LE FATTISPECIE DI CUI ALL ART N. 2 COD. CIV.
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- Livia Cortese
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1 LA CONCORRENZA SLEALE (PARTE NONA) PROF. GUIDO BEVILACQUA
2 Indice 1 LE FATTISPECIE DI CUI ALL ART N. 2 COD. CIV LA DENIGRAZIONE LA DIFFUSIONE DELLA NOTIZIA SCREDITANTE L OGGETTO DELLA DENIGRAZIONE NOTIZIE SCREDITANTI VERE E FALSE LA COMPARAZIONE LA PUBBLICITÀ COMPARATIVA. LA DIRETTIVA 97/ di 14
3 1 Le fattispecie di cui all art n. 2 cod. civ. E passiamo ora a considerare le fattispecie contemplate nel n. 2 dell art cod. civ., e precisamente le fattispecie della denigrazione da un lato e quella della appropriazione di pregi dall altro. Secondo la norma in esame compie atti di concorrenza sleale chiunque <<diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria dei pregi dei prodotti o dell impresa di un concorrente>>. La norma, dunque, disciplina due diverse fattispecie che già abbiamo detto essere rispettivamente definite come <<denigrazione>> la prima, e come <<appropriazione di pregi>> la seconda. Il fatto che queste due diverse fattispecie siano state dal legislatore raggruppate sotto il medesimo numero dell art cod. civ. ha indotto taluno a considerale simili, o quantomeno connesse, ma a torto perché si tratta di fattispecie che nulla hanno a che fare l una con l altra. Ne tratteremo dunque in modo del tutto separato. 3 di 14
4 2 La denigrazione La <<denigrazione>>, come abbiamo appena visto, consiste nella diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sulla attività di un concorrente idonei a determinarne il discredito. Discredito significa perdita o diminuzione del <<credito>>, vale a dire della buona reputazione, della fiducia di cui un impresa ed i suoi prodotti (o, ovviamente, servizi) godano sul mercato. Perciò le notizie e apprezzamenti idonei a determinare discredito hanno contenuto negativo rispetto al concorrente, ed il diffonderli significa <<parlar (o scrivere) male>> della sua impresa e dei suoi prodotti; e significa parlarne male in modo sufficientemente grave e attendibile da (poter) dare luogo ad un reale <<effetto screditante>> sul mercato. Un simile effetto, poi, andrà individuato in coerenza con il contesto nel quale la norma si inserisce e cioè in un (attuale o possibile) danno concorrenziale, vale a dire in difficoltà di mercato sia dal lato della clientela (perdita di clientela), sia da quello dei fornitori (ivi compresi i finanziatori), sia infine in ordine all organizzazione aziendale (sfiducia e perdita di dipendenti). L attribuire rilevo all effetto screditante in quanto possibile fonte di danno concorrenziale consente, come subito si vedrà, di risolvere alcuni dei problemi cui la norma dà luogo, fra i quali quello dell ambito della diffusione richiesta e quello dell oggetto delle notizie e degli apprezzamenti diffusi. Così la lettera della norma, che parla di idoneità delle notizie e degli apprezzamenti diffusi a <<determinare il discredito>> di un concorrente, potrebbe far pensare che solo una diffusione tanto intensa da determinare una condizione permanente appunto di discredito sul mercato possa integrare gli estremi dell atto illecito. Sennonché, come abbiamo detto, la norma stessa non può essere interpretata prescindendo dal contesto in cui si inserisce, vale a dire da una disciplina volta ad impedire appunto il danno concorrenziale derivante da determinati atti. Ed un simile danno può venir provocato dalla diffusione di notizie e apprezzamenti anche ove questi producano un effetto che si esaurisce in breve, magari anche semplicemente impedendo al concorrente la conclusione di un singolo affare. 4 di 14
5 In questa prospettiva sembra corretto pensare che l idoneità a determinare il discredito del concorrente ai sensi della legge debba ritenersi presente anche in quest ultimo caso, proprio a causa del prodursi di un danno di natura concorrenziale. 5 di 14
