Il punto vendita nel settore moda: quando la comunicazione passa attraverso la dimensione emozionale del concept store



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II CONVEGNO NAZIONALE DELLA SOCIETA ITALIANA DI MARKETING IL MARKETING DEI SERVIZI Sezione Marketing distributivo e Trade marketing Simona D AMICO Dottoranda di Ricerca in Economia e Governo dell Impresa Università degli Studi di Foggia s.damico@unifg.it Francesco DI GREGORIO Dottorando di Ricerca in Economia e Governo dell Impresa Università degli Studi di Foggia f.digregorio@unifg.it Il punto vendita nel settore moda: quando la comunicazione passa attraverso la dimensione emozionale del concept store

Simona D AMICO Dottoranda di Ricerca in Economia e Governo dell Impresa Università degli Studi di Foggia Francesco DI GREGORIO Dottorando di Ricerca in Economia e Governo dell Impresa Università degli Studi di Foggia Il punto vendita nel settore moda: quando la comunicazione passa attraverso la dimensione emozionale del concept store Sommario: 1. Introduzione; 2. Il prodotto moda e la sua complessità; 3. Le strategie di comunicazione nella moda; 4. La distribuzione e il vertical branding; 5. Il concept store: il punto vendita da luogo di acquisto a luogo di permanenza; 5.1. L entertainment nel retail; 5.2. Lo shopping come esperienza: verso nuovi modelli di consumo; 6. Conclusioni. Pur se il lavoro è frutto di riflessioni condivise e sviluppate in comune, i paragrafi 2, 3 e 4 sono da attribuirsi a Simona D Amico, i paragrafi 5, 5.1 e 5.2 a Francesco Di Gregorio, mentre i paragrafi 1 e 6 ad entrambi.. 1

1. Introduzione Nel corso degli ultimi anni le imprese industriali del settore moda hanno manifestato un interesse crescente verso le politiche di retailing; l importanza che le strategie commerciali rivestono nell affermazione dei prodotti sul mercato induce, infatti, verso forme di maggiore programmazione e controllo delle attività distributive nei punti vendita che in alcuni casi hanno portato all introduzione di nuovi format aventi una notevole capacità comunicazionale come i concept store. Se fino ad oggi le potenzialità comunicative del punto vendita sono state circoscritte alla trasmissione di informazioni relative all offerta commerciale (il prodotto, i suoi benefici, i servizi ad esso collegati), i grandi mutamenti che interessano le dinamiche competitive, così come i comportamenti di consumo, hanno spinto le imprese industriali a scoprire e a sfruttare le rilevanti opportunità che il concept store offre per trasmettere all esterno l identità, la personalità e il mondo dei valori insiti in ciascuna marca. La creazione di ambienti di vendita stimolanti ed emotivamente coinvolgenti rappresenta, dunque, una modalità sempre più spesso adottata dalle imprese del settore moda al fine di generare nuovo valore per la domanda. Il presente lavoro si propone di analizzare la dimensione emozionale dello shopping, che costituisce un utile ausilio per la comprensione del processo di scelta della domanda in alcune situazioni di acquisto che altrimenti sarebbero da considerare devianti ed irrazionali. 2. Il prodotto moda e la sua complessità La moda (dal latino modus) è quell atteggiamento della collettività caratterizzato dalla innata tendenza all imitazione, che conferisce all individuo la sicurezza di appartenere ad un gruppo sociale, esprimendo la propria personalità. In particolare, nasce dal. 2

superamento del bisogno puramente funzionale di coprirsi, comportando l emergere di un bisogno sociale ed estetico. In questa prospettiva, il prodotto-moda risponde al vago desiderio di valori quali la bellezza, la rarità, la voglia di distinguersi e di apparire. Lo stesso Kotler, analizzando il ciclo di vita 1 del prodotto moda, sostiene che nella fase di distinzione e di emulazione, esso è considerato un bene raro, inaccessibile, raffinato. Se risulta essere anche superiore dal punto di vista qualitativo, deve addirittura considerarsi come di lusso 2. Non è detto dunque che un prodotto di moda sia per forza un bene di lusso. Ogni realtà imprenditoriale operante nel sistema-moda 3 decide in base alla strategia adottata a quale segmento di mercato rivolgersi, quale prodotto offrire e con quali caratteristiche. Il consumatore, oggi rispetto al passato, esprime esigenze sempre più eterogenee, spinto all acquisto da valori intangibili veicolati dal prodotto, facendosi portatore di una propria strategia nel processo di acquisto in cui è coinvolto. La rivoluzione dell Information & Communication Technology ha reso molto più semplice rispetto al passato l accesso alle informazioni, con conseguente possibilità per il consumatore stesso, di confrontare l enorme varietà di offerte presenti sul mercato 4. In un contesto economico oramai caratterizzato dall eccesso di offerta rispetto alla domanda, non è facile per il consumatore scegliere il prodotto differente. E in questo contesto così singolare che si colloca il ruolo della marca intesa come strumento capace di comunicare lo stile creativo 1 Kotler individua per il prodotto-moda quattro fasi del ciclo di vita: distinzione, emulazione, moda di massa, declino. 2 Il lusso è definito come quel qualcosa che rappresenta motivo di vistosa esorbitanza nell ambito delle normali comodità e soddisfazioni, Devoto-Oli: Vocabolario della lingua italiana. 3 Il sistema moda, ovvero l insieme delle aziende che operano nei settori del tessile, dell abbigliamento, dell accessorio, della pelletteria e della calzatura - Cfr. Carcano L., Corbellini E., Lojacono G., Varacca Capello P., Il mondo orafo tra tradizione e innovazione, ETAS, MILANO, 2002, pp. 227-228. 4 Cfr. Mastroberardino P., Magliocca P.,Calabrese G., Il consumo: assetto strutturale e dinamica competitiva, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2005, pp. 11-13 3

