i k x y U(y)φ ± (y, k) (8.55) ±2i k detta equazione di Lippmann-Schwinger. Lo studio delle equazioni (8.54) o (8.55) è, in generale, un problema non banale. Tuttavia in alcuni casi semplici la soluzione si può determinare in maniera esplicita, come per esempio nel caso della barriera di potenziale V (x) = V χ (,a) (x), dove V, a > e χ (,a) (x) è la funzione caratteristica di (, a) (verificare). Una volta trovate le autofunzioni generalizzate e le eventuali autofunzioni proprie associate ad autovalori negativi, è possibile infine provare un teorema di espansione in autofunzioni per l hamiltoniana del tutto analogo a quello del caso di interazione puntuale. 8.3 Evoluzione asintotica per t ± In questo paragrafo useremo la rappresentazione esplicita dell evoluzione e i t Hα ψ, con ψ L 2 (R), per studiarne il comportamento per tempi grandi. Consideriamo prima il caso α >. Posto ˆψ,+ = W + ψ, la soluzione dell equazione di Schrödinger si scrive ψ t (x) = = = ) (e i t Hα ψ (x) = k2 it dke 2m +ikx ˆψ,+ (k) + ) (e i t H F W + ψ (x) + k2 it dke 2m ˆψ,+ (k)φ + (x, k) k2 it dke 2m i k x R(k) ˆψ,+ (k) k2 it dke 2m i k x R(k) ˆψ,+ (k) (8.56)

12 Da (8.56) si vede dunque che la soluzione al tempo t si può rappresentare come la somma di due termini di cui il primo è l evoluzione libera del dato F W + ψ. Nella proposizione seguente facciamo vedere che tale termine è l unico che sopravvive nel limite t +. Proposizione Se α > allora per ogni ψ L 2 (R) si ha lim e i t Hα ψ e i t H F W + ψ = (8.57) t + Dimostrazione Consideriamo un dato iniziale molto regolare f S(R) e denotiamo con B f (, t) la differenza e i t Hα f e i t H F W + f. Come primo passo dimostriamo che B f (, t) tende a zero per t +. Facendo uso di (8.56) con dato iniziale f, si ha B f (x, t) = ( ( dk e i t k2 2m )R(k) +k x ˆf+ (k) + ˆf ) + ( k) ( dk e i dove la funzione g : [, ) C si scrive 2 g(k) = π R(k) dyf(y) cos ky + La funzione g soddisfa le seguenti proprietà (verificare): (p ) g è almeno di classe C 2 ; (p 2 ) g() = ; (p 3 ) lim k g(k) = ; (p 4 ) g e g sono integrabili. 2 π R(k) 2 t k2 2m )g(k) +k x (8.58) dyf(y)e ik y (8.59) Facendo uso di tali proprietà, vogliamo ora stimare B f (, t). Come si vede, B f (x, t) è rappresentato da un integrale di una funzione che contiene un fattore esponenziale con una fase oscillante. Dunque, parlando grossolanamente, il motivo per cui B f (x, t) va a zero per t + è che per t grande le oscillazioni diventano sempre più rapide e questo fa si che i contributi positivi e negativi all integrale tendono a compensarsi. D altra parte, se stimiamo B f (x, t) maggiorando direttamente il modulo dell integrale con l integrale del modulo perdiamo l informazione sull oscillazione della fase e troviamo la stima B f (x, t) < cost. che non serve ai nostri scopi. Il metodo standard che si usa allora in questi casi per sfruttare l oscillazione della fase si basa su una opportuna integrazione per parti che consente di recuperare fattori di convergenza in x 2

13 e t. Seguendo questa idea, fissiamo x, t > e integriamo per parti in (8.58) B f (x, t) = ( ) d t dk e i( 2m k2 +k x ) g(k) dk i ( t k + x ) m = i ( ) [ t dke i( 2m k2 +k x ) d g(k) t dk k + x + i t e i( 2m k2 +k x ) g(k) m t k + x m ] k= k= (8.6) Osserviamo che, per le proprietà (p 2 ), (p 3 ), i termini di bordo in (8.6) si annullano. Possiamo quindi scrivere dx B f (x, t) 2 = ( ) t dx dke i( 2m k2 +k x ) d g(k) 2 t dk = m π t = m π t k + x m ( ) d g(k) 2 dx dk t dk k + x = m ( ) dz dk d g(k) 2 π t m dk k + z ( ) dz dk ( + z) d g(k) 2 ( + z) 2 dk k + z ( dz dk + z ) 2 ( + z) 2 (k + z) (k + 2 z)g (k) g(k) (8.6) Facciamo ora vedere che l ultimo integrale nella variabile k in (8.4) è stimato da una costante indipendente da z. Per questo è comodo separare la regione di integrazione nelle due regioni: a) k, b) k >. Nel caso a), sviluppando con la formula di Taylor e usando (p 2 ) si ha Sfruttando la maggiorazione +z dk (k + z)g (k) g(k) z g () + k(z + 2k) sup g (k) (8.62) k [,] k+z k, valida per < k, risulta + z (k + z) 2 (k + z)g (k) g(k) z(+z) g () g () + 2 sup g (k) k [,] Per quanto riguarda il caso b), tenuto conto che +z dk + z (z + k) 2 g (k)(k + z) g(k) ( + z) k+z dk (z + k) + sup g (k) 2 k [,] per k, si ha dk g (k) k + z + ( + z) dk z + 2k z + k dk g(k) (k + z) 2 (8.63) dk ( g (k) + g(k) ) (8.64) 3

