PROTEINE Precipitazione, dialisi, dosaggio colorimetrico



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PROTEINE Precipitazione, dialisi, dosaggio colorimetrico La purificazione delle proteine è un procedimento assai complesso che si avvale della combinazione di diverse tecniche preparative che consentono di eliminare selettivamente i componenti della miscela in modo che alla fine rimanga solo la proteina che interessa. Sono necessarie anche tecniche analitiche per seguire l effettivo procedere della purificazione. La prima tappa consiste nel portare le proteine in soluzione, rompendo la cellula o dissociando le membrane se si tratta di proteine di membrana. In soluzione la proteina è molto più esposta ad agenti denaturanti (temperatura, variazioni di ph) o può essere degradata per azione di enzimi proteolitici ed è quindi necessario non solo procedere rapidamente ed in condizioni il più possibile controllate, ad esempio lavorando a freddo, in tampone contenente inibitori delle proteasi. Uno dei metodi più semplici per effettuare una grossolana separazione di proteine sfrutta la loro diversa solubilità in soluzioni concentrate di sali (salting out). Il sale più usato è il solfato d ammonio, (NH 4 ) 2 SO 4, molto solubile e che anche a forze ioniche molto elevate non denatura le proteine. Un esempio precipitazione frazionata è la separazione nel siero dell albumina dalle globine: le globine precipitano con (NH 4 ) 2 SO 4 1 M, mentre l albumina rimane in soluzione fino ad una concentrazione salina di 2.5 M. La precipitazione con solfato d ammonio è un esempio di precipitazione reversibile: basta allontanarlo perché la proteina torni in soluzione. Il metodo più semplice per allontanare il sale è la dialisi attraverso membrane semimpermeabili, che consente di rimuovere anche contaminanti a basso peso molecolare o cambiare tampone. La proteina precipitata è posta in un sacchetto costituito da una membrana di questo tipo che è immerso in un volume molto maggiore di soluzione tampone o H 2 O. I pori della membrana semimpermeabile lasciano passare solo le molecole di piccole dimensioni e non le proteine e nel giro di qualche ora, cambiando spesso la soluzione esterna, i sali sono eliminati dalla soluzione interna e la proteina torna in soluzione. In altre condizioni, ad esempio con acidi forti (TCA), la precipitazione può essere irreversibile e non è quindi possibile riportare in soluzione la proteina 1. Precipitazione e dialisi Allestimento dei tubi da dialisi - Prendere 2 tubi da dialisi di 25 cm di lunghezza per 6 mm di diametro - Riempire il becker con acqua distillata e bagnare i tubi lasciandoli in acqua per almeno 10 - Toglierli dall H 2 O, vuotarli, e, ad un estremità, fare 2 nodi vicini - Lasciare i tubi in H 2 O fino all uso. Precipitazione delle proteine con (NH 4 ) 2 SO 4 - Pipettare in una provetta conica 2 ml di soluzione di caseina 2% (20 mg/ml) - Aggiungere con una pipetta goccia a goccia una soluzione satura di (NH 4 ) 2 SO 4, agitando fino a quando non si osserva la formazione di un flocculato (la proteina che precipita). - Agitare il campione con la proteina precipitata e trasferirlo all interno del tubo da dialisi con una pasteur - Chiudere il tubo da dialisi con un nodo lasciando 3-4 cm tra il liquido e il nodo - Immergere il tubo in una beuta contenente H 2 O fissando un estremità al bordo della beuta - Mettere un magnete e porre la beuta su un agitatore. - Identificare la beuta come dialisi A. Precipitazione con acido tricloroacetico (TCA). - Pipettare 2 ml di caseina in una conica - Aggiungere la soluzione di TCA al 10% (attenzione corrosivo) goccia a goccia fino a quando non si vede comparire il flocculato. - mettere il campione nel secondo tubo da dialisi. Mettere a dializzare contro H 2 O Dialisi B.

Interrompere la dialisi A e prelevare 2 ml dell H 2 O in cui è avvenuta la dialisi e metterli in una provetta conica Aggiungere a goccia a goccia la soluzione di BaCl 2 al 20% Osservare la formazione di solfato di bario, sale insolubile, in seguito alla reazione (NH 4 ) 2 SO 4 + BaCl 2 2 NH 4 Cl + BaSO 4 Questa parte dell esercitazione dimostra che il solfato di ammonio è effettivamente uscito dal tubo della dialisi e la proteina è tornata in soluzione. Interrompere la dialisi B il cui precipitato non si è sciolto indicando che la precipitazione con TCA è irreversibile. 2. Dosaggio colorimetrico delle proteine con il reattivo del Biureto Principio del metodo: Il reattivo del biureto consiste di una soluzione alcalina di solfato di rame. Gli ioni rameici, in ambiente basico, si complessano coi legami peptidici sviluppando un colore azzurro la cui intensità è proporzionale alla concentrazione proteica. Il numero dei legami peptidici, per unità di peso, è pressochè uguale per tutte le proteine e pertanto il dosaggio non è influenzato dalla composizione in amminoacidi delle diverse proteine. La reazione del biureto è data da tutti i composti che contengono almeno due gruppi peptidici (-CO- NH-) legati fra loro o direttamente, o per mezzo di un atomo di carbonio (peptidi, proteine) o per mezzo di un atomo di azoto, come nel biureto (H 2 N-CO-NH-CO-NH 2 ). Il dosaggio si effettua sul dializzato A e sull H 2 O della dialisi A allestendo una curva di taratura con una soluzione standard 1% di caseina (10 mg/ml). - Aprire il tubo da dialisi, trasferirne il contenuto in una conica tarata e rilevarne il volume - Predisporre 8 provette nelle quali si effettueranno le seguenti pipettate: N.provetta caseina 1% H 2 O Biureto 1-2.0 ml 4 ml 2 0.2 ml (2 mg) 1.8 ml 4 ml 3 0.4 ml (4 mg) 1.6 ml 4 ml 4 0.6 ml (6 mg) 1.4 ml 4 ml 5 0.8 ml (8 mg) 1.2 ml 4 ml Campioni 6 0.5 ml dializ. A 1.5 ml 4 ml 7 1.0 ml dializ. A 1.0 ml 4 ml 8 2.0 ml H 2 O dialisi - 4 ml Dopo l aggiunta del reattivo del biureto le provette vanno agitate e lasciate 10 a temperatura ambiente perché il colore si sviluppi completamente. Si legge quindi allo spettrofotometro l assorbanza (A) a 540 nm dopo aver azzerato l apparecchio con il contenuto della prova 1. Le A degli standard vanno riportate in grafico, in ordinata, contro il rispettivo contenuto di caseina in mg, in ascissa. Secondo la legge di Lambert e Beer (A = Kc, per un camino ottico di 1 cm) in ascissa ci dovrebbero essere le concentrazioni ma, essendo il volume eguale in tutte le prove, è più conveniente porvi i mg di caseina. Tracciata la retta (curva di taratura) che, partendo dall origine, congiunge i vari punti, si può risalire da essa al contenuto di caseina dei campioni incogniti, sulla base dei valori di A ottenuti sperimentalmente.