dell azienda senza tradirne l identità, in modo tale che il logo sia percepito come una garanzia 5. A ben vedere infatti, la marca si pone come protagonista dei percorsi di sviluppo dell impresa al punto da dare vita ad un vero circolo virtuoso basato sull attività di ricerca e sviluppo e sulla comunicazione. Questo consentirà di sviluppare flussi fiduciari relativi non solo alle relazioni con i consumatori finali, ma anche con i sovrasistemi che popolano l ambiente 6. In particolare nella moda, stiamo assistendo ad una importante dissociazione tra il prodotto e la marca, al punto tale che il primo è considerato ciò che l impresa produce, mentre la marca è ciò che l impresa vende 7. Questo invita a riflettere sul ruolo del brand nel mercato dei prodotti di moda, in cui la funzione non solo di garanzia, ma anche quella ludica giocano un ruolo determinante. La marca, dunque, non solo come garante di qualità, ma anche come strumento che gratifichi l acquisto. Oggi, infatti, le motivazioni che spingono all acquisto, non sono solo dettate dal bisogno di uno specifico bene, ma anche da motivi di ordine personale e/o sociale 8. Il consumatore dunque, è alla continua ricerca di un esperienza d acquisto in cui i prodotti vengono selezionati più che per le loro caratteristiche funzionali, per le loro valenze simboliche ed estetiche. Tale situazione ha incoraggiato nel passato, le aziende operanti nel comparto moda ad ampliare la gamma della propria offerta e, nel caso specifico, nei modelli, nei tessuti, negli accessori e nelle taglie, garantendo la continua innovazione della produzione, nel passaggio da una stagione all altra. A ragione, dobbiamo considerare però le ripercussioni dell aumento della varietà e della variabilità sui costi della gestione. L aumento della prima, infatti, comporta anche l aumento dei ricavi di vendita, così 5 Cfr. Saviolo S., Gestire l identità di marca nella moda, Economia & Management, n. 5, 1997, pp. 54-55. 6 Cfr. Golinelli Gaetano M., Ridefinire il valore della marca, Sinergie, n. 63, Gennaio- Aprile, 2004, pp. 223-226. 7 Cfr. Saviolo S., Testa S., Le imprese del sistema moda, Etas, Milano, 2000, p. 156. 8 Cfr. Barile S., Le formule di distribuzione al dettaglio, Cedam, Padova, 1996, pp. 102-103. 4

come la netta contrazione della redditività a causa dell aumento dei costi di gestione della complessità 9. Oggi, infatti, numerose aziende operanti nel settore prestano attenzione a comprimere la varietà tramite l approccio metodologico VRP (Variety Reduction Program) applicato in Giappone nella prima metà degli anni Settanta per fronteggiare la complessità derivante dalla eccessiva spinta verso la differenziazione di prodotto 10. La gestione della varietà nelle imprese di moda ha sollevato una interessante riflessione: ridurre la varietà, con un conseguente taglio al numero degli articoli, modelli e tessuti impiegati, non necessariamente implica la rinuncia alla creatività né tanto meno a categorie di clienti più esigenti 11. A ben vedere, spesso i designer orientano la propria attività alla proposta di innovazioni stilistiche tali da assecondare in ogni caso il consumatore, senza pensare alle ripercussioni in termini di costi. E un atteggiamento questo che non sorprende particolarmente, visto che tra le caratteristiche principali delle imprese italiane vi è proprio la centralità del prodotto 12 attorno al quale tutto ruota, anche a pena di importanti inefficienze nei costi. Piuttosto, in siffatta situazione, gli esempi di aziende di successo non mancano, a patto di rinunciare ad uno dei capisaldi del sistema produttivo dell abbigliamento: la logica del fare di tutto tramite una differenziazione spinta di prodotto e di gamma 13. In quest ottica pare esserci allora un punto fermo nella questione, secondo alcuni oggi ancora aperta, relativa alla ricerca del giusto compromesso tra una differenziazione spinta ed una focalizzazione su nicchie di mercato. Se è vero che il consumatore del duemila non 9 Cfr. Sciuccati F. M., Varacca Capello P., Il Sistema Moda e la gestione della varietà, Economia & Management, n. 5, 1999, p. 63. 10 Alcune aziende italiane hanno sperimentato l approccio metodologico VRP. Tra queste, ricordiamo il gruppo Ermenegildo Zegna che utilizza tale metodologia dal 1991 al fine di razionalizzare il processo di sviluppo delle collezioni per segmentare in maniera efficace il mercato e rendere più efficienti i processi operativi. 11 Cfr. Sciuccati F. M., Varacca Capello P., Il Sistema Moda e la gestione della varietà, Economia & Management, n. 5, 1999, pp. 59-60. 12 Cfr. Corbellini E., Saviolo S., La scommessa del Made in Italy, Etas, Milano, 2004, pp. 39-43. 13 Cfr. Puricelli M., Cambiare le regole del gioco per battere la crisi: il caso Patrizia Pepe, Economia & Management, n. 2, 2005, p. 123. 5