14 dove l ultimo integrale è finito in virtù di (p 4 ). Tenendo conto ora delle stime ottenute nei casi a) e b) in (8.4) otteniamo la stima richiesta di B f (, t) B f (, t) c f t (8.65) con c f costante positiva che dipende dal dato iniziale f. Consideriamo ora un dato iniziale ψ L 2 (R). Dato un arbitrario ε >, fissiamo f S(R) tale che ψ f ε 3 e fissiamo inoltre t = 9 c 2 f ε 2. Usando (8.65), per t > t risulta allora e i t Hα ψ e i t H F W + ψ = e i t Hα (ψ f) + e i t H F W + (f ψ ) + e i t Hα f e i t H F W + f e i t Hα (ψ f) + e i t H F W + (f ψ ) + B f (, t) 2 ψ f + c f t ε (8.66) e quindi la proposizione è dimostrata. Notiamo che, seguendo la stessa linea di dimostrazione, si prova che anche per t l evoluzione e i t Hα ψ si riduce ad una evoluzione libera. In particolare si dimostra (verificare) lim e i t Hα ψ e i t H F W ψ = (8.67) t La proposizione appena provata consente di mostrare che, così come nel caso libero, anche nel caso della dinamica generata da H α, con α >, tutti gli stati sono di diffusione. In altri termini, per ogni ψ L 2 (R) e per ogni R > si ha ) (e i t Hα ψ lim t ± x <R dx (x) 2 = (8.68) La dimostrazione si fa in analogia al caso libero ed è diretta conseguenza di (8.57), (8.67) (verificare). 4

15 Consideriamo ora il caso α <. La soluzione dell equazione di Schrödinger per ogni dato iniziale ψ L 2 (R) si scrive ) ψ t (x) = (e i t Hα ψ (x) = k2 it dke 2m ˆψ,+ (k)φ + (x, k) + e i t E ˆψ, Ψ (x) (8.69) dove ˆψ,+ = W + ψ e ˆψ, = (Ψ, ψ ). Si noti che, a causa della presenza dell ultimo termine in (8.69), in generale non si può avere l andamento asintotico per tempi grandi espresso dalla proposizione precedente. Più precisamente possiamo affermare che il risultato vale solo se si sceglie un dato iniziale tale che ˆψ, = (Ψ, ψ ) =. Questo suggerisce di decomporre lo spazio di Hilbert L 2 (R) nella maniera seguente L 2 (R) = H d H b, (8.7) H d = {f L 2 (R) (Ψ, f) = }, H b = {f L 2 (R) W + f = } = {Ψ } (8.7) Il sottospazio H d è dunque costituito dagli stati di diffusione, per i quali cioè vale la (8.68). Il sottospazio unidimensionale H b è invece costituito dall unico stato legato Ψ del sistema, per il quale cioè risulta ) lim sup dx (e i t Hα Ψ (x) 2 = lim dx Ψ (x) 2 = (8.72) R t R x >R x >R Esercizio Una particella soggetta a interazione puntuale attrattiva è nel suo stato legato a t =. Una perturbazione esterna spegne l interazione nell intervallo di tempo (, T ). Calcolare la probabilità di ionizzazione per t > T. Determinare l andamento per T e per T. In conclusione osserviamo che nel caso in cui l interazione sia definita da un generico potenziale V (x) regolare e che tende a zero per x valgono relazioni analoghe a (8.57), (8.67). La linea della dimostrazione ricalca quella della proposizione precedente anche se naturalmente presenta qualche difficoltà tecnica per il fatto che non è nota la forma esplicita delle autofunzioni generalizzate. 8.4 Problema della diffusione in meccanica quantistica Prima di procedere oltre nello studio dell interazione puntuale, in questo paragrafo vogliamo dare un breve cenno alle nozioni di base della teoria della diffusione (scattering in inglese) in 5