CROMATOGRAFIA La cromatografia è un metodo che permette la separazione dei componenti di una miscela in base alle loro caratteristiche chimico-fisiche (dimensioni, solubilità, carica elettrica, capacità di formare legami specifici) ed è basata su un processo di migrazione differenziata in cui una soluzione (fase mobile) che contiene le molecole da separare passa attraverso un mezzo (fase stazionaria) generalmente impaccato in una colonna: i soluti interagiscono con la fase stazionaria e sono rallentati in un modo che dipende dalle proprietà del soluto stesso. La distribuzione di un soluto tra le due fasi è definita dal suo coefficiente di distribuzione K, che per convenzione è dato dal rapporto: K = [soluto] fase mobile [soluto] fase stazionaria Ogni soluto passa nella fase mobile tanto più rapidamente quanto meno fortemente interagisce con la fase stazionaria. Il procedere della cromatografia si può descrivere come il succedersi di un gran numero di processi di equilibrio tra fase stazionaria e fase mobile per ciascun soluto della miscela. Ciascuna di queste equilibrazioni avviene in porzioni successive del letto cromatografico e gradatamente i componenti la miscela si separano. La risoluzione aumenta all aumentare della lunghezza della colonna, ma, se la colonna è troppo lunga e/o il flusso è troppo lento, può essere contrastata dalla diffusione delle molecole. Un tipico sistema cromatografico prevede una colonna (vetro o plastica di varia lunghezza e diametro) chiusa ad un'estremità da un setto poroso e riempita con la fase stazionaria attraverso cui fluisce la fase mobile contenuta in un serbatoio, pompe peristaltiche per mantenere costante la velocità di flusso, un sistema d identificazione dei campioni, che è in genere uno spettrofotometro UV/visibile collegato ad un computer, ed infine un raccoglitore di frazioni.

Cromatografia liquida ad alta pressione (o risoluzione) (HPLC) Il potere di risoluzione di una colonna cromatografica è stato sostanzialmente migliorato dalla messa a punto della cromatografia liquida ad alta pressione o risoluzione (HPLC), attualmente la tecnica cromatografica più diffusa e versatile, che utilizza per le separazioni sistemi automatizzati con applicatori di campioni molto precisi, velocità di flusso elevate e controllate operanti ad alta pressione. Le matrici cromatografiche sono particelle estremamente fini (da 3 a 300 µm), non comprimibili e capaci di sopportare pressioni fino a qualche migliaio di pascal, a cui sono legate fasi stazionarie diverse secondo il tipo di cromatografia. Questo tipo di matrice permette elevate velocità di flusso, risoluzioni molto più alte rispetto alla cromatografia tradizionale, tempi di separazione molto più rapidi e non ultimo garantisce un elevata riproducibilità. Le colonne sono generalmente in acciaio e sono disponibili già impaccate con il materiale richiesto, della struttura e delle dimensioni volute. Tutti i solventi impiegati nelle separazioni HPLC devono avere un alto grado di purezza perché qualsiasi contaminante, presente anche in tracce, può intaccare la colonna ed interferire con il sistema di rilevazione. Le tecniche cromatografiche possono essere usate a scopo preparativo, per separare materiali in gran quantità (parecchi grammi), o a scopo analitico per isolarne piccole quantità (alcuni picogrammi). I metodi cromatografici sono classificati sulla base della natura delle interazioni che si instaurano tra le molecole da separare e la fase stazionaria. Tra le tecniche cromatografiche più importanti ricordiamo: Gel filtrazione o cromatografia ad esclusione in cui le molecole sono separate in base alla loro dimensione e forma su una fase stazionaria costituita da un gel a porosità controllata. Le molecole più grandi passano attraverso la colonna cromatografica più rapidamente delle più piccole che si infileranno nei pori del gel e verranno perciò trattenute. Cromatografia d affinità in cui un ligando, una molecola che lega specificamente la proteina che si intende purificare, è immobilizzato su una matrice solida inerte. Quando si fa passare attraverso la colonna la miscela proteica, la proteina che riconosce il ligando è trattenuta mentre tutte le altre sono allontanate dal flusso della soluzione. Cromatografia a scambio ionico La cromatografia a scambio ionico separa i componenti di una miscela sulla base delle cariche presenti sulla molecola in grado di interagire con lo scambiatore di ioni. Scambiatori: lo scambiatore di ioni è costituito da una matrice, che può essere una resina sintetica, una cellulosa o un destrano, la quale porta legati covalentemente dei gruppi in grado di ionizzarsi in uno ione fisso, che rimane attaccato alla matrice, ed in un contro-ione (Na+ o Cl - ) che può essere scambiato con qualsiasi altro ione di egual segno, presente in soluzione. Gli scambiatori si dividono perciò in due grandi categorie: quelli che portano cariche positive e sono chiamati scambiatori di anioni e quelli che portano cariche negative e sono chiamati scambiatori di cationi. -Gli scambiatori di anioni portano gruppi amminici, talvolta mono o bisostituiti, a carattere debolmente basico oppure gruppi ammonici quaternari a carattere fortemente basico R 3 HN +, R 2 H 2 N +, R 4 N +. - Gli scambiatori di cationi portano radicali solfonici SO - 3 fortemente acidi, o gruppi carbossilici COO - debolmente acidi. - Classificando gli scambiatori in base alla matrice abbiamo resine polistireniche, cellulose (DEAEcellulosa con il gruppo -CH 2 -CH 2 -NH -(C 2 H 5 ) 2 e CM- cellulosa con il gruppo -CH 2 -COO - ), gel (destrani, poliacrilammidi, agarosio). In quest ultimo tipo di scambiatori i gruppi (DEAE-,CM-) sono legati covalentemente a una matrice costituita dallo stesso materiale impiegato per la gel filtrazione. Poiché la matrice è un gel, essi esplicano anche un certo potere di filtro molecolare. Teoria dello scambio ionico: La reazione di scambio ionico è un processo reversibile che, per la legge di azione di massa, raggiungerà un equilibrio, la cui posizione dipende dalle quantità relative di contro-ioni presenti sullo scambiatore e nella soluzione. Negli scambiatori cationici: RSO - 3 Na + + N + H 3 R RSO - 3 N + H 3 R + Na +