6 3 La diffusione della notizia screditante Questo orientamento consente di chiarire anche che cosa debba intendersi per <<diffusione>> delle notizie e degli apprezzamenti negativi. Se non vi è dubbio che tale diffusione vi sia quando notizie e apprezzamenti siano portati a conoscenza di una pluralità di soggetti, come accade con la diramazione di lettere circolari o con la pubblicità, può sorgere un dubbio che di diffusione possa parlarsi quando si abbia a che fare con comunicazioni personali, rivolte ad un solo soggetto, magari anche oralmente. Non mancano quindi pronunce giurisprudenziali secondo le quali di denigrazione potrebbe parlarsi soltanto appunto quando le notizie e gli apprezzamenti negativi siano stati diffusi <<ad un numero indeterminato, o quanto meno ad una pluralità di soggetti, cioè ad un pubblico indifferenziato>>. E non si può negare che letteralmente la parola <<diffonde>> usata dal legislatore significhi qualcosa di più di una comunicazione di una singola persona. Sennonché quando una comunicazione negativa di quest ultimo tipo abbia concretamente determinato un danno concorrenziale (per esempio quando si abbia a che fare con apprezzamenti negativi comunicati da un concorrente ad un cliente e che abbiano avuto per effetto di dissuadere il cliente stesso dall acquisto di prodotti del soggetto interessato che altrimenti sarebbero stati acquistati) non si vede perché la fattispecie non dovrebbe essere ricondotta alla norma ora in esame, dato che la ratio sembra pienamente corrispondere. Né avrebbe molto senso il dire che in questo caso si avrebbe un applicazione analogica della norma, dato che il risultato sarebbe poi sempre lo stesso. Tuttavia si ritiene che nell ipotesi di comunicazione delle notizie o degli apprezzamenti screditanti ad un solo soggetto l illecito di denigrazione debba escludersi quando la comunicazione stessa non sia fatta di iniziativa del concorrente, come nell ipotesi in cui questi con essa si limiti a rispondere ad una richiesta di informazioni o di chiarimenti che gli sia stata rivolta dal cliente (e purché la risposta resti nei limiti di veridicità e di obiettività: ma questa considerazione toglie in realtà ogni autonomia alla fattispecie). 6 di 14
7 4 L oggetto della denigrazione Il riferimento ad un danno attuale o potenziale di natura concorrenziale giova anche per stabilire quale debba essere l oggetto della notizia o dell apprezzamento negativi perché vengano integrati gli estremi dell illecito. Dovrà infatti trattarsi di notizie o apprezzamenti che possano in questo senso assumere rilievo concorrenziale ed avere come conseguenza un danno di tal tipo. La legge dice che le notizie e gli apprezzamenti devono vertere sui prodotti e sull attività di un concorrente, ma la formula non va interpretata restrittivamente dato che un danno concorrenziale può essere determinato anche da notizie e da apprezzamenti negativi che non concernono singoli prodotti o specifiche attività ma una situazione nella quale l impresa concorrente versa (o si pretende che versi). Così si ritiene che costituisca denigrazione il diffondere notizie sullo stato di dissesto o comunque di difficoltà economica dell impresa concorrente, perché può determinare per quest ultima difficoltà sul mercato del credito, o sostenere che questa impresa si trovi in una situazione di disorganizzazione interna e di immobilismo nell attività esterna, perché può scoraggiare la clientela dall avere rapporti con essa. Ci si è chiesti se possa ricondursi alla fattispecie in esame una svalutazione non del prodotto o dell impresa del concorrente, bensì della sua personale reputazione, e la risposta deve essere positiva ove le notizie diffuse possano avere riflessi concorrenziali; ove cioè possano scoraggiare fornitori o clienti dall intrattenere rapporti con il concorrente denigrato, e non quando invece si tratti di notizie per così dire strettamente <<personali>>, attinenti ad esempio a comportamenti familiari o sociali, che sotto il profilo concorrenziale sono indifferenti. Ed in ciò la fattispecie in esame si distingue da quella penale della diffamazione. 7 di 14