16 meccanica quantistica, rimandando per una trattazione dettagliata a [RSIII], [T]. Nel prossimo paragrafo applicheremo tali nozioni al caso specifico dell interazione puntuale Introduzione al problema Cominciamo descrivendo un esperimento di diffusione nella sua forma più semplice. Consideriamo una particella lanciata da grande distanza verso un bersaglio fisso nel laboratorio. Inizialmente la particella non sente l azione del bersaglio e si muove quindi di moto libero. A mano a mano che si avvicina al bersaglio, la particella comincia a sentire l interazione; l evoluzione quindi è sostanzialmente diversa da quella libera e tale rimane fino a quando la particella si muove nelle vicinanze del bersaglio. Infine la particella si allontana dal bersaglio e, dopo un tempo sufficientemente lungo, il suo moto diviene di nuovo un moto libero che, in generale, sarà diverso da quello iniziale. Un esperimento di diffusione consiste quindi nel determinare il moto libero finale (cioè dopo l interazione col bersaglio) per un assegnato moto libero iniziale (cioè prima dell interazione col bersaglio). In particolare ci limitiamo a considerare il caso in cui l energia cinetica del moto libero finale è uguale a quella del moto libero iniziale (diffusione elastica). Passiamo ora a formulare un modello matematico che descriva un tale esperimento di diffusione. Le due ipotesi alla base del modello sono le seguenti. i) Il bersaglio è un sistema fisico il cui stato non è influenzato dalla particella e la cui azione sulla particella è descritta da un potenziale V (x) che decade rapidamente a zero per x. ii) Il moto della particella è descritto dall equazione di Schrödinger. Da tali ipotesi discende dunque che lo stato della particella al tempo t è descritto da ψ t = e i t H ψ, H = H + V (x), H = 2 2m (8.73) dove ψ L 2 (R d ) è il dato iniziale e d denota la dimensione dello spazio. Per quanto detto sopra, la descrizione matematica di un esperimento di diffusione si basa sostanzialmente sullo studio delle soluzioni dell equazione di Schrödinger (8.73) che si riducono ad una evoluzione libera per t (cioè molto prima dell interazione con il bersaglio) e per t + (cioè molto dopo l interazione con il bersaglio). Nel seguito discuteremo brevemente i passi successivi da compiere per arrivare a tale descrizione Stati asintoticamente liberi e operatori d onda Il primo passo consiste nel caratterizzare le soluzioni dell equazione di Schrödinger che per tempi grandi si riducono ad una evoluzione libera. A questo scopo diamo la seguente definizione. 6

17 Definizione Lo stato ψ L 2 (R d ) si dice asintoticamente libero per t + se esiste f L 2 (R d ) tale che lim e i t H ψ e i t H f = (8.74) t + Analogamente si definisce uno stato asintoticamente libero per t. L insieme degli stati asintoticamente liberi per t e t + si denota con H in e H out rispettivamente. Naturalmente non tutti gli stati sono asintoticamente liberi. Per esempio ogni autovettore di H con autovalore negativo non è certamente asintoticamente libero. Il primo problema matematico è dunque dimostrare l esistenza di stati asintoticamente liberi. In altri termini occorre provare che, assegnata f L 2 (R d ), esiste ψ L 2 (R d ) tale che vale (8.74). Parlando grossolanamente, si tratta di risolvere il problema di Cauchy per l equazione di Schrödinger con dato iniziale assegnato a t = + (oppure a t = ). Usando il fatto che l operatore di evoluzione temporale è unitario, la (8.74) è equivalente a lim ψ t t + ei H e i t H f = (8.75) Quindi il problema si può riformulare così: per ogni f L 2 (R d ), provare che esiste il limite in L 2 (R d ) per t + di e i t H e i t H f. Questo suggerisce la seguente altra importante definizione. Definizione Si dice operatore d onda Ω + l operatore lineare definito da Ω + f = lim t + ei t H e i t H f (8.76) per ogni f L 2 (R n ). Analogamente si definisce l operatore d onda Ω. Si noti che risulta H in = Ran Ω, H out = Ran Ω + (8.77) In definitiva, provare l esistenza degli stati asintoticamente liberi equivale a provare l esistenza degli operatori d onda. Se il potenziale V (x) soddisfa opportune ipotesi di regolarità e decadimento all infinito allora si dimostra effettivamente che gli operatori d onda esistono. Per esempio, in dimensione tre una condizione sufficiente è V L 2 (R 3 ). Gli operatori d onda soddisfano alcune importanti proprietà: i) Gli operatori Ω ± sono isometrici. Quindi risulta Ω ±Ω ± = I, Ran Ω ± sono due sottospazi chiusi di L 2 (R d ) e Ω ± Ω ± = P ±, dove P ± denotano gli operatori di proiezione ortogonale su Ran Ω ±. Equivalentemente, si ha Ω ± RanΩ± = Ω ± e Ω ± (RanΩ± ) =. 7

18 D altra parte, in generale, Ran Ω ± L 2 (R d ) e quindi gli operatori d onda non sono, in generale, unitari in L 2 (R d ). ii) Vale la proprietà di intrallacciamento (interwining in inglese), cioè Ω ± = e i t H Ω ± e i t H. Infatti, fissati s, t e f L 2 (R), risulta e i s+t H s+t i e H f = e i t H e i s H e i s H e i t H f. Passando al limite s si ottiene la proprietà per Ω +. Analogamente si procede per Ω. Risulta inoltre che se f D(H ) allora Ω ± f D(H) e HΩ ± f = Ω ± H f (verificare). iii) Ran Ω ± sono sottospazi invarianti per l azione del gruppo e i t H. Infatti, se ψ Ran Ω allora esiste f L 2 (R) tale che ψ = Ω f e si ha e i t H ψ = e i t H Ω f = Ω e i t H f Ran Ω. Analogamente si procede per Ω Completezza asintotica e operatore di diffusione Una volta provata l esistenza degli operatori d onda si può affrontare il problema centrale della teoria della diffusione: per ogni evoluzione libera assegnata per t (cioè prima dell interazione con il bersaglio) determinare l evoluzione libera risultante per t + (cioè dopo l interazione con il bersaglio). A questo scopo è importante le seguente altra definizione. Definizione Si dice che vale la condizione di completezza asintotica se risulta dove H b indica il sottospazio degli stati legati del sistema. Ran Ω = Ran Ω + = H b (8.78) La verifica che vale la condizione di completezza asintotica costituisce il secondo (e più difficile) problema matematico della teoria della diffusione. Si può dimostrare che una condizione sufficiente in dimensione tre è che V L (R 3 ) L 2 (R 3 ). Nel seguito facciamo vedere come, data l esistenza degli operatori d onda e la condizione di completezza asintotica, sia possibile risolvere il problema centrale della teoria della diffusione. Sia dunque assegnata f L 2 (R) e sia quindi e i t H f il moto libero assegnato per t. Sfruttando l esistenza di Ω, possiamo costruire la soluzione dell equazione di Schrödinger e i t H Ω f che per t si riduce al moto libero assegnato, cioè tale che lim t t e i H Ω f e i t H f = (8.79) Il problema è dunque caratterizzare l andamento asintotico dell evoluzione e i t H Ω f per t +. Usando la completezza asintotica, sappiamo che Ω f Ran Ω + e quindi esiste g L 2 (R) 8