Negli scambiatori anionici: (R) 4 N +. Cl - + - OOCR (R) 4 N + OOCR + Cl - Il ph e la forza ionica iniziali sono normalmente scelti in modo tale che tutte le sostanze che interessano possano legarsi allo scambiatore. Ad esempio, per separare una miscela di amminoacidi su uno scambiatore di cationi, il ph di partenza sarà intorno a 2, per permettere a tutti gli amminoacidi di attaccarsi allo scambiatore nella loro forma cationica. Una volta applicato il campione sulla colonna, l eluizione differenziale dei componenti si otterrà modificando o la forza ionica o il ph (talvolta entrambi) del tampone, ossia effettuando un eluizione in gradiente che può essere di tipo continuo o discontinuo. L aumento della forza ionica, che si effettua aggiungendo NaCl o KCl in concentrazione crescente al tampone che alimenta la colonna, agisce poiché gli ioni salini di segno opportuno rimpiazzano le molecole del campione sullo scambiatore e ne causano l eluizione, a cominciare da quelle che hanno formato un minore numero di legami con lo scambiatore. La variazione del ph influenza invece la carica netta di una molecola, perciò, al variare del ph, le molecole si staccheranno dallo scambiatore via via che raggiungeranno il loro punto isoelettrico. Per tornare all esempio della separazione di amminoacidi su resina cationica, l innalzamento del ph causerà prima il distacco degli amminoacidi acidi (aspartico e glutammico) poi dei neutri ed infine dei basici (lisina ed arginina), in grado di mantenere la carica netta positiva a ph più elevato. Avete a disposizione la seguente attrezzatura: 1. una colonna di plastica munita di tappo 2. resina scambiatrice di cationi, Dowex-50, in H 2 O 3. tampone citrato 0.2M, ph 3.2 4. tampone acetato 0.2M, ph 5.2 5. Reagenti: NaOH 1N, CuSO 4 2.5%, NaOH 10 %, Ninidrina 1% 6. miscela di prolina, fenilalanina e glucosio (10 mg/ml ciascuno) in tampone citrato 0.2M, ph 3.2 7. 10 provette Preparazione della colonna La resina è stata precedentemente rigonfiata ed equilibrata in H 2 O. Prima dell impaccamento la colonna deve essere bagnata con un piccolo volume di H 2 O (circa 1-2 ml). Si preleva un volume di resina dopo averla risospesa, pari al volume del letto della colonna calcolato sulla base delle dimensioni della colonna stessa. La resina è fatta scendere con una pipetta lentamente, a colonna chiusa, evitando la formazione di bolle d aria che possono influire negativamente sulla separazione dei composti. Quando la resina ha raggiunto il livello stabilito (5 cm) si apre il tappo inferiore e si fa fluire H 2 O, aggiungendola in modo continuo sopra il livello della resina stessa, raccogliendo l eluato in una beutina. Si fanno passare circa 2 ml, pari ad un letto della colonna. Rigenerazione della resina Dowex 50. Allo scopo di rendere disponibili i controioni scambiabili, la resina dovrà essere sottoposta a pretrattamento con alcali, utilizzando una soluzione di NaOH 1 N. 1. Si fa passare allo scopo un volume di NaOH 1N pari a un letto di resina (circa 2 ml); 2. si lava successivamente la resina con H 2 O (6 ml, circa 3 letti); 3. si equilibra infine la resina con tampone citrato 0.2 M, ph 3.2, facendone passare 1 letto (2 ml). Separazione dei componenti di una miscela La miscela da separare è costituita da prolina (10 mg/ml), fenilalanina (10 mg/ml) e glucosio (10 mg/ml) in tampone citrato 0.2M, ph 3.2. 1. numerare le provette (n. 1-10) 2. eliminare il tampone al di sopra della resina utilizzando una pasteur e porre 0.2 ml della miscela da separare sopra la resina, a colonna chiusa.

