Rassegne. L impiego dei farmaci antidepressivi nel puerperio



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Rassegne Vol. 98, N. 1, Gennaio 2007 Pagg. 29-42 L impiego dei farmaci antidepressivi nel puerperio Cesario Bellantuono 1, Giovanni Migliarese 1, Francesca Maggioni 1, Giuseppe Imperadore 2 Riassunto. Il puerperio, così come la gravidanza, è associato ad un maggior rischio di disturbi d ansia e/o disturbi depressivi. La depressione post-partum (DPP), frequentemente in comorbilità con sintomi d ansia, è il disturbo che si manifesta più frequentemente dopo il parto, con tassi di prevalenza compresi tra il 5 e il 15%. Tra gli antidepressivi (AD), gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono considerati farmaci di prima scelta nel trattamento dei disturbi depressivi puerperali e in particolare della DPP. È quindi fondamentale stabilire, per quelle madri che necessitino di un trattamento con SSRI, il profilo di sicurezza di questi farmaci durante l allattamento. I vantaggi dell allattamento al seno, sia per la madre che per il bambino, sono infatti ben documentati. Se, da un lato, tutti gli AD, compresi gli SSRI, passano nel latte, è comunque vero che il rapporto tra concentrazioni ematiche del farmaco e concentrazioni nel latte, proposto per valutare il rischio di una determinata molecola durante l allattamento, appare un parametro che non è in grado di predire in modo accurato la sicurezza di questi farmaci. Da un analisi delle evidenze presenti nella letteratura si può concludere che, tra gli SSRI, paroxetina e sertralina offrono il miglior profilo di sicurezza, non essendo fino ad oggi stati segnalati effetti collaterali per il neonato in corso di allattamento con tali AD. Nonostante questi risultati rassicuranti, appaiono comunque necessari ulteriori studi che permettano di definire meglio il profilo di sicurezza. Come regola generale, è importante monitorare con molta attenzione le condizioni di un neonato la cui madre assuma un AD in corso di allattamento, in modo da poter riconoscere precocemente eventuali effetti collaterali farmaco-indotti. Parole chiave. Depressione post-partum, allattamento, antidepressivi, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, tossicità neonatale. Summary. Antidepressant drugs and breastfeeding. The post-partum period, as well as pregnancy, is associated with an increased risk of anxiety and/or affective disorders. Postnatal depression, frequently in co-morbidity with anxiety symptoms, is recognised as the most frequent form of maternal morbidity after delivery, with a prevalence rate estimated between 5% to 15%. Among antidepressant drugs, the SSRIs are considered the drugs of choice in the treatment of post-partum affective disorders, particularly in the major depression. It is, thus, crucial from a clinical standpoint to establish, in the newborn whose mother needs to be treated with an SSRI, the safety profile of these drugs during breastfeeding. The benefits of breastfeeding, on the other hand, both for the nursing mother and the infant, are in fact very well documented. Unfortunately, all antidepressant drugs, including SSRIs, cross into breast milk and the milk-to-plasma ratio, a measure proposed to establish the amount of drug transferred to maternal milk, does not seem to be a reliable parameter to predict the safety of these drugs. From the available literature, however, it seems that among SSRIs, paroxetina and sertralina offer the best safety profile, as these drugs has never been associated with unsafe reports in suckling infants. Despite these reassuring but preliminary data, more studies are needed to better assess the safety of the antidepressant drugs in the infants exposed during breastfeeding. As general rule, it is important to recommend if the mother wishes to breastfeed her infant while taking an antidepressant, that the baby should be closely monitored in order to detect, as soon as possible, any unwanted drugrelated side effect. Key words. Post-partum depression, breastfeeding, antidepressant drugs, SSRIs, neonatal toxicity. 1 Sezione di Psichiatria e Psicologia Clinica, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università, Verona. 2 Clinica Psichiatrica, Dipartimento per la Salute Mentale, Azienda Ospedaliera di Verona. Pervenuto il 22 maggio 2006.

30 Recenti Progressi in Medicina, 98, 1, 2007 Introduzione Gli antidepressivi (AD) sono una classe eterogenea di farmaci che agiscono sulla trasmissione noradrenergica e/o serotoninergica a livello del SNC. Oltre agli antidepressivi triciclici (ATC) o AD di prima generazione, in questa classe sono inclusi gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e una varietà di altri composti appartenenti a classi farmacologiche differenti (SNRI, NARI, NaSSA: tabella 1). La rilevanza epidemiologica e clinica dei disturbi psichici presenti nel puerperio è ormai da tempo sostenuta da numerosi studi 4. L utilizzo degli antidepressivi è molto diffuso nella pratica non solo specialistica: anche della medicina generale 1 per il trattamento sia della depressione maggiore sia di gravi e persistenti disturbi d ansia tra cui il disturbo di panico (DP), il disturbo d ansia generalizzata (DAG) e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Negli ultimi anni la prescrizione di questi farmaci è aumentata considerevolmente 2, implicando la necessità di un approfondimento del loro impiego in popolazioni specifiche. In un precedente articolo abbiamo trattato l utilizzo degli AD in gravidanza 3 : questa revisione della letteratura focalizza invece il problema della terapia antidepressiva nel post-partum (puerperio). Per tale ragione, il DSM-IV ha inserito nella classificazione diagnostica la specificazione ad esordio nel post-partum per quei disturbi psichici che insorgono in un periodo compreso entro le 4 settimane successive al parto. Questo intervallo è stato, comunque, criticato, poiché è stato osservato come la donna rimanga ad alto rischio per disturbi psichici fino a circa un anno dopo il parto 4, 5. Indipendentemente dal criterio temporale utilizzato, una precoce e corretta identificazione del disturbo ed una presa in carico specialistica rappresentano gli elementi fondamentali per un adeguato programma terapeutico. Tabella 1. Classificazione degli antidepressivi Triciclici (ATC) Amitriptilina Butriptilina Clomipramina Desipramina Dibenzepina Doxepina Imipramina Maprotilina Nortriptilina Protriptilina Trimipramina Inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina (SSRI) Citalopram Escitalopram Fluoxetina Fluvoxamina Paroxetina Sertralina Inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SNRI) Venlafaxina Duloxetina Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NARI) Reboxetina Antidepressivi noradrenergici e serotoninergici specifici (NaSSA) Mirtazapina Altri antidepressivi Bupropione Trazodone Mianserina Disturbi psichici nel puerperio Il puerperio costituisce un periodo di aumentata vulnerabilità per l insorgenza o la riacutizzazione dei disturbi psichici nelle donne 4. Anche se la specificazione ad esordio nel post-partum viene generalmente applicata ai disturbi affettivi, la possibilità di dover trattare altri disturbi, quali quelli d ansia, che mostrerebbero un peggioramento sintomatologico al termine della gravidanza, risulta significativamente rilevante. A tal riguardo bisogna sottolineare l attuale carenza di dati epidemiologici relativi ai diversi disturbi d ansia osservati nella pratica clinica 6-8 (tabella 2 nella pagina a fronte). DISTURBI AFFETTIVI Dal punto di vista clinico, tra i disturbi con esordio nel puerperio, la cosiddetta maternity blues (o baby blues) rappresenta la forma più comune e nello stesso tempo più lieve di disagio psichico. La maternity blues mostra un prevalenza variabile dal 50% all 85%, e tende a presentarsi con un corteo sintomatologico caratterizzato da disforia, labilità emotiva, ansia, disturbi del ritmo sonno-veglia, iporessia e facile irritabilità 9,10. L insorgenza coincide in genere con la prima settimana dopo il parto (da 2 a 15 giorni), mentre la massima intensità sintomatologica viene raggiunta nei primi 4-5 giorni. Il quadro clinico appare generalmente reversibile senza il ricorso a terapie specifiche, mostrando una risoluzione spontanea nell arco di due settimane. Proprio in relazione alla transitorietà e alla non gravità dal punto di vista psicopatologico di tale condizione, non è consigliato il ricorso immediato a un trattamento antidepressivo specifico.