19 tale che Ω f = Ω + g. Inoltre, per definizione di Ω + risulta lim t + e i t H Ω f e i t H g = (8.8) In altri termini, in condizioni di completezza asintotica e i t H Ω f si riduce effettivamente per t + all evoluzione libera e i t H g, dove g è la soluzione dell equazione Ω + g = Ω f. Tenuto conto che l operatore inverso di Ω + è ben definito su Ran Ω +, possiamo scrivere g = Ω + Ω f Sf (8.8) L operatore S si dice operatore di diffusione, o anche matrice S, e la sua determinazione equivale a risolvere il problema della diffusione: se e i t H f è l evoluzione libera assegnata per t allora e i t H Sf è l evoluzione libera risultante per t +. L operatore S soddisfa alcune importanti proprietà. i) S è unitario. Infatti SS = Ω +Ω (Ω +Ω ) = Ω +Ω Ω Ω + = Ω +P Ω + = (Ω +P Ω + ) = (Ω +P + Ω + ) = (Ω +Ω + ) = I. Analogamente si verifica che S S = I. ii) [S, e i t H ] = Infatti S e i t H = Ω +Ω e i t H = Ω + e i t H Ω = (e i t H Ω + ) Ω = (Ω + e i t H ) Ω = e i t H Ω +Ω = e i t H S. Risulta inoltre che se f D(H ) allora Sf D(H ) e [S, H ]f = (verificare). iii) Se f D(H ) allora (Sf, H Sf). Infatti (f, H f) = (Sf, SH f) = (Sf, H Sf). Quest ultima proprietà esprime il fatto che le energie cinetiche dei moti liberi uscente e entrante coincidono e dunque la diffusione è elastica Teoria della diffusione stazionaria La semplice dimostrazione dell esistenza degli operatori d onda Ω ± e della matrice S non è naturalmente sufficiente per studiare le applicazioni del modello. Il passo ulteriore è trovare delle buone rappresentazioni di questi oggetti in termini delle autofunzioni generalizzate dell hamiltoniana H. Tali autofunzioni in alcuni casi semplici si possono determinare esplicitamente e, più in generale, si possono calcolare in modo perturbativo. Questo consente dunque di calcolare anche Ω ± e S, in modo esatto o perturbativamente. La parte di teoria che studia questo problema va sotto il nome di teoria della diffusione stazionaria. 9

20 6.4.5 Teorema della diffusione nei coni Vediamo infine come la conoscenza di S consenta di fare predizioni teoriche di dati sperimentali. Consideriamo per fissare le idee il caso tridimensionale e sia C un cono con vertice nell origine del sistema di riferimento; supponiamo quindi che lo sperimentatore prepari lo stato libero incidente e i t H f per t e misuri poi la probabilità che, per t +, la particella si trovi nel cono C. Denotiamo tale probabilità con P(f, C). Tenuto conto che la soluzione dell equazione di Schrödinger che per t si riduce a e i t H f si scrive e i t H Ω f, dalla regola di Born risulta ( ) P(f, C) = lim dx e i t H Ω f (x) 2 (8.82) t + C Nella proposizione seguente, nota come teorema della diffusione nei coni, si dimostra una formula che consente di calcolare P(f, C) in termini di S. Proposizione Per ogni f L 2 (R 3 ) si ha P(f, C) = dk Sf(k) 2 (8.83) C Dimostrazione Utilizzando il fatto che lim t + e i t H Ω f e i t H Sf =, facciamo vedere che in (8.82) si può sostituire e i t H Ω f con e i t H Sf. Posto u t e i t H Ω f e v t e i t H Sf, si ha dx u t (x) 2 dx v t (x) 2 = dx ū t (x)(u t (x) v t (x)) + dx (ū t (x) v t (x))v t (x) C C C C ( ) /2 ( ) /2 ( ) /2 ( ) /2 dx u t (x) 2 dx u t (x) v t (x) 2 + dx u t (x) v t (x) 2 dx v t (x) 2 C C ( u t + v t ) u t v t (8.84) Siccome u t = v t = e lim t + u t v t =, si ottiene ( ) P(f, C) = lim dx e i t H Sf (x) 2 (8.85) t + C Usando infine la forma asintotica per tempi grandi dell evoluzione libera si ha ( m ) 3 ( mx ) 2 P(f, C) = lim dx Sf = dk t + t t Sf(k) 2 (8.86) C C C C 2

