ONE VET : UNA MISCELA DI FITOTERAPICI PER LA TERAPIA DELLE PIODERMITI DEL CANE: STUDIO PRELIMINARE

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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA DIPARTIMENTO DI MEDICINA VETERINARIA Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria Settore Scientifico Disciplinare VET/07 ELABORATO DELLA PROVA FINALE ONE VET : UNA MISCELA DI FITOTERAPICI PER LA TERAPIA DELLE PIODERMITI DEL CANE: STUDIO PRELIMINARE ONE VET : A PHYTOHERAPIC MIX FOR THE MANAGEMENT OF PYODERMITIS IN DOGS: PRELIMINARY STUDY Laureando Sig.na Silvia Salvatori Relatore Prof.ssa Giorgia della Rocca Correlatore Dott.ssa Fiorella Carnevali Anno Accademico

2 INDICE 1) INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI ) CENNI DI ANATOMIA CUTANEA... 6 EPIDERMIDE... 6 DERMA... 8 ANNESSI CUTANEI FUNZIONI DELLA CUTE ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE DI BARRIERA DELLA CUTE ) FISIOLOGIA DELLA RIPARAZIONE CUTANEA FASI DEL PROCESSO CICATRIZIALE FASE INFIAMMATORIA FASE PROLIFERATIVA FASE DI MATURAZIONE ED EPITELIZZAZIONE (RIMODELLAMENTO) ) FISIOPATOLOGIA DELLA RIPARAZIONE TISSUTALE ) PIODERMITE NEL CANE CLASSIFICAZIONE DIAGNOSI TERAPIA CONVENZIONALE TERAPIA ANTIBIOTICA SISTEMICA TERAPIA TOPICA TRATTAMENTO DELLE PIODERMITI SUPERFICIALI TRATTAMENTO DELLE PIODERMITI PROFONDE: TRATTAMENTO DELLE PIODERMITI RICORRENTI ANTIBIOTICO RESISTENZA ) LA RICERCA IN ENEA: IL BREVETTO MIX HYPERICUM PERFORATUM O ERBA DI S.GIOVANNI AZADIRACHTA INDICA O ALBERO DEL NEEM IL MIX 557 / 1 Primary Wound Dressing, ONE VET Il MIX 557 per uso veterinario: ONE VET ) PARTE SPERIMENTALE MATERIALI E METODI RISULTATI DISCUSSIONE CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

3 RIASSUNTO Per piodermite si intende un infezione cutanea piogena, molto importante nel cane per la sua frequenza, grande variabilità clinica e difficoltà diagnostica e terapeutica. Esistono molti tipi di piodermite, in base alle diverse e numerose infezioni batteriche cutanee, ciascuna con aspetti clinici e istopatologici specifici. La diagnosi si basa sull anamnesi, l esame clinico e sull esito degli esami complementari. Attualmente la terapia delle piodermiti si basa sull uso di sostanze che inibiscono la crescita o uccidono i batteri patogeni quali antibiotici e/o antisettici. Sia nelle piodermiti superficiali che in quelle profonde è sempre consigliato l uso di antibiotici per via sistemica, mentre nelle piodermiti di superficie è generalmente sufficiente l uso di una terapia topica. I chemioterapici più frequentemente utilizzati sono rappresentati da macrolidi, lincosamidi, penicilline penicillasi resistenti, cefalosporine, fluorochinoloni, rifamicine, e dall associazione sulfamidicidiaminopirimidine. I problemi connessi con le terapie antibiotiche sono rappresentati dall insorgenza di fenomeni di farmaco resistenza (e quindi di mancata efficacia) e di possibili effetti collaterali. Scopo di questa tesi è quello di riportare i risultati di uno studio sperimentale retrospettivo non controllato volto a valutare l efficacia del medicamento ONE VET, fitoterapico per uso topico costituito da una miscela al 50% di estratto oleoso di iperico e neem, nel il trattamento delle piodermiti del cane in alternativa alla terapia antibiotica, anche al fine di identificare una alternativa terapeutica che permetta di ridurre il rischio di insorgenza di antibiotico-resistenza nei germi residenti, potenzialmente patogeni, della specie canina. La parte sperimentale è preceduta da un attenta disamina bibliografica, concernente cenni di anatomia cutanea, classificazione, diagnosi e terapia delle piodermiti nel cane, caratteristiche botaniche e farmacologiche di neem e iperico e risultati di studi effettuati sia nell uomo che negli animali per comprovare l efficacia di MIX 557 /1 Primary Wound Dressing, ONE VET. 3

4 SUMMARY Pyodermitis is a pyogenic skin infection, very important in the dog due to its frequency, large clinical variability and diagnostic and therapeutic difficulties. There are many types of pyodermitis, according to various and numerous bacterial skin infections, each with specific histopathological and clinical aspects. The diagnosis of pypdermitis is based on history, clinical examination and results of laboratory tests. Currently, the treatment of pyodermitis is based on the use of substances that inhibit the growth or kill the pathogenic bacteria such as antibiotics and/or antiseptics. In both superficial and deep pyodermitis the use of systemic antibiotics is always recommended, while in surface pyodermitis is generally sufficient to use a topical therapy. The chemotherapic drugs most commonly used are represented by macrolides, lincosamides, penicillinase-resistant penicillins, cephalosporins, fluoroquinolones, rifamycins, and by the association sulphonamidesdiaminopirimidine. The problems associated with antibiotic therapies are represented by the onset of phenomena of drug resistance (and therefore lack of efficacy) and possible side effects. The aim of this thesis is to report the results of an experimental retrospective uncontrolled designed study aimed to assess the effectiveness of the medication ONE VET, a topical herbal medicine made from a mixture of 50% neem and oil extract of St. John's wort, in the treatment of pyodermitis in the dog as an alternative to antibiotic therapy, in order to identify a therapeutic alternative that allows to reduce the risk of antibiotic resistance in resident, potentially pathogenic bacteria, of the canine species. The experimental part is preceded by a careful examination of current literature on skin anatomy, classification, diagnosis and treatment of pyodermitis in dogs, botanical characteristics and pharmacological properties of neem and St. John's wort, as well as on results of studies in both humans and animals aimed to demonstrate the effectiveness of "MIX 557"/1 Primary Wound Dressing, ONE VET. 4

5 1) INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI La piodermite batterica come causa di malattia della pelle canina è seconda solo alla dermatite allergica da pulci, ma diventa la prima malattia della cute del cane nei paesi in cui lo sviluppo delle pulci è sfavorito. Si può quindi affermare che tale patologia rappresenta una delle malattie con maggior incidenza nel cane. Esistono molti tipi di piodermite, in base alle diverse e numerose infezioni batteriche cutanee, ciascuna con aspetti clinici e istopatologici specifici: troviamo quelle di superficie, superficiali e profonde (derma e a volte sottocute) determinate nella maggior parte dei casi dallo Staphylococcus intermedius, da distinguere dalle pseudo piodermiti dovute ad infezione batterica secondaria. La diagnosi si basa sull anamnesi, l esame clinico e sull esito degli esami complementari, mentre per quanto riguarda la terapia convenzionale, questa prevede l uso di antibiotici per via sistemica e locale, spesso correlato all insorgenza di gravi e diffuse resistenze agli antibiotici da parte dei batteri responsabili di detta malattia, oltreché dei batteri saprofiti residenti all interno dei pazienti. Scopo di questa tesi è quello di riportare i risultati di uno studio sperimentale retrospettivo non controllato volto a valutare l efficacia del medicamento ONE VET, fitoterapico per uso topico costituito da una miscela al 50% di estratto oleoso di iperico e neem, nel il trattamento delle piodermiti del cane in alternativa alla terapia antibiotica, anche al fine di identificare una alternativa terapeutica che permetta di ridurre il rischio di insorgenza di antibiotico-resistenza nei germi residenti, potenzialmente patogeni, della specie canina. La parte sperimentale è preceduta da una attenta disamina bibliografica, concernente cenni di anatomia cutanea, classificazione, diagnosi e terapia delle piodermiti nel cane, caratteristiche botaniche e farmacologiche di neem e iperico e risultati di studi effettuati sia nell uomo che negli animali per comprovare l efficacia di MIX 557 /1 Primary Wound Dressing, ONE VET. 5

6 2) CENNI DI ANATOMIA CUTANEA La cute e gli annessi cutanei rappresentano un organo che riveste tutta la superficie corporea e che si trova in continuità con mucose e orifizi naturali. Creano quindi una barriera anatomica e fisiologica essenziale tra l ambiente esterno e quello interno oltre a riflettere lo stato di salute e il buon funzionamento dell organismo. Nel cane la cute e i suoi annessi spesso risultano essere specie-specifici: basti pensare che in tale specie lo spessore cutaneo è compreso tra 0, 5 e 5 millimetri, ed è maggiore su dorso e parte prossimale degli arti, mentre è minore sull addome e parte distale degli arti; inoltre esiste una differenza di spessore anche tra le diverse razze canine (l esempio classico è rappresentato dallo Sharpei con cute molto spessa) e in base allo stato di salute dell animale. La cute è un organo complesso in quanto è costituito da 3 strati diversi per origine embrionale, struttura e funzione: epidermide, derma e ipoderma (Creed, 1958, Scott et al., 1995). EPIDERMIDE Immagine tratta da: DSP.AUSIBO.IT L epidermide è un epitelio malpighiano (pavimentoso stratificato) cheratinizzato, costituito da 3-5 strati cellulari (escluso quello corneo), dello spessore di 0, 1-0, 5 millimetri. Nelle zone glabre come tartufo e cuscinetti plantari, l epidermide è più spessa e ricoperta da uno strato corneo ben sviluppato con spessore di 5-20 micrometri nelle zone ricoperte da pelo e fino a 1500 micrometri a livello dei cuscinetti plantari. L epidermide non contiene vasi, il che significa che il nutrimento giunge del circolo ematico del derma per diffusione. Le cellule che lo costituiscono sono: cheratinociti (85-90%), cellule di Langerhans (3-8%), melanociti (2-5%) e 6

7 cellule di Merkel, ma non è raro osservare anche alcuni linfociti (White e Yager, 1995; Scott et al., 1995). L epidermide è formato da una serie di componenti cellulari di seguito descritte. Cheratinociti. Sono cellule che subiscono un processo di differenziazione chiamato cheratinizzazione o corneificazione: originano come un singolo strato di cellule cubiche per poi andare incontro a stratificazione e alla formazione di cellule anucleate ed appiattite (corneociti), che esfoliano dalla superficie epidermica in maniera continuativa, venendo di volta in volta sostituite da cellule identiche provenienti dallo strato sottostante. Tale sostituzione è operata dalle cellule dello strato basale, che differenziandosi si elevano verso lo strato superiore. I cheratinociti sono organizzati in strati continui, dove le cellule sono condensate tra loro grazie alla filaggrina, una proteina della matrice che aggrega i filamenti di cheratina strettamente l uno all altro favorendo il collasso della cellula dandole una forma appiattita, caratteristica dei corneociti dello strato corneo (Palmer et al., 2006). Tali strati comprendono dalla base verso la superficie: lo strato basale, lo strato spinoso o di Malpighi, lo strato granuloso e quello corneo. Nel corso della differenziazione, l aspetto morfologico cambia da cellule piccole e arrotondate nello strato basale, per finire a cellule di grosse dimensioni, poliedriche e anucleate nello strato corneo (Baker et al., 1973). Strato Basale. E costituito da un solo strato di cellule rotonde, basofile e di piccole dimensioni, connesse tra loro attraverso desmosomi e alla membrana basale grazie a emidesmosomi. Rappresentano la componente germinativa che assicura il rinnovamento epidermico: i cheratinociti basali si dividono in 2 cellule figlie di cui la prima resta quiescente (e diviene una nuova cellula germinativa) e la seconda va incontro a 2-3 mitosi (cellula proliferativa). A seguito di questa fase proliferativa le 4-8 cellule figlie, che hanno raggiunto ormai lo strato spinoso, smettono di proliferare e cominciano a differenziarsi. Strato Spinoso. Solitamente nel cane è costituito da un solo strato cellulare, ma in alcune sedi (cuscinetti plantari) può arrivare fino a 20 strati. Qui i cheratinociti sono più grandi dello strato basale e di forma poligonale. Strato Granuloso. Qui avvengono gli ultimi stadi della differenziazione verso lo strato corneo. Può essere assente o costituito da uno o più strati cellulari. Qui le cellule sono più larghe e piatte rispetto a quelle dello strato spinoso e il nucleo diviene picnotico (Creed, 1958). Strato Corneo. Le cellule che raggiungono lo strato corneo perdono il nucleo ed il citoplasma e vengono completamente riempite da cheratina matura e sono chiamate corneociti; sono circondate da uno spesso involucro proteico ed appaiono piatte, larghe e poligonali. Tali corneociti costituiscono numerosi strati cellulari(40-50) e rappresentano gli strati sottostanti dell epidermide (Lloyd e Garthwaite, 1982; Marcato P.S., 1979). Lo strato corneo funge da barriera principale contro la penetrazione percutanea di prodotti 7

8 chimici e microbi ed è in grado di sopportare forze meccaniche (Madison, 2003). E anche coinvolto nella regolazione del rilascio di acqua dall organismo e in atmosfera, noto come perdita di acqua transepidermica (TEWL)(Ehrhardt et al., 2008). Cellule di Langherans. Sono cellule che presentano l antigene e contengono degli organelli intra-citoplasmatici specifici a forma di racchetta, i granuli di Birbeck, che giocano un ruolo importante nella processazione dell antigene fagocitato. In seguito alla fagocitosi le cellule di Langerhans migrano verso i linfonodi afferenti dove presentano l antigene ai linfociti T (Marchal et al., 1993). Melanociti. Sono cellule che derivano dalla cresta neurale e sintetizzano i pigmenti melaninici all interno di strutture specializzate chiamate melanosomi. Sono cellule dendritiche che si trovano nello strato basale dell epidermide e nella matrice dei follicoli piliferi. I melanociti si trovano in contatto attraverso i dendriti con più cheratinociti (1:20) ai quali trasferiscono i granuli contenenti pigmento. Cellule di Merkel. Sono cellule neuroendocrine che hanno proprietà di meccanocettori. Sono situate nello strato basale e sono in contatto con le fibre nervose producendo neuromediatori. DERMA E un tessuto connettivo di sostegno, comprimibile ed elastico, che protegge l epidermide, i plessi vascolari e le fibre nervose che lo attraversano. Supporta l epidermide in superficie ed i follicoli piliferi e le ghiandole sebacee in profondità. E un tessuto denso che contiene fibre, matrice intercellulare, vasi sanguigni e linfatici, nervi, muscoli e diversi tipi di cellule. Il derma è suddiviso nelle seguenti porzioni: superficiale o papillare: che contiene collagene lasso con spessore differente a seconda della specie; derma profondo: formato da fasci di collagene denso di tipo I, fibroblasti e melanociti; derma avventiziale: il vero e proprio tessuto connettivo, composto da fini fibre collagene, vasi sanguigni e linfatici, che circonda gli annessi cutanei ed è in continuità con il derma superficiale in cui sono presenti scari mastociti, linfociti, macrofagi, cellule dendritiche ed eosinofili (Marcato, 1979). Il derma si compone delle componenti di seguito elencate. Fibre di collagene: prodotte dai fibroblasti sono composte al 90% da collagene di tipo 1 e 3, proteine filamentose polimeriche molto resistenti alla trazione; tali fibre sono organizzate in trame più lasse nel derma superficiale (papillare) e più dense nel derma profondo (reticolare). Fibre elastiche: rappresentano il 4% delle fibre dermiche. Costituiscono una rete lassa nel derma papillare intorno ai follicoli piliferi, mentre il reticolo diventa più spesso e anastomotico nel derma reticolare. Sono responsabili dell elasticità cutanea. 8

9 Fibre reticolari: sono un gruppo di fibre fini di collagene 1 e 3 e di fibronectina. Matrice intercellulare: è composta da proteoglicani, glicoproteine strutturali (come la fibronectina) e da molta acqua che si trova intrappolata tra queste macromolecole; è un gel amorfo prodotto dai fibroblasti e rappresenta una barriera in grado di proteggere epidermide e tessuti sottocutanei dalla penetrazione dei micro-organismi e delle molecole ad elevato peso molecolare. Nello specifico, i fibroblasti producono la proteina strutturale principale della matrice, il collagene, tra cui quello di tipo I, che è il più importante nel derma, quello di tipo III, presente nel derma papillare, quello di tipo IV delle membrane basali dei vasi sanguigni dermici e quello di tipo V, VI, VII e XIII che possono ritrovarsi in sede dermica (Marcato, 1979). Vasi Sanguigni: nel derma troviamo tre plessi vascolari sanguigni comunicanti: il plesso superficiale o sub papillare le cui anse capillari si proiettano nei corpi papillari del derma per irrorare le papille epidermiche e l epidermide adiacente; il plesso medio o cutaneo di cui alcuni rami si portano nel derma per irrorare le ghiandole sebacee e la rete capillare attorno ai follicoli piliferi, ai dotti ghiandolari delle ghiandole ed al muscolo erettile del pelo; il plesso subdermico o sottocutaneo profondo che costituisce la maggiore rete vascolare verso la pelle sovrastante. I vasi di questo plesso si estendono nel tessuto adiposo sottocutaneo e nella porzione profonda del derma, laddove non sia presente il muscolo pannicolare, mentre ove vi sia, è esteso sia superficialmente che profondamente ad esso. Inoltre, irrora il bulbo e il follicolo pilifero, il muscolo erettile del pelo e in parte forma il plesso mediano, vicino alle ghiandole sebacee (Marcato, 1979). Le arterie che irrorano la cute del cane sono state classificate in due gruppi: arterie cutanee complesse: si estendono attraverso la massa muscolare e riemergono irrorando la pelle; arterie cutanee semplici: forniscono solo pochi rami ai muscoli prima di irrorare la cute (Slatter, 1985). Vasi Linfatici: localizzati nel derma profondo, consentono il drenaggio dei liquidi interstiziali cutanei e il mantenimento dell omeostasi idrica delle cellule. Fibre nervose: seguono i capillari sanguigni e sono organizzati in tre plessi. Le estremità delle fibre nervose demielinizzante raggiungono l epidermide come tali o formano delle strutture complesse come i corpuscoli di Pacini. I fibroblasti sono le cellule fondamentali di ogni tessuto connettivo e sintetizzano e rinnovano tutte le fibre della matrice intercellulare. Sono cellule fusiformi o stellate, con prolungamenti citoplasmatici. Sono in grado di sintetizzare anche enzimi capaci di catabolizzare la matrice intercellulare o le fibre, oltre a numerose proteine funzionali o citochine e per questo partecipano al mantenimento dell omeostasi dermica. Hanno un ruolo fondamentale nel processo di cicatrizzazione, specificamente durante la fase di granulazione. 9