conosce più il consumismo sfrenato degli anni Ottanta, neppure bisogna sottovalutare la sua incapacità a percepire le differenze spesso ridotte, in termini di qualità, creatività e design. Di qui nasce l esigenza di non considerare più la qualità come strumento assoluto per acquisire un vantaggio competitivo conservabile e durevole. Possiamo asserire con ragionevole certezza infatti, che nell attuale contesto competitivo, la qualità da sola non basta per conquistare quote di mercato. Ne consegue l esigenza dunque di adottare strategie di nicchia, le stesse che Porter 14 definisce come le più efficaci in un mercato caratterizzato da aspra competizione e da domanda tendente a rimanere stabile nel tempo. 3. Le strategie di comunicazione nella moda Negli ultimi anni il settore moda si è reso protagonista di una sensibile dissociazione tra il prodotto e la marca 15, con il conseguente passaggio dalla comunicazione di prodotto a quella di brand, che associa alla classica valenza informativa la valenza emotiva 16. A ben vedere, infatti, il prodotto moda parla di sé al consumatore, e per questo la comunicazione deve spesso declinare i codici stilistici in codici di immagine. La marca moderna non è più legata al prodotto né alla categoria di prodotti, piuttosto veicola il modus vivendi a cui si accosta con interesse il consumatore, per condividerne i valori ed i comportamenti. In questo quadro la comunicazione di massa, come la pubblicità, si è mostrata spesso inefficace, essendo probabilmente più appropriata la piattaforma informativa a garantire il contatto diretto con il cliente o il potenziale tale. Questo ha comportato l affermarsi del punto vendita come luogo di interazione e di comunicazione tra cliente ed azienda, luogo preferito per lo scambio di informazioni. 14 Cfr. Porter M. E., La strategia competitiva, Editrice Compositori, Bologna, 1997, pp. 44-46. 15 Cfr. Saviolo S., Testa S., Le imprese del sistema moda, Etas, Milano, 2000, p. 156. 16 Cfr.Ravazzoni R., Petruzzellis L., Strategie di Vertical Branding del sistema-moda italiano di alta gamma, Esperienze d impresa, n. 1, 2004, p. 29. 6

A ben vedere il punto vendita comunica ciò che la marca è, ponendosi tra i principali protagonisti nella costruzione della brand identity attraverso una serie di elementi hard (location, layout interno ed esterno) e di elementi soft (intrattenimento e servizi) 17, divenendo così una vera e propria piattaforma relazionale, strumento ottimale per costruire solide e durature relazioni di fiducia con la clientela attuale e potenziale 18. Al proposito è bene precisare che i termini di identità e di immagine di marca non devono essere confusi e non possono essere considerati sinonimi. Il secondo, infatti, è un concetto associato all atto di trasmissione di un messaggio da parte dell impresa. Quindi, l identità precede l immagine, e di conseguenza, per effettuare efficaci ed efficienti investimenti in politiche comunicazionali, sarebbe opportuno conoscere quanto meno l identità di marca per poi poterla comunicare mediante la costruzione della sua immagine 19. Possiamo asserire con ragionevole certezza che è stato più facile nel passato costruire dei rapporti fiduciari tra azienda e cliente rispetto ad oggi. Questo perché nell attuale contesto competitivo la fiducia si costruisce spesso su fattori immateriali e non più esclusivamente in rapporto agli attributi fisici dei beni. Ma, se l ignoranza del consumatore in relazione agli attributi fisici dei beni imponeva un atto di fede, oggi invece egli è perfettamente in grado di valutare i fattori immateriali e quindi è più difficilmente conquistabile. L adesione ad una griffe piuttosto che ad un altra, proprio perché legata a motivazioni che solo in modo mediato hanno a che fare con gli attributi fisici dei beni, e sono invece determinate da quelli immateriali, espongono nei confronti dei mutamenti degli stili di vita e quindi alla concorrenza 20. 17 Cfr. Cuomo G., Lecconi V., L evoluzione del ruolo del punto vendita nel potenziamento delle politiche di branding delle imprese industriali: il caso Bulgari, Convegno Le tendenze del Marketing, Ecole Superieure de Commerce de Paris- EAP 21-22 Gennaio 2005, pp. 5-9. 18 Cfr. Pellegrini L., Luoghi dell acquisto e relazione con il consumatore, Micro & Macro Marketing, a. X, n. 3, Dicembre 2001, pp. 386-390. 19 Cfr. Saviolo S., Gestire l identità di marca nella moda, Economia & Management, n. 5, 1997, p. 55. 20 Cfr. Pellegrini L., Luoghi dell acquisto e relazione con il consumatore, Micro & Macro Marketing, a. X, n. 3, Dicembre 2001, p. 388. 7