21 Si verifica facilmente che la dimostrazione della proposizione procede allo stesso modo anche in dimensione due e uno. Nel primo caso i coni si riducono ad angoli con il vertice nell origine. In dimensione uno invece i coni possibili si riducono semplicemente al semiasse positivo R + e a quello negativo R. Quindi P(f, R + ) è la probabilità che, per t +, la particella si trovi sul semiasse positivo e P(f, R ) è la probabilità che, per t +, la particella si trovi sul semiasse negativo. Se si assegna un moto libero per t proveniente dal semiasse negativo con momento positivo allora P(f, R + ) rappresenta la probabilità di trasmissione e P(f, R ) la probabilità di riflessione. 8.5 Applicazione all interazione puntuale In questo paragrafo applichiamo le idee di base della teoria della diffusione esposte nel paragrafo precedente al caso specifico della interazione puntuale. Osserviamo anzitutto che dalla proposizione 8.3. segue facilmente l esistenza dell operatore d onda Ω +. Infatti, se per ogni f L 2 (R) definiamo ψ = W Si ottiene così lim e i t Hα e i t H f ψ t + = lim e i t H f e i t Hα ψ = lim t + In modo analogo si prova anche t + + Ff si ha e i t H F W + ψ e i t Hα ψ = (8.87) Ω +,α f = W + Ff (8.88) Ω,α f = W Ff (8.89) Le formule trovate dimostrano l esistenza degli operatori d onda e allo stesso tempo forniscono una rappresentazione esplicita di tali operatori in termini delle autofunzioni generalizzate di H α. Si vede inoltre che gli operatori d onda risultano unitari e Ran Ω ±,α = L 2 (R) quando α >. Quando invece α < gli operatori d onda risultano isometrici ma non unitari. Infatti si ha Ran Ω ±,α = H d, dove H d è il sottospazio degli stati di diffusione. Questo vuol dire che vale la condizione di completezza asintotica sia per α > che per α < e quindi si può costruire l operatore di diffusione S α S α f = Ω +,α Ω,α f = F W + W Ff (8.9) 2

22 oppure in trasformata di Fourier S α f = W + W f (8.9) Per calcolare la forma esplicita dell operatore di diffusione è conveniente utilizzare il seguente risultato tecnico. Proposizione Sia v : [, ) C continua, limitata e tale che Allora M lim M lim ε ds v(s) = a (8.92) ds e εs v(s) = a (8.93) Dimostrazione Integrando per parti si ha = ds e εs v(s) = lim M M ds e εs v(s) = lim M M s ds ε e εs dσ v(σ) = s ds ε e εs dσ v(σ) s/ε ds e s dσ v(σ) (8.94) Passando ora al limite per ε e usando la convergenza dominata si completa la dimostrazione. Facendo uso delle espressioni esplicite delle autofunzioni generalizzate e del risultato precedente, si trova la rappresentazione esplicita per S α. Proposizione Per ogni f L 2 (R) si ha ( Sα f) (k) = T (k) f(k) + R(k) f( k) (8.95) dove T (k) = + R(k) = 2i k α + 2i k (8.96) 22

23 Dimostrazione Basta dimostrare la (8.95) per f S(R). Facendo uso di (8.4) e (8.4) si ha ( ) Sf (k) = dy φ + (y, k) dq φ (y, q) f(q) = f(k) + A(k) + B(k) + C(k) (8.97) dove A(k) = R(k) B(k) = R(k) C(k) = dy e i k y dq f(q) e iqy (8.98) dy e i k y dq R(q) f(q) e i q y (8.99) dy e iky dq R(q) f(q) e i q y (8.) Notiamo che le funzioni A, B e C sono pari e quindi è sufficiente considerare il caso k >. Inoltre, per determinare tali funzioni, occorre prima regolarizzare l integrale nella variabile y in modo da potere scambiare l ordine di integrazione. Usando il risultato della proposizione precedente, per quanto riguarda A si ha allora A(k) = R(k) lim dy e i(k+iε) y dq f(q) e iqy = R(k) ε lim dq f(q) dy e i(k+iε) y +iqy ε = i R(k) lim dq f(q) ( ε k+q+iε + ) k q+iε = i R(k) lim dq ( f(q) + f( q)) ( ε k+q+iε + ) k q+iε = i R(k) dq f(q) + f( q) k + q + i R(k) lim ε dq ( f(q) + f( q)) k q iε (k q) 2 +ε 2 (8.) Ricordiamo che se F è continua e limitata risulta ε lim dx F (x) ε x 2 + ε = lim dy F (εy) = πf () (8.2) 2 ε y 2 + Quindi si ottiene A(k) = R(k) ( ) R(k) f(k)+ f( k) + i 2 + i R(k) lim dq ( ) f(q)+ f( q) ε 23 f(q)+ f( q) dq k + q k q (k q) 2 +ε 2 (8.3)