10 Ci sono, poi, i mastociti, molto numerosi nella cute del cane, localizzati soprattutto nelle vicinanze dei vasi sanguigni. Infine troviamo macrofagi, linfociti, granulociti, neutrofili, eosinofili, plasmacellule e melanociti. IPODERMA Si estende tra il derma e la fascia aponeurotica ed è costituito da un tessuto connettivo lasso ricco di adipociti con molteplici funzioni, tra cui lo stoccaggio dei lipidi e di sostanze liposolubili, l isolamento termico e la protezione dai traumi (Marcato, 1979). ANNESSI CUTANEI Peli e follicoli piliferi Il pelo svolge funzioni fondamentali nell isolamento termico, nella percezione sensoriale e come barriera nei confronti dei patogeni. I follicoli piliferi sono delle invaginazioni epidermiche nel derma che producono e assicurano supporto al pelo e si dividono in 3 parti: l infundibolo che va dalla superficie allo sbocco del dotto delle ghiandole sebacee, l istmo che va dallo sbocco del dotto delle ghiandole sebacee all inserzione del muscolo erettore del pelo e il bulbo che va dall inserzione del muscolo erettore del pelo alla papilla dermica. Nel cane adulto, ogni pelo possiede un proprio bulbo e istmo, mentre più peli condividono lo stesso infundibulo (follicoli piliferi composti) e per ciascun infundibulo si possono avere da 2 a 15 peli. Solitamente i follicoli piliferi multipli si distribuiscono in gruppi da 3, separati dalle ghiandole sebacee e dal tessuto connettivo (Creed, 1958). Riguardo ai tipi di pelo bisogna dire che ciascun bulbo pilifero composto comprende un pelo primario principale, 4 peli intermedi e peli secondari. I peli primari principali sono i più grandi ( micrometri di diametro), contengono una midollare di grande diametro e una corteccia sottile; sono rigidi, ricoprono tutta la superficie cutanea, garantiscono la protezione dalla pioggia e caratterizzano il colore del mantello. I follicoli piliferi primari sono i più grandi e lunghi e raggiungono il derma profondo. I peli intermedi (30-70 micrometri) sono leggermente ondulati e hanno orientamento differente rispetto al sottopelo, garantendo così un miglior isolamento termico. Hanno un ispessimento vicino alla punta. Sono assenti nei cani a mantello setoso. I peli secondari (10-30 micrometri di diametro) sono fini e ondulati e possiedono una midollare più piccola e una corticale più sviluppata. Formano il sottopelo responsabile del mantenimento della temperatura corporea (Lochte, 1938; Blazej et al., 1989). La struttura del pelo comprende una colonna dritta di cellule cheratinizzate, molto adese e stratificate tra loro, che formano la cuticola esterna, la corticale e la midollare. La cuticola comprende un solo strato di cellule epiteliali cuboidali, che si differenziano in 10

11 corneociti anucleati piatti e aderenti che ricoprono e proteggono il pelo. Le cellule della cuticola vanno in direzione opposta a quelle della guaina follicolare interna e sono intersecate con queste al fine di proteggere il follicolo pilifero e supportare il fusto del pelo durante la fase di crescita. La corticale è costituita da cellule cheratinizzate allungate e disposte parallelamente all asse del pelo. La cheratina prodotta da tali cellule è molto dura e contiene notevoli quantità di ponti disolfuro, garantendo così una miglior resistenza e una migliore stabilità. I peli primari hanno una corticale più sottile mentre i secondari più spessa. La midollare è la parte interna del pelo, è prodotta dalle cellule della matrice e contiene aria, vacuoli di glicogeno e granuli di pigmento. I peli primari hanno una midollare più spessa mentre nei secondari è più sottile e spesso ripiena d aria per garantire un miglior isolamento termico. La struttura del follicolo pilifero comprende una base costituita da matrice bulbare, e bulbo pilifero. Sopra il bulbo sono situate le guaine epiteliali esterna ed interna che sono a loro volta circondate e supportate da una guaina di tessuto connettivo denso. La papilla dermica rappresenta la continuazione del connettivo dermico. La matrice bulbare è costituita da piccole cellule epiteliali rotonde e basofile che si dividono attivamente per dare vita al centro del fuso del pelo e alla guaina epiteliale interna. I melanociti in essa contenuti sono responsabili della pigmentazione del pelo, tramite il trasferimento dei melanosomi alle cellule della corticale e della midollare. La matrice bulbare circonda ed è nutrita dalla papilla dermica, una struttura connettiva ricca di nervi e di vasi immersa in una matrice ricca di mucopolisaccaridi. La guaina epiteliale esterna è costituita dalla cuticola interna formata da cellule cheratinizzate. La guaina epiteliale interna è epitelio che si continua con una membrana basale spessa e una capsula di tessuto connettivo denso con fibre elastiche. L Infundibulo è il segmento esterno che comprende il tratto che va dall ingresso del dotto sebaceo alla superficie cutanea con l epitelio della guaina epiteliale esterna e si continua con quello dell epidermide. L istmo è il segmento intermedio che va dall entrata del dotto sebaceo all inserzione del muscolo erettore del pelo con l epitelio della guaina epiteliale esterna con cheratinociti più piccoli. Il bulbo è la base del segmento inferiore che si estende dall inserzione del muscolo erettore del pelo alla papilla dermica del pelo (Marcato, 1979) Ghiandole cutanee Le ghiandole cutanee, di origine ectodermica come la cute, comprendono le ghiandole sebacee e sudoripare, generalmente associate ai follicoli piliferi. Ghiandole sebacee Si dividono in: Semplici: sono ghiandole olocrine alveolari semplici, associate in gruppi di 2 o 3 ad ogni gruppo follicolare. I loro dotti escretori sboccano nell istmo follicolare. Le cellule ghiandolari sono di 11

12 grossa taglia, rotonde, chiare, con vacuoli di dimensioni irregolari. Sono particolarmente voluminose e numerose a livello delle giunzioni muco-cutanee dove giocano un ruolo importante per la marcatura del territorio e sono di maggior dimensioni dove il pelo è più corto mentre sono assenti nelle zone glabre. Il sebo è prodotto per distruzione cellulare all interno della ghiandola. Specializzate: come quelle perianali e dell organo sopracaudale, di grandi dimensioni e sensibili agli ormoni sessuali. Ghiandole sudoripare Si dividono in: Epitrichiali: presenti su tutta la superficie corporea. I dotti escretori sboccano sopra a quelli delle ghiandole sebacee nell istmo follicolare. Sono ghiandole tubolari semplici, con un dotto escretore lineare che producono una secrezione acquosa che forma un emulsione con il sebo sulla superficie cutanea, il film idrolipidico di superficie. Atrichiali, : hanno stessa forma delle precedenti, sono localizzate nelle zone glabre e sboccano direttamente sulla superficie cutanea. Sono situate in prossimità dei vasi sanguigni e sono sensibili all azione dell adrenalina e della noradrenalina circolanti; è per questo che quando il cane ha paura si nota un imponente sudorazione a livello dei cuscinetti plantari. Specializzate: sono le ghiandole mammarie, ceruminose e quelle dei sacchi anali (Scott et al., 1995; Marcato, 1979, Guaguere e Prelaud, 2005). FUNZIONI DELLA CUTE Cute e mantello svolgono innumerevoli funzioni: PROTEZIONE MECCANICA: il mantello rappresenta la principale barriera nei confronti dei traumi meccanici. Le fibre di collagene dermico assicurano la resistenza alla trazione e prevengono la lacerazione. PROTEZIONE NEI CONFRONTI DELL ACQUA: il mantello e il film idrolipidico superficiale impediscono all acqua di raggiungere la superficie cutanea mentre l orientamento dei peli primari determinano l allontanamento rapido delle gocce d acqua. Nel caso in cui l acqua riuscisse a raggiungere la superficie cutanea, il passaggio attraverso essa viene impedito dalla presenza di lipidi e da altre sostanze idrosolubili spalmate sulla superficie. FOTOPROTEZIONE: il mantello offre un eccellente protezione nei confronti della luce visibile e i raggi ultravioletti. Nelle sedi in cui il mantello è assente sono i pigmenti (soprattutto melanina), le proteine e il sangue che, assorbendo raggi UV, proteggono i tessuti sottostanti. I cani a mantello bianco o chiaro non beneficiano della protezione della melanina ed è per questo che possono sviluppare cheratosi solari o carcinomi squamo-cellulari nelle sedi cutanee glabre o poco protette dal pelo (naso e addome) in seguito ad esposizioni ripetute ai raggi solari. OMEOSTASI TERMICA: partecipano sia cute che mantello; un pelo folto associato al tessuto 12

13 adiposo sottocutaneo protegge efficacemente contro il freddo. All interno del mantello è imprigionato uno strato d aria che funge da isolante e il cui spessore varia in rapporto allo stato di erezione dei peli, sotto il controllo dei muscoli erettori. Molto importante è anche il ruolo del sistema vascolare dermico che, essendo molto ampio, può influire sulla pressione arteriosa inducendo vasodilatazione (per consentire la perdita di calore) o vasocostrizione e chiusura degli shunt artero-venosi (per limitare le dispersioni termiche). OMEOSTASI BIOCHIMICA: nel derma e nel tessuto adiposo sottocutaneo sono immagazzinate molte sostanze tra cui proteoglicani e altre molecole della matrice intercellulare che trattengono acqua ed elettroliti, mentre lipidi e molecole liposolubili vengono immagazzinate nel tessuto adiposo sottocutaneo. FUNZIONI METABOLICHE ED IMMUNOLOGICHE: a livello cutaneo si realizzano attività metaboliche essenziali come l aromatizzazione periferica degli androgeni e degli estrogeni. Inoltre il sistema immunitario cutaneo è un entità importante nelle difese immunologiche contro microorganismi, allergeni e parassiti. FUNZIONI SENSORIALI: la cute media diverse sensazioni come prurito, dolore, calore, freddo, pressione ecc., e ciò grazie a terminazioni nervose demielinizzate presenti nell epidermide e che svolgono funzioni di meccanocettori (corpuscoli di Vater-Pacini, cuscinetti, tilotrichi, vibrisse, corpuscoli di Meissner e cellule di Merkel) (Scott et al., 1995). FUNZIONI SOCIALI: il colore originario del mantello è simile a quello del lupo che svolge un ruolo nel mimetismo. Con la selezione della razza però questa particolarità si è persa. Inoltre le ghiandole specializzate, come le perianali, secernono feromoni utili a marcare il territorio, al riconoscimento individuale e all attrazione sessuale. Infine il mantello può essere utilizzato in situazioni di paura, in cui il cane alza i peli del dorso per apparire di dimensioni maggiori. PROTEZIONE PRIMARIA CONTRO I MICROORGANISMI: gli acidi grassi prodotti sulla superficie cutanea, per azione delle lipasi sui trigliceridi, prevengono la colonizzazione dei microorganismi patogeni, così come anche i glicosfingolipidi derivanti dalla decomposizione dello strato corneo. Il complemento e le immunoglobuline sono in grado di legarsi alla superficie batterica facilitandone l opsonizzazione e inibendo la loro adesione e proliferazione (Drake et al., 2008, Desbois and Smith, 2010). DIFESA DA INFEZIONI E INFESTAZIONI: lo strato corneo ricopre un ruolo fondamentale in questo caso, essendo impermeabile ad acqua, molecole idrosolubili e microorganismi. Inoltre il continuo ricambio cutaneo previene lo sviluppo eccessivo di batteri sulla superficie. Anche il derma però ricopre un importante ruolo: se un microorganismo o un parassita riesce a raggiungere il derma, si trova di fronte ad una fitta rete di fibre collagene e molecole della matrice dermica che ne ostacolano la diffusione. E chiaro, quindi, che la più importante funzione della pelle è quella di creare un efficace barriera tra il dentro e il fuori dell organismo. 13

14 ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE DI BARRIERA DELLA CUTE L epidermide comprende tre tipi di barriera: la fisica, che comprende, principalmente nello strato corneo, giunzioni tra le cellule e proteine del citoscheletro; la chimica/biochimica, che consta di sostanze antimicrobiche e immunità innata, rappresentate da lipidi, acidi, enzimi idrolitici, peptidi antimicrobici e macrofagi; la immunologica adattativa, che comprende costituenti umorali e cellule del sistema immunitario (Proksch et al., 2008). E implicito, dunque, che in caso di dermatiti si abbia un alterazione della funzione di barriera della pelle. L alterazione della barriera cutanea nella fisiopatologia delle malattie dermiche può essere suddivisa in tre condizioni: ALTERAZIONI DELLA BARRIERA COME PROCESSO PRIMARIO O INTRINSECO: questa condizione è strettamente collegata alla perdita di continuità ed integrità anatomica dell epidermide che si verifica, infatti, nella dermatite irritativa e/o allergica da contatto, nelle ustioni, nelle ulcere ischemiche (vascolare, diabetica), nei disturbi bollosi per attrito o per anomalie della cheratina, nella pelle del neonato prematuro e nell ittiosi (Proksch et al., 2008). ANOMALIE IMMUNOLOGICHE: possono derivare da cause endogene o esogene. Quelle su base endogena sono su base autoimmune, come si verifica nel linfoma a cellule T (Micosi fungoide) e nelle malattie bollose autoimmuni; quelle da cause esogene si verificano a seguito di reazioni allergiche sistemiche o da contatto (le dermatiti irritanti e/o allergiche da contatto), alimentari (dermatite atopica) e la psoriasi (Proksch et al., 2008). Una compromissione lieve della barriera cutanea si ritrova in malattie monogenetiche dove si ha una differenziazione epidermica alterata o una compromissione lipidica, senza infiammazione, come ad esempio l ittiosi vulgaris (mutazioni filaggrina) (Palmer et al., 2006, Smith et al., 2006, Proksch et al., 2008). mentre le malattie con interruzioni della barriera più pronunciate sono malattie infiammatorie molto più gravi e problematiche da trattare (come la dermatite atopica e la psoriasi). Le lesioni cutanee infiammatorie si presentano ricoperte da scaglie o croste secche come risultato dell alterazione della differenziazione epidermica, e principalmente dello strato corneo, che non ha più l intrinseca capacità di trattenere l acqua.. Nella dermatite da contatto, il deterioramento della barriera da sostanze irritanti e allergeni, rappresenta l evento primario, seguito da sensibilizzazione, infiammazione, aumento della proliferazione epidermica e cambiamenti nella differenziazione epidermica. Nella dermatite atopica e nella psoriasi non è ben chiaro se la perturbazione della permeabilità della barriera sia seguita da infiammazione o se sia l infiammazione stessa a portare ai cambiamenti epidermici riscontrati (Proksch et al, 14

15 2008). In conclusione si può dire che la barriera cutanea è un complesso sistema formato da una miriade di componenti inter-correlati e una qualsiasi modificazione di tale equilibrio comporta un alterazione della funzione di barriera. Pertanto, l alterazione della funzione di barriera è un evento centrale in varie malattie della pelle soprattutto in riferimento alle piodermiti (Guaguere e Prelaud, 2005, Proksch et al., 2008). 15

16 3) FISIOLOGIA DELLA RIPARAZIONE CUTANEA La perdita o la distruzione di un tessuto, da qualunque causa prodotta, viene riparata mediante la sostituzione delle strutture tissutali scomparse o alterate, con tessuto vivente di nuova formazione (Marcato, 1977). Il processo riparativo può avvenire in due modi: 1. Rigenerazione o ricostruzione del tessuto distrutto, mediante sostituzione con tessuto identico, per proliferazione delle cellule rimaste indenni alla periferia della lesione; 2. Riparazione connettivale, ossia mediante sostituzione con tessuto connettivo, attraverso la formazione di tessuto di granulazione che evolve in tessuto cicatriziale (cicatrizzazione), quando le cellule differenziate circonvicine non hanno la capacità di proliferare. La sequenza degli eventi biologici che derivano dalla lesione di un organo e dalla infiammazione che essa provoca, dipende non solo dalla natura e dall intensità dello stimolo lesivo, ma anche dalla capacità delle varie cellule sopravvissute di proliferare e ripopolare l area danneggiata (Mcgee, 1994). La maggior parte delle popolazioni cellulari è in grado di ripopolare rapidamente le aree danneggiate e sulla base della loro attività proliferativa in condizioni fisiologiche normali, esse possono essere classificate in due gruppi: 1) Popolazioni cellulari rinnovabili (cellule labili), come l epitelio squamoso stratificato e l epitelio gastrointestinale. Non cessano di proliferare durante la vita adulta, per la continua necessità di sostituire le cellule in seguito alla persistente esfoliazione in superficie di elementi differenziati in senso terminale dopo la mitosi (sono comprese anche le cellule emopoietiche ); 2) Popolazioni cellulari potenzialmente rinnovabili (cellule stabili). Mostrano uno scarso ritmo di proliferazione cellulare, ma sono in grado di replicare velocemente in seguito alla perdita di elementi cellulari dello stesso tipo. Sono incluse le cellule epiteliali di quasi tutte le ghiandole del corpo come gli epatociti, le cellule dei tubuli renali e degli acini prostatici, cellule dei tessuti connettivi (fibroblasti, condrociti, osteociti), cellule dell endotelio vascolare, muscolari lisce e viscerali. Il ripristino della funzione e della struttura normale dell organo danneggiato dipende non soltanto dalla capacità replicativa delle cellule sopravvissute, ma anche dalla preservazione dello stroma di sostegno, la cui integrità può permettere la sostituzione ordinate delle cellule. Una membrana basale intatta assicura la presenza dell impalcatura necessaria per orientare la corretta sostituzione delle cellule parenchimali perdute. Quando le membrane basali sono distrutte, le cellule epiteliali proliferano in modo casuale, formando masse disorganizzate che non mostrano alcuna somiglianza con la struttura originaria. 16

17 Condizioni più gravi, come un ischemia permanente possono causare una mancata risposta rigenerativa e la graduale sostituzione di tessuto necrotico con tessuto fibroso (cicatrizzazione) (Mcgee, 1994). Nella guarigione di una ferita della cute e del tessuto sottocutaneo, la formazione di tessuto cicatriziale si associa alla rigenerazione epidermica, quindi, questa risposta è considerata il prototipo della guarigione delle ferite. Le varie differenze nei tessuti riguardano essenzialmente l entità del fenomeno, piuttosto che la sua natura. E divenuta ormai consuetudine considerare separatamente la guarigione di una ferita da incisione netta, con margini giustapposti, dalla guarigione di ferite con notevole perdita di tessuto. (Mcgee, 1994). Questa distinzione viene comunemente indicata come Guarigione per prima intenzione (ferite nette e non complicate con margini perfettamente giustapposti) e Guarigione per seconda intenzione (perdita di sostanza più o meno estesa e profonda con formazione di tessuto cicatriziale in sostituzione delle parti di tessuto e annessi distrutti) (Mcgee, 1994). La prima si ottiene prontamente, con fenomeni infiammatori praticamente assenti e con la minima produzione di tessuto cicatriziale (Micheletto, 1980), la seconda presenta un decorso più lento di quella per prima intenzione, in quanto si instaura su lesioni di continuo caratterizzate da ampia perdita di sostanza, perdita che può essere primitiva, immediata cioè istantaneamente realizzata da un agente traumatico, o secondaria se conseguente all eliminazione di elementi tessutali degenerati (per azione tossica ritardata, per insufficiente trofismo), o colliquati (per processi suppurativi insorti a seguito di infezione del focolaio) (Micheletto, 1980). FASI DEL PROCESSO CICATRIZIALE La riparazione tessutale è un processo dinamico ed interattivo che avviene normalmente nel nostro organismo e che coinvolge mediatori solubili, matrice extracellulare, cellule ematiche e parenchimali. Il processo fisiologico di riparazione tessutale viene comunque tradizionalmente suddiviso in tre fasi. Fase infiammatoria Fase proliferativa Fase di maturazione ed epitelizzazione (rimodellamento) 17

18 Andamento delle componenti cellulari durante le fasi del processo di riparazione tissutale Prospetto degli eventi e delle componenti cellulari durante le fasi del processo di riparazione tissutale Fase infiammatoria Questa fase è detta anche fase essudativa o di detersione. Essa è a sua volta suddivisa in una fase iniziale fase coagulativa (che dura circa 10 minuti) e nella fase infiammatoria vera e propria(3-4 giorni). Gli elementi più importanti della fase coagulativa sono le piastrine. Inizialmente si ha una vasocostrizione transitoria delle arteriole, successivamente vi è un inflazione ematica e poi l aggregazione piastrinica. Con il processo di aggregazione dei trombociti viene attivato il sistema di coagulazione e si ha la trasformazione del fibrinogeno in fibrina che, funzionando come una rete, va a riempire la lesione. Le piastrine, oltre ad attivare la coagulazione, per formare il coagulo provvisorio, hanno l importante funzione di riversare nella lesione, attraverso la loro de granulazione, una miriade di fattori di crescita e 18