3. aprire la colonna e raccogliere l eluato in una beutina. 4. lavare con 1 ml di tampone citrato, ph 3.2 e raccogliere la prima frazione nella provetta n 1. 5. aggiungere 1 ml di tampone citrato, ph 3.2 e raccogliere l eluato nella provetta n 2. 6. eluire quindi con tampone acetato, ph 5.2 aggiungendo un totale di 8 ml di tampone e raccogliendo frazioni di 1 ml ciascuna nelle provette in ordine numerico. Identificazione dei componenti separati mediante cromatografia a scambio ionico. La presenza del glucosio è evidenziata con il reattivo di Trommer. Questa prova sarà fatta sulle frazioni 1 e 2 si aggiungono 5 gocce di CuSO4 2,5% a ciascuna provetta e successivamente 1 ml di NaOH 10%. Si mettono le provette a b.m. bollente per circa 2 ; in presenza dello zucchero si ha sviluppo di colore rosso. La presenza di prolina e fenilalanina è evidenziata mediante colorazione con la ninidrina: questa prova sarà fatta sulle frazioni 3-8. si aggiungono nelle varie frazioni 5 gocce di ninidrina all 1% e si pongono quindi 3 a b.m. bollente. La prolina sviluppa un colore giallo mentre la fenilalanina sviluppa un colore viola.

ELETTROFORESI L elettroforesi è la migrazione di molecole con una carica elettrica netta, positiva o negativa, sotto l azione di un campo elettrico verso il polo opposto di segno opposto. La forza che muove le molecole è il potenziale elettrico (E) cui si oppone la forza frizionale che dipende dalla forma e dimensione delle molecole e dalla viscosità del mezzo. La velocità (v) di una molecola in un campo elettrico è v = EZ/f dove Z è la carica netta, f il coefficiente frizionale. La grandezza che caratterizza il comportamento di una molecola carica in un campo elettrico è la sua mobilità elettroforetica, µ, cioè il rapporto tra la velocità con cui si muove la particella e il potenziale elettrico (velocità in un campo elettrico unitario) o anche tra la carica netta della molecola (Z) e il coefficiente frizionale f: µ = v/e =Z/f (1) La mobilità elettroforetica quindi dipende, oltre che dal campo elettrico, anche dalla carica e dalle dimensioni molecolari. Poiché molte molecole d interesse biologico possedendo gruppi ionizzabili possono trovarsi in soluzione come specie elettricamente cariche, la separazione elettroforetica è una delle tecniche più usate in biochimica e biologia molecolare. L elettroforesi è in genere effettuata su un supporto costituito da gel (agarosio o poliacrilammide) o su acetato di cellulosa. Elettroforesi su acetato di cellulosa Il supporto, imbevuto di tampone per tenere controllato il ph, è steso tra i due comparti che contengono gli elettrodi; se è applicata una differenza di potenziale, le molecole da separare si muovono con una velocità che dipende dalla loro mobilità elettroforetica. Al termine della corsa le molecole sono evidenziate con opportuni coloranti. Un tempo era usato come supporto della carta da filtro, ora si usa l acetato di cellulosa che non presenta fenomeni di adsorbimento e che quindi consente una miglior risoluzione delle bande rispetto alla carta. L elettroforesi su acetato di cellulosa non ha comunque un alto potere risolutivo ed è eseguita di routine nei laboratori di analisi per separare le proteine del siero. La complessa miscela di proteine del siero viene risolta solo in 5 frazioni: albumina, globuline α1 e α2, globuline β (talvolta separate in β1 e β2), globuline γ. Tuttavia, grazie alla gran mole di dati disponibili sulle modificazioni di questo quadro elettroforetico in molti stati patologici, il suo valore diagnostico è rilevante. Elettroforesi su gel L elettroforesi su gel è la tecnica più usata per separare proteine ed acidi nucleici. Il gel può essere fatto da un polimero con legami crociati, la poliacrilammide, che, formando un setaccio molecolare, diminuisce la mobilità elettroforetica delle molecole in funzione delle loro dimensioni e migliora quindi la loro separazione. Se l elettroforesi viene condotta in condizioni denaturanti in presenza di un detergente anionico, SDS (sodio dodecilsolfato), la separazione delle proteine in un campo elettrico avviene in funzione della loro massa, in quanto la carica netta negativa del complesso SDS-proteina è proporzionale alla massa della proteina: le proteine più piccole si muovono più rapidamente di quelle più grosse e la mobilità elettroforetica è direttamente proporzionale al logaritmo del peso molecolare. Dopo la corsa, le proteine sono visualizzate con un colorante, Blu di Coomassie, che non si lega al gel. Un altro supporto, usato principalmente per separare frammenti di DNA, è l agarosio, polimero di glucosio che forma un reticolo poco compatto. Poiché negli acidi nucleici densità di carica e forma sono pressoché costanti, la velocità di migrazione dipende dalla lunghezza dei frammenti: i frammenti più corti migreranno più velocemente. Isoelettrofocalizzazione Una proteina in soluzione può possedere numerose cariche che le derivano dalla ionizzazione di gruppi delle catene laterali di determinati amminoacidi. Il fatto che i gruppi ionizzabili siano in forma ionica dipende dal ph del mezzo in rapporto al pk dei gruppi stessi: ad un ph superiore al pk si ha dissociazione di protoni, ad un ph inferiore al pk si ha associazione di protoni. Perciò arginina, lisina, istidina sono positivi a ph inferiore ai pk dei loro gruppi ionizzabili, e privi di