8 5 Notizie screditanti vere e false Sempre per quanto attiene al contenuto delle notizie degli apprezzamenti, conviene ora prendere in considerazione quello che forse è il problema cruciale dell argomento, vale a dire il problema della verità o falsità delle notizie e degli apprezzamenti stessi. Si tratta, cioè, di stabilire se l illiceità della denigrazione sia condizionata alla sua falsità, o se debbano ritenersi illeciti anche le notizie e gli apprezzamenti veritieri. Si suole anche riferirsi a questo problema parlando di ammissibilità o meno in materia della c.d. exceptio veritatis, cioè della possibilità che il convenuto per denigrazione eccepisca con efficacia scriminante la veridicità delle sue affermazioni. Poiché la legge tace al riguardo, si dovrebbe ritenere che la veridicità non escluda l illecito. Tuttavia da un lato la storia dell istituto e dall altro la considerazione della finalità della disciplina repressiva della concorrenza sleale paiono giustificare un approfondimento della questione. La prima, infatti, è rispecchiata dall art. 10 bis della Convenzione d Unione, che considera illecite sotto il profilo della denigrazione soltanto les allegations fausses ; mentre se si ritiene che la disciplina della concorrenza sleale abbia come obiettivo quello di contribuire alla realizzazione di un effettivo mercato concorrenziale, nel quale il consumatore possa svolgere la propria funzione di giudice sulla base della conoscenza effettiva del mercato, è chiaro che ogni informazione veritiera inerente a tale situazione non può considerarsi illecita. Dopo qualche incertezza, dottrina e giurisprudenza si sono decisamente orientate nel senso di ammettere, per la ragione da ultimo esposta, la liceità concorrenziale della diffusione di notizie vere, anche se il contenuto di esse possa obiettivamente determinare il discredito di un concorrente. Questo orientamento che appare oggi trovare anche un supporto normativo nella recente disciplina della pubblicità comparativa, di cui diremo tra breve, sembra giustificato anche per la considerazione che sarebbe assurdo attribuire alla norma lo scopo di tutelare comunque il credito di cui un imprenditore goda, anche se si tratti di un credito immeritato (la diffusione di notizie vere, infatti, può ledere soltanto un credito immeritato). Esso trova tuttavia un limite nell esigenza di impedire che la concorrenza assuma caratteristiche di aggressività e di rissosità. 8 di 14
9 A questa esigenza è sempre stata particolarmente sensibile la giurisprudenza che giustamente pretende, per ammetterne la liceità, che le affermazioni screditanti vere lo siano pienamente, non siano cioè elaborate in modo tendenzioso e quindi idoneo a determinare effetti screditanti che eccedano l esigenza di informazione del pubblico. Si pretende, in altri termini, che si tratti di notizie e apprezzamenti non soltanto rigorosamente veri (il che per gli apprezzamenti è assai difficile da accertare), ma anche esposti in modo obiettivo. Questa impostazione sembra da condividere, anche se l applicarla con pieno rigore potrebbe condurre di fatto ad escludere sempre la liceità della diffusione di notizie vere, dato che è irrealistico pretendere che una simile diffusione da parte di un concorrente, specie se attuata con lo strumento della pubblicità, corrisponda ad un concetto rigoroso di obiettività. Infatti per qualche tempo la giurisprudenza, pur affermando il principio della liceità delle affermazioni vere, o, se si vuole, sostenendo l ammissibilità della exceptio veritatis da parte del convenuto in denigrazione, ha poi in concreto sempre deciso che nelle fattispecie considerate si trattava di denigrazione illecita, in quanto le notizie diffuse non apparivano sufficientemente obiettive, le critiche non erano sufficientemente <<scientifiche>> perché quella eccezione potesse operare. Ma più di recente la scriminante della veridicità è stata concretamente applicata pur se con le opportune cautele. 9 di 14