24 Il calcolo di B procede in maniera analoga (verificare) B(k) = i R(k) π dq ( f(q)+ f( q) ) R(q) k + q (8.4) Infine per C si ha C(k) = dy e iky dq R(q) f(q)e i q y + dy e iky i q y dq R(q) f(q)e = lim dq R(q) f(q) dy e i( q k+iε)y + ε lim dq R(q) f(q) dy e i( q +k+iε)y ε = i lim q k iε dq R(q) f(q) ε ( q k) 2 + ε + i dq R(q) 2 f(q) (8.5) q + k Osserviamo che lim dq R(q) f(q) ε ε ( q k) 2 + ε = 2 lim ε = R(k) ( ) f(k)+ f( k) 2 Sostituendo in (8.5) si ottiene dq R(q) ( ) ε f(q)+ f( q) (q k) 2 +ε 2 (8.6) C(k) = R(k) ( ) i f(k)+ f( k) + dq ( ) R(q) f(q)+ f( q) 2 k + q + i lim dq ( ) q k f(q)+ f( q) R(q) (8.7) ε (q k) 2 + ε 2 Tenuto conto di (8.3), (8.4) e (8.7), la (8.97) si scrive ( Sf ) (k) = f(k) + R(k) ( f(k)+ f( k) ) + Λ(k) (8.8) dove Λ(k) = i + i lim ε = i = i π dq ( f(q)+ f( q) )R(k) + 2R(k)R(q) + R(q) q + k dq ( f(q)+ f( q) )(q k)(r(q) R(k)) (q k) 2 + ε 2 dq ( f(q)+ f( q) ) ( R(k) + 2R(k)R(q) + R(q) q + k + ) R(q) R(k) q k dq ( f(q)+ f( q) )q R(q)( + R(k)) k R(k)( + R(q)) q 2 k 2 (8.9) 24

25 A questo punto, usando le due identità + R(q) = T (q) e 2q R(q) = iαt (q), si trova che Λ = e dunque la proposizione è provata. Mediante l espressione esplicita trovata della matrice S α, possiamo ora dare una descrizione completa del problema della diffusione. Fissiamo per semplicità lo stato gaussiano x2 f (x) = e 2σ σπ /4 2 +i p x (8.) con σ, p >, la cui trasformata di Fourier è σ f (k) = e π/4 σ 2 2 (k k ) 2, k = p (8.) Facciamo poi l ipotesi ε (8.2) σp σk cosicchè la distribuzione di probabilità del momento è molto concentrata intorno al valore medio p. Supponiamo ora di assegnare per t la dinamica libera e i t H f (8.3) Sfruttando l andamento asintotico del gruppo libero trovato nel capitolo precedente, risulta ) ( (e i t H f (x) e i mx 2 m 2 t t i t f mx ) mx2 ei 2 t mσ = 2( mσ t π /4 i t e t ) 2 (x+ p m t ) 2 (8.4) Risulta dunque chiaro che la (8.3) rappresenta per t un pacchetto d onda sensibilmente diverso da zero solo per x p t. In altri termini, il pacchetto incidente è localizzato m molto lontano a sinistra dell origine e al crescere di t si muove verso destra. Tenuto conto della discussione fatta nel paragrafo precedente, sappiamo che l evoluzione libera risultante per t + è data da e i t H S α f (8.5) Usando ancora l andamento asintotico del gruppo libero e la proposizione 8.5.2, possiamo scrivere ) (e i t H S α f (x) e i mx 2 m [ ( mx ) ( mx ) ( mx ) ( 2 t T f + R f mx )] t + i t t t t t mx 2 ei 2 t mσ ( mx ) = π /4 i t T e 2( mσ t ) 2 (x p m t) 2 mx 2 ei 2 t mσ ( mx ) + t π /4 i t R e 2( mσ t ) 2 (x+ p m t) 2 t (8.6) 25

26 La (8.6) fornisce l espressione esplicita dello stato libero che risulta molto tempo dopo l interazione con il bersaglio. Come si vede, lo stato è somma di due pacchetti d onda, il primo sensibilmente diverso da zero solo per x p t e il secondo sensibilmente diverso da zero solo per m x p t. In altri termini, il primo pacchetto è localizzato molto lontano a destra dell origine m e al crescere di t si muove verso destra; il secondo pacchetto invece è localizzato molto lontano a sinistra dell origine e al crescere di t si muove verso sinistra. Questo motiva la definizione di onda trasmessa per il primo pacchetto e di onda riflessa per il secondo pacchetto. I due coefficienti T e R si dicono rispettivamente coefficiente di trasmissione e riflessione. Essi misurano la frazione dell onda incidente che viene rispettivamente trasmessa e riflessa. In definitiva, mediante le due formule (8.4) e (8.6) otteniamo una descrizione qualitativa completa della diffusione da una interazione puntuale: l onda incidente (8.4) proviene da sinistra con momento positivo mentre l onda risultante si spezza in un onda trasmessa che si muove verso destra con momento positivo e un onda riflessa che si muove verso sinistra con momento negativo. Per avere infine informazioni quantitative sul processo di diffusione possiamo sfruttare il teorema sulla diffusione nei coni studiato nel paragrafo precedente applicato al nostro caso unidimensionale. In particolare possiamo calcolare esplicitamente la probabilità di trasmissione P(f, R + ) e la probabilità di riflessione P(f, R ) a meno di un errore esponenzialmente piccolo nel parametro ε. Proposizione Valgono le formule seguenti per la probabilità di trasmissione e di riflessione P(f, R + ) = dk T (k) 2 f (k) 2 + E (8.7) P(f, R ) = dk R(k) 2 f (k) 2 + E 2 (8.8) dove E i < ε 2 π e ε 2 i =, 2 (8.9) Dimostrazione Dal teorema sulla diffusione nei coni e dalla proposizione sappiamo che P(f, R + ) = = dk T (k) f (k) 2 + dk ( Sf )(k) 2 dk R(k) f ( k) 2 + 2R 26 dk T (k)r(k) f (k) f ( k) (8.2)