C. Bellantuono et al.: L impiego dei farmaci antidepressivi nel puerperio 31 Tabella 2. I disturbi psichici nel puerperio. Disturbi affettivi Disturbi d ansia Maternity blues Depressione post-partum Psicosi post-partum Disturbo ossessivo-compulsivo Disturbo di panico Disturbo d ansia generalizzato Sintomi principali: Disforia, labilità emotiva, disturbi del ritmo sonno-veglia, irritabilità. Esordio: Entro i primi 15 giorni Prevalenza: 50%-85% Sintomi principali: Umore depresso, sensi di colpa, diminuzione dell autostima, ripetute preoccupazioni (ruminazioni ossessive) sulla salute del bambino, insonnia, anoressia. Esordio: insidioso, generalmente entro i primi 3 mesi. Prevalenza: 5-15% Sintomi principali: Deliri, allucinazioni, stati sub-confusivi, brusche oscillazioni dell umore, disturbi del comportamento che appare disorganizzato Esordio: acuto, entro le prime due settimane. Prevalenza: 0.1-0.2% Sintomi principali: Preoccupazioni e pensieri ossessivi sul poter fare del male al bambino, associati o meno a comportamenti ripetitivi (compulsioni) Sintomi principali: Crisi d ansia acuta spesso associate a timori nella gestione del bambino. Possibile comparsa di ansia anticipatoria e condotte di evitamento. Sintomi principali: Ansia e apprensione eccessive. Possibili irritabilità, affaticabilità, tensione muscolare, difficoltà a concentrarsi, alterazioni del sonno. Prevalenza: Dati preliminari indicano una prevalenza di sintomi d ansia tra il 10 e il 50% Tuttavia è utile effettuare un osservazione dell evoluzione del quadro clinico, perché esso, seppure in rari casi, può complicarsi sino a sfociare in un episodio depressivo maggiore 11,12. Differente dalla maternity blues, sebbene con una certa sovrapposizione sintomatologia che rende necessaria una corretta diagnosi differenziale, appare la depressione post-partum (DPP), che non differisce in genere da un episodio depressivo maggiore se non per il suo specifico esordio dal punto di vista temporale e per la tendenza a focalizzarsi sulla diade madre-neonato. La maternità e l accudimento del bambino costituiscono infatti il contenuto della maggior parte dei vissuti depressivi. La prevalenza è compresa tra il 5% e il 15% delle gravidanze, l esordio, generalmente insidioso, si verifica nelle prime 4 settimane dal parto, anche se l insorgenza può essere più tardiva, fino al terzo mese 5,11,13,14. È stato suggerito che la DPP sia spesso sottodiagnosticata (fino al 70% casi), e che i tassi di prevalenza potrebbero essere anche più elevati 15-17. Accanto alla sintomatologia tipica della depressione maggiore tendono, in genere, a manifestarsi ripetute preoccupazioni (ruminazioni ossessive) e specifiche fobie di pulsione indirizzate verso la figura del neonato, nei confronti del quale la madre può avvertire il timore di compiere azioni lesive per perdita dell autocontrollo. Questi sintomi devono essere differenziati da eventuali pensieri ossessivi sulla salute del bambino che possono presentarsi in questo periodo associati o meno a comportamenti ripetitivi (compulsioni) e che configurano un DOC con recrudescenza od esordio nel post-partum 18. Un ideazione suicidaria può essere presente, ma i tassi di suicidio appaiono relativamente bassi in assenza di sintomi psicotici 19. Sintomi d ansia (tra cui ansia generalizzata, attacchi di panico e preoccupazioni su base ipocondriaca) possono variamente associarsi a questa condizione con tassi di comorbilità che possono giungere fino al 50% 20, 21. In generale, alle dimensioni cliniche sopra riportate tende inoltre ad associarsi un deterioramento del funzionamento psicosociale, soprattutto per quanto riguarda la funzione genitoriale. Diversi studi hanno analizzato i fattori di rischio correlati all insorgenza di una DPP. Tra le variabili demografiche e psicosociali solo queste ultime sembrano avere un valore predittivo, con il rilevamento di un aumentata frequenza di DPP in donne che lamentano insoddisfazione nel rapporto con il coniuge o scarso supporto sociale 22-24. Molti ricercatori hanno, inoltre, focalizzato interesse sulla relazione tra un anamnesi pregravidica positiva per disturbi affettivi e l esordio della DPP, identificando alti tassi di ricaduta nel puerperio per donne sia con disturbo bipolare 25 sia con depressione ricorrente 5, 26. Uno dei fattori predittivi di maggior importanza per lo sviluppo di una successiva DPP appare l insorgenza di una depressione o la presenza di elevati livelli d ansia in gravidanza 23,27-29. Infine, la presenza nei primi giorni dopo il parto di un quadro di maternity blues aumenta di circa due volte il rischio di sviluppare successivamente un disturbo dell umore 12,23,30. Se per la maternity blues non è necessario alcun trattamento specifico, la DPP richiede invece una presa in carico specialistica che valuti la necessità di uno specifico trattamento farmacologico con AD, possibilmente integrato da un sostegno psicoterapico; e di un intervento ambientale finalizzato a reperire figure di supporto per la madre nello svolgimento dell assistenza al neonato 31,32.