10 6 La comparazione Trattandosi di fattispecie concorrenziale, e perciò di comportamenti che tipicamente hanno come obiettivo un vantaggio appunto concorrenziale è abbastanza raro che le notizie o gli apprezzamenti screditanti diffusi concernono i prodotti o l attività o l impresa del concorrente in sé considerati. E più frequente che questi vengano in qualche modo collegati con i prodotti o con l impresa dell autore della denigrazione, o addirittura che questi ultimi assumano nei messaggi diffusi una posizione preminente fino ad essere i soli menzionati, mentre l efficacia screditante del messaggio è solo implicita o indiretta. Si tratta nel primo caso soprattutto della ipotesi di comparizione fra prodotti o attività, e nel secondo di qualche ipotesi di magnificazione del prodotto proprio. Che quando si metta a raffronto il prodotto proprio con quello di un concorrente esprimendo una valutazione positiva del primo, ciò comporti necessariamente una valutazione negativa (o meno positiva) del secondo, è del tutto evidente. E un simile effetto si produce non soltanto quando la valutazione negativa del prodotto del concorrente sia esplicita, ma anche quando debba soltanto desumersi dall espressione di una valutazione comparativa di superiorità del prodotto proprio. In altri termini un apprezzamento negativo del prodotto del concorrente è contenuto sia nell espressione <<il mio prodotto è migliore del suo>>, sia nell espressione <<il suo prodotto è peggiore del mio>>, che alla fine si equivalgono. Questi apprezzamenti, queste valutazioni negative del prodotto del concorrente, impliciti od espliciti nelle comparazioni di cui si è detto, sono state a lungo considerati come <<screditanti>> ai sensi della norma qui in esame, e perciò appunto quella della comparazione era divenuta una delle più tipiche fattispecie di denigrazione. E proprio in ordine ad essa più si era discusso sull operatività della exceptio veritatis. Dei limiti in cui si ammetteva questa operatività e perciò, qui, la liceità della comparazione veritiera si è già fatto cenno. Questa liceità venne affermata soprattutto per la comparazione di carattere tecnico, quando esse fossero mantenute nei limiti della esplicazione delle caratteristiche appunto tecniche dei prodotti messi a raffronto. 10 di 14
11 E si ritenne che la liceità della comparazione veritiera andasse soprattutto affermata quando si collocasse in una situazione di mercato in cui sussistesse l esigenza di <<posizionare>> il proprio nuovo prodotto, e non si potesse farlo se non richiamando quello altrui già noto sul mercato (questa fattispecie, peraltro, andrebbe probabilmente piuttosto ricondotta a quella dell appropriazione di pregi, di cui diremo tra breve). 11 di 14
12 7 La pubblicità comparativa. La direttiva 97/55 La fattispecie della comparazione trova peraltro attuazione soprattutto in sede pubblicitaria, cosicché i casi di comparazione diversi dalla c.d. pubblicità comparativa posso ritenersi marginali. La pubblicità comparativa è certamente una forma di pubblicità molto efficace. Tuttavia si è sempre posto in luce come ad essa potessero conseguire effetti sia postivi sia negativi. Da un lato, infatti, si è rilevato come essa, a certe condizioni di cui diremo, ed in particolare se veritiera, giovi alla trasparenza del mercato ed alla migliore informazione del consumatore, favorendo una sua scelta più consapevole e perciò risolvendosi in una forma di concorrenza che corrisponde all interesse appunto del consumatore. Dall altro lato si è notato che proprio nel campo della pubblicità comparativa può prodursi, come esperienze straniere insegnano, una situazione di aggressività eccessiva, di rissosità nella concorrenza. Specialmente la considerazione dell interesse del consumatore ha peraltro portato all emanazione di una direttiva comunitaria nella quale si è affermata