carica a ph superiore; aspartico, glutammico, cisteina e tirosina, sono carichi negativamente a ph superiore ai pk dei loro gruppi ionizzabili, mentre sono indissociati a ph inferiore. La carica netta di una proteina ad un dato ph è la somma algebrica delle sue cariche positive e negative. Il punto isoelettrico di una proteina è il valore di ph cui la sua carica netta è 0. A questo valore di ph anche la mobilità elettroforetica, come si deduce dall equazione (1) è zero. Se si utilizza un gel con un gradiente stabile di ph, ciascuna proteina si muoverà fino alla posizione in cui il ph corrisponde al suo pi: in tal modo è possibile separare proteine che hanno una differenza anche di solo 0,01 nel loro pi. Elettroforesi bidimensionale L isoelettrofocalizzazione si può combinare con l elettroforesi in SDS per ottenere separazioni con alto grado di risoluzione di miscele complesse di proteine, delle vere e proprie mappe delle proteine espresse da una cellula in determinate condizioni. In genere il campione viene sottoposto prima ad un isoelettrofocalizzazione e il gel così ottenuto è posto su un gel di poliacrilammide per una seconda corsa in cui proteine con lo stesso pi vengono separate in funzione del loro peso molecolare. Elettroforesi capillare (Ce) Una tecnica elettroforetica ad alta risoluzione è l elettroforesi capillare detta CE, impiegata per separare aminoacidi, peptidi, proteine, frammenti di acidi nucleici che differiscono per un solo nucleotide. L elettroforesi capillare è una tecnica elettroforetica in fase libera e viene fatta in capillari di silice fusa con un diametro interno di 50 µm che minimizzano i problemi legati allo sviluppo di calore. Questo viene facilmente disperso essendo molto alto il rapporto tra la superficie e il volume. Si possono quindi applicare campi elettrici elevati (10-50 kv con capillari di 50-100 cm) che riducono il tempo di separazione a pochi minuti. Un piccolo volume (5-30 nl) di campione, in un tampone opportuno per avere le molecole da separare tutte con lo stesso tipo di carica, è iniettato all estremità anodica del capillare contenente un tampone appropriato e, per effetto del campo elettrico, le molecole del campione cominciano a migrare con velocità differenti lungo il capillare verso l elettrodo di carica opposta. Alla migrazione dovuta al campo elettrico si aggiunge la spinta verso il catodo, dovuta al fenomeno dell elettroendosmosi, causata dalla presenza di silanoli (SiOH) sulla superficie del capillare ionizzati a ph superiori a 3. I cationi dell elettrolita sono attratti verso la parete del capillare dove vanno a formare un doppio strato di cariche. Quando viene applicato il campo elettrico, si ha un movimento netto della soluzione verso il catodo, detto flusso elettroendosmotico. Naturalmente le molecole di carica positiva raggiungono il catodo più velocemente perché la migrazione elettroforetica e il flusso elettroendosmotico diretti nella stessa direzione si sommano. Al catodo le molecole sono rivelate da luce ultravioletta e il segnale è inviato a un registratore e ad un computer.

Elettroforesi delle proteine seriche su acetato di cellulosa Materiale occorrente 1. Cella elettroforetica completa di ponticello, applicatore ed alimentatore 2. Vaschette per colorazione 3. Tampone Tris/Veronal ph 8.8 4. Strisce di acetato di cellulosa 5. Siero 6. Rosso Ponceau 0.5% in acido acetico 7% (Soluzione colorante) 7. acido acetico 7% (Soluzione decolorante) Procedimento 1. I due compartimenti della cella elettroforetica sono riempiti allo stesso livello con il tampone 2. Si mette a bagno nel tampone per 10 la striscia di acetato di cellulosa 3. Si asciuga con carta da filtro l eccesso di tampone e si pone la striscia sul ponticello e con l applicatore in dotazione si depone la miscela da separare (siero) ad un estremità della striscia 4. Si assembla la cella elettroforetica in modo che l estremità su cui è stato deposto il campione sia verso il polo negativo. Si chiude la camera e si applica una corrente di 220V per 60 5. Si toglie la corrente e si stacca la striscia e la si immerge per 2-3 nella soluzione colorante 6. Si trasferisce la striscia nella soluzione decolorante cambiandola alcune volte finché il fondo non si decolora.