32 Recenti Progressi in Medicina, 98, 1, 2007 Per situazioni cliniche lievi e moderate possono essere sufficienti trattamenti non farmacologici, tra l altro spesso richiesti dalle madri che desiderano allattare. Le forme di psicoterapia di documentata efficacia sono la psicoterapia cognitivocomportamentale 33 e la terapia interpersonale 34,35. Il trattamento farmacologico risulta invece necessario nei casi di DPP grave e in quelle donne che non rispondono a trattamenti non farmacologici. Nonostante la mancanza di evidenze forti relative all efficacia delle diverse classi di AD nel trattamento della DPP 36, gli SSRI sono generalmente considerati i farmaci di prima scelta in virtù di un miglior profilo degli effetti collaterali e di tossicità. Tra i criteri di scelta va, comunque, privilegiato il dato di una risposta farmacologica positiva ad un eventuale precedente trattamento. Il disturbo psichico più grave del puerperio è rappresentato dalla psicosi post-partum (PPP). Si tratta di condizione psicopatologica grave ma rara (0,1-0,2% delle gravidanze) 4,5, caratterizzata da deliri, allucinazioni, stati sub-confusivi, brusche oscillazioni dell umore (spesso in senso depressivo), disturbi del comportamento con possibile alternanza di fasi di inibizione (blocco psicomotorio) e di agitazione. L insorgenza della DPP avviene generalmente in modo acuto entro le prime 72 ore dal parto, anche se può presentarsi più tardivamente, nelle prime due settimane 37,38. La gravità del disturbo ed il rischio di un possibile acting-out in senso sia autoaggressivo (rischio di suicidio) sia eteroaggressivo (rischio di infanticidio), richiede un intervento tempestivo che preveda l ospedalizzazione della paziente per un adeguato trattamento psicofarmacologico. I farmaci maggiormente impiegati nel trattamento di questa condizione sono i farmaci antipsicotici. Data la natura eminentemente specialistica, la gestione e l intervento terapeutico in questo disturbo non rientra negli obiettivi di questo lavoro (per un approfondimento si rimanda alla recente revisione di Chaudron et al. 39 ). DISTURBI D ANSIA Nonostante l assenza di evidenze epidemiologiche forti, il puerperio viene considerato un periodo a rischio per l insorgenza o il peggioramento sintomatologico di disturbi d ansia quali il disturbo di panico, il disturbo d ansia generalizzata, il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) 7,8. I tassi di prevalenza del DOC nel puerperio non sono stati studiati specificatamente e appare ad oggi difficile trarre conclusioni definitive. L insorgenza o il peggioramento del disturbo nel postpartum sono stati comunque riportati, in alcuni studi, anche se i risultati non appaiono del tutto univoci 40,41. Nel puerperio, la sintomatologia del DOC si presenta tipicamente con fobie di pulsione (preoccupazioni e pensieri ossessivi sul poter fare del male al bambino fino all ossessione di infanticidio) associate o meno a compulsioni 18,40,42,43. Recentemente è stato suggerito che l esordio o il peggioramento sintomatologico del DOC in relazione a eventi del ciclo riproduttivo, tra cui il puerperio, si verificherebbe esclusivamente in un sottogruppo di donne con anamnesi remota positiva per disturbi dell umore, ipotizzando una vulnerabilità di tipo biologico a cambiamenti del setting ormonale 44. Anche per il DP ed il DAG non sono ad oggi presenti studi che abbiano valutato in modo specifico i tassi di prevalenza nel puerperio ed appare dunque difficile stimare l effettiva dimensione del problema. Sintomi d ansia generalizzata sono stati riscontrati in una percentuale molto alta di donne intervistate (dal 10 al 50%): la necessità di evidenziare una durata di almeno 6 mesi degli stessi sintomi per poter fare diagnosi di DAG impediva comunque di rilevare un tasso di prevalenza specifico per questo disturbo 7,8. Non sono stati pubblicati dati epidemiologici di prevalenza relativi al DP, sebbene alcuni lavori abbiano suggerito un aumentata vulnerabilità in questo periodo 45-48. Rischi associati al mancato trattamento di un disturbo puerperale Il fattore che maggiormente determina il mancato trattamento di un disturbo psichico nel puerperio è rappresentato dalla difficoltà di un corretto riconoscimento del quadro clinico. Fino al 70% delle donne con DPP non verrebbero, infatti, diagnosticate correttamente, mentre per i disturbi d ansia l assenza di dati epidemiologici non permette di trarre conclusioni definitive 15,49. Il mancato trattamento di una DPP è stato correlato a seri rischi sia per la madre sia per il neonato. Nonostante la DPP possa generalmente avere una risoluzione spontanea entro 3 mesi dall insorgenza, nelle donne con anamnesi positiva per disturbi dell umore e con DPP grave, la sintomatologia risulterebbe persistere fino ad un anno dal parto 14. Il rischio di suicidio e di infanticidio appare invece relativamente basso in assenza di sintomi psicotici e sembrerebbe essere maggiormente associato alla PPP 19. Molti studi hanno, inoltre, evidenziato gli effetti che una DPP può avere sul neonato, data l importanza, soprattutto nei primi mesi di vita, di una buona relazione madre-bambino. Gli studi a breve termine hanno sottolineato che la DPP modifica la relazione madre-bambino, con effetti più marcati per le donne alla prima gravidanza 50-52 ed ha conseguenze sullo sviluppo e sul benessere del neonato 53. Sono state segnalate difficoltà nell allattamento, difficoltà del sonno 54,55, attivazione frontale all EEG e ridotta responsività all espressione faciale materna 54,56. È stato anche osservato che gli effetti di una patologia materna nei primi mesi di vita del bambino possono riflettersi nel suo sviluppo a lungo termine.