Da questo deriva la necessità di comunicare in maniera coerente i valori intangibili veicolati dal brand, mediante una comunicazione non più di massa ma personalizzata, che si concretizzi cioè in luoghi fisici di incontro con il cliente, che vadano oltre l ambiente virtuale offerto dalle nuove tecnologie. In questo quadro, risulta estremamente efficace la scelta strategica adottata dalle aziende industriali che si stanno rendendo protagoniste di processi di integrazione a valle mediante strategie di vertical branding. Controllare il processo distributivo al fine di attuare una efficace comunicazione con il consumatore finale per la costruzione della brand image e della brand identity 21. E manifesta dunque, la necessità di fare ricorso a strumenti di comunicazione non solo verbali, che solletichino, incuriosiscano e provochino la sfera emotiva ed istintiva del cliente obiettivo. Concludendo, le strategie di comunicazione della moda conoscono una problematica rilevante legata al rischio della mancata coerenza e continuità nella trasmissione di codici, messaggi e valori al consumatore finale. Di qui l esigenza di adottare processi di comunicazione integrata, secondo un ottica di unitarietà della stessa nell estrema articolazione degli strumenti utilizzati. 4. La distribuzione e il vertical branding A partire dalla seconda metà degli anni Novanta nel settore moda si afferma la tendenza a controllare direttamente i canali distributivi mediante forme di integrazione verticale a valle, realizzate per mezzo dell apertura di negozi di proprietà e franchising. I motivi che si pongono alla base di queste scelte distributive sono legati al controllo delle logiche di gestione e quindi delle modalità di vendita, all ottenimento di informazioni sulle tendenze del mercato e alla costruzione di una coerente immagine di marca 22. 21 Cfr. Sansone M, Scafarto F., Il ruolo comunicativo del punto vendita nel SISTEMA MODA. Un approccio semiotico al marketing, Convegno internazionale Le tendenze del Marketing, Università Cà Foscari Venezia, 28-28 Novembre, 2003, pp. 1-3. 22 Cfr. Ravazzoni R., Petruzzellis L., Strategie di Vertical Branding del sistemamoda italiano di alta gamma, Esperienze d impresa, n. 1, 2004, pp. 35-36. 8

In questo quadro la distribuzione diviene strumento imprescindibile per comunicare in maniera efficace la marca e la sua identità, distinguendo la propria offerta da quella dei competitors tramite l erogazione di servizi attraenti per il cliente o potenziale tale. A ben vedere, il sistema di vertical branding entra a far parte della strategia comunicativa che, nel settore in questione, deve coniugare alle classiche funzioni informative quelle legate alla sfera emotiva. Il controllo dei canali distributivi consente di interpretare il punto vendita non più solo come lo scenario in cui si consuma l atto di acquisto, ma come luogo per eccellenza di contatto con il cliente o potenziale tale. Il rapporto diretto con il consumer permette di conoscere i suoi gusti ed abitudini di acquisto, di rafforzarne la fidelizzazione monitorando l evoluzione delle sue esigenze. Questo nuovo modo di intendere la funzione retailing perfettamente integrata con il resto della filiera, ha comportato la nascita di nuovi format: i corners, i flagship store, i factory outlets, i concept stores. Questi infatti divengono strumenti di branding retailtenment che valorizzano la dimensione esperienziale dello shopping, conciliando al meglio la rappresentazione di marca e l intrattenimento. Tuttavia non va dimenticato che si tratta di scelte distributive comportanti costi sostenuti che non sempre l azienda ha capacità di sopportare. In particolare, la creazione di negozi monomarca non sarebbe scelta distributiva efficace ed efficiente laddove l azienda non dovesse offrire al mercato un ampia gamma di prodotti supportati dalla marca forte. Il meccanismo di crescita numerica dei monomarca, tipico degli anni Novanta, ha conosciuto un importante arresto per effetto della crisi mondiale, che ha ridotto gli investimenti in monomarca del lusso in cui l architettura e il design ruotano attorno alla marca 23. Allora, il caso in cui l azienda non dovesse avere la possibilità di investire in strategie di Vertical Branding stimola una riflessione interessante: quali scelte adottare per favorire una loyalty che non sia più solo di marca, ma anche di punto vendita? La soluzione passa necessariamente attraverso la costituzione di nuovi e più moderni format distributivi e di maggiori servizi offerti al consumatore. 23 Invita ad una riflessione il caso di Via Vittorio Emanuele a Milano, che ha visto l apertura di una serie di megastore di fascia medio-bassa, tra cui Zara e H&M. 9