19 di sostanze vasoattive (citochine) che attivano tutte le cellule che devono prendere parte al processo di riparazione, sia di origine ematica come leucociti, macrofagi e granulociti, che cellule locali quiescenti e non come matzellen, fibriblasti residenti, ecc. Tra le citochine riversate dalle piastrine ricordiamo: Platelet-Derived Growth Factor (PDGF), Trasforming Growth Factor β (TGF β), Fibroblast Growth Factor (FGF), β-thromboglobulin, Platelet Factor 4 (PF4), Platelet-Derived Angiogenesis Factor (PDAF), serotonina, bradichinina, prostaglandine, prostacicline, trombassano, istamina, ecc. La reazione infiammatoria immediata al trauma serve a distruggere, diluire e/o confinare l eventuale agente lesivo e ad innescare la precisa serie di eventi che porteranno alla sostituzione del tessuto danneggiato e alla guarigione cicatriziale. Dopo la prima fase di restringimento ed in seguito alla liberazione di sostanze vasoattive quali istamina, serotonina e chinine, le arteriole si dilatano determinando così un aumento imponente del flusso sanguigno che è causa del calore e del rossore (calor e rubor). Viene promossa la migrazione per chemiotassi dei fagociti di origine ematica nella zona della lesione (granulociti neutrofili o polimorfonucleati prima e monociti che si differenzieranno in macrofagi in seguito). I polimorfonucleati arrivano entro le prime tre ore dalla formazione della lesione e svolgono un ruolo importantissimo essendo questo il momento in cui si può instaurare la colonizzazione batterica. Circa 24 ore più tardi migrano nella zone della lesione i monociti che, differenziandosi all interno della lesione in macrofagi, detergono la lesione fino ad eliminare tutto il pus formatosi per necrosi dei polimorfonucleati precedentemente arrivati e si sostituiscono alle piastrine nella produzione di citochine. La migrazione dei monociti viene interrotta entro tre giorni se la ferita non è infetta, altrimenti la migrazione sia dei polimorfonucleati che dei monociti continua e la fagocitosi di entrambe le linee cellulari aumenta. Fase proliferativa Inizia circa il quarto giorno dopo la formazione della lesione. In questa seconda fase prevale la proliferazione cellulare che mira al riempimento della perdita di sostanza mediante la formazione del tessuto di granulazione (detto così perché il fondo della lesione si popola di granuletti rossi composti dalla sezione trasversale dei vasi sanguigni neoformati perpendicolari al derma) da parte dei fibroblasti e alla neoformazione dei vasi detta angiogenesi o neo-angiogenesi (l insieme di processi funzionali alla formazione di vasi sanguigni a partire da vasi preesistenti a seguito della stimolazione da parte dei fattori di crescita neoangiogenetici); tale tessuto risulta quindi formato da capillari, collagene, fibroblasti ed altre cellule. In questa fase i fibroblasti prendono il posto dei macrofagi e migrano dal tessuto circostante nel coagulo e nella rete di fibrina utilizzata come matrice provvisoria. I fibroblasti avviano la produzione dei precursori del collagene, dell elastina, 19

20 dei proteoglicani e delle altre glicoproteine della sostanza fondamentale, che maturano poi al di fuori delle cellule come matrice extracellulare. Il tessuto di granulazione è un entità transitoria e primitiva che serve da letto per la successiva fase di epitelizzazione. Fase di maturazione ed epitelizzazione (rimodellamento) I cheratinociti sono le cellule più superficiali della pelle e, tramite uno scorrimento degli uni sugli altri, cercano di ricoprire la lesione una volta che si è creato sul fondo un adeguato tessuto di granulazione. Queste cellule cessano di migrare quando ricevono un segnale, determinato dal contatto fisico con le proprie simili, comunemente noto come inibizione da contatto. Durante questa fase, nel tessuto di granulazione sottostante al tappeto di cheratinociti, si osserva la scomparsa dei vasi neoformati (atresia dei vasi neoangiogenetici), maturazione del collagene (transizione da un tipo di collagene ad un altro) e riorganizzazione della matrice extra-cellulare, apoptosi della maggior parte dei fibroblasti e trasformazione di alcuni in miofibroblasti e contrazione della ferita da parte di quest'ultimi, che diventeranno poi quiescenti (Marcato, 1977). 20

21 4) FISIOPATOLOGIA DELLA RIPARAZIONE TISSUTALE Quando la lesione non evolve verso le tappe fisiologiche della riparazione tessutale e quindi verso la guarigione, si ha la cronicizzazione della lesione che può diventare piaga o ulcera. Esistono vari fattori che possono ostacolare la riparazione tessutale, sistemici e locali. Tra i fattori sistemici possiamo elencare: Età: il trofismo dei tessuti nel soggetto anziano è meno valido di quello degli adulti. Le capacità riparative pertanto, appaiono meno tempestive e richiedono in genere dei tempi relativamente più lunghi. Malnutrizione: un adeguato apporto nutrizionale giornaliero, in relazione alle richieste metaboliche dell organismo, è il presupposto per l attivazione di un processo anabolico quale la riparazione di un ulcera; anche una appropriata assunzione di vitamine C, A, B e D e di alcuni oligoelementi quali lo zinco, il rame, il ferro, ed il magnesio, risulta determinante nel corretto svolgersi dei processi di riparazione. Neoplasie in altra sede: la patologia neoplastica maligna determina, sia per l attività metabolica del tumore che per l eventuale interferenza con le normali funzioni digestive, una condizione catabolica dell organismo ed uno stato di malnutrizione che interferisce con il processo di riparazione cicatriziale. Malattie croniche sistemiche o di organo: queste affezioni sono in grado di condizionare in maniera negativa la normale alimentazione, i processi digestivi e di assimilazione, il sistema immunitario, la reazione infiammatoria, l aggregazione e l adesività piastrinica e quindi i processi cicatriziali. Malattie autoimmuni: le capacità riparative dei tessuti sono alterate. Terapie cortisoniche e antiblastiche: interferiscono sulla sintesi proteica in generale e sulla proliferazione cellulare. Temperatura ambientale: soprattutto condizioni climatiche con temperature fredde e umide sollecitano il microcircolo a una condizione di vasocostrizione con la conseguente ipossigenazione soprattutto dei tessuti più superficiali e periferici. Fattori locali: traumi ricorrenti, insufficiente apporto di sangue (ischemia) pressione sulla lesione, infezione della ferita. Malattie metaboliche secondarie: mentre la guarigione delle lesioni acute procede attraverso una successione ordinata delle diverse fasi della riparazione, nelle lesioni croniche alcune aree si trovano, nello stesso momento, in diverse fasi del processo di guarigione e, presumibilmente, la progressione alla fase successiva non avviene in maniera sincrona. Nel caso di ulcere in presenza di diabete, l alterazione nel processo di guarigione è causato da molti fattori patologici-correlati (iperglicemia, neuropatia, deficit vascolari) e da fattori 21

22 estrinseci (infezioni, eccessiva pressione nella sede, sviluppo di ipercheratosi). Tradizionalmente queste anomalie sono state definite, per semplificazione, triade patologica di neuropatia, ischemia e trauma (Jeffcoate e Harding, 2003). Nel diabete compaiono molto spesso deficit a carico del microcircolo. Questi includono una riduzione delle dimensioni dei capillari e un aumento dello spessore della membrana basale. Lo spessore della membrana basale interferisce con gli scambi fisiologici e determina una migrazione alterata dei leucociti. La riduzione della funzione endoteliale può condurre ad una riduzione della sintesi dell ossido nitrico. Esistono dei legami molti forti tra la vasculopatia e la neuropatia nel piede diabetico. Gli shunts nel microcircolo, insieme con la presenza della denervazione del nervo simpatico e della neuropatia autonomica, determinano una maldistribuzione del flusso sanguigno. Nella neuropatia diabetica, la risposta neurovascolare, dipendente dalle fibre nocicettive-c, risulta diminuita, determinando una riduzione nella secrezione della sostanza P ed istamina; dunque, la vasodilatazione è ridotta, particolarmente in situazioni di stress e di pressioni esterne. Una caratteristica dello sviluppo delle ulcere nella patologia diabetica, quindi, è l aumento della soglia di sensibilità alla pressione, alla propriocezione ed al dolore. La neuropatia sensitiva è una patologia che consente ad un trauma di perdurare nel tempo tanto da determinare una lesione senza la percezione di alcun segnale premonitore. L aumento della soglia del dolore può assumere differenti livelli di gravità; alcuni pazienti hanno infatti piedi poco sensibili, mentre altri perdono la sensibilità così da poter sopportare un intervento chirurgico senza anestesia. La mancanza di sensibilità agli stimoli dolorifici, che a prima vista può sembrare un vantaggio, si rivela in realtà una sciagura perché il dolore è un sintomo che ci avverte che qualcosa ci sta danneggiando. Quando un nervo che va ad un muscolo subisce un danno, il muscolo stesso soffre reagendo con una involuzione: questa si esprime in termini di ipotrofia e atrofia. Quando un muscolo si retrae perché si atrofizza, il tendine di quel muscolo trascina indietro l articolazione sulla quale è inserito. Tutto questo porta a una deformazione del piede e ad una modificazione dell appoggio del piede che a sua volta determina un ipercarico in alcune aree e un carico minore in altre. L organismo nel tentativo di difendersi da questo eccesso di carico irrobustisce il foglietto più superficiale della pelle, lo strato corneo, nelle zone in cui si sviluppa una maggiore pressione; è questo il quadro tipico delle callosità della pianta del piede, definita con il termine di ipercheratosi. L ipercheratosi è una difesa labile nel tempo: se non si provvede a ridurre l iperpressione in quel punto, a lungo andare si formerà un ematoma da schiacciamento e, perdurando l ipercarico inevitabilmente si produrrà un ulcera da pressione. Anche la neuropatia autonomica è frequentemente presente e la sua conseguenza più immediata è la secchezza (anidrosi) del piede dovuta al malfunzionamento delle fibre 22

23 nervose che regolano l attività delle ghiandole secretorie dalla cute. La secchezza può provocare fessurazioni della cute soprattutto al tallone, che sono una facile porta d ingresso per il germi. La persistenza dell ipercarico ostacola la riparazione tessutale attraverso il trauma meccanico continuo che si esercita sul tessuto di granulazione e sui cheratinociti e potrebbe giocare un ruolo molto importante nello sviluppo dell infezione poiché la crescita batterica è aumentata nei tessuti con un aumento delle forze compressive a causa di una ridotta funzione dei macrofagi e neutrofili. Anche l ischemia è nemica del processo di guarigione. I fattori di crescita non possono influenzare un processo che richiede ossigeno se si è in assenza di quest ultimo; la misurazione della tensione transcutanea di ossigeno (TcPO 2) è il metodo standard per valutare se è presente una giusta perfusione tessutale. L ossigeno molecolare è fondamentale per la formazione del collagene. Inoltre in condizioni di relativa assenza di ossigeno la capacità dei leucociti di uccidere i batteri è severamente compromessa. Come abbiamo già accennato l ipossia prolungata è dannosa poiché in parte esacerba gli iniziali eventi fisiologici e determina la ri-perfusione delle ferite e la formazione dei radicali dell ossigeno. Complicazioni infettive: giocano un ruolo importante nel ritardo del processo di guarigione delle ferite e ne sono la complicazione più frequente e pericolosa. Un elevata carica batterica sembra giocare un ruolo importate nell alterare il processo di guarigione delle lesioni. I batteri sono in grado di ridurre le proteasi che possono degradare i fattori di crescita compromettendo la cicatrizzazione (Robson, 1997; Sibbald et al., 2006). La carica batterica sulla superficie di una lesione cutanea, che sia ferita, piaga o ulcera, può variare in maniera molto significativa. E molto importante individuare se una lesione è infetta, contaminata o colonizzata da agenti patogeni perché da questa valutazione dipendono le scelte terapeutiche locali e/o sistemiche che si dovranno intraprendere. Una carica microbica intorno ai livelli di 10 5 per grammo di tessuto, rappresenta la semplice colonizzazione batterica. Più specificamente si distingue: Contaminazione: Presenza di microrganismi sulla superficie senza moltiplicazione. Colonizzazione: Presenza di microrganismi sulla superficie che si moltiplicano senza però indurre reazione da parte dell ospite. Colonizzazione critica: Notevole sviluppo di flora batterica con adesione ai tessuti e lieve reazione tissutale infiammatoria (infezione superficiale). Infezione: Presenza di microrganismi che si moltiplicano, invadono i tessuti profondi con successivo danno ed inducono una risposta infiammatoria tissutale perilesionale persistente e prolungata. 23

24 L'infezione è sempre accompagnata dai segni clinici quali tumor (gonfiore), rubror (arrossamento), dolor (dolore) e calor (ipertermia della parte). L individuazione dei microrganismi responsabili dell infezione mediante esame colturale e la valutazione in vitro degli antibiotici sensibili o resistenti ai batteri isolati rappresenta un aspetto fondamentale per un corretto trattamento farmacologico. Il prelievo di materiale da sottoporre a coltura microbiologica può essere effettuato con tre differenti modalità: tampone, prelievo dell essudato con siringhe e biopsia tessutale. Con l esame colturale viene individuato il microrganismo/i responsabile/i dell infezione. Questo viene quindi testato nel terreno di coltura con una serie di antibiotici in modo da individuare quello o quelli a cui il batterio è più sensibile. Il resoconto di questo studio viene riportato nell antibiogramma dove vengono elencati gli antibiotici testati, la relativa efficacia (sensibili o resistenti) e la concentrazione minima inibente (Marcato, 1977). 24

25 5) PIODERMITE NEL CANE Per piodermite si intende un infezione cutanea piogena, molto importante nel cane per la sua frequenza, grande variabilità clinica e difficoltà diagnostica e terapeutica (Ihrke, 2005). La piodermite batterica come causa di malattia della pelle canina è seconda solo alla dermatite allergica da pulci ma diventa la prima malattia della cute del cane nei paesi in cui lo sviluppo delle pulci è sfavorito (Ihrke, 2005). Le ragioni di elevata incidenza di questa malattia non sono note, ma possono riguardare diversi fattori dell'ospite che potrebbero causare una maggiore suscettibilità alle infezioni (Ihrke, 1987; Hill and Moriello, 1994; Ihrke, 2005). Questi fattori possono includere: fattori microbiologici: come la specifica flora batterica residente; fattori istologici: come lo strato corneo sottile, lo scarso film idrolipidico superficiale e l assenza di un tappo follicolare; fattori igienici come pulizia insufficiente o leccamento patologico; fattori epidemiologici: quali elevata incidenza di malattie dermatologiche pruriginose responsabili di microtraumi autolesionistici che permettono la penetrazione dei batteri; elevata incidenza di dermatite atopica con rottura della barriera immunologica ed attivazione della reazione infiammatoria che è associata anche ad un aumento dell adesione degli stafilococchi alle cellule epidermiche; fattori iatrogeni: come eccessiva somministrazione di glucocorticoidi per via sistemica o pulizia con prodotti inadeguati irritanti; CLASSIFICAZIONE Esistono molti tipi di piodermite, in base alle diverse e numerose infezioni batteriche cutanee (Harvey et al., 1996; Paradis et al., 2001), ciascuna con aspetti clinici e istopatologici specifici (Hill et al., 1994). La distinzione rispetto ad altre patologie dermatologiche primarie come la dermatite atopica del cane su base allergica (Hillier and Griffin, 2001; Sousa and Marsella, 2001; Olivry et al., 2010) è molto difficile, sfociando spesso l una nell altra per sovrapposizione e complicazione batterica. Le piodermiti sono molto spesso secondarie ad altre patologie. Come è facile immaginare, esistono molte classificazioni, sia cliniche che eziologiche, ma ad oggi quella mantenuta è rappresentata dalla classificazione anatomo-clinica di Peter Ihrke del 1983, successivamente adattata da Pierre Fourrier e Didier-Noel Carlotti nel 1988, che si basa sulla profondità e sulla distribuzione delle lesioni. Attraverso tale classificazione si distinguono piodermiti di superficie, superficiali e profonde (derma e a volte sottocute) da distinguere dalle pseudopiodermiti dovute ad infezione batterica secondaria (Fourrier et al., 1988; Bensignor, 2001). 25

26 Piodermiti di superficie Vengono così chiamate proprio perché interessano solo lo strato superficiale dell epidermide senza oltrepassare la membrana basale e quindi senza coinvolgere il derma. Nella maggior parte dei casi l infezione viene determinata dallo staphylococcus intermedius. Tra questa classe di piodermiti abbiamo una sottoclassificazione che vede la distinzione in: INTERTRIGINI/PIODERMITI DELLE PIEGHE: sono delle infiammazioni delle pieghe cutanee tipiche di cani obesi e di alcune razze come lo Sharpei e il Pechinese. Le pieghe cutanee creano un ambiente caldo e umido ideale per lo sviluppo di batteri, soprattutto quando sono in vicinanza delle sedi di produzione di lacrime, saliva e deiezioni (piaghe labiali, facciali, vulvare e caudale). Sono caratterizzate da un essudato sieroso che si tramuta poi in mucoso e infine in purulento, che crea un conglomerato con i peli e sigilla la cute, che al principio appare sottile ed eritematosa e in seguito spessa, lignificata e iperpigmentata; il fenomeno può sfociare in ulcere ed erosioni ricoperte da croste purulente ed emorragiche. Il tutto naturalmente accompagnato da un forte odore sgradevole. DERMATITE ACUTA UMIDA: la dermatite acuta umida o dermatite piotraumatica o hot spot, un tempo denominata anche eczema acuto umido, in cui si assiste ad una proliferazione batterica eccessiva confinata ad un area localizzata di cute, generalmente a seguito di transito ed accumulo di tossine (principalmente di origine alimentare) che scatenano una reazione infiammatoria acuta ed imponente, che a sua volta determina, per l intenso grattamento, lesioni da autotraumatismo. Le lesioni insorgono tipicamente in maniera improvvisa da un giorno all altro e sono caratterizzate da aree alopeciche, di dimensioni diverse, in corrispondenza delle quali la cute appare estremamente arrossata, dolente e bagnata per l intensa essudazione; tagliando il pelo alla periferia della lesione si evidenzia una netta demarcazione tra la cute interessata e quella sana. La localizzazione di tali lesioni è quanto mai variabile in base anche alla causa predisponente, tuttavia spesso si riscontrano in corrispondenza della regioni lombodorsale o ai lati del collo. SINDROME DA SOVRACRESCITA BATTERICA: in tale patologia i batteri presenti sulla superficie cutanea si moltiplicano attivamente ma non penetrano nell epidermide e portano alla formazione di ferite cutanee per rilascio di esotossine (da parte degli stafilococchi). Inizialmente coinvolge aree umide e facilmente macerabili (pieghe del collo, regione ascellare, arti), per poi diffondere a torace e addome. Sono caratteristiche alopecia ed eritema che evolvono in lichenificazione, iperpigmentazione e cattivo odore associati a prurito intenso. Piodermiti superficiali Comprende il gruppo di piodermiti che coinvolgono gli strati dell epidermide e/o il lume follicolare. Anche qui esiste una sottoclassificazione che comprende: 26