C. Bellantuono et al.: L impiego dei farmaci antidepressivi nel puerperio 33 Nonostante gli studi in questione sollevino importanti dubbi metodologici, dovuti alla presenza di numerosi fattori di confondimento che per evidenti ragioni non possono essere controllati, sono state segnalate, in bambini di madri con DPP, difficoltà comportamentali e cognitive 53,57,58, ritardo della crescita 59, ritardato sviluppo motorio 60, scarsità di relazioni interpersonali e elevata aggressività 61, bassa autostima 62, elevati livelli di ansia e paura 63 e problemi nel controllo delle emozioni 64. Alcuni autori hanno segnalato disturbi dell attenzione e necessità di maggiore supporto educazionale in bambini di 11 anni 65. Due studi più recenti, infine, hanno segnalato in bambini esposti a una DPP elevati livelli di cortisolo, deficit dell attenzione 66 e aggressività 67. Sebbene manchino in letteratura studi che abbiano analizzato specificamente il problema, è esperienza clinica comune che l insorgenza o il peggioramento nel puerperio di gravi disturbi d ansia possano causare un significativo peggioramento della relazione madrebambino e del benessere della paziente. Questi dati rendono conto, da un lato, della necessità di effettuare nelle donne un corretto inquadramento diagnostico, dall altro di mettere a punto un precoce bilancio rischi/benefici per valutare la necessità di un adeguato trattamento (tabella 3). Tabella 3. Rischi associati al mancato trattamento dei disturbi psichici nel puerperio Rischi materni Rischi per il bambino Rischi associati al trattamento antidepressivo nell allattamento Per quanto riguarda il ricorso, laddove necessario, ad un trattamento farmacologico nel puerperio, il problema più rilevante appare la sua compatibilità con l allattamento al seno. In realtà, la decisione di consentire o meno l allattamento al seno nel caso di un trattamento psicofarmacologico appare ancora oggi complessa ed implica un attenta valutazione del bilancio rischi/benefici. Elevato rischio di sviluppare una patologia ricorrente e refrattaria al trattamento Mantenimento prolungato della sintomatologia (bassi tassi di remissione spontanea) A breve termine Peggioramento della relazione madre-bambino Difficoltà di attaccamento al seno A lungo termine Difficoltà comportamentali e cognitive Ritardato sviluppo motorio Elevata aggressività Basso livello di autostima Elevati livelli di ansia e paura Problemi nel controllo delle emozioni Maggior necessità di supporto educazionale Deficit dell attenzione Il problema della compatibilità tra allattamento al seno e trattamento psicofarmacologico sta assumendo sempre maggior rilevanza, tenendo conto del maggior numero di donne che decidono di allattare al seno e del fatto che i tempi dell allattamento naturale si stanno allungando, come risulta da alcuni studi condotti negli USA 68,69. Questa tendenza trova una spiegazione razionale se si considerano i numerosi vantaggi, sia per il neonato sia per la madre, dell allattamento al seno rispetto a quello con latte artificiale. Da un punto di vista nutrizionale, il latte materno provvede alle esigenze del bambino con una concentrazione corretta di proteine, grassi e minerali e appare inoltre in grado di garantire una protezione immunologica. Per la madre, l allattamento al seno consente una rapida perdita di peso, promuove, tramite l ossitocina, l involuzione dell utero, riduce il rischio sia del carcinoma mammario sia del carcinoma ovarico e di fratture dovute all osteoporosi in menopausa 70. Dal punto di vista psicologico, l allattamento materno contribuisce in maniera significativa all instaurarsi del legame tra madre e figlio. Il ricorso ad un trattamento farmacologico nei casi di DPP grave deve confrontarsi con il fatto che tutti gli AD sono potenzialmente escreti con il latte materno e quindi possono essere presenti nella circolazione plasmatica del lattante. Una corretta valutazione dei rischi legati all esposizione agli AD dovrebbe basarsi sulla quantità di farmaco escreta nel latte materno, su quella ingerita dal lattante. Questi elementi sono però difficili da stabilire essendo influenzati da diverse variabili tra cui la via di somministrazione, la dose assorbita, la costante di dissociazione, il volume di distribuzione materno, il ph plasmatico (7,4) e quello del latte (6,8), la solubilità nell acqua e nei lipidi e infine il più elevato legame alle proteine plasmatiche rispetto a quelle del latte. Inoltre, la concentrazione del farmaco nel plasma del lattante è condizionata anche da una serie di variabili di tipo cinetico quali l immaturità del sistema di metabolizzazione e di escrezione dei farmaci, almeno nella prima settimana dopo la nascita, il minor legame alle proteine plasmatiche rispetto a quello del latte materno, il differente volume di distribuzione e l aumentata permeabilità di organi e tessuti che comportano un rischio di accumulo di farmaco.

34 Recenti Progressi in Medicina, 98, 1, 2007 Risulta, quindi, evidente che modifiche di variabili materne o del neonato possono determinare lo sviluppo di effetti tossici, analoghi a quelli Tabella 4. Effetti indesiderati degli antidepressivi. Triciclici (ATC) Inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina (SSRI) Venlafaxina (SNRI) Duloxetina (SNRI) Reboxetina (NARI) Mirtazapina (NaSSA) Bupropione Tabella 5. Tossicità da sopradosaggio degli antidepressivi. Triciclici (ATC) Inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina (SSRI) Venlafaxina (SNRI) Duloxetina (SNRI) Reboxetina (NARI) Mirtazapina (NaSSA) Bupropione Bocca secca, stipsi, difficoltà a urinare, ipotensione ortostatica, disturbi della sfera sessuale (eiaculazione ritardata, impotenza, difficoltà a raggiungere l orgasmo), aumento di peso, tremore alle mani, disturbi della memoria e dell attenzione (nell anziano). Nausea, insonnia, cefalea, vertigini, diminuzione del desiderio sessuale, eiaculazione ritardata, difficoltà a raggiungere l orgasmo, tremore. Vertigini, bocca secca, insonnia, sonnolenza, stipsi, nausea, sudorazione, occasionali rialzi pressori. Nausea, stipsi, sonnolenza, insonnia, irrequietezza. Aumento della frequenza cardiaca, insonnia, irrequietezza, bocca secca, stipsi, sudorazione, vertigini. Bocca secca, sedazione, sonnolenza, aumento dell appetito e incremento di peso, alterazione della performance cognitiva e psicomotoria. Bocca secca, nausea e vomito, stipsi, insonnia, tremore, disturbi della concentrazione, cefalea, vertigini, rash cutanei, prurito, sudorazione. Coma, convulsioni generalizzate, gravi alterazioni del ritmo e conduzione cardiaca (blocco A-V, fibrillazione e flutter