Posto infatti, che i fattori influenzanti le imprese del settore distributivo si distinguono in controllabili e non, sono sicuramente i fattori controllabili, dall assortimento del punto di vendita al personale, le fonti della store loyalty 24. Ma, in questo convulso desiderio di costruire spazi fisici di contatto con il cliente desta curiosità notare come ci si trovi quasi ad un paradosso, con la possibilità di contattare direttamente il consumer tramite la piattaforma virtuale. Perché, dunque, sostenere consistenti investimenti in eleganti ed appariscenti strutture laddove lo sviluppo della comunicazione virtuale consentirebbe il contatto immediato e diretto con il cliente obiettivo? A ben vedere, ciò si lega in particolare allo scarso successo che il commercio elettronico ha conosciuto nel settore in questione. Ci troviamo ancora nella situazione in cui il consumatore è poco attratto dall acquistare via web, soprattutto se ci si riferisce al mercato del settore moda, in cui l acquirente manifesta la necessità del contatto face to face con il venditore, spesso al fine di essere guidato e consigliato nell atto di acquisto. Non dimentichiamo infatti, che i vestiti e i gioielli, in particolare, non possono essere venduti tramite un video che per suo carattere intrinseco, è privo di passionalità e carattere, né tramite un catalogo, perché essi veicolano gli elementi intangibili capaci di soddisfare un bisogno emozionale 25. 5. Il concept store: il punto vendita da luogo d acquisto a luogo di permanenza Come detto precedentemente, le aziende del settore moda stanno progressivamente allargando il proprio business, affiancando all attività produttiva anche quella della distribuzione e della commercializzazione diretta ai consumatori delle proprie marche e delle proprie griffe, attraverso forme di integrazione verticale discendente. 24 Cfr. Barile S., Le formule di distribuzione al dettaglio, Cedam, Padova, 1996, pp. 59-64. 25 Cfr. Barile S., Le formule di distribuzione al dettaglio, Cedam, Padova, 1996, pp. 239-240. 10

In tale direzione, dunque, il punto vendita viene ad assumere certamente un ruolo strategico critico nel tentativo di differenziarsi dalla concorrenza e di attuare una efficace comunicazione con il consumatore finale, soprattutto in considerazione del peso sempre più significativo che viene a rivestire la selezione e la scelta del punto vendita stesso all interno del processo decisionale del consumatore 26. Pertanto, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, si è sentita la necessità di creare e di sviluppare una particolare categoria di punto vendita attorno ad un format innovativo, denominata concept store 27, al fine di soddisfare bisogni sempre più complessi e articolati della domanda. Il concept store può essere definito come lo spazio commerciale, costruito intorno ad un tema specifico, in cui i prodotti sono messi in scena in un contesto spettacolare ed espressivo, e dove prima dei prodotti ciò che si vuole proporre è la gratificante esperienza che il consumatore può provare nel negozio stesso 28. Tale concezione del punto vendita si caratterizza come un nuovo modo di vendere e comprare che propone uno stile di vita e mescola oggetti diversi in una esposizione curata ai minimi dettagli attraverso un particolare sistema di arredo. Dietro questo tipo di scelta ci sono certamente delle ragioni di riduzione dei costi (grazie all eliminazione degli intermediari finanziari), ma soprattutto delle motivazioni legate alla necessità di arricchire l esperienza di shopping e comunicare al meglio l identità dei prodotti e la filosofia della marca anche durante l acquisto. In tali casi, tutte le leve disponibili (location, merchandising, arredo, tematizzazione) devono essere coordinate in modo da trasmettere determinati valori e far comprendere lo spirito del brand 29. 26 Cfr. Acampora M., Castaldo S., L analisi dell acquirente: i principali sviluppi analitici, in Castaldo S. (a cura di), L analisi dell acquirente nella prospettiva resourced based, CUSL, Milano, 1996, pp. 25-96. 27 Cfr. Cadeluppi V., Shoptainment: verso il marketing dell esperienza, Micro & Macro Marketing, n. 3, 2001, pp. 403-412. 28 Cfr. Caputo M., Rescinditi R., Il fattore intrattenimento nelle strategie di marketing: Presupposti e applicazioni, Congresso Internazionale Le Tendenze del Marketing, Università Ca Foscari, Venezia, 28-29 novembre 2003, pp. 9-13. 29 Cfr. Napolitano M.R., De Nisco A., La rappresentazione dell identità di marca attraverso i luoghi di acquisto. La brand experience e i flagship store, Industria & Distribuzione, n. 2, 2003, pp. 13-30. 11