27 PIODERMITE MUCO-CUTANEA: è piuttosto rara e potrebbe essere confusa con l intertrigine facciale, anche se in realtà non appare all interno della piega labiale ma sulla superficie delle labbra. Le cause sono sconosciute e vi è predisposto il Pastore Tedesco. Può ritrovarsi meno frequentemente anche su narici, vulva, prepuzio e ano. Compare inizialmente come una tumefazione eritematosa delle labbra con erosioni e ulcere ricoperte da croste fino ad allargarsi ed interessare le pieghe labiali. Si può anche osservare una depigmentazione muco-cutanea (Gross et al., 2005). IMPETIGINI: si tratta di piodermiti superficiali non follicolari, caratterizzate da pustole follicolari di varie dimensioni. Nel soggetto giovane sono molto frequenti, mentre in quello adulto sono meno comuni e, solitamente, sono secondarie a malattie sistemiche o dermatologiche predisponenti. Tuttavia anche nel giovane si possono avere cause predisponenti che ne aumentano l incidenza, come malattie virali (cimurro) o parassitarie (ascaridi), alimentazione inadeguata e scarsa igiene. Le lesioni, sotto forma di pustole, compaiono prevalentemente a livello addominale, inguinale e ascellare e sono piuttosto numerose. La lesione iniziale è una pustola a contenuto chiaro, con base eritematosa, che poi si rompe dando origine alla fuoriuscita di liquido giallastro che forma delle croste color miele; infine si generano erosioni essudative, circinate, con bordi a collaretto per distacco dell epidermide, accompagnate da prurito di intensità variabile. Tra le impetigini figurano quella: bollosa: si accompagna spesso ad un cattivo stato di salute e di frequente è secondaria all iperadrenocorticismo. Le tipiche lesioni sono pustole non follicolari di grosse dimensioni, generalizzate, molto fragili e ripiene di pus denso e maleodorante, che si rompono facilmente lasciando il posto a collaretti epidermici ed aree alopeciche post-infiammatorie, erosive e iperpigmentate. pustolosa: solitamente secondaria a microtraumi multipli, caratterizzata da pustole non follicolari di piccole dimensioni nelle sedi maggiormente esposte a traumi (collo, spalle, torace, ventre). FOLLICOLITI: si definiscono come infezioni purulente del follicolo pilifero e degli annessi. Ne esistono diversi tipi, ma nel loro insieme hanno in comune la presenza di infiammazione e la formazione di microascessi nella parte superiore del follicoli piliferi, senza rottura degli stessi. L ostio dei follicoli piliferi si riempie di un infiltrato di granulociti (neutrofili e eosinofili) associati a batteri. Tutto ciò da origine a delle papule e in seguito a pustole follicolari, che per via della grande fragilità e sottigliezza dell epidermide che le riveste, si rompono rapidamente lasciando il posto a croste e collaretti epidermici. Tali follicoliti vengono suddivise in: follicolite del cane giovane: molto frequente prima della pubertà (cause ormonali) e spesso associata a traumi. Compare soprattutto sulla superficie ventrale del corpo sottoforma di papule 27

28 eritematose, che poi si trasformano in piccole pustole follicolari pruriginose, che si estendono rapidamente; follicolite del cane a pelo corto: tipica di razze a pelo raso come Pointer, Bracco tedesco, Sharpei, Alano, dove si riscontrano, soprattutto sulla parte ventrale del corpo, papule seguite da pustole follicolari centrate su un pelo che poi evolvono in un collaretto epidermico che circonda un area eritematosa ed alopecica o una crosta ( mantello tarmato ovvero costellato di aree alopeciche). Il prurito è variabile e scompare dopo la guarigione; follicoliti secondarie: sono piuttosto frequenti e come dice il nome, complicano una malattia già esistente di tipo dermatologico o sistemico. Tra le malattie dermatologiche che possono dare origine secondariamente ad una follicolite troviamo ad esempio ectoparassitosi (demodicosi) o forme allergiche (dermatite da pulci, dermatite atopica), che causando alterazioni strutturali o prurito, permettono ai batteri residenti di penetrare nell epidermide grazie alla comparsa di porte d ingresso a livello cutaneo. Esistono però anche casi in cui la patologia primaria causa una modificazione dell equilibrio cutaneo, permettendo ai batteri di aderire più facilmente allo strato corneo e colonizzarlo, comportandosi così da germi patogeni e determinando la malattia; ciò succede nell ittiosi, nella seborrea primaria idiopatica, nelle malattie allergiche o ormonali. L aspetto delle lesioni è caratterizzato inizialmente da papule, seguite da pustole follicolari che rapidamente lasciano il posto a collaretti epidermici ed eventualmente croste. Spesso la forma è generalizzata e accompagnata da prurito (Mason e Lloyd, 1990); follicoliti profonde: sono chiamate anche dermatiti da leccamento, spesso secondarie a forme allergiche (dermatite atopica cronica), a disturbi comportamentali o a problemi neurologici (instabilità lombo-sacrale). Interessano soprattutto carpo e tarso e appaiono come placche dure, singole o multiple, erosive, essudative ed eritematose; follicoliti piotraumatiche: sono tipica di cani giovani di grossa taglia (Pastore tedesco, San Bernardo) e nei Retriver (Labrador e Golden) e sono generalmente conseguenti a prurito intenso ad eziologia sconosciuta. Coinvolgono soprattutto gola e faccia laterale del collo e sono caratterizzate dalla comparsa di una placca dura, edematosa ed essudativa, circondata da papule e pustole follicolari satelliti. Successivamente compaiono fistole emorragiche che drenano un essudato purulento. Il prurito è molto intenso e causa un grattamento continuo. PIODERMITE SUPERFICIALE DIFFUSIVA: Non è stato ancora dimostrato, ma si pensa sia dovuta ad un ipersensibilità nei confronti degli stafilococchi. Interessa soprattutto l addome ed è caratterizzata da una triade di lesioni quali placche seborroiche, bolle emorragiche e collaretti epidermici. La lesione iniziale è sempre una pustola con margini molto eritematosi, che poi evolve rapidamente con la comparsa di lesioni a bersaglio, eritematose, esfoliative ed alopeciche, circolari e centrifughe il cui centro è iperpigmentato. Frequentemente si osservano aree alopeciche focali multiple, che possono 28

29 confluire creando vaste aree alopeciche del diametro di decine di centimetri (Scott et al., 1978). Piodermiti profonde Nelle forme profonde, l infezione coinvolge derma e/o sottocute, oltrepassando la membrana basale. Per questo ci può essere un interessamento dello stato generale dell animale con febbre, calo dell appetito, reazione linfonodale e in casi estremi setticemia. Per questo, pur essendo meno frequente, è molto più grave delle forme superficiali. Anche qui il principale agente batterico causante è lo Staphylococcus intermedius, ma spesso si rinvengono anche Proteus spp., Pseudomonas spp. ed Escherichia coli. Spesso sono secondarie ad altre patologie come demodicosi, iperadrenocorticismo, ipotiroidismo o ostruzione dei follicoli piliferi per sfregamento, callosità o cause di altro genere. Anche qui, come nelle piodermiti superficiali, abbiamo una classificazione specifica: FORUNCOLOSI: caratterizzate da pustole profonde o foruncoli, risultato della rottura e necrosi dei follicoli piliferi distesi dal pus e della persistenza dei residui piliferi rimasti nel derma e di focolai di infezione in cui le cellule infiammatorie fanno fatica a penetrare. Ciò consente la diffusione del processo infettivo nel derma perifollicolare, accompagnato da una reazione infiammatoria molto marcata. Esistono diversi tipi di foruncolosi: ACNE: compare soprattutto in cani adulti di giovane età e in razze predisposte (Boxer, Alano, Dobermann). La causa è ancora sconosciuta ma potrebbe derivare da un difetto primario della corneogenesi e/o del follicolo pilifero, complicati rapidamente da un infezione batterica. Si manifesta con comedoni, papule o pustole follicolari e foruncoli localizzati al mento e alle labbra, associati talvolta ad edema del mento e fistolizzazione dei foruncoli. Quando cronicizzano, si osserva lichenificazione e iperpigmentazione delle ferite. FORUNCOLOSI LOCALIZZATE: spesso secondarie a traumi ripetuti, sono causate dalla rottura del follicolo pilifero che induce una reazione da corpo estraneo nel derma, seguita da infezione rapida. La localizzazione è caratteristica, nella foruncolosi nasale le lesioni compaiono su dorso del naso e palpebre (pustole e foruncoli dolorosi); si osserva inoltre la foruncolosi del collo per via dello sfregamento da collare, foruncolosi degli spazi interdigitali e dei calli d appoggio dovute al continuo sfregamento nei cani pesanti. FORUNCOLOSI GENERALIZZATE: rare e solitamente secondarie a follicoliti generalizzate non trattate, che si estendono e penetrano in profondità. Appaiono con numerose pustole profonde, caratterizzate da abbondante essudato purulento ed ematico, che tendono a fistolizzare e ricoprirsi di croste. CELLULITI: sono caratterizzate della disseminazione del processo infettivo a tutto spessore del derma e del sottocute, spesso per la coalescenza di foruncoli, e sono caratterizzate clinicamente da necrosi-fistolizzazione e suppurazione. A volte la causa che determina la disseminazione dell infezione è evidenziabile ed è naturale che in questo caso la prognosi sia migliore che nei 29

30 casi in cui non è possibile risalire al fattore scatenante (cellulite idiopatica) e in cui si rischia la setticemia. Le celluliti vengono classificate in: CELLULITI LOCALIZZATE: tutte le foruncolosi localizzate si possono trasformare in celluliti localizzate se non vengono effettuate diagnosi e/o terapie adeguate. Sono caratterizzate da una triade di lesioni quali necrosi, fistole e ulcere. La cellulite dei calli d appoggio è secondaria ad una foruncolosi e si manifesta in cani di grosse dimensioni che presentano callosità su gomiti, anche e garretti come una placca fistolizzata, infiammata, edematosa e dolorosa. La cellulite perianale si manifesta con ulcere di dimensioni variabili ai margini dell ano che provocano forte dolore e tenesmo nell animale, spesso aggravati dal leccamento. Le celluliti podali sono spesso secondarie e presentano un eziologia multifattoriale, aggravata da irritazione, sfregamento e traumi ripetuti. Tra le cause predisponenti abbiamo demodicosi, iperadrenocorticismo, malattie allergiche. Clinicamente si rinviene eritema ed alopecia, con rapida comparsa di fistole ed ulcere associate ad edema e forte dolore, causa di zoppia. CELLULITI GENERALIZZATE: sono le piodermiti profonde e più gravi, causa spesso di risentimento generale dell organismo e setticemia. Le cause determinanti sono molto numerose: iatrogene (terapia con glucocorticoidi), demodicosi, endocrinopatie (ipotiroidismo, Cushing, diabete mellito), malattie sistemiche (erlichiosi, leishmaniosi) e neoplasie. Si manifestano con la comparsa di necrosi cutanea che appare di colore emorragico e friabile. Comincia generalmente dalla faccia laterale delle cosce e dei fianchi per poi estendersi a tutto il corpo. Le ulcere e le fistole sono talvolta profonde, molto dolorose e circondate da iperpigmentazione. Spesso vi sono croste che ricoprono le ulcere. DIAGNOSI La diagnosi si basa sull anamnesi, l esame clinico e sull esito degli esami complementari. CITOLOGIA: l esame citologico del contenuto delle pustole o delle ulcere è essenziale in corso di piodermite, oltre ad essere rapido e economico. Infatti permette una diagnosi differenziale grazie all aspetto talvolta tipico del contenuto. Intertrigini: si osservano granulociti neutrofili non degenerati, cocchi o bacilli in sede extracellulare, ma anche granulociti neutrofili degenerati e cocchi intracellulari fagocitati. Impetigini e follicoliti: si osservano granulociti neutrofili degenerati, pallidi e gonfi, con nuclei ipersegmentati e picnotici e cocchi intracellulari fagocitati in numero ridotto, ma sempre presenti. Sono abbondanti anche i cocchi extracellulari e si possono rinvenire granulociti eosinofili. Importante è capire se si tratti solo di una fagocitosi superficiale (batteri non necessariamente patogeni) o profonda (batteri patogeni veri e propri). Foruncolosi e celluliti: qui è difficile rinvenire batteri o segni di fagocitosi, mentre è 30

31 costantemente presente la reazione pio-granulomatosa caratterizzata dalla presenza di macrofagi, plasmacellule e granulociti neutrofili e eosinofili. BIOPSIE CUTANEE: non vengono effettuate di frequente in caso di piodermiti, a meno che la diagnosi differenziale rappresenti un problema. Impetigine:si evidenziano pustole non follicolari. Follicoliti: si osservano pustole follicolari. Piodermiti superficiali estese: si notano grandi pustole spongiotiche superficiali. Foruncolosi: si osservano reazioni pio-granulomatose intradermiche nodulari con distruzione degli annessi. Cellulite: si evidenziano reazioni pio-granulomatose intradermiche diffuse con distruzione degli annessi (Gross et al., 2005). ESAME COLTURALE BATTERIOLOGICO: si effettua da una pustola intatta per confermare la presenza di uno stafilococco patogeno, spesso rappresentato dallo Staphylococcus intermedius. Viene prelevato il contenuto da una lesione intatta e posto in un mezzo di coltura adeguato, fino al trasferimento entro poche ore in laboratorio, dove viene effettuato l esame colturale batteriologico assieme all antibiogramma. E indicato per la maggior parte delle piodermiti dalle più profonde e gravi croniche o ricorrenti a quelle superficiali. DIAGNOSI EZIOLOGICA: la diagnosi della malattia sistemica o dermatologica predisponente è essenziale per prevenire le recidive della piodermite. Ciò è possibile grazie all impiego di esami complementari specifici (raschiati cutanei, esami di funzionalità ormonali). Escludendo le cause conosciute, si può diagnosticare anche una piodermite idiopatica (Guaguere e Prelaud, 2005). TERAPIA CONVENZIONALE Attualmente la terapia delle piodermiti si basa sull uso di sostanze che inibiscono la crescita o uccidono i batteri patogeni quali antibiotici e/o antisettici. Per prevenire l insorgenza di recidive deve essere assicurata la rimozione delle cause che ne sono alla base e deve essere evitato l uso di glucocorticoidi che, pur riducendo l infiammazione e il prurito, sono i principali responsabili delle frequenti recidive e dell estensione in profondità dell infezione. La terapia antibiotica può essere sistemica o topica. Terapia antibiotica sistemica Sia nelle piodermiti superficiali che in quelle profonde è sempre consigliato l uso di antibiotici per via sistemica, mentre nelle piodermiti di superficie è generalmente sufficiente l uso di una terapia topica. Solitamente nelle forme superficiali il farmaco ad attività antibiotica viene somministrato per la durata di 4-6 settimane, mentre in quelle profonde la terapia dura dalle 6 alle 12 settimane. In tutti i casi è sempre bene protrarre il trattamento per 2 settimane dopo 31

32 l avvenuta guarigione clinica nelle forme superficiali e per 4 settimane nelle profonde. Solitamente si consiglia la somministrazione di antibiotici per via orale, spesso per lunghi periodi, mentre la somministrazione parenterale è sconsigliata, data la frequente inosservanza del trattamento da parte del proprietario del cane. Dall apparato digerente, dove viene assorbito, l antibiotico si distribuisce a livello cutaneo. Dato il tipo di vascolarizzazione cutanea, molti antibiotici non hanno un buon potere di concentrazione. I fluorochinoloni e i lincosamidi sono quelli che hanno una buona diffusione cutanea. Come già detto, nel 90% dei casi la piodermite del cane è determinata dallo Staphylococcus intermedius (Harvey et al. 1996; Paradis et al. 2001); va da se che si dovrà aver cura di utilizzare un antibiotico attivo contro questo germe. Ma la scelta dell antibiotico dipende anche dalla profondità e dall estensione delle lesioni. Deve preferirsi un antibiotico ad attività battericida piuttosto che batteriostatica e che presenti una buona diffusione cutanea e sottocutanea, buona biodisponibilità e facilità di somministrazione (una o massimo due somministrazioni giornaliere). Inoltre, data la lunga durata del periodo di cura, è bene che sia anche economico e poco tossico. La terapia antibiotica deve essere prolungata oltre la completa scomparsa delle lesioni ed è compito del veterinario stabilire, mediante visite di controllo regolari ogni giorni, quando interrompere il trattamento. Ciò permette di adattare la terapia in funzione dell evoluzione clinica ed eventualmente di ripetere alcuni esami complementari (esame citologico, esame colturale batteriologico con antibiogramma) e soprattutto di evitare errori terapeutici. Gli antibiotici possono essere batteriostatici o battericidi. Tra i batteriostatici più utilizzati per combattere le piodermiti ci sono: Macrolidi e Lincosamidi: agiscono inibendo la traslocazione a livello ribosomiale. Sono basi deboli con buona concentrazione nelle cellule e distribuzione nei tessuti, fortemente legati alle proteine plasmatiche ed eliminati attraverso la bile. Hanno un effetto batteriostatico tempodipendente e uno stretto spettro d azione contro i gram+. Le resistenze sono relativamente frequenti e crociate. Tra questi troviamo ad esempio la Clindamicina e la Lincomicina. Tra i battericidi i più usati si riordano: Penicilline penicillasi-resistenti: agiscono inibendo la sintesi della parete batterica. Sono acidi deboli, idrofile con buona distribuzione nell ambiente extracellulare ed eliminate rapidamente soprattutto attraverso i reni. Hanno un effetto tempo-dipendente e uno spettro d azione variabile. Tra queste le più utilizzate sono le associazioni tra amoxicillina e acido clavulanico. Cefalosporine: agiscono distruggendo la parete batterica. Le caratteristiche fisico-chimiche sono le stesse delle precedenti. Hanno un effetto tempo-dipendente ad ampio spettro d azione con resistenze variabili. La più utilizzata è la Cefalessina. Fluorochinoloni: agiscono inibendo la replicazione del DNA con un effetto concentrazione- 32

33 dipendente. Sono anfoteri con buona diffusione cellulare debole fissazione alle proteine plasmatiche e buona diffusione nei tessuti. Hanno un ampio spettro d azione e le resistenze sono in aumento. Tra questi i più utilizzati sono Enrofloxacina, Marbofloxacina, Ibafloxacina, Difloxacina e Ciprofloxacina. Rifamicine: agiscono inibendo la RNA-polimerasi DNA-dipendente nelle cellule batteriche alla sua sub-unità beta prevenendo la trascrizione dell RNA e la conseguente traduzione in proteine. Hanno buona e rapida diffusione all interno della cellula e superano la membrana ematoencefalica (per questo vengono usate nella meningite). Vengono facilmente assorbite dal tratto gastro-intestinale per poi essere eliminate attraverso la bile. Sono attive contro stafilococchi, streptococchi e micobatteri e spesso danno origine a farmaco-resistenza. La più utilizzata nella piodermite del cane è la Rifampicina. Associazione Sulfamidici-Diaminopirimidine: agiscono per inibizione del metabolismo batterico impedendo la sintesi dell acido folico. Sono acidi deboli (sulfamidici) e basi deboli (diaminopirimidine) con buona diffusione nel liquido extracellulare, variabile fissazione alle proteine plasmatiche e eliminazione soprattutto attraverso le urine. Hanno un ampio spettro d azione e danno raramente origine a delle resistenze. Tra le associazioni più utilizzate ritroviamo Trimethoprim-sulfadiazina e sulfametossazolo-trimethoprim (Ihrke, 1986). Terapia topica Sia nelle piodermiti superficiali che nelle profonde l uso di antibatterici topici sembra essere essenziale ed insostituibile. E sempre bene tosare l animale o tolettare perfettamente le aree interessate dalla patologia cutanea per assicurare il contatto del medicamento con le parti lese e consentire di esplicare l azione topica. La terapia topica può essere a base antisettica/disinfettante o antibiotica. Le formulazioni disponibili sul mercato sono diverse: shampoo, lozioni, gel e creme. Tra gli antisettici topici si trovano: Perossido di benzoile: è un potente ossidante e agisce inducendo la formazione di ossigeno nascente nella cute, oltre a produrre interazioni tra radicali benzoilperossi- con gruppi idrossi- e sulfossi. Ciò provoca un alterazione della permeabilità di membrana con successiva rottura delle pareti batteriche. Possiede inoltre attività cheratolitica, antipruriginosa e antiseborroica. Ma per la spiccata attività ossidante può presentare effetti collaterali come eritema, prurito, dolore e secchezza cutanea nel punto di applicazione e dovrebbe essere evitato nelle aree cutanee molto infiammate e disepitelizzate, per il forte bruciore che può causare. Esiste in forma di shampoo al 2, 5% o gel al 5% applicabile ogni 2-3 giorni con risciacquo lungo, accurato e completato dall applicazione di un emolliente. Clorexidina: si tratta di un antisettico ad ampio spettro contro funghi e batteri. Ad elevate concentrazioni coagula le proteine citoplasmatiche batteriche, mentre a basse concentrazioni 33