atriale, asistolia), ritenzione urinaria, paralisi della motilità intestinale. Elevato rischio di tossicità letale. Nausea, vomito, cefalea, irrequietezza psicomotoria, tremore. Rischio di tossicità letale molto basso o assente. Sonnolenza, parestesie, nausea, vomito. Elevato rischio di tossicità letale. Nessun caso riportato (dati non disponibili). Disponibili dati limitati sul sovradosaggio. Profonda sonnolenza, astenia. Rischio di tossicità letale basso. Sonnolenza, allucinazioni, perdita di coscienza, convulsioni. Disponibili dati limitati sul rischio di tossicità letale. descritti nell adulto (tabelle 4,5) e/o conseguenze a lungo termine legate all alterazione dello sviluppo neurocognitivo del bambino. Si può quindi sottolineare che il rapporto tra concentrazioni ematiche del farmaco e concentrazioni nel latte, proposto per valutare il rischio durante l allattamento, appare un parametro che non è in grado di predire in modo accurato la sicurezza di queste molecole e che numerose altre variabili appaiono decisive per definire il grado di effettivo rischio; pertanto appare maggiormente informativo operare una valutazione basata sugli effetti avversi riscontrati nei neonati esposti 71. La decisione di allattare durante un trattamento con AD pone, pertanto, problemi abbastanza simili a quelli presenti durante la gravidanza 3. Questa decisione dovrebbe essere presa solo dopo una accurata valutazione del singolo caso, analizzando i possibili rischi neonatali determinati dall allattamento al seno versus i vantaggi del trattamento farmacologico per la madre. I dati della letteratura sui rischi neonatali sono, ancora oggi, carenti e frammentari; le evidenze disponibili si riferiscono, di fatto, soprattutto a case-reports oppure a studi di cinetica relativi alle concentrazioni di psicofarmaci presenti nel plasma e/o nel latte materno e nel plasma del lattante, che come abbiamo accennato appaiono poco informativi. Rimane, infine, ampiamente inesplorata la questione relativa alle possibili conseguenze a lungo termine (sviluppo psicomotorio e cognitivo) nei lattanti esposti. La sostanziale mancanza di dati, per tutte le classi di psicofarmaci, e l impossibilità di utilizzare la semplice misura delle concentrazioni di un composto sia nel latte materno sia nel plasma del lattante come fattori predittivi di rischio sullo sviluppo cerebrale, lasciano tale problema ancora aperto. Antidepressivi triciclici Alcuni studi e casistiche cliniche hanno considerato in maniera specifica l impiego della clomipramina in corso di allattamento. Il primo studio si riferisce ad un neonato già esposto nel corso della gravidanza che aveva continuato ad assumere il farmaco durante l allattamento ad una dose di 125 mg/die. La sintomatologia presentata alla nascita (ipotonia, tremore, acidosi respiratoria) era andata incontro a remissione completa con stabilizzazione già all inizio e durante l allattamento materno 72. Nel secondo studio sono state misurate le concentrazioni plasmatiche di clomipramina in neonati di madri trattate con dosaggi di 75-125 mg/die per DOC. Dopo una esposizione di 3 settimane al farmaco si è osservato che le concentrazioni nei lattanti non erano misurabili o erano vicine al limite di sensibilità del test (10 ng/ml) e che non vi erano segni di tossicità. È stato inoltre calcolato che in caso di assunzione da parte del bambino di una quantità di circa 1000 ml/die di latte e di una posologia del farmaco di 150 mg/die, la dose di clomipramina cui veniva esposto il lattante era lo 0,4% di quella materna 73.

C. Bellantuono et al.: L impiego dei farmaci antidepressivi nel puerperio 35 Questi primi risultati rassicuranti sono stati successivamente confermati da altri studi 74,75 che hanno indicato come le dosi giornaliere di farmaco ingerito dai lattanti siano inferiori all 1% della dose/kg materna senza evidenziare effetti collaterali farmaco-indotti determinati dall allattamento. Le concentrazioni plasmatiche di desipramina e dei suoi metaboliti sono state misurate nel plasma e nel latte materno di una paziente trattata con 300 mg/die. Nonostante la dose corrispondesse al limite superiore del range terapeutico degli ATC, la concentrazione del farmaco non era rilevabile nel plasma del neonato così come non si evidenziavano sintomi clinici 76. Birnbaum et al. 75 hanno successivamente analizzato 5 neonati esposti a desipramina senza rilevare, negli stessi, segni di tossicità. Una serie di casistiche hanno permesso di valutare le concentrazioni di amitriptilina e nortriptilina nel latte di donne trattate a dosaggi terapeutici (75-175 mg/die). L analisi dei campioni di sangue dei lattanti non ha evidenziato concentrazioni rilevabili dei due farmaci ed in nessun caso sono stati rilevati segni di tossicità 74,77,78. Una recente meta-analisi di Weissman et al. 78, relativa all impiego degli AD in allattamento (vedi in seguito), ha indicato, tra gli ATC, la nortriptilina come farmaco di scelta, in virtù del maggior numero di studi che hanno riportato risultati rassicuranti. L unico ATC per il quale è stata segnalata una associazione tra esposizione durante l allattamento e segni di tossicità neonatale è la doxepina. Un primo case-report aveva indicato la presenza di depressione respiratoria e sonnolenza, seppur reversibile e risoltasi nel giro di 24 ore dalla sospensione dell allattamento, in un neonato esposto. Le elevate concentrazioni del farmaco e dei suoi metaboliti nei campioni di sangue del lattante (assai simili a quelle materne) deponevano per la presenza di una alterazione delle sue funzioni metaboliche 79. Un secondo lavoro, relativo all esposizione per 43 giorni di un lattante, aveva invece fornito dati del tutto differenti sulle concentrazioni plasmatiche di doxepina e dei suoi metaboliti, smentendo così la tossicità dell esposizione 80. Un rapporto clinico più recente ha comunque indicato la presenza di tossicità neonatale (ipotonia, suzione ipovalida, sonnolenza, ittero e vomito) associata all utilizzo durante l allattamento di doxepina per fenomeni di accumulo relativi all immaturità del sistema metabolico neonatale 81. Sostanzialmente rassicuranti, seppur assai limitati, sono i dati provenienti dagli studi che hanno valutato gli effetti a lungo termine dell esposizione agli ATC. Nei due studi controllati presenti in letteratura non emergono, infatti, segni di tossicità, né alterazioni dello sviluppo cognitivo nei 30 bambini esposti a trattamento in corso di allattamento 74,82. In considerazione dell esiguità del campione, tali risultati necessitano comunque di una ulteriore conferma. Inibitori selettivi della