DETERMINAZIONE DELLA GLICEMIA Gli zuccheri I monosaccaridi sono composti non idrolizzabili che contengono da 3 a 7 atomi di carbonio (triosi, tetrosi, pentosi, esosi, eptosi) e sono derivati aldeidici -CHO (aldosi) o chetonici -C=O (chetosi) di alcoli polivalenti. I gruppi aldeidici o chetonici sono responsabili delle proprietà riducenti di tali composti. Le reazioni di ossidazione non sono esclusive dei monosaccaridi, ma sono possibili anche nei disaccaridi in cui un carbonio glicosidico rimane libero come ad es. nel lattosio. Nel passato i metodi di dosaggio degli zuccheri erano basati sulle loro proprietà riducenti. La glicemia Nell uomo è di estrema importanza il mantenimento dei livelli ematici di glucosio entro limiti piuttosto ristretti, condizione imprescindibile per il corretto funzionamento del sistema nervoso. La concentrazione normale a digiuno è 80 mg/100 ml di sangue (4.4 mm), ma dopo un pasto la concentrazione può salire fino a 120 mg/100 ml. In risposta all aumento della glicemia entrano in gioco meccanismi di omeostasi per promuovere l ingresso e l utilizzo del glucosio nelle cellule. Analogamente, quando alcune ore dopo il pasto i livelli di glucosio diminuiscono, il ripristino del livello normale è garantito da meccanismi che promuovono il rilascio di glucosio dal glicogeno epatico e la gluconeogenesi. Il meccanismo omeostatico che regola la concentrazione del glucosio nel sangue è mediato da diversi ormoni che regolano il metabolismo glucidico. I più importanti sono il glucagone, che è secreto dalle cellule A del pancreas in risposta ad una diminuzione della glicemia, e l insulina, secreta dalle cellule B del pancreas in risposta ad un aumento della glicemia. Le cellule bersaglio del glucagone sono gli epatociti dove attiva la glicogenolisi e la gluconeogenesi, mentre l insulina ha recettori su più tessuti aumentando il numero dei trasportatori per il glucosio (muscolo e tessuto adiposo), attivando la glicogenosintesi (muscolo e fegato) e la lipogenesi (fegato e tessuto adiposo). Determinazione del glucosio con la glucoso-ossidasi Il metodo è basato sull ossidazione del glucosio a gluconolattone ad opera di un enzima flavinico la glucoso-ossidasi il cui coenzima FAD si riduce: glucoso + FAD gluconolattone + FADH 2 Il gluconolattone si idrolizza spontaneamente ad acido gluconico mentre il coenzima ridotto è riossidato a spese dell ossigeno atmosferico con formazione di H 2 O 2 Gluconolattone + H 2 O acido gluconico FADH 2 + O 2 FAD + H 2 O 2 In totale: glucoso + O 2 ac. gluconico + H 2 O 2 Se al sistema si aggiunge la perossidasi, è possibile ossidare, a spese dell acqua ossigenata formatasi, un opportuno riducente secondo la reazione: H 2 O 2 + DH 2 D + 2 H 2 O Scegliendo il riducente in modo che la sua forma ossidata abbia un colore diverso da quello della forma ridotta, le due precedenti ossidoriduzioni enzimatiche determineranno un cambiamento di colore nella soluzione analizzata. Il riducente impiegato, incolore allo stato ridotto, è in genere rosato allo stato ossidato e assorbe a 510 nm. Poiché la glucoso-ossidasi ossida solo il glucosio non ci sono interferenze di altri zuccheri riducenti eventualmente presenti nel campione e quindi l intensità del colore che si sviluppa è proporzionale unicamente alla concentrazione di glucosio.

Per la determinazione della glicemia il sangue o il siero, al quale sia stato aggiunto ossalato o citrato come anticoagulante, deve essere prima deproteinizzato con acido perclorico. Dopo aver allontanato il precipitato proteico mediante centrifugazione si esegue l analisi su un aliquota del supernatante, confrontando poi i risultati con quelli ottenuti trattando allo stesso modo soluzioni standard di glucosio. Esecuzione del dosaggio Effettueremo il dosaggio su una soluzione incognita di glucosio, considerandola come supernatante di sangue deproteineizzato. Predisporre 4 provette nelle quali si effettueranno le seguenti pipettate: N provetta Std glucosio (1 mg/ml) H 2 O Campione Soluzione 4 1-20 µl - 2,5 ml 2 20 µl - - 2,5 ml 3 - - 20µl 2,5 ml Agitare; lasciare riposare 30 a temperatura ambiente; evitare la luce solare diretta. Le assorbanze (A) di standard e campione si misurano allo spettrofotometro contro la provetta 1 (Bianco). Per calcolare la concentrazione di glucoso nel sangue ci si riferisce all assorbanza a 510 nm dello standard, che corrisponde ad una soluzione contenente glucosio alla concentrazione di 1 mg/ml. Dalla Legge di Lambert-Beer: A = Kc si ricava: A st : [1 mg/ml] = A cam : [campione] da cui nel nostro caso [campione](mg/ml) = A cam A st Per determinare il valore della glicemia bisogna tenere presente che: la glicemia è espressa in mg/100 ml pertanto: valore della glicemia = concentrazione campione x 100 = mg/100 ml