Sempre più spesso, infatti, le aziende tentano di proporre al consumatore un universo immaginario di marca che diventa più credibile se si poggia su uno spazio ad esso integrato e realmente esistente sul piano fisico come quello di vendita. La creazione di tali ambienti di vendita, stimolanti ed emotivamente coinvolgenti, rappresenta la modalità strategica sempre più spesso adottata al fine di generare nuovo valore per la domanda 30. Dunque ci si è resi conto che, nel contesto attuale, non è più possibile ragionare impiegando soltanto categorie del marketing tradizionale come i benefit dei prodotti perchè resi sempre più simili dall elevato tasso di concorrenzialità presente nei mercati. Per differenziare i prodotti è necessario allora offrire in più al consumatore l emozione dell esperienza, che non prescinde i benefit e le funzioni dei prodotti, ma li integra in una nuova sintesi che tiene conto della complessa articolazione della personalità di ogni consumatore 31. E proprio al fine di soddisfare esigenze sempre più stringenti della domanda, dovute alla crescita delle alternative di acquisto e delle relative possibilità di accesso che caratterizzano il settore moda, che si è cercato di modificare, attraverso l utilizzo del concept store, l idea che sottintende il concetto di punto vendita, trasformandolo da luogo d acquisto a luogo di permanenza. A tal riguardo si sottolinea sempre più spesso il maggior rilievo che assume, all interno del processo di acquisto del consumatore, l atteggiamento ricreativo rispetto a quello funzionale 32. Oggi, infatti, è largamente condivisa la consapevolezza che il consumatore cerchi di esaudire esigenze/preferenze emozionali ed edonistiche oltre che razionali e funzionali. In tal senso, l acquirente ricreativo risulta particolarmente attratto dagli aspetti del punto vendita che possono rendere l acquisto più piacevole e divertente, quali la 30 Cfr. De Luca P., Vinelli D., Coinvolgimento del consumatore e valutazione dell atmosfera del punto vendita, Micro & Macro Marketing, n. 3, 2004, pp. 581-594. 31 Cfr. Zarantonello L., Marketing ed esperienza: quali approcci possibili, Micro & Macro Marketing, n. 2, 2005, pp. 177-196. 32 Seguendo un atteggiamento funzionale, il consumatore considera lo shopping come mero strumento all approvvigionamento dei beni; nell atteggiamento ricreativo, l individuo assegna a tale attività una valenza autonoma rispetto all acquisto, in quanto garantisce possibilità di svago e di intrattenimento. 12

creatività e l originalità dell ambiente e del merchandising, gli stimoli sensoriali, le attività ludiche e i momenti di aggregazione sociale 33. Dunque, seguendo l atteggiamento ricreativo il consumatore considera lo shopping come un attività che contribuisce a migliorare in modo significativo il livello di qualità della vita ed il benessere personale. Ma quali sono gli elementi che all interno del concept store possono essere utilizzarti per produrre l esperienza per il consumatore? Schmitt li associa complessivamente in un acronimo, SEM, ovvero Strategic Experiential Modules, e li definisce come di seguito 34 : sense: tutto ciò che stimola i cinque sensi dell individuo; feel: ciò che consente di creare emozioni positive; think: ciò che consente di sviluppare esperienze razionali e problem solving, ma in grado comunque di coinvolgere; act: mostra come fare e dice di fare qualcosa, presenta cioè uno stile di vita; relate: collega il singolo individuo alle altre persone e alla cultura sociale più in generale. 5.1 L entertainment nel retail Negli ultimi anni l intrattenimento è diventato quindi una importante leva gestionale che le imprese possono utilizzare nel rapporto con i consumatori. L integrazione dell offerta con utilità aggiuntive volte alla soddisfazione di bisogni di svago e divertimento, infatti, può essere un fattore di differenziazione in grado di creare valore e arricchire in maniera determinante l esperienza di acquisto 35. Ciò può avvenire attraverso la realizzazione di punti vendita ad alto contenuto spettacolare in cui organizzare eventi, rappresentazioni, prove di prodotti o altre forme di intrattenimento, tanto da far usare neologismi 33 Cfr. Castaldo S. e Botti S., La dimensione emozionale dello shopping, Economia & Management, n. 1, 1999, pp. 17-37. 34 Cfr. Schmitt B., Experiential marketing, Journal of Marketing Management, n. 15, 1999, pp. 53-67. 35 Cfr. Vescovi T., Checchinato F., Luoghi d esperienza e strategie competitive nel dettaglio, Micro & Macro Marketing, n. 3, 2004, pp. 595-608. 13

composti come retailtainment e shoptainment per definire un vero e proprio metamercato 36. L intrattenimento nel retail può rispondere, dunque, sia all obiettivo di potenziare le relazioni con una domanda sempre più esigente, sia a quello di differenziarsi rispetto alla concorrenza in un contesto competitivo che rende sempre più difficile agire sui prezzi. Nei concept store del settore moda l intrattenimento svolge ormai un ruolo molto importante per creare traffico al suo interno e sviluppare la relazione tra consumatore e punto vendita; ciò si verifica soprattutto perché si cerca di raggiungere più direttamente i consumatori per trasmettere loro i valori della marca coinvolgendoli nella brand experience. La spettacolarizzazione del punto vendita sempre più spinta sembra giustificare l apparente paradosso per cui, parallelamente all affermarsi di modelli di economia virtuale, sono gli aspetti fisici connessi al negozio che acquistano maggiore rilevanza 37. Ad una prima analisi è possibile individuare sette leve di entertainment all interno del punto vendita, per ognuna delle quali l impresa può definire specifici strumenti ed assegnare specifici obiettivi di marketing 38 : 1. atmosfera; 2. spettacolo; 3. valorizzazione del tempo; 4. merchandising; 5. innovazione continua; 6. gioco; 7. ristoro. Tali leve consentono di soddisfare in un unico luogo e nello stesso momento grappoli di bisogni integrati e convergenti di divertimento, di relazione, di socializzazione, di acquisto, in grado di generare un valore maggiore della somma di quelli prodotti dai singoli sottosistemi. 36 Cfr. Caputo M., Rescinditi R., Il fattore intrattenimento nelle strategie di marketing: Presupposti e applicazioni, Congresso Internazionale Le Tendenze del Marketing, Università Ca Foscari, Venezia, 28-29 novembre 2003, pp. 9-13. 37 Cfr. Pellegrini L., Luoghi dell acquisto e relazione con il consumatore, Micro & Macro Marketing, n. 3, 2001, pp. 381-401. 38 Cfr Bertozzi P., Gli strumenti di intrattenimento a disposizione dell impresa di distribuzione: costi e benefici, Micro & Macro Marketing, n. 3, 2001, pp. 413-430. 14