ricaptazione di serotonina La maggioranza degli studi che hanno focalizzato il problema del trattamento antidepressivo durante l allattamento e che hanno valutato le concentrazioni ematiche neonatali dei farmaci assunti dalle madri, riguardano la classe degli SSRI. Le evidenze disponibili provengono in realtà quasi esclusivamente da case-report, anche se recentemente sono stati pubblicati alcuni studi di coorte su campioni relativamente più numerosi. Nel complesso i farmaci più studiati risultano essere la fluoxetina, la sertralina e la paroxetina, sebbene le casistiche appaiono tutt ora numericamente insufficienti. Per quanto riguarda fluoxetina, in una recente revisione, sono stati evidenziati alcuni casi di sintomi di tossicità e da sospensione, quali disturbi del sonno ed aumentata irritabilità 83,84-86. Ad esempio, Isenberg et al. 84 hanno osservato in un bambino di 6 settimane esposto per due settimane a 20 mg/die di fluoxetina, una sintomatologia caratterizzata da agitazione e irritabilità, prontamente regredita dopo sospensione dell allattamento. Dalla misurazione dei livelli plasmatici di fluoxetina e del suo metabolita attivo nel lattante si evidenziavano valori significativamente alti per entrambi i composti. Nell unico studio (su 4 bambini) in cui sono stati valutati gli effetti a lungo termine dell esposizione, i livelli plasmatici del farmaco erano risultati ai limiti della normalità, con uno sviluppo cognitivo normale misurato alla Bayley Scales of Infant Development 87. Dati rassicuranti provengono dagli studi che si sono occupati in maniera specifica della sertralina e delle sue concentrazioni nel circolo ematico materno e neonatale. Stowe et al. 88 hanno raccolto una serie di campioni di latte materno dopo una singola dose di 25-200 mg/die, valutando le concentrazioni del farmaco 24 ore dopo l ultima assunzione; è stata inoltre misurata la concentrazione del farmaco nel plasma del lattante 2-4 ore dopo l ultima poppata. In questo studio è stato osservato che livelli misurabili di sertralina erano presenti in tutti i campioni di latte ed in 6 dei 12 campioni di sangue, senza comunque che nessuno dei lattanti presentasse segni di tossicità. Tali risultati sono stati confermati anche da studi successivi 89,90. In particolare, un recente studio ha misurato la concentrazione plasmatica di sertralina e la concentrazione piastrinica di serotonina (indice dell attività del farmaco) in 14 coppie madre/lattante prima e dopo il trattamento materno per 6-16 settimane, ad un dosaggio giornaliero compreso tra 25 e 200 mg/die. I dati raccolti dimostrano una riduzione dei livelli piastrinici di serotonina materna pari al 70%-96%, mentre nei lattanti tale riduzione era trascurabile. I livelli plasmatici medi di sertalina erano inoltre misurabili nella madre, mentre nel neonato erano al limite inferiore o al di sotto della concentrazione minima misurabile 90.

36 Recenti Progressi in Medicina, 98, 1, 2007 Stowe et al. 91 hanno valutato un gruppo di 16 pazienti in trattamento con paroxetina (10-50 mg/die); la misura dei livelli di farmaco presenti nei lattanti è risultata, in questo studio, al limite inferiore della soglia di misurabilità (2 ng/ml). Misri et al. 92 hanno invece valutato un campione di 25 donne in trattamento con paroxetina (20-40 mg/die), evidenziando livelli rintracciabili di paroxetina nel siero di tutte le pazienti ed in 24 campioni di latte. In tutti i neonati la concentrazione del farmaco era comunque al di sotto del limite minimo di misurabilità e non si evidenziavano effetti collaterali. Tali risultati confermano quanto emerso da un precedente articolo su un caso clinico, nel quale si era misurata la dose di farmaco ingerita dal lattante durante il trattamento della madre, riscontrando valori dello 0,34% rispetto alla dose materna aggiustata per il peso. Nello stesso articolo si sottolineava l assenza di qualsiasi segno di sofferenza clinica del neonato 93. Alcuni studi hanno recentemente valutato l esposizione a citalopram 94-97. In quattro bambini esposti sono stati evidenziati effetti collaterali, rappresentati rispettivamente da difficoltà del sonno 98, irritabilità, suzione inefficace e disturbi intestinali 99. Recentemente, Berle et al. 100 hanno fornito risultati maggiormente rassicuranti, non evidenziando effetti collaterali in nove bambini esposti al farmaco e riscontrando basse concentrazioni plasmatiche neonatali. Decisamente più esigui sono i dati relativi a fluvoxamina. Nei casi riportati non sono stati comunque identificati effetti collaterali a carico dei neonati esposti e i livelli plasmatici neonatali risultavano bassi 101-104. Data l esiguità degli studi, non si possono comunque ad oggi dare indicazioni di sicurezza. Un solo studio ha fornito dati riguardo ad escitalopram 105, evidenziando una dose relativa del 4,3% rispetto a quella materna aggiustata per il peso, senza osservare effetti collaterali. Infine, Weissman et al. 78 hanno condotto una revisione sistematica relativa ai livelli plasmatici materni, neonatali e ai livelli nel latte materno dei farmaci antidepressivi. Nell ambito dell analisi è stato misurato il rapporto tra concentrazioni neonatali e materne di ciascun farmaco e sono state valutate le eventuali correlazioni tra tale indice (definito come ottimale al di sotto del 10%) e le variabili cinetiche sopra riferite. Tra i farmaci studiati la sola fluoxetina ha presentato un rapporto superiore al 10% (22%), mentre paroxetina, nortriptilina e sertralina mostravano livelli plasmatici neonatali molto bassi o non misurabili. Per quanto riguarda il citalopram, nonostante il rapporto sia superiore (17%) al valore soglia pre-definito, la scarsa quantità dei dati non ha consentito di poter giungere a conclusioni esaustive. Diversi sono, tuttavia, i limiti metodologici emersi in questa revisione della letteratura. In primo luogo: la mancanza, in molti degli studi revisionati, della misurazione dei livelli plasmatici dei farmaci nei lattanti. Poiché nella prima settimana di vita si ha un significativo incremento della capacità metabolica del lattante sino ad essere paragonabile a quella di un adulto, proprio tale capacità, più che la quantità ingerita attraverso il latte materno, potrebbe influire sulla concentrazione plasmatica dei farmaci; riferirsi alla sola concentrazione di un composto nel latte materno per determinare l entità dell esposizione del lattante potrebbe rivelarsi fuorviante. Altri possibili fattori di confondimento presenti negli studi si riferiscono essenzialmente alle modalità con cui sono stati raccolti i campioni (tempi e metodologia) e ad alcune