ESTRAZIONE DEL DNA Il DNA può essere estratto da ogni tipo cellulare e tessuto; la via più semplice per avere DNA di un soggetto è l estrazione dai linfociti ottenuti da un prelievo di sangue in presenza di normali anticoagulanti, ad esempio EDTA o eparina. Il campione di sangue può essere usato immediatamente oppure congelato a 20 C fino al momento dell uso. Nel primo caso i linfociti si recuperano dopo centrifugazione a bassa velocità: costituiscono il cosiddetto buffy coat che sedimenta all interfaccia fra plasma e globuli rossi. Nel caso di sangue congelato e successivamente scongelato si usa il pellet ottenuto dopo centrifugazione. Il primo passaggio dell estrazione del DNA prevede la solubilizzazione delle membrane cellulari con un detergente, ad es. sodiododecilsolfato (SDS) in presenza di ditiotreitolo, un agente riducente, e di EDTA in questo caso usato come inibitore dell attività DNAsica presente nelle cellule. Le proteine citoplasmatiche, liberate dalla lisi delle cellule, vengono eliminate da una digestione enzimatica con una proteasi, la proteasi K, in grado di agire a temperature fino a 50 C in presenza di SDS e ditiotreitolo. Le proteine non digerite o solo parzialmente demolite dalla proteasi K vengono eliminate per precipitazione con NaCl e l acido nucleico rimasto nel supernatante viene recuperato con una successiva precipitazione con due volumi di etanolo al 96%: in questa fase è importante agitare delicatamente per evitare frammentazioni del DNA che compare nella soluzione come un filamento bianco. Il DNA recuperato con una pipetta pasteur ad uncino viene rapidamente lavato in etanolo 70% per eliminare i sali della soluzione in cui è avvenuta la precipitazione. Il DNA viene poi solubilizzato in acqua o in una soluzione tampone a ph 7-8 contenente EDTA inibitore della DNAsi e la sua concentrazione può essere valutata attraverso una lettura spettrofotometrica a 260 nm tenendo conto che una unità di assorbanza a tale lunghezza d onda corrisponde ad una concentrazione di DNA di 50 µg/ml. POLYMERASE CHAIN REACTION (PCR) La Polymerase Chain Reaction (PCR; reazione di polimerizzazione a catena) è una tecnica che consente di amplificare da una miscela complessa una sequenza specifica di DNA lunga fino a qualche migliaio di bp, ad esempio un gene in singola copia in un DNA genomico. La procedura è stata messa a punto nel 1984 da Kari Mullis e prevede l uso di una DNA polimerasi, dntp e di due oligonucleotidi (primers o inneschi) disegnati in modo da essere complementari alle due estremità 3 del DNA da amplificare, e che forniscono quindi l innesco 3 OH per la DNA polimerasi. Il segmento da amplificare, denaturato ad alta temperatura, costituisce lo stampo per la polimerasi. La PCR consiste nella ripetizione multipla di un ciclo costituito da tre fasi, denaturazione, allineamento ed estensione, che avvengono a temperature differenti. L uso di una DNA polimerasi termostabile come la Taq polimerasi da Thermus aquaticus, un batterio che vive nelle sorgenti calde, evita l inconveniente di dover aggiungere l enzima ad ogni nuovo ciclo. Ciascun ciclo è quindi costituito da una fase di denaturazione ad alta temperatura, in genere 94 C, per separare i due filamenti del DNA, a cui segue la fase di allineamento dei primers a una temperatura più bassa, tra i 50-60 C, che dipende dalla composizione in basi degli oligonuceotidi. In questa fase i primers, presenti in eccesso, si appaiano alla sequenza complementare nel frammento da amplificare e innescano la terza fase, cioè l azione della DNA polimerasi che dirige la sintesi dei filamenti complementari ad una temperatura pari o superiore a quella della fase di allineamento. Al termine i filamenti neosintetizzati diventano substrati di un nuovo ciclo. In ciascun ciclo il DNA teoricamente raddoppia, in pratica c è una progressiva riduzione dell efficienza di denaturazione-allineamento e dopo 20 cicli si ha un amplificazione di circa un milione di volte; aumentando il numero di cicli si ottiene un amplificazione maggiore, ma aumenta la possibilità di sintesi di prodotti non specifici. La PCR può essere effettuata anche a partire da RNA; in questo caso è preceduta dalla retrotrascrizione di RNA a cdna (RT-PCR).

La miscela di reazione viene preparata usando dei kit pronti all uso (tamponi, dntp, Taq), primers appropriati e cercando di evitare contaminazioni con DNA estranei; la PCR viene condotta in strumenti (thermal cycler), termostati a temperature variabli. La PCR consente quindi di amplificare qualsiasi sequenza di DNA, con la limitazione che non superi qualche migliaio di bp e sia almeno in parte conosciuta. Il DNA ottenuto può essere usato per ulteriori analisi, ad es. sequenziamento, clonaggio, sonde per esperimenti di Southern o Northern blotting, digestione con enzimi di restrizione. Le applicazioni della PCR sono numerosissime sia nella ricerca di base che in campi più applicativi: può essere usata come strumento diagnostico, ad es per infezioni virali (HIV, herpes) o batteriche (E.Coli, Shigella, malattia di Lyme, Chlamydia), diagnosi precoci o prenatali di malatte genetiche; oppure nella medicina forense, ad es. test di paternità, identificazione personale in criminologia o dopo disastri; nella paleontologia molecolare e nell archeologia; per sventare frodi alimentari come ad es identificare la presenza non dichiarata di MOGM. ELETTROFORESI DEL DNA L elettroforesi su gel di agarosio o poliacrilamide è usata anche per separare le molecole di DNA e RNA in base alle loro dimensioni. Gli acidi nucleici a ph 7-8 portano numerose cariche negative, dovute ai gruppi fosfato, e in un campo elettrico migrano verso il polo positivo: i frammenti più piccoli si muovono nel gel più velocemente di quelli a maggiori dimensioni rendendo quindi possibile la separazione di molecole a differente lunghezza. Con gel opprtuni come poliacrilammide ad alta concentrazione si possono separare frammenti che differiscono per un solo nucleotide. Il metodo più semplice e più utilizzato è l elettroforesi orizzontale su gel di agarosio in un tampone Tris-borato a ph 8.0 seguita dalla visualizzazione con un colorante fluorescente, il bromuro di etidio, che si lega al DNA intercalandosi tra le coppie di basi e mostra una forte fluorescenza quando illuminato con luce ultravioletta.