34 distrugge le membrane citoplasmatiche batteriche, che non sono più in grado di svolgere la loro funzione osmotica. Gli effetti collaterali sono legati alla attività coagulante sulle proteine: irritazione, eritema e prurito. E disponibile in commercio come shampoo al 2% o al 4% e lozioni a diversa concentrazione, applicabile ogni 2-3 giorni con risciacquo lungo, accurato e completato dall applicazione di un emolliente. Derivati dello iodio: il più usato ad oggi è lo iodio povidone, dove lo iodio si trova associato a dei tensioattivi che ne permettono una maggior penetrazione a livello cutaneo, svolgendo un azione battericida e fungicida. Spesso determina effetti collaterali tra cui:irritazione nelle aree in cui la cute è molto sottile (scroto), secchezza cutanea e dermatite da contatto. E formulato come shampoo al 2% da somministrare 2-3 volte alla settimana fino al miglioramento clinico con risciacquo accurato e associato a degli emollienti per limitare la secchezza cutanea. Lattato di etile: è un antibatterico liposolubile in grado di penetrare nel follicolo pilifero e nella ghiandola sebacea dove viene idrolizzato ad acido lattico ed etanolo dalle lipasi batteriche; l acido lattico provoca una riduzione del ph e l inibizione delle lipasi batteriche stesse, mentre l etanolo solubilizza i grassi e diminuisce la secrezione sebacea. Raramente può determinare irritazione, prurito ed eritema. E formulato come shampoo al 10% da applicare 2-3 volte alla settimana inizialmente e 1 volta alla settimana in seguito al miglioramento clinico con risciacquo abbondante. Triclosan: battericida bifenolico poco attivo contro lo Staphylococcus intermedius, è presente sul mercato come shampoo allo 0, 5% in unione a zolfo e acido salicilico. Tra gli antibiotici per uso topico riservati solo al trattamento delle piodermiti localizzate troviamo: Mupirocina: è un antibiotico ad azione esclusivamente locale che, agendo sull enzima isoleuciltransfer-rna-sintetasi batterico, provoca una deplezione intracellulare di isoleucina con arresto della sintesi di RNA e delle proteine batteriche. Provoca così la morte del germe in ore. E disponibile sottoforma di gel al 2%, con una base di glicole propilenico da applicare 1-2 volte al giorno fino alla guarigione su ogni singola lesione. Acido fusidico: è un antibiotico della famiglia delle fusidamine, utilizzato come sale (fusidato), da solo o associato ad antinfiammatori. Inibisce un fattore necessario all allungamento della catena polipeptidica batterica con azione più batteriostatica che battericida. E disponibile come pomata al 2% da applicare 1-2 volte al giorno fino alla guarigione. TRATTAMENTO DELLE PIODERMITI SUPERFICIALI La terapia delle piodermiti superficiali sarà sia topica (shampoo con clorexidina o lattato di etile) che sistemica con antibiotici attivi contro lo Staphylococcus intermedius per una durata minima di 4-6 settimane con l aggiunta di altre 2 settimane oltre la guarigione clinica. Verso la fine del trattamento antibiotico è bene rivalutare lo stato delle lesioni, in caso di mancata guarigione va 34

35 riconsiderata la diagnosi e la terapia con un esame colturale batteriologico con antibiogramma e talvolta biopsia cutanea. TRATTAMENTO DELLE PIODERMITI PROFONDE: Anche in questo caso la terapia sarà sia sistemica che topica (shampoo con clorexidina o perossido di benzoile) con antibiotici attivi contro Staphylococcus intermedius dotati di una buona penetrazione cutanea ad ampio spettro ed economici data la lunga durata del trattamento (6-12 settimane più 3-4 settimane dalla guarigione clinica). E necessario un accurato esame colturale batteriologico con antibiogramma scegliendo con cura l area dove eseguire il prelievo e prediligendo lesioni ancora integre. Per effettuare il prelievo è bene tosare l animale (ma anche per rendere più semplice ed efficace il trattamento topico), talvolta è necessario anestetizzarlo, dato che in molti casi le lesioni sono dolenti. Nel corso del trattamento, l animale va sottoposto a visite di controllo, ogni 3 settimane, durante le quali si valuta il miglioramento delle lesioni e si ripetono gli esami citologici ed eventualmente batteriologici. TRATTAMENTO DELLE PIODERMITI RICORRENTI Il trattamento in questo caso è molto più impegnativo, data la continua ricomparsa delle lesioni e nonostante che la terapia venga applicata correttamente. Si consiglia una terapia antisettica regolare (1-2 volte alla settimana con shampoo con clorexidina), associata ad una terapia antibiotica sistemica da applicare alla ricomparsa delle lesioni per 4-6 settimane. Esiste però anche una terapia antibiotica intermittente che consiste nella somministrazione regolare di antibiotici per brevi periodi al fine di ridurre la carica batterica cutanea e diminuire la frequenza delle recidive. Occorre evitare lo sviluppo di resistenze, scegliendo con cura l antibiotico più efficace, possibilmente battericida con minimi effetti collaterali. I più indicati per tale terapia sono generalmente le cefalosporine e l associazione amoxicillina-acido clavulanico per una durata media di 3-4 mesi dopo la guarigione clinica senza mai ridurre la dose e la frequenza di somministrazione, per evitare lo sviluppo di ceppi batterici resistenti. Si può inoltre associare un antibiotico ad uso topico in gel a base di acido fusidico al fine di ridurre la carica batterica stafilococcica nel cane. E bene, inoltre, stimolare il sistema immunitario dell animale e ciò è possibile attraverso l uso di diverse molecole come la cimetidina, il levamisolo, l interferone. In questo caso si tratta di un immunomodulazione aspecifica mentre con l uso di antigeni batterici si può indurre un immunomodulazione specifica. Tra questi ritroviamolo Staphoid A-B (batterina di Staphilococcus intermedius mescolata a tossine a e b da somministrare a dosi crescenti per via sottocutanea o intradermica. E stato condotto uno studio (Curtis et al, 2006) per valutare l efficacia di tale batterina, reclutando dieci cani con almeno tre precedenti episodi di piodermite superficiale. Dopo aver accertato l assenza di ectoparassiti e funghi e dopo aver somministrato 35

36 una dieta specifica senza alcun segno di miglioramento, gli animali sono stati sottoposti ad una terapia antibatterica per via sistemica. Sono state utilizzate colture di Staphylococcus intermedius prese dalle lesioni degli stessi animali, per produrre una batterina autogena per ciascuno di essi. I dieci cani sono stati riuniti in due gruppi da cinque (gruppo 1 e 2) ed è stato assegnato loro un punteggio di lesione in base alla gravità della forma infettiva. Entrambi i gruppi hanno ricevuto una terapia di 4 settimane di antibiotico. Il gruppo 1 è stato però sottoposto ad una concomitante somministrazione sottocutanea di batterina, protratta fino alla decima settimana, mentre il gruppo 2 non ha ricevuto alcuna terapia aggiuntiva. Tutti i cani sono stati esaminati e analizzati alla quinta e decima settimana e infine, una volta confrontati i diversi risultati tra i due gruppi è emerso che alla decima settimana il gruppo controllo mostrava punteggi delle lesioni significativamente più alti rispetto al gruppo che aveva ricevuto la batterina. Nessun animale ha mostrato reazioni avverse alla batterina. Questa può fornire un metodo sicuro ed efficace per il controllo della piodermite superficiale ricorrente canina come confermato da ulteriori studi che hanno utilizzano gruppi di cani più numerosi e per un periodo di trattamento più lungo (Curtis et al, 2006). Altri immunostimolatori molto importanti sono l Immunoregulin (sospensione di Propionibacterium acnes inattivato da somministrare per via endovenosa) e lo Staphage Lysate (preparato a partire dalla lisi da parte di batteriofagi di 2 ceppi di Staphylococcus aureus da somministrare per via sottocutanea (Guaguere e Prelaud, 2005). EFFETTI COLLATERALI/TOSSICITA L utilizzazione degli antibiotici sistemici non è esente da effetti collaterali. Betalattamine e Cefalosporine provocano: vomito, diarrea, reazioni avverse ai farmaci. Macrolidi e Lincosamidi provocano: vomito e diarrea. Fluorochinoloni provocano: vomito, diarrea, degenerazioni delle cartilagini articolari nei soggetti di taglia grande in crescita. Tetracicline provocano: vomito, aplasia dello smalto dentale. Rifamicine provocano: epatite, sindrome respiratoria, arrossamento, prurito, rush, lacrimazione, brividi, febbre, nausea, vomito e diarrea. Sulfamidici-diaminopirimidine provocano: cherato-congiuntivite secca, glomerulopatia, poliartrite, trombocitopenia e reazioni avverse ad altri farmaci (Schwarz e Noble, 1999; Lloyde et al., 1999). ANTIBIOTICORESISTENZA L uso di antibiotici per periodi prolungati determina la comparsa di resistenze e questo fenomeno è molto frequente nel trattamento delle piodermiti (Bergan, 1981). Tale fenomeno è legato alla presenza o all acquisizione di geni che codificano per gli enzimi che distruggono gli 36

37 antibiotici (ad esempio le penicillasi per le penicilline), che modificano i target dell antibiotico (ad esempio la modificazione dei ribosomi per l eritromicina) o che codificano per le proteine batteriche che non sono più attaccabili dall antibiotico (per esempio la produzione di una DNAgirasi non attaccabile dai fluorochinoloni). Le resistenze batteriche sono di due tipi: le resistenze intrinseche o naturali, e le resistenze acquisite per mutazioni genetiche del DNA cromosomico batterico e/o per acquisizione di un plasmide di resistenza trasferibile. La resistenza intrinseca è innata e prevedibile. Si tratta di una caratteristica stabile di alcune specie batteriche nei confronti di un antimicrobico. La resistenza cromosomica è, invece, rara e spontanea, ma non indotta dall uso dell antibiotico. Nella resistenza plasmidica, un plasmide (frammento di DNA extracromosomico) che regola la sintesi di enzimi che disattivano l antibiotico, si innesta nel patrimonio genetico del batterio (per coniugazione, per trasduzione, o attraverso dei batteriofagi). Questo trasferimento può avvenire tra batteri della stessa specie o di specie differenti. E per questo motivo che, in presenza di piodermite, occorre evitare la somministrazione di antibiotici non strettamente necessari e prediligere l uso di un antibiotici adatti che vanno regolarmente cambiati, per evitare di selezionare popolazioni batteriche resistenti. Come è stato già detto in precedenza, il principale agente eziologico nella piodermite del cane è lo Staphylococcus intermedius (Ihrke, 1987). Tale germe fa parte della normale flora batterica residente del cane e può essere isolato in cani sani, soprattutto dalla regione anale (Devriese, DePelsmaeker 1987), ma è anche un importante patogeno della pelle, nella stessa specie (Medleau et al. 1986). A causa del sempre più diffuso utilizzo degli antibiotici per curare svariate patologie, comprese le specifiche patologie infiammatorio/infettive della cute che rientrano nel capitolo delle piodermiti, gli stafilococchi canini normalmente residenti sulla cute del cane hanno sviluppato e continuano a sviluppare insidiose e preoccupanti antibioticoresistenze (Noble e Kent 1992, Lloyd et al. 1996, Werckenthin et al. 2001, Holm et al. 2002, Rantala et al. 2004, Loeffler et al. 2007). I batteri della normale flora intestinale, come anche Escherichia coli e Enterococcus spp, possono facilmente acquisire e trasferire i geni della resistenza. Tali batteri possono quindi essere impiegati come indicatori di variazioni di resistenza microbica (Caprioli et al. 2000). In medicina veterinaria sono stati creati dei programmi di monitoraggio per la resistenza batterica agli antibiotici specialmente in animali da produzione (Martel et al. 2001), ma sono stati portati avanti degli studi a riguardo anche nei cani, seppure più limitati (Hirsh et al. 1980, Monaghan et al. 1981, Devriese et al., 1996, van Belkum et al. 1996). Un isolato è definito multiresistente quando mostra resistenza a 3 o più differenti classi di antimicrobici. Le β-lattamasi sono enzimi prodotti da alcuni batteri responsabili della loro resistenza agli antibiotici beta-lattamici come le penicilline, le cefamicine e cefalosporine. Questi 37

38 antibiotici hanno un elemento in comune nella loro struttura molecolare: un anello a quattro atomi noto come beta-lattame. L'enzima lattamasi idrolizza l'anello beta-lattamico, inattivando le proprietà antibatteriche della molecola, in due fasi: acilazione (che avviene attraverso l'attacco covalente al beta-lattame ad opera della serina70) e deacilazione. La produzione di beta-lattamasi nello S. intermedius canino è risultata essere molto diffusa, infatti il 50-90% degli isolati produce beta-lattamasi (Noble& Kent 1992, Pedersen & Wegener 1995, Kruse et al. 1996, Lloyd et al. 1996, 1999, Holm et al. 2002). Studi analoghi sono stati condotti anche in Norvegia (Kruse et al. 1996), Svezia (Holm et al. 2002), Francia (Pellerin et al. 1998), Danimarca (Pedersen& Wegener 1995), Stati Uniti d'america, Regno Unito e Germania (Werckenthin et al. 2001) dando dei risultati analoghi. Nonostante un ampio uso di cefalosporine di prima generazione e altri antibiotici beta-lattamici nella pratica veterinaria canina, la resistenza all oxacillina è ancora piuttosto rara (Pedersen& Wegener, 1995, Kruse et al. 1996, Lloyd et al. 1996), sebbene sia stata riscontrata resistenza alla meticillina (Piritz et al. 1996, Gortel et al. 1999, Pak et al. 1999). Inoltre, è risultata più comune l antibiotico-resistenza al Trimethoprim/sulfamethoxazole in stafilococchi isolati da cani trattati (57%) rispetto al gruppo di controllo (25%) (Pellerin et al., 1998). Per quanto riguarda la resistenza a macrolidi e lincosamidi (in media 20%), questa è risultata essere molto elevata nello S. intermedius canino, e ciò potrebbe essere spiegato da un maggior uso di tali antimicrobici nei cani negli ultimi decenni. In conclusione, i risultati dei vari studi supportano il fatto che l'uso di antimicrobici e lo sviluppo di resistenza antimicrobica tra i batteri sono collegati tra loro. In particolare, lo sviluppo della resistenza antimicrobica negli stafilococchi contro antibiotici comunemente utilizzati è molto diffusa. Sulphatrimethoprim e macrolidi rischiano di rivelarsi totalmente, inefficaci dato che tra gli stafilococchi canini sono presenti molti ceppi multi resistenti. 38

39 6) LA RICERCA IN ENEA: IL BREVETTO MIX 557 La ricerca di sempre nuove sostanze caratterizzate da tossicità limitata, grande efficacia nel favorire i processi riparativi, associate ad un rischio ridotto di induzione di antibioticoresistenza, hanno spinto due ricercatori dell'enea a concentrare gli studi nel campo della fitoterapia. Questa è una pratica terapeutica, comune a tutte le culture e le popolazioni sin dalla preistoria, che prevede l utilizzo di piante o estratti di piante per la cura di molte malattie. Durante la sperimentazione sull impiego terapeutico di sostanze naturali ad attività antiparassitaria nei confronti di alcune ectoparassitosi (quali la pediculosi, le infestazioni da larve di ditteri, ecc.) negli animali da fibra, i due ricercatori, Fiorella Carnevali, Medico Veterinario e Stephen Andrew van der Esch, Biologo, hanno formulato una miscela di estratti naturali da Neem (Azadirachta indica, var. A.Juss) e Iperico (Hypericum perforatum), inizialmente denominata MIX 557, priva di effetti collaterali, che ha rivelato, oltre alle proprietà biocide e repellenti, anche attività cicatrizzante per la cura delle lesioni esterne di qualunque estensione e natura. L'Iperico (Hypericum perforatum) è una pianta che suscita da tempo notevole interesse scientifico. Attualmente le conoscenze e le evidenze cliniche si sono concentrate sull attività terapeutica dell estratto in toto della pianta di iperico (estratti idrofilici) nel trattamento dei disturbi depressivi da lievi a moderati. In realtà, l olio di Iperico (estratto lipofilico delle sommità fiorite) è stato per secoli uno dei rimedi tradizionali per il trattamento delle ferite, delle ustioni e di varie forme di infiammazione della cute, adiuvato da attività antibatterica e cicatrizzante. L'albero del Neem (Azadirachta indica), è conosciuto da tempi immemori nella tradizione ayurvedica quale produttore di principi biologicamente attivi di estremo interesse (azadiractina, gedunina ecc.) per l agricoltura (fonte di biopesticidi), per la medicina in generale e per la salute pubblica (controllo dei vettori biologici responsabili di malattie socialmente problematiche: malaria, blue tongue ecc.) oltre che per le sue innumerevoli proprietà, tra cui la capacità di favorire la guarigione di diverse lesioni cutanee, manifestando anche attività antinfiammatoria, analgesica e antimicrobica verso batteri, virus, dermatofiti e parassiti degli animali e delle piante. Il medicamento, messo a punto dai ricercatori ENEA, si caratterizza in particolare per spiccate proprietà antidisidratative e lenitive che favorirebbero lo svolgimento dei processi chimicoistologici-cicatriziali associando un attività repellente e biocida verso insetti e batteri ed evitando la deposizione delle uova sulle ferite e lo sviluppo delle larve di ditteri miasigeni (mosche che depositano uova o larve sui tessuti vivi o su tessuti in decomposizione). Il preparato favorisce la formazione, in tempi rapidi, del tessuto di granulazione, dalla qualità del quale dipende, non solo la guarigione e la formazione di una buona cicatrice, ma anche il perfezionamento rapido della barriera temporanea di fibroblasti attivi e della rete vascolare 39

40 trofica ed impermeabile, che si oppone all'attacco dei germi sulla superficie lesa. I risultati ottenuti in veterinaria hanno portato alla sperimentazione del medicamento in medicina umana sia sulle lesioni acute che su quelle croniche con risultati sovrapponibili e alla sua registrazione come dispositivo medico di classe II-b per uso topico. In questo capitolo verranno esaminate in maniera approfondita le proprietà delle componenti vegetali del brevetto ENEA ed i risultati clinici ottenuti utilizzando il prodotto commerciale derivante da detto brevetto chiamato 1 Primary Wound Dressing per la medicina umana e ONE VET per uso veterinario. HYPERICUM PERFORATUM O ERBA DI S.GIOVANNI L iperico (famiglia delle Guttiferae) è una piccola pianta erbacea perenne originaria dell Europa e dell Asia occidentale. La flora italiana ne annovera circa una ventina di specie. L Hypericum perforatum è una specie spontanea molto diffusa sulla nostra penisola, che vive negli incolti stepposi adattandosi anche in suoli asciutti e poveri, dal mare alla montagna. I fusti, alti circa 60 cm, presentano due creste longitudinali che distinguono la pianta da altre specie di iperico. Le foglie sono ovali, intere, opposte e presentano delle ghiandole traslucide che in controluce appaiono come una fitta perforazione. I fiori, formati da cinque petali di colore giallo brillante, sono raccolti in corimbi alla sommità degli scapi. Tutta la pianta, ma in particolare i fiori, sono cosparsi da una fitta punteggiatura bruna costituita da ghiandole secretrici ricche di un pigmento rosso vinoso, rappresentato in prevalenza da ipericina. (Boncompagni, Mercati, 2008). Il nome con cui l iperico è conosciuto in tutto il mondo è St. John s Worth o Erba di S. Giovanni e si deve all antica tradizione popolare che voleva che la pianta fosse colta nella notte tra il 23 e il 24 giugno, giorno della festa di S. Giovanni Battista. Oltre alle valenze magico-religiose e propiziatorie di questo antico rituale, è interessante notare che questa ricorrenza corrisponde proprio al periodo iniziale della fioritura ed è il momento in cui la pianta è più ricca di sostanze farmacologicamente attive (Boncompagni, Mercati, 2008). Per tutte le prerogative attribuitegli, meritò il nome di fugademonum (cacciadiavoli), in quanto nella medicina popolare era utilizzato sotto forma di infuso per la malinconia, gli sbalzi d umore, l agitazione nervosa, l isterismo, le nevralgie, gli stati infiammatori dei bronchi e delle vie genitourinarie, come antidiarroico (probabilmente per l azione astringente dei tannini), contro 40