caratteristiche non controllate relative sia alla madre (uso di alcool e/o nicotina, impiego di farmaci concomitanti, incluse le erbe), sia al lattante (esposizione ai farmaci nel periodo antecedente il parto). Seppure con queste limiti legati alla metodologia degli studi, è possibile definire una sorta di gerarchia nella selezione del farmaco, gerarchia che vede, tra gli ATC, la nortriptilina e tra gli SSRI la paroxetina e la sertralina, come farmaci da preferire nei casi di allattamento al seno. Questi dati rassicuranti sull esposizione neonatale ad alcuni AD durante l allattamento al seno sono stati confermati, peraltro, anche da un recente studio controllato che ha documentato sia l assenza di effetti indesiderati a carico dei 25 neonati esposti a citalopram, sertralina, paroxetina, fluoxetina e venlafaxina, sia la non misurabilità dei farmaci nel latte materno 100. Altri antidepressivi Le evidenze relative all impiego di altri AD appaiono decisamente esigue. Un singolo caso ha evidenziato una concentrazione plasmatica nel lattante di bupropione ai limiti della misurabilità, senza la comparsa di alcun segno di tossicità neonatale, pur essendo il rapporto tra la concentrazione del farmaco nel latte materno e nel plasma superiore a quella evidenziata per gli ATC 106. Nello studio di Berle et al. 100, il campione trattato con venlafaxina era limitato a 3 donne. Le concentrazioni del farmaco sono state misurate nel latte e nel sangue materno, nonché nel sangue dei neonati esposti. I risultati mostravano livelli plasmatici elevati del metabolita attivo della venlafaxina mentre un neonato presentava anche livelli misurabili di venlafaxina. La dose media cui i neonati erano esposti appariva del 7,6% rispetto alla dose materna. In questo studio non è stata comunque segnalata la comparsa di alcun effetto collaterale neonatale e di anomalie nello sviluppo neurocomportamentale del bambino a lungo termine. Un successivo caso descritto da Hendrick et al. 107 ha misurato la concentrazione plasmatica neonatale di venlafaxina in due neonati allattati al seno ed esposti rispettivamente a 75 mg/die e a 150 mg/die. I livelli di venlafaxina non erano valutabili, mentre i livelli del metabolita attivo apparivano comunque bassi in riferimento a quelli materni.

C. Bellantuono et al.: L impiego dei farmaci antidepressivi nel puerperio 37 Anche in questo studio non sono stati identificati effetti collaterali nei neonati esposti. Infine, l analisi, dei livelli plasmatici materni e neonatali e delle concentrazioni di venlafaxina e del suo metabolita attivo nel latte materno sono state studiate da Ilett et al. 108 che hanno misurato concentrazioni nel latte di 2,5 e 2,7 volte rispettivamente superiori a quelle plasmatiche materne. La dose media di venlafaxina a cui i neonati apparivano esposti era del 6,4% rispetto alla dose materna, inferiore al 10% stabilito come livello di guardia. In un solo caso è stata valutata l esposizione a mirtazapina, 30 mg/die, durante l allattamento. Le concentrazioni misurate nel latte materno erano sovrapponibili a quelle plasmatiche riscontrate nella madre. Non sono stati comunque identificati eventi avversi nel neonato e lo sviluppo psicomotorio alla sesta settimana appariva nella norma 109. Implicazioni per la pratica clinica Le informazioni disponibili sui rischi neonatali da AD in corso di allattamento al seno derivano prevalentemente da case-report e, di conseguenza, lo stato attuale delle conoscenze non consente di dare indicazioni definitive per orientare le decisioni da adottare nella pratica clinica (tabella 6). Tabella 6. Effetti indesiderati riportati con antidepressivi nell allattamento. Farmaci Effetti indesiderati riportati ATC Clomipramina Ipotonia, tremore, acidosi respiratoria riferibili a sintomi da sospensione (esposizione in utero). Amitriptilina Nortriptilina Desipramina Assenza di effetti collaterali riportati in letteratura. Doxepina Depressione respiratoria e sonnolenza, ipotonia, suzione ipovalida, sonnolenza, ittero e vomito. SSRI Fluoxetina Irritabilità, agitazione e vomito in alcune casistiche. Paroxetina Assenza di effetti collaterali riportati in letteratura. Sertralina Assenza di effetti collaterali riportati in letteratura. Fluvoxamina Citalopram Escitalopram Venlafaxina, Duloxetina (SNRI) Reboxetina (NARI) Mirtazapina (NaSSA) Bupropione Difficoltà del sonno, irritabilità, suzione ipovalida e sintomi intestinali comparsi singolarmente in quattro bambini esposti. La decisione di consentire un allattamento al seno in una puerpera che sta assumendo una terapia antidepressiva deve, quindi, essere presa tenendo conto di una serie di variabili che riguardano la madre (es. gravità del quadro clinico, desiderio di allattare al seno, disponibilità di altre strategie terapeutiche), il neonato (vantaggi di un allattamento al seno verso svantaggi di un allattamento artificiale) e naturalmente il tipo di AD da impiegare. Le indicazioni più affidabili a questo riguardo derivano dagli studi che hanno valutato sia le concentrazioni di farmaco presenti nel latte materno e/o nel plasma del neonato, sia gli effetti indesiderati/tossici riportati nei lattanti esposti ai diversi composti. Sulla base di quanto riferito relativamente ai rischi potenziali degli AD durante l allattamento e tenendo conto delle raccomandazioni fornite da organismi scientifici accreditati, come ad esempio l American Academy of Pediatrics, si possono comunque trarre alcune conclusioni utili per la pratica clinica. Tra i farmaci antidepressivi sono ritenuti compatibili con l allattamento al seno: la nortipilina (tra gli ATC) e la paroxetina e la sertalina (tra gli SSRI); le ragioni sono essenzialmente legate al dato che i suddetti farmaci mostrano concentrazioni molto basse o non misurabili nel latte materno e, soprattutto, che non sono stati riportati effetti indesiderati nella maggior parte dei lattanti esposti. Per quanto riguarda fluoxetina e citalopram, alla luce dei dati raccolti non si può escludere il rischio di accumulo nel neonato in conseguenza del rallentato metabolismo, con la successiva comparsa di effetti collaterali, comunque reversibili. Per altri AD, la scarsa quantità di dati non consente al momento di escludere possibili effetti indesiderati in corso di allattamento al seno. Come nel caso della gravidanza, anche per l allattamento al seno in corso di trattamento con AD, è indispensabile una valutazione realistica dei rischi/beneficî materni e neonatali. Considerando l attuale esiguità dei campioni studiati, nel caso di una terapia già impostata ed efficace, non appare opportuna la sostituzione del farmaco.