27 Notiamo che T (k)r(k) è immaginario mentre f (k) è reale, quindi l ultimo termine di (8.2) è nullo. Osserviamo poi che la funzione f ( k) è concentrata intorno al valore negativo k = k e dunque il contributo all integrale su R + è piccolo. Infatti, usando il fatto che R(k) 2 e integrando per parti, si ha Infine dk R(k) f ( k) 2 = 2 π ε dz z σ dk e σ2 (k+k ) 2 = π π d dz e z2 = ε 2 π e dk T (k) f (k) 2 = σ dk e σ2 (k+k ) 2 π ε 2 2 π ε dz e z2 dz ε z 2 e z2 σ dk T (k) 2 e σ2 (k+k ) 2 π ε 2 π e ε 2 (8.2) ε 2 π e ε 2 (8.22) Tenuto conto delle stime (8.2), (8.22) in (8.2) si ottiene la formula (8.7). In maniera analoga si prova la (8.8) e dunque la dimostrazione è conclusa. Osservazione i) Si noti che per σ si ha dk T (k) 2 f (k) 2 = dq T (σ q + k ) 2 e q2 T (k ) 2 (8.23) π Si ottiene così una ulteriore formula approssimata per la probabilità di trasmissione P(f, R + ) T (k ) 2 (8.24) in cui la dipendenza dallo stato f sopravvive solo attraverso il suo momento medio p = k. Analogamente per la probabilità di riflessione si trova P(f, R ) R(k ) 2 (8.25) Queste ultime sono le formule che si trovano di solito in letteratura anche se la (8.7) e la (8.8) sono più corrette perchè tengono conto della forma esplicita dello stato. 27

28 ii) Dalle formule (8.7) e (8.8) si può anche ricavare l andamento delle probabilità di trasmissione e riflessione nel limite classico. Notiamo anzitutto che dalla formula per il valore medio della hamiltoniana (8.2) si ricava che la costante di accoppiamento α ha le dimensioni fisiche di una energia per una lunghezza. Questo implica che la quantità mα/p ha le dimensioni fisiche di un azione e può essere considerata come l azione tipica del sistema quando si fissa lo stato f. Allora per limite classico in questo caso intenderemo che tale azione tipica è molto grande rispetto a, cioè η mα (8.26) p Consideriamo ora la probabilità di trasmissione che riscriviamo nella forma più conveniente P(f, R + ) = σ k 2 dk e σ2(k k)2 = σk z 2 dz π k 2 + m2 α 2 π z 2 + η 2 e σ2 k2 (z )2 (8.27) 4 dove abbiamo introdotto la variabile di integrazione z = k/k. Dunque risulta e analogamente per la probabilità di riflessione si ha (verificare) lim P(f, R + ) = (8.28) η lim P(f, R ) = (8.29) η Possiamo allora concludere che nel limite classico il pacchetto d onda viene interamente riflesso e quindi l interazione puntuale si comporta come una barriera di potenziale impenetrabile. 8.6 Il caso di due interazioni puntuali La costruzione della hamiltoniana con N > interazioni puntuali procede in modo analogo al caso di una sola interazione puntuale discusso nel paragrafo 6.. In questo paragrafo ci limitiamo a considerare il caso di due interazioni puntuali poste in y = e y 2 = l, entrambe di intensità α, con α. Introduciamo per λ > la matrice 2 2 Γ ij (λ) = + α Gλ () α δ ij + (δ ij ) G λ (l) (8.3) 28

29 Seguendo il metodo visto nel caso di una interazione puntuale, non è difficile verificare che l operatore { D(H α,y )= u L 2 (R) u = w λ + q G λ + q 2 G λ ( l), w λ H 2 (R), q i C, w λ (y i ) = } Γ ij (λ)q j, i =, 2 (8.3) j=,2 (H α,y + λ)u = (H + λ)w λ (8.32) è autoaggiunto e inoltre la sua restrizione a funzioni nulle in y = e y 2 = l coincide con la hamiltoniana libera. Dunque H α,y è una hamiltoniana con interazioni puntuali in y = e y 2 = l di intensità α. Per quanta riguarda lo studio dello spettro, lasciamo come esercizio il calcolo del risolvente e la verifica che lo spettro essenziale coincide con il semiasse reale positivo. In modo analogo al caso di una interazione puntuale si verifica anche che non ci sono autovalori in [, ). Restano quindi da determinare eventuali autovalori negativi e i corrispondenti autovettori. Posto E <, dobbiamo risolvere il problema H α,y ψ = E ψ, ψ D(H α,y ), ψ = (8.33) Tenuto conto di (8.3) e (8.32), deve risultare ψ = q G λ + q 2 G λ ( l) (8.34) con q, q 2 soluzione del sistema lineare omogeneo Γ ij ( E )q j = (8.35) j=,2 Tale sistema ammette soluzione non nulla se e solo se det Γ ij ( E ) =, cioè ( ) E e 2 2m E l = (8.36) 2m α Per α > la (8.36) non ha soluzioni e quindi non esistono autovalori negativi. Per studiare l equazione nel caso α < conviene introdurre le variabili adimensionali 2m E l ξ =, γ = m α l (8.37) 2 cosicchè l equazione si scrive [( ξ ) ] [( + e ξ ξ ) ] e ξ = (8.38) γ γ 29