41 l enuresi notturna, i reumatismi, mentre come estratto oleoso (oleolito di iperico) era utilizzato per la cicatrizzazione di piaghe, fistole, scottature ed ulcere (Boncompagni, Mercati, 2008). Un testo del 1581, dal titolo Li meravigliosi secreti di medicina e chirurgia, cita: Le virtù di questo olio sono miracolose ed infinite: giova alle ferite penetranti, come quelle del capo, quando l osso è scoperto, del petto e del ventre versandolo dentro. Scioglie il sangue raffermo e porta via il pus. Leva il dolore, impedisce l infiammazione e salda le ferite interne. Giova alle ferite delle giunture, della pelle tagliata, delle piaghe, delle fistole profonde. Guarisce la tigna; ungendo una volta al giorno la testa con pezze intrise di questo olio, aiuta a far ricrescere i capelli (Boncompagni, Mercati, 2008). L olio di iperico è stato per secoli uno dei rimedi tradizionali più popolari in Europa per il trattamento delle scottature e delle ferite e le pubblicazioni moderne, inerenti studi sperimentali sull efficacia terapeutica dell olio di iperico, supportano la validità dei tradizionali utilizzi fitoterapici del preparato come antinfiammatorio, antibatterico e cicatrizzante per il trattamento topico di ferite, ustioni e varie forme di infiammazioni della cute. STUDI SPERIMENTALI Le molteplici capacità curative attribuite alla pianta dell iperico e tramandate per secoli, hanno spinto studiosi di tutto il mondo ad intraprendere una serie di studi sperimentali e scientifici, relativi alla pianta stessa. Questi studi e pubblicazioni, possono essere riassunti in base alle attività della pianta, oggetto degli stessi: Attività antidepressiva L estratto idroalcolico in toto di iperico si è dimostrato attivo nelle forme lievi e moderate di depressione, con minori effetti collaterali rispetto agli antidepressivi convenzionali (Boncompagni, Mercati, 2008). Tra le proprietà farmacologiche di questo estratto individuate attraverso gli studi sperimentali, quelle che trovano attualmente maggior riscontro sono: - aumento della concentrazione sinaptica di serotonina (5-ht), noradrenalina e dopamina; - potenziamento della azione gabaergica; - down-regulation dei beta-recettori adrenergici postsinaptici; - modulazione dell espressione di citochine; - regolazione della funzione ipotalamo-ipofisi-surrene; - interazione con il metabolismo seratonina-melatonina; - inibizione dell enzima monossidasi. Attività antimicrobica Rabanal et al., nel 2002 hanno investigato l attività antimicrobica di estratti e frazioni di parti aeree di tre specie di Hypericum (H. canariense, H. glandulosum, H. grandifolium), nelle isole Canarie. Hanno utilizzato il metodo di Immunodiffusione in Gel di Agar (AGID), contro dodici microrganismi (otto batteri e quattro miceti), con i seguenti risultati: 41

42 - l estratto di metanolo di h. canariense come quello di h. glandulosus e h. grandifolium, manifestano una buona attività antimicrobica nei confronti dei batteri gram-positivi (bacillus cereus, mycoides, mycrococcus luteus, staphilococcus aureus e staphilococcus epidermidis) e dei batteri gram-negativi (bordetella bronchiseptica); - la determinazione della concentrazione minima inibitoria (mic), dimostra che gli estratti di h. canariense sono più attivi nei confronti di m. luteus, s. aureus, s. epidermidis; - l attività antifungina non è stata dimostrata in nessuno di queste frazioni o estratti (Rabanal et al., 2002). Dall Agnol R. et al., nel 2003 hanno studiato l attività antimicrobica di sei specie di Hypericum (H. caprifoliatum, H. carinatum, H. connatum, H. ternum, H. myrianthum, H. polyanthemum) che crescono nel sud Brasile, nei confronti di batteri e miceti. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - l estratto più attivo è stato quello di h. caprifoliatum, che mostra attività contro s. aureus; - solo gli estratti di h. polyanthemum e h. ternum sono attivi nei confronti di bacillus subtilis; - nessuno degli estratti crudi metanolici mostra attività nei confronti di s. epidermidis, e. coli o saccaromyces cerevisiae; - i composti prevalenti in queste specie sono tannini, flavonoidi e acidi fenolici, quercitrina, iperossido, e meno frequentemente isoquercitrina e acido clorogenico; - in contrasto con h. perforatum, che presenta elevate concentrazione di rutina, queste specie non contengono questo flavonoide o è presente solo in tracce. (Dall agnol et al., 2003). Hubner, nel 2003, ha effettuato una studio concentrato sulla possibilità che Staphilococcus aureus possa acquisire resistenza nei confronti dell iperforina, che non comporta però una resistenza crociata nei confronti degli antibiotici usati clinicamente. Comunque, lo sviluppo della resistenza non si manifesta a concentrazioni molto basse, come quelle che si riscontrano nel plasma umano in seguito a trattamento antidepressivo a base di iperico (900mg/die)(Hubner, 2003). Cecchini et al., nel 2007 hanno effettuato uno studio di screening sull attività antimicrobica di alcune specie di iperico che crescono in centro Italia. Sono stati testati i composti di Metanoloacetone delle componenti aeree di sette specie del genere Hypericum (H. perforatum L. subsp. Perforatum; H. perforatum L. subsp. Veronense Ces.; H. montanum L.; H. hyssopifolium Chaix; H. hirsutum L.; H. hircinum L. subsp. Majus; H. tetrapterum). Su queste specie provenienti dall Appenino umbro-marchigiano, sono stati condotti dei test sull attività antimicrobica in vitro nei confronti di due batteri Gram positivi (Staphylococcus Aureus e Enterococcus Faecalis), due batteri Gram negativi (Escherichia Coli e Pseudomonas Aeruginosa), e Candida Albicans. Le componenti aeree delle piante (5 gr), sono state essiccate e macinate e l estrazione del principio attivo è avvenuto con l utilizzo di una soluzione di metanolo-acetone. L analisi e l identificazione 42

43 dei vari componenti degli estratti (iperforina, ipericina, acido clorogenico, rutina, iperossido, isoquercitrina, quercitrina, quercetina), è avvenuta mediante l utilizzo di metodi cromatografici (HPLC-DAD/HPLC-MS). I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - grazie al loro alto contenuto di ipericina e iperforina, in addizione al composto fenolico, le due subspecie di h. perforatum hanno dimostrato una maggiore attività nei confronti dei batteri gram-positivi che negativi; - in particolare, mostrano una attività inibitoria significativamente più elevata nei confronti dei gram positivi rispetto ai gram-negativi; - i livelli di inibizione nei confronti di s. aureus e p. aeruginosa non sono significativamente differenti tra le due subspecie di h. perforatum, in contraddizione con i risultati dei recenti studi croati; - la buona attività inibitoria nei confronti di s. aureus conferma i potenziali utilizzi di queste piante contro batteri con poliresistenza antibiotica; - i metaboliti secondari derivanti dal profilo stilato dallo studio cromatografico, suggerisce che i flavonoidi e gli acidi fenolici in addizione all ipericina e all iperforina, non possono essere considerati come gli unici composti attivi presenti. probabilmente intervengono anche polifenoli come i tannini, derivati floroglucinici che producono un effetto sinergico di inibizione microbica (Cecchini et al., 2007). Effetti fotodinamici e tolleranza della cute L estratto della pianta di S. Giovanni, induce manifestazione di alcuni effetti fotodinamici che potrebbero causare una fotodermatite, che viene definita Hypericismo. L ipericina, è un metabolita della pianta con attività antivirale, ed è un pigmento con attività fotodinamica che induce fotomelanosi delle cellule rosse del sangue, incrementa la perossidazione lipidica e riduce i livelli di glutatione nelle cellule. L azione fotodinamica dell ipericina è associata alla formazione di molecole derivanti dall ossigeno estremamente reattive. Vandenbogaerde et al.. nel 1997 hanno effettuato uno studio inerente gli effetti fototossici della pseudoipericina rispetto all ipericina. La pseudoipericina e l ipericina, sono i maggiori elementi fotosensibilizzanti dell Hypericum perforatum, causa dell ipericismo. Proprio per le sue proprietà fotosensibilizzanti, l ipericina potrebbe essere utilizzata nella terapia fotodinamica tumorale, mentre la pseudoipericina è ancora in fase di studio. Inoltre, la pseudoipericina è presente in concentrazioni due o tre volte superiori rispetto all ipericina all interno della pianta e la sua biodisponibilità dopo somministrazione orale è pressochè la stessa dell ipericina, quindi ciò farebbe supporre che sia quest ultima la principale responsabile dell ipericismo. (Vandenbogaerde et al., 1998). Schempp et al., nel 2000 hanno effettuato uno studio inerente la manifestazione di effetti avversi legati al trattamento topico con estratto di iperico di ferite superficiali, ustioni e cicatrici. Lo 43

44 studio si basa sugli effetti dell olio di iperico e dell unguento sulla cute sottoposta a radiazioni UV che simulano l azione dell esposizione solare (1000W). Sono stati utilizzati sedici volontari in buono stato di salute, di entrambi i sessi e di età compresa tra 18 e 59 anni, senza pregressi problemi di malattie cutanee o di fotosensibilità. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - non sono state osservate alcune reazioni di fototossicità, dopo irradiazione solare simulata in nessuna delle aree cutanee trattate con olio o unguento di iperico; - si sono manifestati alcuni eritemi dopo 24 ore dall irradiazione, legati al trattamento con olio di iperico, ma non con l unguento (utilizzo di misurazioni fotometriche); - la differente influenza dell olio rispetto all unguento sulla manifestazione dell eritema, potrebbe essere associato ad una differente concentrazione di ipericina e di altri metaboliti, nelle due diverse preparazioni topiche (110μg/ml vs 30μg/ml dell unguento); - in un recente studio degli stessi autori, è stato dimostrato che una reazione di fototossicità può essere indotta con un iniezione intradermica di 1000 ng/ml di ipericina, ma non di 100 ng/ml, mentre l effetto fototossico non si esplica se la somministrazione è topica; - ciò probabilmente è dovuto all azione di barriera esplicata dall epidermide e dalla scarsa capacità di permeazione dell ipericina; - nonostante il basso potenziale fototossico dell ipericina, bisogna porre maggiore attenzione sull utilizzo dell estratto in presenza di lesioni cutanee, sopratutto in caso di esposizione solare (Schempp et al., 2000). Nel 2003, i medesimi autori hanno effettuato uno studio inerente gli effetti derivanti dalla somministrazione orale di estratto di Hypericum perforatum, sulla pigmentazione della cute e sugli eritemi indotti da raggi UVA, UVB, luce visibile e radiazioni solari simulate. Sono stati utilizzati 72 volontari con cute del tipo II e III, che sono stati suddivisi in 6 gruppi, ognuno con 12 volontari. Di questi soggetti, 48 volontari hanno ricevuto 6 o 12 compresse rivestite (5400 o µg di ipericina); 24 volontari hanno ricevuto un iniziale dose di 6 compresse (5400µg) e successivamente 3 compresse (2700µg) al giorno, per sette giorni; Il test di fotosensibilizzazione è stato effettuato sulla superficie volare dell avambraccio prima e dopo l ultima somministrazione delle compresse (UVA, UVB, luce visibile e radiazioni solari simulate); L indice di eritema e di melanina è stato valutato fotometricamente. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - l esposizione ai raggi UVB induce un incremento della pigmentazione e dell indice di eritema, ma questi effetti sono indipendenti dalla dose di ipericina somministrata (6 o 12 compresse); - non ci sono effetti significativi per esposizione alle altre sorgenti, in quanto l incremento dell indice di eritema e di pigmentazione che si osserva dopo la singola somministrazione di ipericina, non è significativo rispetto alla cute non trattata; 44

45 - i risultati non mettono in evidenza un potenziale effetto fototossico per somministrazioni orali di dosaggi superiori a 1800 mg al giorno di ipericina (Schempp et al., 2003). Boiy A. et al., nel 2008, hanno svolto uno studio inerente l attività fotosensibilizzante dell ipericina e dell ipericina acetato dopo applicazione topica sulla cute normale di ratto. Sono state valutate le alterazioni istopatologiche e la risposta fototossica della cute dopo singola applicazione topica di ipericina e ipericina acetato, e successiva irradiazione. Inoltre, è stata valutata la capacità di rigenerazione del sangue e delle cellule cutanee, e questa capacità in funzione del tempo. Infine, la risposta fototossica è stata comparata con quella ottenuta dopo applicazione di acido metil aminolevulinico: è stata effettuata una somministrazione topica di ipericina (0, 1-1%) e ipericina acetato (0, 015-1, 5%) su diversi punti delle orecchie dei ratti; la penetrazione e la ritenzione dell ipericina, sono state stimate con la microscopia a fluorescenza; dopo l applicazione, la cute è stata irradiata; giornalmente, sono state eseguite delle misurazioni dello spessore della cute e il prelievo di campioni per le analisi istologiche. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - l applicazione di ipericina sulla cute delle orecchie dei ratti, ha provocato solo una limitata fototossicità, probabilmente confinata alla penetrazione dello strato epidermico; - la penetrazione estesa, ottenuta in conseguenza della somministrazione di ipericina acetato, ha portato ad una maggiore e prolungata risposta dopo irradiazione, caratterizzata da intenso eritema e tumefazione delle orecchie; - il danno cutaneo indotto dall applicazione di ipericina acetato 0, 15% si è completamente risolto dopo 14 giorni senza formazione di cicatrice; - dopo una singola applicazione di ipericina acetato, la capacità residua fotosensibilizzante si è ridotta rapidamente, fino a scomparire dopo il settimo giorno; - in base alle condizioni sperimentali utilizzate, gli autori affermano che l ipericina acetato induce un equivalente o superiore risposta fototossica rispetto alla somministrazione di acido metil aminolevulinico, in base anche alle concentrazioni (Boiy et al., 2008). Studi recenti sull'oleolito di iperico hanno dimostrato che quando l'oleolito assume la tipica colorazione rossa, l'ipericina fotodinamicamente attiva non è più presente mentre sono presenti i derivati ossidati dell'ipericina che non hanno più effetti fotodinamici (Isacchi et al., 2007). Attività di rigenerazione tissutale e di riepitelizzazione. Lavagna S. M. et al., nel 2001 hanno compiuto uno studio inerente L efficacia dell olio di Calendula e Hypericum, per la riparazione e rigenerazione epiteliale di ferite chirurgiche derivanti da parto cesareo. L attività riepitelizzante è attribuita alla resina e alle essenze della pianta. La Calendula arvensis è una pianta erbacea della famiglia delle Asteraceae, molto diffusa in centro Italia e nelle isole. Lo studio si basa sulla valutazione delle capacità rigeneranti di una mistura di olio di H. perforatum e C. arvensis su ferite chirurgiche derivanti da parto cesareo, in 45

46 un gruppo di 24 pazienti. Le piante sono state raccolte durante i mesi di maggio e giugno, in aree rurali della zona di Cagliari (Sardegna); gli estratti oleosi, sono stati preparati a partire dalle estremità fiorite di piante appena raccolte, lavate prima con acqua corrente e poi con acqua distillata per rimuovere le impurità e macerate in olio di germe di grano in proporzione di 320:1000 (gr punte fiorite/gr olio); la macerazione è avvenuta in termostato a 50 C per 60 minuti, con il quale si è ottenuto un olio rosso derivato dall iperico e un olio giallo ocra, ottenuto dalla Calendula; gli olii sono stati sottoposti a filtrazione, messi in bottiglie di vetro da 50 ml e sterilizzati a 121 C per 60 minuti. L esperimento è stato sottoposto ad un gruppo di 24 pazienti di età compresa tra 33 +/- 3 anni, che hanno subito un parto cesareo; le pazienti sono state suddivise in due gruppi da 12 componenti ognuno, aventi la stessa età; il primo gruppo è stato trattato con terapia locale con un olio costituito da 70% di estratto di iperico e 30% di estratto di calendula, la terapia prevedeva lavaggio e disinfezione della ferita con perossido di idrogeno 12 volumi; applicazione di garze sterile impregnate di olio, poste direttamente sulla ferita; applicazione di un bendaggio occlusivo; il secondo gruppo, di controllo, è stato sottoposto allo stesso trattamento, tranne per l applicazione dell olio di iperico e calendula. I due gruppi sono stati trattati due volte/die per sedici giorni consecutivi, con un intervallo di otto ore tra la prima applicazione e la seconda. I risultati sono stati valutati con l utilizzo di parametri obiettivi e quantificabili, come il Perimetro della Superficie della ferita chirurgica (SPA), espresso in cm 2. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - nel gruppo di pazienti trattati con olio di iperico-calendula, si sono ottenuti risultati migliori rispetto al gruppo di controllo; - l SPA nel gruppo trattato si è ridotto di /- 9.9% rispetto ad una riduzione nel gruppo di controllo di /- 4.64% (Lavagna et al., 2001). Farmacocinetica, effetti sui fattori di crescita e attività antineoplastica. Fox E. et al., nel 2001 hanno effettuato uno studio inerente La farmacocinetica plasmatica e la penetrazione nel fluido cerebrospinale dell ipericina, nei primati non umani. L ipericina è un composto che ha dimostrato di inibire la crescita di cellule maligne che provocano glioma su colture cellulari, attraverso l inibizione di una proteinchinasi C. Infatti, la somministrazione orale di ipericina fa parte del normale trial terapeutico in adulti con gliomi maligni ricorrenti (Fox et al., 2001). Sasajima M. et al., nel 2008 hanno effettuato un approfondito studio inerente Il trans-3, 4 - Dimethil-3-idrossiflavanone, un componente attivo incrementante la crescita dei capelli, riduce il Fattore di Crescita Trasformante β2 (TGF-β2), attraverso il controllo di un Attivatore del Plasminogeno Urochinasi-simile (upa), sulla superficie dei Keratinociti. I follicoli dei capelli sono composti da cellule mesenchimali che formano la papilla e il tessuto connettivale di rivestimento e da cellule epiteliali che costituiscono la matrice cellulare e il rivestimento della radice del 46