la liceità a certe particolare condizioni volte ad ovviare agli inconvenienti di cui abbiamo detto e a tutelare il pubblico della pubblicità comparativa. Questa direttiva è stata attuata nel nostro Paese con il d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 67, che ha integrato il d.lgs. n. 74/1992 in tema di pubblicità ingannevole dando luogo ad una legge che disciplina entrambe le fattispecie con il titolo <<pubblicità ingannevole e comparativa>>. Questa è ora oggetto del d.lgs. 145/2007. Nel decreto in questione, dopo avere affermato che per <<pubblicità>> si intende <<qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell esercizio di una attività commerciale, industriale, artigianale o professionale>> per promuovere la vendita di beni o la prestazione di servizi, si specifica che per <<pubblicità comparativa>> deve intendersi <<qualsiasi pubblicità che identifichi in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente>>. Le condizioni di liceità della pubblicità comparativa consistono nel non essere quest ultima ingannevole, nel riferimento del confronto a beni o servizi omogenei ed alle loro caratteristiche essenziali e verificabili, nel non generare la pubblicità in questione confusione e nel non creare 12 di 14
13 discredito ad un concorrente, ed infine nel non procurare all autore della pubblicità un indebito vantaggio tratto dalla notorietà del marchio o altro segno distintivo del concorrente. Il d.lgs. 145/2007 concerne anche, come si è accennato, la pubblicità ingannevole, di cui diremo più avanti, e per entrambe le fattispecie attribuisce i compiti di tutela amministrativa e giurisdizionale all Autorità garante della concorrenza e del mercato (del tutto ingiustificatamente almeno per la pubblicità comparativa). Tuttavia il decreto stesso afferma che è <<comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale a norma dell art cod. civ.>>, mostrando in tal guisa di ritenere che la pubblicità comparativa possa dar luogo anche ad un atto di sleale concorrenza (ed in particolare alla fattispecie denigrazione di cui all art. 2598, n. 2 cod. civ.). Vi è perciò da chiedersi in quali reciproci rapporti si pongono la norma codicistica da un lato e la legge speciale dall altro. E probabile che le condizioni di liceità, e specialmente quelle di illiceità, previste dalla legge speciale debbano integralmente valere anche quando la fattispecie sia considerata in relazione all art n. 2 cod. civ. Non sarebbe infatti possibile adottare criteri più severi nell applicazione della norma del codice, dato che la legge speciale pone delle condizioni di il(liceità) per definizione non aggravabili dalla interpretazione di un altra norma (la <<liceità>> menzionata dal d.lgs. 67/2000 per essere tale non può venire limitata). Ci si potrebbe chiedere se, sotto il profilo dell art. 2598, n. 2 cod. civ., non potrebbe ritenersi lecita una pubblicità comparativa che non rispetti tutte le <<condizioni di liceità>> di cui al decreto legislativo. Teoricamente una simile possibilità non sarebbe da escludere, dato che le condizioni di cui si è detto sono assai più numerose del mero riferimento al discredito cui l art n. 2 cod. civ. è limitato. Tuttavia si tratta di condizioni che in massima parte già erano considerate rilevanti in dottrina ed in giurisprudenza nella valutazione della pubblicità comparativa sotto il profilo concorrenziale, quando addirittura non possano ritenersi integrare autonomi profili di concorrenza sleale. Perciò il problema appare appunto essenzialmente teorico e si può concludere nel senso di una totale sovrapposizione tra le fattispecie. 13 di 14
14 Tuttavia le sanzioni previste rispettivamente nel codice e nel decreto legislativo sono diverse, cosicché vi sarà la possibilità, e potrà esservi l interesse, di ricorrere all una o all altra normativa, ovvero cumulativamente ad entrambe, seguendo due vie giurisdizionali diverse. 14 di 14
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