L utilità per i concept store del fattore intrattenimento deriva dal ruolo che esso svolge nei processi di acquisto, in quanto può consentire complementarietà funzionali e simboliche nella definizione dell offerta in risposta alle esigenze della domanda 39. In relazione al processo d acquisto l intrattenimento può essere considerato come strumento per catturare l attenzione e conquistare il tempo dei consumatori affinché esso possa tradursi in maggiore frequenza di visita e nel relativo aumento di spesa da parte del consumatore stesso. In tal senso l entertainment si pone l obiettivo di attrarre e fidelizzare il consumatore e diviene fattore strategico fondamentale per la crescita del piacere dello shopping e per influenzare le scelte del e nel punto vendita 40. L arricchimento dell offerta con contenuti di intrattenimento consente complementarità funzionali nel processo di acquisto attraverso l offerta di servizi accessori all acquisto in senso stretto, che rendono più piacevole l attività di shopping e aumentano i tempi di permanenza nel punto vendita. E possibile, inoltre, realizzare complementarità sul piano simbolico, in quanto l intrattenimento rappresenta sempre la leva più importante attraverso cui potenziare la funzione comunicativa del punto vendita, soprattutto nella sua dimensione emozionale. Lo sviluppo della dimensione emozionale all interno del punto vendita risulta particolarmente evidente nel settore moda, dove l adesione del consumatore ad una griffe piuttosto che ad un altra è legata a motivazioni che solo in modo mediato hanno a che fare con gli attributi fisici dei prodotti e sono invece maggiormente determinate da quelli immateriali, come l autogratificazione, l allontanamento dalla routine e le stimolazioni sensoriali. E perciò fondamentale non solo disporre di strumenti per comunicare ai clienti, acquisiti e non ancora tali, la sostanza della propria offerta, ma anche quelli necessari per poterla rappresentare in modo compiuto, 39 Cfr. Bird A.C., L economia dell entertainment, in Risciti R. (a cura di), Economia e marketing del tempo libero, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 413-431. 40 Cfr. Gamba P., Sabbadin E., Processo d acquisto e segmentazione nel commercio, Commercio, n. 18, 1984, pp. 125-150. 15

in un contesto capace di evocare le valenze emozionali che la connotano e la rendono distintiva 41. 5.2 Lo shopping come esperienza: verso nuovi modelli di consumo Le considerazioni fino ad ora svolte sullo sviluppo di punti vendita costruiti intorno a temi specifici e sui diversi fattori di intrattenimento caratterizzanti il punto vendita stesso hanno posto le basi per iniziare a discutere e criticare gli approcci classici riguardanti i modelli di consumo, cercando di proporne dei nuovi più adatti per descrivere il settore e il suo contesto ambientale e temporale. Secondo gli approcci classici il consumatore viene definito come essere prevalentemente razionale che svolge i propri acquisti seguendo processi di tipo problem solving (tale processo parte dalla percezione del bisogno, come una sensazione di mancanza, per arrivare alla scelta del bene che, a suo giudizio, meglio soddisfa tale esigenza). Il processo d acquisto, però, attraverso una serie di fasi sequenziali, tra cui la ricerca di informazioni e l identificazione e valutazione delle alternative, comporta l attivazione del sistema cognitivo individuale, e quindi la definizione di personali atteggiamenti che si traducono in intenzioni di acquisto caratterizzate da forte emotività 42. Ci si rende conto perciò che, per avere successo in un settore come la moda, caratterizzato da forte competitività e da brand molto forti, nonché dalla predominanza della dimensione edonistica rispetto a quella utilitaristica 43, non si può prescindere dalla capacità del punto vendita, attraverso i suoi diversi elementi, di stimolare continuamente l interazione e il coinvolgimento del consumatore. Come emerso in precedenza, l organizzazione dello spazio di vendita e la disposizione delle attrezzature contribuiscono quindi significativamente a favorire 41 Cfr. Pellegrini L., Luoghi dell acquisto e relazione con il consumatore, Micro & Macro Marketing, n. 3, 2001, pp. 381-401. 42 Cfr. Castaldo S., Botti S., La dimensione emozionale dello shopping, Economia & Management, n. 1, 1999, pp. 17-37. 43 Si può definire l edonismo sulla base della valutazione di attributi caratterizzati dalla capacità di apportare piacere al cliente. Con utilitarismo si è soliti indicare quegli elementi che soddisfano esigenze funzionali. Cfr. Gabrielli V., Grappi S., Analisi delle intenzioni di acquisti all interno di un contesto edonistico, Convegno Internazionale Le Tendenze del Marketing, Università Ca Foscari, Venezia, 28-29 novembre 2003, pp. 1-4. 16