47 capello. Le interazioni tra le cellule mesenchimali e le cellule epiteliali sono importanti per la formazione dei follicoli e la progressione del ciclo di crescita del capello. Le molecole responsabili di queste interazioni, includono alcuni fattori di crescita stimolanti come il fattore di crescita epatocitario, il fattore I insulin-dipendente, il fattore di crescita dei fibroblasti, vascolare endoteliale, il fattore trasformante β, il TNF-α, l interleuchina 1α, alcuni fattori di soppressione della crescita, che agiscono con espressione coordinate per regolare il ciclo di crescita del capello. L alopecia di solito è associata agli ormoni maschili, infatti i recettori target del testosterone sono le cellule delle papille, soprattutto nelle regioni frontale e parietale, rispetto alle regioni occipitale e temporale che posseggono un numero inferiore di recettori. La distribuzione della 5α-reduttasi tipo II, che converte il testosterone in alti livelli di diidrotestosterone, è differente tra le regioni maggiormente esposte all alopecia e quelle meno interessate. Gli effetti del diidrotestosterone incrementano la produzione di IGF-1 e TGF-β, fattori che controllano la crescita dei peli della barba e delle regioni alopeciche. Il TGF-β, è conosciuto come soppressore della crescita delle cellule epiteliali, e quando si pone a contatto con follicoli in organo-cultura, la crescita dei capelli è fortemente ridotta. Lo studio aveva lo scopo di individuare ed estrarre l astilbina, un fattore incrementante la crescita dei capelli, componente dell estratto di Hypericum perforatum e la taxifolina, che promuove la crescita di vibrisse di ratto in organo-culture. Con queste sostanze si è costituito il t-flavonone (trans dimethil-3-hidrossiflavanone) per investigare i suoi effetti sui livelli di TGF-β e la sua conversione da forma latente ad attiva. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - T-flavonone riduce i livelli di TGF-β attivo in coculture di cellule di papille umane e cheratiniciti umani e sopprime l attivazione del TGF-β da parte dei cheratinociti; - T- flavonone riduce l attività dell Attivatore del Plasminogeno Urochinasi-simile (upa), enzima che attiva il TGF-β e che si trova sulla superficie dei cheratinociti. (Sasajima et al., 2008). In conclusione, tra le proprietà dell H. Perforatum, le più importanti e di maggiore interesse clinico sono: Attività antimicrobica nei confronti dei batteri Gram (+) e Gram (-), in particolare nei confronti di S. Aureus poliantibiotico-resistenti; Attività di rigenerazione tissutale e riepitelizzazione delle ferite chirurgiche; Modulazione di alcuni fattori di crescita, in particolare attività di riduzione del TGF-β, soppressore della crescita delle cellule epiteliali e dell Attivatore del Plasminogeno- Urochinasi, enzima che attiva il TGF-β. 47

48 AZADIRACHTA INDICA O ALBERO DEL NEEM Conosciuto in India da più di quattromila anni e altamente apprezzato dalla tradizione ayurvedica, parimenti venerato da indù e musulmani, la pianta del neem si è meritata l appellativo di sarva roga nivarini, ossia guaritrice di tutti i malanni. I primi scritti in sanscrito, riferiscono i benefici dei frutti, dei semi, dell olio, delle foglie, delle radici e della corteccia del neem, tanto che per le sue innumerevoli proprietà curative, veniva definita la farmacia del villaggio. Ghandi raccomandava di studiarne le proprietà per far rivivere la medicina tradizionale indiana e oggigiorno ha meritato dalle Nazioni Unite l appellativo di Albero del ventunesimo secolo (Colorni e Laniado, 2006). L albero del neem è imponente, può raggiungere l altezza di 25 metri e il tronco può raggiungere il diametro di un metro e può vivere fino a 200 anni. Le foglie, di color verde pallido, sono ellittiche, lanceolate, seghettate, asimmetriche e leggermente curve. La corteccia è di colore variabile dal grigio al marrone scuro; le foglie, pinnate, misurano cm e si ramificano in foglioline lanceolate da 3 a 8 cm di lunghezza. I fiori sono piccoli, bianchi e profumati, le infiorescenze a forma di pannocchia, raggiungono i 25 cm di lunghezza. I frutti sono drupe con la forma e le dimensioni di un oliva, di sapore dolceamaro e racchiudono un nocciolo oblungo, lunghi 1-2 cm, diventano gialli quando maturano (Colorni e Laniado, 2006). E un albero sempreverde che fiorisce abbondantemente durante la primavera e il suo legno è resistente alle termiti. Cresce in terreni poco fertili e sassosi ed è stato utilizzato in Somalia per arrestare l avanzata del deserto e in Indonesia per consolidare il terreno nelle zone soggette ad erosione. I semi e le foglie sono le parti più utilizzate e quelle più ricche di principi attivi. Contengono circa settanta limonoidi (triterpenoidi), tra cui l azadiractina, concentrata soprattutto nei semi, è uno dei principali componenti, attivo tra l altro contro più di duecento specie di insetti (interferisce nel processo metamorfico delle larve anche a concentrazione estremamente bassa). Sono presenti anche tannini, composti fenolici, carotenoidi, steroidi, chetoni e flavonoidi. Le altre parti della pianta presentano gli stessi principi 48

49 attivi, ma in diversa concentrazione e proporzione (Colorni e Laniado, 2006). E interessante notare che l albero del neem nella letteratura Ayuverdica presenta più di 33 sinonimi che ne definiscono i molteplici utilizzi clinici. Alcuni esempi: Arista, in quanto cura diverse malattie; Kakaphala, per le sue attività antiemetiche; Puyari, per le attività antinfiammatorie; Krimighna, per la capacità antiparassitarie e di curare le malattie della pelle. In India viene utilizzata ogni parte dell albero (Fox et al., 2001). Parte dell albero Preparazione Indicazioni FRUTTO Crudo o decotto Costipazione, attività emolliente, purgante, efficace per le emorroidi e le malattie urinarie SEME Non definita Antidoto per le intossicazioni, tubercolosi, odontalgia, oftalmopatia, distocia, malattie prenatali OLIO DEI SEMI Uso topico Prevenzione della calvizie e ingrigimento dei capelli FOGLIE Infusione calda o tintura per Contusioni, distorsioni, dolori uso topico muscolari Cenere Calcoli urinari Succo Ittero, prurito, dismenorrea, ripristino della struttura e funzionalità uterina dopo il parto Non definita Dolori neuromuscolari, riduzione dei radicali liberi, punture di insetti FIORI Secchi Stimolo dell appetito, tosse, debilitazione CORTECCIA (GAMBO E Decotto Ittero RADICE) Non definito Antiemetico, dolori mestruali, astringente, coliche e malattie epatiche, stanchezza, tosse, disoressia, poliuria, bronchite, otalgia, sifilide STUDI SPERIMENTALI 49

50 Nella pianta di neem sono state isolate 135 sostanze bioattive, molte delle quali sono state oggetto di studi e sperimentazioni. Numerosi studi ne descrivono la composizione chimica, la struttura e le proprietà, e ad oggi sono stati pubblicati circa studi e ricerche; molti di questi riguardano le proprietà pesticide del neem e il suo utilizzo in agricoltura, mentre altri sono strettamente attinenti alle sue proprietà mediche e farmacologiche. Il neem è stato intensamente utilizzato nella tradizione Ayurveda, Unani e nella medicina omeopatica ed è diventato di notevole interesse per la medicina moderna. La pianta, in tutte le sue componenti, possiede un elevata quantità di attività farmacologiche e applicazioni mediche. Nel sito della Neem Foundation (organizzazione internazionale no-profit che si occupa di tutto ciò che riguarda il Neem, compresa la parte di ricerca scientifica e risultati), è riportata una overview specifica su tutta la sperimentazione riguardante il Neem, intitolata: "Neem in Health Care: an overview" (Bodekar e Burford, 2002) di cui si riportano stralci dei risultati ottenuti. Attività antibatterica, antivirale, antifungina, antiparassitaria. Differenti studi e sperimentazioni (Subapriya R., Nagini S., 2005; Bodeker, Burford, 2002) hanno messo in evidenza che: - l estratto della pianta in soluzione acquosa al 10%, manifesta attività antivirale nei confronti del virus del vaiolo; - l estratto metanolico della pianta presenta un effetto antivirale e virulicida contro Coxsackievirus gruppo B; - l estratto in soluzione acquosa manifesta moderata inibizione della DNA polimerasi del virus dell epatite B. Per quanto riguarda l attività antibatterica, alcuni studi hanno messo in evidenza che: - L olio derivante dalle foglie del neem, possiede attività antibatterica contro un ampio spettro di microrganismi Gram (-) e Gram (+), inclusi M. tuberculosis, microrganismi streptomicinaresistenti, Vibrio cholerae, Klebsiella pneumoniae, M. pyogenes in vitro (Fox et al., 2001; Subaprija e Nagini, 2005); - Gli indigeni hanno sempre utilizzato le foglie dell albero del neem per trattare i disturbi gastrointestinali come la diarrea e il colera, che sono molto diffuse in India. - E stato effettuato uno studio da Thakurta P. et al nel 2007, con l obiettivo di valutare l attività antimicrobica e antisecretoria dell estratto di metanolo del neem, nei confronti di Vibrio Cholerae. I risultati hanno indicato che: L estratto di Azadirachta indica, mostra una significativa attività antibatterica nei confronti dei sierotipi di Vibrio cholerae O1, O139 e non O1, non O139 multi farmaco-resistenti; - L estratto mostra un attività antisecretoria di Vibrio cholerae, inibendo la secrezione di fluidi nell intestino di ratti del 27.7%, 41.1%, 43.3%, 57%, 77.9% a dosaggi di 100, 200, 300, 450 e 1800 mg/kg, rispettivamente; 50

51 - La somministrazione orale dell estratto, inibisce la manifestazione di emorragie provocate da Vibrio cholerae nell intestino di ratti ad un dosaggio >di 300 mg/kg.(thakurta et al., 2007). Riguardo l attività antimicotica, alcuni studi (Subaprija, Nagini, 2005; Bodeker, Burford, 2002) riferiscono che: - è stata dimostrata un elevata attività antimicotica dell estratto delle foglie di neem, nei confronti di alcuni miceti patogeni verso l uomo, come Tricophiton, Epidermophiton, Microsporum, Tricosporum, Geotricum e Candida; - l attività antimicotica è stata attribuita ad un sulfide volatile e ad un limonoide, che determinerebbero inibizione dell attività delle proteasi di diverse specie di Tricophiton; - l estratto delle foglie di neem, mostra effettivamente inibizione della produzione di aflatossine da parte di Aspergillus parasiticus; - l estratto acquoso, determina un attività antimicotica in vitro nei confronti di Penicillum expansum; Per quanto concerne il trattamento delle malattie parassitarie: - Il neem possiede delle ampie attività pesticide, senza però manifestare effetti tossici nei confronti dell uomo. La corteccia, i semi, le foglie e il succo di radici, sono utilizzati, soprattutto in combinazione con l estratto di Piper nigrum per il trattamento delle elmintiasi intestinali; (Chatterjee e Pakrashi, 1994). - Sembra inoltre che l estratto di foglie e semi di neem e i suoi composti isolati, abbiano un effetto antimalarico, probabilmente attribuibile allo stress ossidativo imposto, che inibisce il normale ciclo replicativo di Plasmodium. I componenti dell estratto alcolico delle foglie, hanno un effetto di inibizione sia su ceppi di Plasmodium clorochina-resistenti che sensibili; - I limonoidi estratti (meldenina, isomeldenina, nimocinolo e nimandiolo) isolati dall estratto etanolico di foglie fresche, hanno dimostrato attività antimalarica nei confronti di ceppi di Plasmodium falciparum K1. (Sasajima et al., 2008). - Il neem presenta anche efficace attività preventiva. Infatti, è stata dimostrata l attività repellente dell olio di neem nei confronti delle mosche; (Sharma, Ansari, Razdan, 1993; Parmar, 1997). - Inoltre, è stato dimostrato che utilizzato topicamente al 2% con olio di cocco, determina protezione al 100% nei confronti di Anopheles culicifacies, il maggiore vettore della malaria rurale in India, per un periodo di 12 ore. (Sharma, Nagpal, Srivastava, 1995) (Bodeker, Burford, 2002). Attività antipiretica, antinfiammatoria e analgesica. Le foglie di neem presentano una forte attività antipiretica e sono utilizzate tradizionalmente per trattare l ipertermia (Subaprija, Nagini, 2005). 51

52 La porzione idrosolubile del 70% dell estratto etanolico delle foglie, manifesterebbe un effetto antinfiammatorio nei ratti. Il 75% dell estratto etanolico delle foglie in dose da 400 a 800 mg/kg, ha manifestato effetto antinfiammatorio sull edema indotto nei ratti. Il neem possiede anche attività analgesiche mediate dall attivazione di recettori oppioidi in animali da laboratorio. Nel contesto delle malattie della cute, il neem esprime non solo attività antimicrobica, ma anche effetti antinfiammatori. L attività antiinfiammatoria è attribuibile ai limonoidi e ai polisaccaridi isolati dal neem, capaci di ridurre forme acute, subacute o croniche di infiammazione, (come edemi indotti da carragenina o artriti indotte da formalaldeide) (Van der Nat et al, 1991). Nel trattamento degli eczemi e della psoriasi, per i quali il neem è tradizionalmente utilizzato, il componente nimbina ha dimostrato di essere quattro volte efficace rispetto all idrocortisone, senza manifestare effetti collaterali come l assottigliamento e l atrofia della cute. Un altro componente, la nimbidina, ha effetto comparabile al fenilbutazone (Cole, 2002). Il trattamento con il neem, non determina nè effetti mutageni nè irritanti (Bodeker, Burford, 2002). Attività antiulcerogena. L utilizzo dell estratto di neem per le ulcere gastriche, si è dimostrato efficace. I composti con attività antibatterica ed antistaminica, possono ridurre l infiammazione e distruggere i batteri causanti le ulcere come l Helicobacter pilori. E stato dimostrato l effetto antiulcerogeno del neem in ratti esposti a stress termico con alte temperature e somministrazione orale di etanolo (Garg et al.). Il neem ha la capacità di ridurre l indice ulcerogeno, l acidità gastrica eccessiva e il volume delle secrezioni acide gastriche, ed è riportata l attività antiulcerogena, poichè previene le lesioni a carico della mucosa e la degranulazione dei mastociti. Recentemente, è stata dimostrata l attività antiulcerogena dell estratto acquoso di neem, che si manifesta attraverso il blocco della secrezione acida gastrica, mediante inibizione di H + /K + ATPasi, e con la prevenzione dell effetto ossidativo dannoso e dell apoptosi cellulare. Un potente effetto antiulcerogeno è attribuito alla nimbina, correlato alla sua attività antistaminica, mediate dal blocco dei recettori H2. (Chattopadhyay et al) (Subaprija, Nagini, 2005). Attività antipertensiva e antiperglicemica. L estratto alcolico di neem, ha dimostrato di produrre una significativa e dose-dipendente riduzione della pressione sanguigna. L estratto acquoso di neem, riduce il livello di glucosio nel sangue e previene il rilascio di adrenalina e glucosio, cause di iperglicemia. 52

53 La somministrazione orale di estratto sia acquoso che alcolico, riduce sperimentalmente il livello di glucosio nel sangue di ratti e conigli con diabete-indotto e questo effetto può essere associato ad un attività antiserotoninergica. L effetto antidiabetico del neem, potrebbe essere attribuito al rilascio di insulina endogena, mediante un meccanismo simile a quello provocato dalla sulfonylurea (Subaprija, Nagini, 2005). Attività neurofarmacologica. E stata osservata un attività depressante del SNC, in ratti trattati con estratto di acetone di neem, mentre la somministrazione di dosaggi superiori a 200 mg/kg di peso vivo, inducono effetto ansiolitico. (Subaprija, Nagini, 2005). Protezione orodentale. L estratto di neem è utilizzato per il trattamento delle gengiviti e delle periodontiti, inoltre mostra elevata efficacia nel trattamento delle infezioni orali e riduce l inibizione di crescita nei disordini periodontali. Recentemente, è stato dimostrato che un gel contenente estratto di neem (25 mg/gr), riduce l indice di placca e la conta batterica (Streptococcus mutans e Lactobacilli). (Subaprija, Nagini, 2005). Attività epatoprotettiva. L estratto sia acquoso che alcolico di neem, offre protezione contro i danni epatici indotti dall assunzione di paracetamolo. I livelli di aspartato transaminasi (AST), alanina transaminasi (ALT), fosfatasi alcalina (ALP), aumentano 24 ore dopo la somministrazione di paracetamolo nei ratti, rispetto a ratti che assumono estratto di neem prima della somministrazione di paracetamolo, in cui l attività enzimatica è notevolmente ridotta. L estratto acquoso previene variazioni nel siero delle concentrazioni di bilirubina, AST, ALT, ALP, indotte da farmaci come l isoniazide, la rifampicina e la pirazinamide (Kale et al.). Viene utilizzato in India anche per il trattamento dell ittero (Oomachan et al.) (Subaprija, Nagini, 2005). Attività immunostimolante. L estratto acquoso di neem esercita un attività immunostimolante, migliorando i livelli della risposta umorale e cellulo-mediata. La somministrazione orale di estratto, ad un dosaggio di 100 mg/kg, induce livelli più alti di IgM e IgG. La selezione attiva dei TH-1, componenti della popolazione linfocitaria, sembra essere implicata nel miglioramento della risposta cellulo-mediata, indotta dal neem. Inoltre, sembra ridurre l attivazione per via classica e alterna del complemento e migliorare l attività fagocitaria dei macrofagi (Subaprija, Nagini, 2005). 53

54 L olio dei semi, somministrato per via intraperitoneale nei ratti, induce produzione di IFN dalle cellule spleniche e incrementa la conta leucocitaria peritoneale, migliora l attività fagocitaria dei macrofagi, l attività mitogena dei linfociti in vitro e la risposta cellulare in seguito della somministrazione di tossina tetanica (Upadhyay et al., 1992). Una ricerca in vitro, ha dimostrato che l estratto della corteccia a decotto, anche se riduce l attività fagocitaria dei neutrofili, stimola la produzione del MIF (Fattore di Inibizione di Migrazione) dei linfociti umani (Van der Nat et al., 1987) (Bodeker, Burford, 2002). Attività antiossidante e antigenotossica. Sono state individuate le attività antiossidanti dell estratto di neem, riguardanti la riduzione della perossidazione lipidica. Gli esperimenti, hanno dimostrato che l estratto etanolico al 70% riduce significativamente il N-metil-N -nitro-n-nitrosoguanidina (MNNG), induttore di perossidazione lipidica, migliorando l attività degli antiossidanti glutatione-dipendenti, riducendo anche la superossido dismutasi (SOD) e la catalasi (CAT). L estratto acquoso riduce l incidenza dei micronuclei nel midollo osseo di ratti e delle aberrazioni cromosomiali indotte dal MNNG. Il pretrattamento con estratto etanolico, esercita un effetto protettivo nei confronti degli effetti genotossici indotti dal MNNG e il 7, 12-dimetyl-benza-antracene (DMBA) in ratti e criceti (Subaprija e Nagini, 2005). Attività anticancerogena E stata documentata l attività antineoplastica dell estratto di neem, che presenta capacità di inibizione dell attività mitotica. Gli studi hanno dimostrato la potenziale attività chemiopreventiva dell estratto di neem, su tumori dello stomaco indotti da 4-nitrochinolina, e su carcinogenesi orale indotta da 1-ossido. L estratto sia acquoso che alcolico manifestano soppressione di carcinogenesi indotta, modulando gli stati riduttivi delle cellule e gli enzimi metabolici delle cellule cancerose negli organi colpiti, nel fegato e nel sangue. Recentemente è stata dimostrata l attività antineoplastica del neem in sistemi di modelli neoplastici di ratti. La somministrazione di estratto acquoso, ha ridotto significativamente le dimensioni delle neoplasie e la loro incidenza in casi di tumori dello stomaco indotti con benzo (a) pirene e papillomi cutanei indotti con DMBA. I risultati degli studi, mettono in evidenza che l estratto di neem esercita un effetto antioncogeno inducendo l attività degli enzimi della fase due, associati alla detossificazione cancerogena, e migliorando l attività antiossidante nel fegato. La somministrazione orale dell estratto al 5%, offre protezione nei confronti della dietilnitrosamina e acetil-aminofluorene, induttori del carcinoma epatocellulare, incrementando l attività antiossidante e la detossificazione enzimatica. 54