ESTRAZIONE DEL DNA Materiale occorrente: sangue di maiale scongelato in soluzione anticoagulante. tampone 10 mm fosfato, ph 7.4, 0.8% NaCl 10 mg/ml proteasi K soluzione lisante (10 mm Tris-HCl, ph 8.0, 10 mm EDTA, 50 mm NaCl, 2% SDS) soluzione satura di NaCl etanolo 96% etanolo 70% provette graduate in polipropilene pipette pasteur pipette pasteur ad uncino centrifuga da banco. I giorno a) Al sangue di maiale scongelato (7 ml) aggiungere 7 ml di tampone fosfato ph 7.4. Centrifugare a 3500 rpm per 15 min. Prelevare il supernatante facendo attenzione a non rimuovere il precipitato. Scartare il supernatante. Risospendere il precipitato in 10 ml di tampone fosfato ph 7.4 e centrifugare a 3500 rpm per 15 min. Prelevare e scartare il supernatante senza rimuovere il precipitato. b) Digestione con proteasi K Risospendere il precipitato in 4 ml di tampone di lisi (10 mm Tris-HCl, ph 8.0, 10 mm EDTA, 50 mm NaCl, 2% SDS) ed aggiungere 30 l di 10 mg/ml proteasi K (concentrazione finale proteasi K: 75 g/ml). Incubare la sospensione a 37 C per la notte. II giorno c) Purificazione DNA Aggiungere al digerito 1.3 ml di NaCl saturo. Centrifugare a 3500 rpm per 10 min. Trasferire il supernatante in un altra provetta graduata facendo attenzione a non rimuovere il precipitato che contiene le proteine e che viene scartato. Misurare il volume di supernatante prelevato ed aggiungere 2 volumi di etanolo 96%. AGITARE DOLCEMENTE capovolgendo la provetta in modo da mescolare le due soluzioni (supernatante ed etanolo). A poco a poco compare un batuffolo bianco (il DNA precipitato). Con una pipetta ad uncino prelevare il DNA e trasferirlo in una provetta contenente una soluzione al 70% di etanolo. Trasferire il DNA in una provetta ed aggiungere 1 ml di acqua distillata per scioglierlo.

POLYMERASE CHAIN REACTION (PCR) Amplificazione di un frammento di DNA lungo 464 paia di basi del gene della albumina serica umana dal nt 1542 al nt 2005 mediante PCR. Sequenza del gene dell albumina dal nt 1501 al 2100 : 1501 P1 atgtaaaatttgataagatgttttacacaactttaatacattgacaaggtcttgtggagaaaacagttccagatg tacattttaaactattctacaaaatgtgttgaaattatgtaactgttccagaacacctcttttgtcaaggtctac gtaaatatacacaagggatttagtcaaacaattttttggcaagaatattatgaattttgtaatcggttggcagcc catttatatgtgttccctaaatcagtttgttaaaaaaccgttcttataatacttaaaacattagccaaccgtcgg aatgaaatacaaagatgagtctagttaataatctacaattattggttaaagaagtatattagtgctaatttccct ttactttatgtttctactcagatcaattattagatgttaataaccaatttcttcatataatcacgattaaaggga ccgtttgtcctagcttttctcttctgtcaaccccacacgcctttggcacaatgaagtgggtaacctttatttccc ggcaaacaggatcgaaaagagaagacagttggggtgtgcggaaaccgtgttacttcacccattggaaataaaggg ttctttttctctttagctcggcttattccaggggtgtgtttcgtcgagatgcacgtaagaaatccatttttctat aagaaaaagagaaatcgagccgaataaggtccccacacaaagcagctctacgtgcattctttaggtaaaaagata tgttcaacttttattctattttcccagtaaaataaagttttagtaaactctgcatctttaaagaattattttggc acaagttgaaaataagataaaagggtcattttatttcaaaatcatttgagacgtagaaatttcttaataaaaccg atttatttctaaaatggcatagtattttgtatttgtgaagtcttacaaggttatcttattaataaaattcaaaca taaataaagattttaccgtatcataaaacataaacacttcagaatgttccaatagaataattattttaagtttgt P2 tcctaggtaaaaaaaaaaaaaggtcagaattgtttagtgactgtaattttcttttgcgcactaaggaaagtgcaa aggatccatttttttttttttccagtcttaacaaatcactgacattaaaagaaaacgcgtgattcctttcacgtt 2100 L intera sequenza del gene dell albumina umana è disponibile al sito internet: http://www3.ncbi.nlm.nih.gov Numero di accesso: M12523 Sequenza del forward primer (P1): 5 tgacaaggtcttgtggagaaa3 Sequenza del reverse primer (P2) : 5 gataaccttgtaagacttcac3 Calcolo della temperatura di appaiamento (annealing) = Tm - 2 C La Tm (temperatura di denaturazione) del primer si calcola applicando la seguente formula: Tm = 2x(t + a) + 4x(c + g)

In due provette eppendorf per PCR da 0.2 ml mescolare le seguenti soluzioni: provetta 1 provetta 2 (controllo negativo) tampone 10X 5 µl 5 µl 25mM MgCl 2 3 µl 3 µl dntps (datp, dctp, dgtp, dttp ciascuno 2mM) 5 µl 5 µl Primer 1 50 ng/µl 2 µl 2 µl Primer 2 50 ng/µl 2 µl 2 µl H 2 O 27 µl 32 µl campione di DNA 1 µl 1 µl Taq DNA polimerasi 5 µl ----- Volume finale 50 µl. Programma del Termal Cycler usato per l amplificazione di un frammento del gene dell albumina: 1. Denaturazione iniziale 94 C per 3 min. 2. 35 cicli che comprendono Denaturazione 94 C per 30 sec. Appaiamento 56 C per 30 sec. Estensione 72 C per 30 sec. 3. Estensione finale 72 C per 10 min Agar elettroforesi Controllare l avvenuta amplificazione del frammento di DNA del gene dell albumina mediante elettroforesi in gel al 2% di agar e colorazione con bromuro di etidio.