l interazione fra il cliente e l ambiente circostante, mentre la realizzazione di eventi e l offerta di entertainment facilitano l interazione di tipo personale, ovvero fra i diversi clienti. Ciò impone che lo spazio di vendita si arricchisca di nuove leve di valore che consentano la rappresentazione dell esperienza di marca 44. L experiential shopping è determinato dunque dall effetto congiunto della presenza, all interno del concept store, di stimoli sensoriali atti a suscitare una risposta emotiva e di un individuo, che per le sue caratteristiche individuali e per i benefici ricercati presenta un atteggiamento edonistico 45 nei confronti dello shopping stesso. E molto più probabile, infatti, che gli stimoli volti a produrre emozioni siano percepiti e interiorizzati soprattutto da acquirenti di questo tipo, che possono risultare particolarmente sensibili a quei chuncks of information che permettono di suscitare effettivamente il coinvolgimento emotivo nell acquisto 46. Da quanto detto, si evince un sostanziale accordo in letteratura nel proporre nuovi modelli di consumo nei quali si sostiene l esistenza di una relazione positiva tra esperienze emotive e risorse (monetarie e non monetarie) investite nello shopping. Tale relazione positiva deriva dal valore soggettivo che il cliente attribuisce alla marca del prodotto acquistato e dal significato simbolico che essa è in grado di esprimere. Il concept store, quindi, dovrebbe essere in grado di soddisfare non solo le esigenze prettamente funzionali che spingono l acquirente potenziale alla visita - vale a dire l acquisto del bene o la ricerca di informazioni - ma anche i bisogni di tipo affettivo, legati alle emozioni e agli aspetti sensoriali. Tali bisogni nell odierna società postmoderna assumono un ruolo sempre più critico nella strutturazione delle preferenze e dei comportamenti di acquisto. Dalle evidenze emerse da questo lavoro si desume, quindi, l esigenze di attivare nuove fonti di creazione di valore per l acquirente, favorendo lo shopping come esperienza. 44 Cfr. Cuomo G., Lecconi V., L evoluzione del ruolo del punto vendita nel potenziamento delle politiche di branding delle imprese industriali: il caso Bulgari, Convegno Le tendenze del marketing, Ecole Superieure de commerci de Paris EAP, 21-22 Gennaio 2005, pp. 5-9. 45 Il consumatore edonistico considera le emozioni come motivazioni fondamentali del processo di acquisto: le scelte dei prodotti e le loro valutazioni post-acquisto sono determinate soprattutto dalla capacità dei beni di stimolare e suscitare emozioni. 46 Cfr. Castaldo S., Botti S., La dimensione emozionale dello shopping, Economia & Management, n. 1, 1999, pp. 17-37. 17

6. Conclusioni Il consumatore del duemila, ben informato, curioso ed esigente, è sempre più spesso alla ricerca di esperienze di acquisto entusiasmanti e coinvolgenti piuttosto che di semplici prodotti. Egli vive lo shopping come un momento di evasione dalla routine, fonte quindi di gratificazione emotiva, derivante dal piacere dell atto di acquisto in sé piuttosto che dai benefici propri del bene di cui sia venuto eventualmente in possesso. Creare valore per il cliente significherà allora renderlo protagonista di una memorabile esperienza di acquisto emozionandolo tramite la stimolazione di tutti i suoi sensi. In tale direzione, il paper a più riprese ha sottolineato il ruolo fondamentale assunto dallo spazio e dalla spazialità del punto vendita. Sono infatti numerose le aziende che hanno maturato la precisa convinzione che sia sempre più importante dialogare con il consumatore attraverso il punto vendita, e che sia fondamentale capire ed attivare uno specifico linguaggio della distribuzione concretizzato tramite leve quali il merchandising e la gestione del layout. Facendo in particolare riferimento all industria italiana della moda di alta gamma, è stato evidenziato come questa stia scegliendo sempre più forme di integrazione verticale discendente per commercializzare le proprie marche e le proprie griffe. Si qualifica quindi un sistema di Vertical Branding focalizzato sulla gestione diretta di negozi monomarca di proprietà e in franchising. Gli stessi monomarca si stanno sempre più sviluppando come concept store, intesi come spazi in cui rilassarsi, incontrare persone, gustare un aperitivo, e per questo da molti considerato a metà strada tra divertimento e shopping. All interno dei concept stores la vendita dei prodotti è ambientata in un contesto distintivo che rappresenta un valido strumento per costruire la relazione duratura con il consumatore finale, basata sempre più su aspetti emozionali. Dunque, a conclusione del presente lavoro, possiamo a ragione asserire che nel mercato attuale, per differenziare la propria offerta e raggiungere il cliente, trarrà beneficio chi riuscirà a offrire l emozione dell esperienza vissuta innanzitutto nel punto vendita, che non abbandona la sua funzione di luogo di acquisto, ma la integra con 18

quella di luogo di intrattenimento. In quest ottica, obiettivo dell impresa commerciale sarà quello di catturare e di trattenere il cliente all interno del punto vendita anche, paradossalmente, anche senza che egli acquisti prodotti. 19

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