55 Inoltre viene riportata una significativa riduzione nella crescita del carcinoma di Erlich e del melanoma B16, attraverso la somministrazione di estratto di neem. Il potenziale antineoplastico, è stato attribuito all inibizione della sintesi delle prostaglandine e di altri metaboliti importanti che inducono la crescita del tumore. La quercetina ha ottenuto la massima attenzione per le sue capacità antineoplastiche, manifestando attività di inibizione della crescita delle cellule tumorali, in un elevato numero di linee cellulari maligne. Gli effetti antiproliferativi della quercetina, sono documentati sia in modelli di sperimentazione animale che umana. Questa sostanza mostra la capacità di migliorare l efficacia dei trattamenti radioterapici, così come quelli a base di chemioterapici e inibisce la monossigenasi dipendente dal citocromo P-450, deputato all attivazione della cancerogenesi. Infine, le sue capacità antineoplastiche sono attribuite alle molteplici attività biologiche, come la regolazione del ciclo cellulare, l interazione con i recettori degli estrogeni di tipo II e l inibizione della proteinchinasi C e della tirosinochinasi (Subaprija, Nagini, 2005); Attività di riparazione delle ferite e delle ustioni Rege N.N. et al., nel 2002 hanno effettuato uno studio inerente Le proprietà del neem per la cura delle ferite e delle ustioni. Le formulazioni ottenute dalle foglie, dai rami e dai semi, vengono da sempre utilizzati in India contro una varietà di malattie e lesioni della cute come vescicole, pustole, ulcere, eczemi e piaghe. Gli studi scientifici moderni hanno dimostrato che il neem possiede attività antinfiammatorie, analgesiche e antisettiche e molta attenzione è stata posta sulla capacità di favorire la riparazione delle ferite. Lo studio ha lo scopo di valutare le capacità del neem di favorire e velocizzare il processo di riparazione delle ferite e della guarigione delle ustioni. Per lo studio è stata utilizzata, una soluzione acquosa di olio di neem, formulata come una lozione al 20%, e applicata localmente una volta al giorno sulla lesione. Sono stati sottoposti al trattamento 21 pazienti di entrambi i sessi, di età superiore a 18 anni, in attesa di intervento chirurgico per ferite traumatiche, ascessi o miositi con ulcere di dimensioni superiori a 6 cm, che dovevano essere sottoposti a sbrigliamento chirurgico o incisione e drenaggio: il gruppo A è stato trattato con la lozione di neem al 20%; il gruppo B è stato trattato con eusolo+glicerina+ictammolo. Sono stati valutati gli effetti sulla guarigione delle ferite traumatiche e delle ulcere infette, valutando infine sull area ulcerata la possibilità di riepitelizzazione spontanea o di utilizzare un innesto cutaneo. Sono stati valutati i cambiamenti settimanali dell estensione dell ulcera, la sequenza temporale degli eventi di guarigione e la percentuale di assorbimento dell innesto, ove sia stato fatto. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: 55

56 - La variazione delle dimensioni delle ulcere sono comparabili in entrambi i gruppi, ma la riepitelizzazione è stata più rapida nel GRUPPO A (7.25 +/ d), rispetto al GRUPPO B (8.92 +/- 6.5 d) (dimensioni delle ferite); - L innesto è stato completamente assorbito nel GRUPPO A (100%), rispetto al GRUPPO B (80%), indice di migliore qualità del tessuto di granulazione; - Questi risultati sono stati suffragati da rilevamenti obiettivi come la misurazione dell area ulcerata, la stima delle proteine e dell idrossiprolina contenute e l analisi morfometrica di un campione bioptico dell ulcera; - L area dell ulcera, dopo 3 settimane, si è notevolmente ridotta nel GRUPPO A (5 +/ d) rispetto al GRUPPO B (9.33 +/ d; p<0.005); - E stata stimata una notevole riduzione % dell area ulcerata nel GRUPPO A (da / a / %; p<0.05); - L analisi bioptica dei campioni ha rilevato un incremento del numero di capillari e dei macrofagi nel tessuto di granulazione, ottima risposta infiammatoria e rapida epitelizzazione. Successivamente, gli stessi autori hanno continuato lo studio, concentrandosi sugli effetti dell estratto di neem sulle ustioni. Sono stati sottoposti al trattamento 17 pazienti con ustioni di secondo grado con iniziale sensazione dolorifica di bruciore, di cui il gruppo A (n=9) è stato trattato con Azadirachta indica e il gruppo B (n=8) è stato trattato con sulfadiazina (SS). I parametri di valutazione sono quelli di guarigione: desquamazione, edema, % di epitelizzazione, pigmentazione e tempo per la completa guarigione confrontato nei due gruppi. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - Alla fine della seconda settimana, l estensione delle ulcere in zone come testa, viso, collo, si è ridotta significativamente nel GRUPPO A (0.75 +/- 0.96), rispetto al GRUPPO B (3.5 +/- 2.12), rispetto ai valori iniziali, GRUPPO A (6.75 +/- 2.02), GRUPPO B (159); - La pigmentazione e l area di riepitelizzazione, sono state più rapide nel GRUPPO A (88.89%), rispetto al GRUPPO B (62.5%) e la guarigione della cartilagine è avvenuta senza deformazioni o retrazioni nel GRUPPO A; - Nel GRUPPO A non sono stati osservati sepsi, contratture, ipertrofia delle cicatrici, nè è stato necessario ricorrere ad interventi chirurgici a differenza del GRUPPO B (3 casi) (Rege et al., 2002). Sravastava et al., nel 2002 hanno compiuto uno studio inerente Un nuovo olio di neem per il trattamento di ferite croniche e infette. In questa sperimentazione, l olio di neem è stato utilizzato per il trattamento di ferite e ulcere diabetiche, piaghe doloranti, ulcere venose croniche, ulcere croniche di arterie periferiche, ferite traumatiche e post-operatorie. Le ferite di tutti i pazienti sono state lavate per 10 minuti con acqua corrente, per rimuovere tutti gli 56

57 essudati. Le ferite sono state lavate, inoltre, con soluzione salina seguita da calcio alginato aggiunto alla medicazione impregnata con olio di neem, ricoperta da uno strato assorbente e fissata con un bendaggio. Il calcio alginato viene estratto da erbe marine (Laminaria hyperboria) e l alginato è un composto di acido gluronico e mannuronico legati insieme che quando vengono a contatto con gli essudati della ferita, creano un gel che provvede alla loro rimozione e al miglioramento dell ambiente della ferita. Infatti è biodegradabile, assorbente ad attività emostatica, migliora la riparazione della ferita. Il trattamento è durato 6 settimane, al termine delle quali è stato valutato il tempo, lo stato e la completa guarigione delle ferite, la presenza di dolore o bruciore persistente e la superficie della ferita è stata riportata su un foglio acetato. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: - Dei 100 pazienti valutati, di cui 50 con ferite al braccio trattati con olio di neem (gruppo A) e 50 con ferite al braccio non trattati (gruppo B DI CONTROLLO), i risultati mostrano che 45/50 soggetti del gruppo A sono completamente guariti, mentre 1/50 soggetti del gruppo B ha mostrato completa guarigione; - Nel gruppo A, 27/28 soggetti diabetici sono giunti a completa guarigione, mentre nel gruppo B, nessuno dei 29 pazienti è guarito. Studi tossicologici Mentre l estratto acquoso delle foglie non mostra tossicità nei ratti a dosi anche superiori a 1000 mg/kg, l estratto metanolico mostra una orale LD50 di circa 13 g/kg, in studi di tossicità acuta. Dosi orali di nimbidina superiori a 100 mg/kg per sei settimane in ratti, non hanno causato alcuna tossicità.(srivastava et al., 2002). Riassumendo le attività e le proprietà di questa pianta, le più importanti e di maggiore interesse medico sono: Attività antivirale, antibatterica, antifungina e antiparassitaria nei confronti di molti microrganismi che provocano malattie ed infezioni molto gravi nell uomo e negli animali; Attività antiedemigena, antinfiammatoria e analgesica, valido supporto per evitare complicazioni nella riparazione delle ferite come gli autotraumatismi; Attività immunostimolante con miglioramento della risposta umorale, immuno-mediata e dell attività fagocitaria dei macrofagi, che incrementa le attività difensive contro le infezioni anche in soggetti anziani, debilitati, immunodepressi; Attività antiossidante e di riparazione delle ferite e delle ustioni, anche croniche ed infette, con possibilità di risoluzione di lesioni complicate da patologie endocrine, circolatorie e dolore. 57

58 IL MIX 557 / 1 Primary Wound Dressing, ONE VET Il MIX 557, è un medicamento per uso topico costituito da una miscela al 50% di estratto oleoso di iperico e neem. Il prodotto è stato brevettato dall ENEA nel 2004, con la dicitura "composizione fitoterapica con effetti cicatrizzante, biocida e repellente per la cura e la risoluzione delle lesioni esterne di qualunque estensione e natura". Nel 2007 ha ottenuto la concessione europea di brevetto e nel 2008 ha completato la procedura per il rientro nazionale del brevetto europeo con il N 48211BE/2008. Fiorella Carnevali medico veterinario - e Stephen Andrew Van Der Esch biologo - ricercatori ENEA, sono gli inventori di questa composizione fitoterapica che ha permesso di raggiungere risultati straordinari per la cura di ferite, prima in diverse specie animali (caprini, ovini, alpaca, cani, gatti, cavalli) e poi sull uomo. Il medicamento messo a punto dai ricercatori presenta tutte le caratteristiche di un rimedio ALL IN ONE grazie alle spiccate proprietà cicatrizzanti, antibatteriche, antidisidratative, lenitive e repellenti nei confronti degli insetti miasigeni e non e biocide nei confronti di parassiti (larve di ditteri). Può essere applicato sin dai primi stadi del trauma e fino alla completa risoluzione, associato o meno a fasciatura protettiva. Nel sito ufficiale dell'enea è presente una intervista rilasciata dagli inventori in occasione della premiazione "Eccellenze all'enea" del 2008, in cui i due inventori sono stati premiati per la ricerca sul medicamento "ALL IN ONE" ( In sintesi, l'intervista riferisce che inizialmente sperimentato su diverse specie animali con ottimi risultati, il MIX 557 è stato poi testato sull uomo dove sono stati ottenuti risultati eccellenti, visibili sin dalle prime medicazioni, sia sulle lesioni acute che su quelle croniche. Per la sperimentazione sugli animali è stato adottato il regime di compassione, una modalità presa dai protocolli oncologici per pazienti umani terminali, e applicata agli animali destinati ad essere soppressi a causa della gravità delle ferite, previo consenso dei proprietari. Tutti i casi trattati hanno avuto esito positivo. Questo ha permesso di estendere la sperimentazione anche a ferite meno devastanti e su molte altre specie animali, soprattutto cavalli. Sui cavalli il successo del MIX come cicatrizzante di eccellenza è ancora più sorprendente, in quanto questi animali 58

59 soffrono di una specialissima difficoltà di cicatrizzazione (nota come reazione cheloidea), che invece viene perfettamente controllata da questo medicamento. Questi animali, che sono estremamente sensibili al dolore, mostrano grande giovamento dalla utilizzazione del MIX, permettendo la gestione delle ferite senza dover ricorre alla sedazione quotidiana per effettuare la medicazione. In sostanza il MIX 557 permette la gestione di ferite importanti anche in assenza di adeguate condizioni igienico-sanitarie, senza dolore e con decorso senza complicazioni. E se questo è vero per la veterinaria, lo è ancora di più per la medicina umana, dove le lesioni esterne, principalmente di natura cronica, sono in costante aumento e i cui costi di gestione pesano sul sistema sanitario nazionale sempre più pesantemente. Il MIX 557 ha dimostrato di poter essere utilizzato sulle lesioni umane con risultati uguali, e spesso superiori, a tutti i presidi e medicamenti avanzati attualmente esistenti. Il MIX 557 viene completamente assorbito dai tessuti lesionati coordinando e regolando sin dalle primissime applicazioni la reazione infiammatoria acuta e le successive fasi del processo cicatriziale (formazione del tessuto di granulazione e riepitelizzazione). I sintomi di dolore acuto che accompagnano le ferite sono principalmente dovuti alla reazione infiammatoria iniziale che, in caso di infezioni, persiste fino a che non si debella l infezione. La combinazione dell effetto barriera contro i batteri presenti nell ambiente (specie nelle condizioni igienico-sanitarie carenti o inesistenti) e dell effetto antidisidratativo sulla rete vascolare e sulle cellule che stanno riparando la lesione, consentono il rapido passaggio dalla prima fase (quella dolorosa e infiammata) alla fase del tessuto di granulazione, non dolorosa e ricostruttiva. Il risultato è una migliore formazione di fibre connettivali collagene, con recupero massimo dell elasticità cutanea e con massima qualità della cicatrice finale. Il MIX mettendo in sincronia tutti gli eventi che si verificano nelle tre fasi della riparazione delle ferite: processo infiammatorio, granulazione, ri-epitelizzazione - è da considerarsi un prodotto ALL-IN-ONE, nel senso che non necessita dell interazione con altri farmaci o sostanze e che è da solo sufficiente a determinare la guarigione di qualunque ferita sin dal momento del trauma. Promette una reale rivoluzione nella cura delle ferite, specie nelle ustioni di grande estensione. Attività sperimentale in vivo Per la dimostrazione degli effetti del medicamento MIX 557, i ricercatori/inventori dell'enea, in collaborazione con le Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari e di Matelica, hanno condotto una sperimentazione (comunicazione personale) nella quale sono state impiegate 5 pecore di circa 50 kg di peso corporeo sulle quali si è proceduto all exeresi di quattro tasselli cutanei circolari del diametro di 6 cm nella regione lombare. Tre delle lesione di ciascuna pecora sono state rospettivamente trattata con le due componenti del medicamento MIX 557 (neem e iperico 59

60 separati) e con il MIX 557 completo, mentre il quarto tassello è servito da controllo ed è stato trattato solo con disinfettante a base di amuchina al 5%. La scelta di utilizzare un blando disinfettante nasceva dall'esigenza di avere un controllo che non andasse incontro a complicazioni infettive che avrebbero alterato i tempi di cicatrizzazione e compromesso la possibilità di confronto con i tasselli trattati con il medicamento in toto o con le sue componenti separate. Da ogni tassello, previa adeguata sedazione degli animali, sono state effettuate biopsie settimanali, sulle quali sono stati effettuati esami istologici e immuno-istochimici relativi ai processi cicatriziali. In particolare, su ogni campione bioptico sono stati valutati: 1. Morfologia del tessuto e dei processi riparativi tramite colorazione H&E di routine; 2. Istochimica tricromica Mallory, Van Gieson per lo studio dei processi di connettivizzazione; 3. Immunoistochimica per i seguenti marckers: 4. Espressione Epidermal Growth Factor (EGF); 5. Espressione Fibroblast Growth Factor (FGF); 6. Espressione Fattore VIII (conta dei microvasi); 7. Espressione CD 31 (conta dei microvasi); 8. Espressione CD 61 (platelet glycoprotein IIIa); 9. Espressione pan-cadherin (molecole di adesione per restoring dell epitelio); 10. Espressione di un pannello anticorpale per la fenotipizzazione dell infiltrato infiammatorio e della risposta immunitaria (CD3, CD21, CD79, CD4, CD8, NK, CD68, CD25); 11. Espressione di un pannello di citocheratine per la caratterizzazione dell epitelio (Pancitokeratins); 12. Espressione di un pannello di anticorpi per la valutazione dell attività mitotica (PCNA, Mib- 1); 13. Espressione di un pannello di anticorpi per la caratterizzazione della matrice (metalloproteinasi e inibitori, collagene di tipo I, II, III, IV e XIII); 14. Valutazione citochine (TGF-β, TNF-α, IFN-γ, IL-1 β, IL-4, IL-12, IL-8, IL-6). Ad intervalli settimanali, mediante camera digitale sono stati effettuati i rilievi fotografici di tutti i tasselli con inserimento di un riferimento in centimetri che sono stati utilizzati per il calcolo della velocità di cicatrizzazione secondo l'equazione di Gilman (Gorin et al., 1996). Questo studio ha dimostrato che: - non ci sono state differenze significative nei tempi di cicatrizzazione dei tasselli cutanei in tutti i gruppi trattati, controllo compreso, mentre sono state evidenziate differenze individuali nella velocità di cicatrizzazione indipendentemente dal trattamento effettuato. Tre delle cinque pecore sperimentali hanno completato la cicatrizzazione dei tasselli in quattro settimane, mentre le rimanenti 2 pecore hanno completato la cicatrizzazione dei 60

61 tasselli in sei settimane. Nessun tassello ha presentato complicazioni infettive dimostrando che il medicamento MIX 557 e le sue componenti non compromettono il processo cicatriziale fisiologico ma consentono un decorso cicatriziale privo di complicazioni infettive/batteriche senza l'utilizzazione di disinfettati o antimicrobici; - le migliori prestazioni cicatriziali sono state ottenute in maniera significativamente superiore solo nei tasselli trattati con il MIX 557 in toto, mentre le peggiori sono state riscontrate nei tasselli di controllo. I tasselli trattati con le diverse componenti del MIX 557 hanno presentato performance inferiori al MIX 557 completo, dimostrando che dalla miscelazione delle due componenti si ottiene un prodotto adatto ad essere utilizzato in tutte le fasi del decorso cicatriziale In definitiva, il MIX 557 induce lo svolgimento in tempi fisiologici di un processo riparativo qualitativamente superiore, in cui sono favorite una maggiore vascolarizzazione del tessuto di granulazione, un elevata produzione di collagene III, una ridotta fibroplasia e migliore qualità della cicatrice finale. La sperimentazione è stata oggetto di una tesi sperimentale nel 2010 e i risultati sono stati presentati al Congresso Nazionale Della Società di Chirurgia Veterinaria (SICV) del Ulteriori Studi sperimentali sono stati effettuati sull uomo. Uno tra questi è lo studio effettuato da Severin Läuchli, University Hospital Zurich, Switzerland President, Swiss Association for Wound Care (SAfW) nel 2012 in diversi ospedali Svizzeri, dove sono stati analizzati 105 casi (37 ferite acute, 68 ferite croniche), (tabelle sotto riportate) dove il trattamento con 1 Primary Wound Dressing ha favorito la guarigione di 63 lesioni su 105 (31 acute, 32 croniche). 61

62 In questo studio è stato evidenziato che in 57 casi su 105 (54%) la fase di granulazione è stata indotta più velocemente rispetto ai risultati ottenuti in altri recenti studi clinici, è stato registrato un notevole miglioramento della cute peri-lesionale e osservato che l applicazione del 1 Primary Wound Dressing promuove la rimozione di fibrina. Un secondo studio ha dimostrato che si ottiene una perfetta guarigione con spettacolare induzione di tessuto di granulazione anche sulle escissioni di tumori cutanei a livello del cuoio capelluto. Lo studio retrospettivo effettuato su pazienti volontari conclude: Questo studio retrospettivo suggerisce che 1 Primary Wound Dressing è molto semplice da usare, sicuro ed efficace e può rappresentare una potenziale terapia per il trattamento delle lesioni del cuoio capelluto anche per lesioni con osso esposto. 62

63 Un ulteriore studio retrospettivo, qui accanto riportato, conclude che lo spray 1Primary Wound Dressing è una medicazione non-touch, maneggevole ed efficace per la cicatrizzazione per seconda intenzione sia di piccole che di grandi Sinus Pilonidali. 63

64 Il seguente studio, effettuato presso una casa di cura per anziani, ha dimostrato che 1 Primary Wound Dressing è semplice e salubre da usare per il trattamento topico delle ferite difficili ed ha un ottimo rapporto costo-beneficio. Infine, un recente studio sulle ustioni su pazienti pediatrici ha mostrato che 1 Primary Wound Dressing è efficace nel trattamento delle ustioni di secondo grado come medicazione primaria senza necessità di associare l utilizzazione di antimicrobici/disinfettanti istiolesivi, determinando la guarigione delle lesioni nei tempi fisiologici di tre settimane e riducendo il dolore di base e alla medicazione, con notevole sollievo dei pazienti trattati (Mainetti e Carnevali, 2013). 64

65 Il MIX 557 PER USO VETERINARIO: ONE VET Il medicamento per uso veterinario prende il nome di ONE VET ed è il corrispettivo commerciale di 1 Primary Wound Dressing. 65

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