38 Recenti Progressi in Medicina, 98, 1, 2007 E questo perché i vantaggi del passaggio ad una molecola escreta nel latte in minor quantità sono esclusivamente teorici. Nel caso invece sia necessario impostare un nuovo trattamento, è preferibile l impiego di un AD compatibile con l allattamento al seno, ed in particolare la paroxetina e la sertralina. Una raccomandazione generale è che in tutti i casi è estremamente importante che il lattante venga regolarmente controllato dal neonatologo per evidenziare eventuali segni precoci di tossicità legati all esposizione farmacologica (tabella 7). Tabella 7. Indicazioni per un uso razionale degli antidepressivi nell allattamento a) Evitare farmaci studiati in casistiche rassicuranti ma numericamente piccole. b) Utilizzare composti di cui sia ben conosciuto il rischio di tossicità neonatale (paroxetina, sertalina e nortriptilina). c) Monitorare regolarmente le condizioni del neonato. d) Sospendere l allattamento nel caso insorgano effetti indesiderati collegati al trattamento farmacologico. È importante, infine, sottolineare la rilevanza di una identificazione precoce del quadro clinico nella decisione di impostare un trattamento efficace. Come precedentemente riportato, una percentuale rilevante di donne con DPP non riceve attualmente una diagnosi corretta e non viene quindi sottoposta ad un trattamento specifico. Spesso, infatti, la sovrapposizione sintomatologica tra maternity blues e DPP porta ad interpretare la sintomatologia depressiva come naturale conseguenza del parto. A questo proposito, è stato evidenziato che solo in un terzo dei casi le donne riconoscono di avere un disturbo depressivo 49. Tra i fattori che possono spiegare questa difficoltà può essere ricordata la sovrapposizione sintomatologica tra sintomi fisiologici del puerperio e sintomi depressivi, quali l insonnia, l anoressia, la diminuzione della libido, la stanchezza e la difficoltà a concentrarsi. Date le conseguenze del mancato trattamento di una DPP nel puerperio, sia per la madre sia per lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale del bambino, risulta quindi importante prevedere strategie di screening che permettano una diagnosi precoce di queste forme di disagio psichico. Sebbene, come visto, si possano identificare alcuni importanti fattori di rischio, tra cui una anamnesi patologica positiva per disturbi affettivi e l insorgenza di un episodio depressivo in gravidanza, è comunque consigliabile effettuare uno screening di routine su tutte le donne durante il puerperio impiegando strumenti rapidi e di facile utilizzo. La scala più utilizzata attualmente (e di cui è disponibile una versione italiana) è la Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS: tabella 8 nella pagina a fronte), un questionario di 10 domande, autosomministrato 110. La EPDS potrebbe essere somministrata di routine nell ambulatorio pediatrico o durante le visite ostetriche di controllo in un periodo compreso entro i due mesi dal parto, al fine di migliorare in modo significativo il riconoscimento e la gestione terapeutica della DPP 39.

C. Bellantuono et al.: L impiego dei farmaci antidepressivi nel puerperio 39 Tabella 8. Edinburgh Postnatal Depression Scale (J. L. Cox et al., 1987 110 ). Nome. Cognome... Data.. Data di nascita del figlio Gentile signora, la invitiamo a scegliere, tra le diverse risposte, quella che meglio corrisponde al suo stato d animo negli ultimi sette giorni. 1) Sono stata in grado di ridere e vedere il lato divertente delle cose Come al solito Non proprio come al solito Assolutamente non come al solito No, per niente 2) Mi sono posta in modo positivo verso gli eventi Tanto come al solito Un po meno del solito Assolutamente meno del solito No per niente *3) Mi sono sentita colpevole senza motivo quando le cose non andavano bene Si, la maggior parte delle volte Si, alcune volte Non molto spesso Mai 4) Sono diventata ansiosa o preoccupata senza motivo No, per niente Quasi mai Si, qualche volta Si, molto spesso *5) Mi sono sentita spaventata o nel panico senza un buon motivo Si, spesso Si, qualche volta No, non molto Mai *6) Mi sono sentita sopraffatta dalle cose che accadevano Si, il più delle volte non sono in grado di affrontarle Sì qualche volta non le affronto bene come al solito No, il più delle volte le ho sfrontate piuttosto bene No, le ho affondate bene come al solito *7) Sono così infelice che ho difficoltà a dormire Si, la maggior parte delle volte Si, qualche volta Non molto spesso Mai *8) Mi sono sentita triste o avvilita Si, la maggior parte delle volte Si, piuttosto frequentemente Non molto spesso Mai *9) Sono così infelice che ho pianto Si, la maggior parte delle volte Si, piuttosto frequentemente Solo occasionalmente Mai *10) Il pensiero di farmi del male mi è venuto in mente Si, piuttosto frequentemente Qualche volta Quasi mai Mai Calcolare il punteggio totale della scala assegnando punteggi crescenti da 0 a 3 (0, 1, 2, 3) ad ogni item dall alto in basso. Per le domande contrassegnate dall asterisco *: assegnare un punteggio decrescente (3, 2, 1, 0).

40 Recenti Progressi in Medicina, 98, 1, 2007 Bibliografia 1. Percudani M, Barbui C, Fortino I, Petrovich L. Antidepressant drug use in Lombardy, Italy: a population-based study. J Affect Disord 2004; 83: 169-75. 2. Patten SB, Williams JV, Wang J, Adair CE, Brant R, Casebeer A, et al. Antidepressant pharmacoepidemiology in a general population sample. J Clin Psychopharmacol 2005; 25: 285-7. 3. Bellantuono C, Migliarese G, Imperadore G. L impiego dei farmaci antidepressivi in gravidanza. Recenti Prog Med 2006; 97: 94-107. 4. Kendell RE, Chalmers JC, Platz C. Epidemiology of puerperal psychoses. Br J Psychiatry 1987; 150: 662-673. 5. Nonacs R. Postpartum mood disorders. Washington DC: American Psychiatric Publishing 2005: 77-103. 6. Matthey S, Barnett B, Howie P, Kavanagh DJ. Diagnosing postpartum depression in mothers and fathers: whatever happened to anxiety? J Affect Disord 2003; 74: 139-47. 7. Wenzel A, Haugen EN, Jackson LC, Brendle JR. 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