30 Il primo fattore di (8.38) ammette sempre una radice ξ, con ξ > γ, mentre il secondo fattore ammette una radice positiva ξ solo se γ > e risulta < ξ < γ. Nel caso α <, possiamo allora concludere che i) se γ allora esiste un solo autovalore negativo E = 2 2ml 2 ξ2, con ξ = γ( + e ξ ) (8.39) ii) se γ > allora esistono due autovalori negativi E < E, con E dato da E = 2 2ml 2 ξ2, con ξ = γ( e ξ ) (8.4) Determiniano l autovettore associato a E. Da (8.35) si ha che si può riscrivere ( α + 2m 2 E ( ) q + ξ γ 2m 2 E e 2m E l q 2 = (8.4) ) q + e ξ q 2 = (8.42) Tenuto conto che ξ soddisfa l equazione ξ = γ(+e ξ ), si trova q = q 2 e dunque l autovettore associato a E è ( ) Φ (x) = c e ξ x l + e ξ l x l (8.43) dove c è una costante di normalizzazione. Per γ > si trova in modo analogo (verificare) che l autovettore associato a E è ( ) Φ (x) = c e ξ x l e ξ l x l (8.44) dove c è una costante di normalizzazione. Osservazione Consideriamo due casi limite per il problema degli autovalori negativi per α <. Se l allora da (8.36) risulta che sopravvive un solo autovalore coincidente con quello di una interazione puntuale nell origine di intensità α. Se invece l allora si ottiene un solo autovalore coincidente con quello di una interazione puntuale nell origine di intensità 2 α. 3

31 Osservazione Per α < e γ > l hamiltoniana H l α è dotata di due stati legati, tipici del caso della doppia buca di potenziale. Nel caso γ (corrispondente al limite classico) si vede che la differenza tra i due livelli di energia è E 2mα2 2 e γ (8.45) Inoltre se il dato iniziale è una combinazione lineare di ξ e ξ allora il valor medio della posizione della particella esibisce un moto periodico di pulsazione ω = E/ (cfr, esercizio?, referenza). 8.7 Appendice: Estensioni autoaggiunte di A In questa appendice faremo vedere che ogni estensione autoaggiunta di A è un elemento della famiglia (8.5), (8.6), completando così la dimostrazione della proposizione Conviene studiare il problema nello spazio delle trasformate di Fourier. Definito quindi B = FA F, risulta naturalmente (B u)(p) = 2 p 2 { u L 2 (R) dp p 2 u(p) 2 <, } dp u(p) = 2m u(p), D(B ) = (8.46) Il primo passo consiste nel determinare il complemento ortogonale di Ran (B + λ), λ >. Lemma Ran (B + λ) = { v L 2 (R) v = q G } λ, q C (8.47) dove G λ è la trasformata di Fourier di G λ, definita in (8.4). Dimostrazione Dobbiamo trovare le v L 2 (R) che soddisfano l equazione ( 2 p 2 ) dp v(p) 2m + λ u(p) =, per ogni u D(B ) (8.48) Una soluzione è certamente v = q G λ, per ogni q C, e dunque resta da fare vedere che tale soluzione è unica. Posto allora g(p) = v(p)( 2 p 2 + λ), consideriamo l equazione 2m dp g(p) u(p) = per ogni u D(B ) (8.49) 3

32 e facciamo vedere che le costanti sono le uniche soluzioni nella classe delle funzioni costanti a tratti. Sia g(p) = i c iχ i (p), dove le c i sono costanti e χ i indica la funzione caratteristica dell insieme Ω i R, con Ω i Ω j = se i j. Supponiamo per assurdo, e senza perdita di generalità, che c c 2. Allora l equazione si scrive c dp u(p) + c 2 dp u(p) + c i dp u(p) = (8.5) Ω Ω 2 Ω i Scegliamo ora una û così definita: û(p) = b se p Ω, û(p) = b 2 se p Ω 2, û(p) = se p R \ (Ω Ω 2 ), con b Ω + b 2 Ω 2 =. Una tale funzione appartiene a D(B ) e dunque deve risultare = g(p) û(p) = c b Ω + c 2 b 2 Ω 2 = (c c 2 )b Ω (8.5) Ne segue che c = c 2 e dunque le uniche funzioni costanti a tratti soluzioni di (8.49) sono le costanti. Usando un argomento di densità, si ottiene che le costanti sono le uniche soluzioni anche nella classe delle funzioni localmente a quadrato integrabile (verificare) e dunque il lemma è provato. i,2 Il secondo passo consiste nel determinare esplicitamente l aggiunto di B. Lemma { D(B)= v L 2 (R) v = w + q G λ, w D( H } ), q C (8.52) (B + λ)v = ( H + λ)w (8.53) dove H = 2 p 2 2m Dimostrazione Anzitutto osserviamo che è l hamiltoniana libera in trasformata di Fourier. ( G λ, (B + λ)u) = per ogni u D(B ) (8.54) e quindi Gλ D(B ) e (B + λ) G λ =. Inoltre se w D( H ) si ha (w, (B + λ)u) = (( H + λ)w, u) per ogni u D(B ) (8.55) 32

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