PREMESSA. Geologica Romana 38 (2005), PAROLE CHIAVE: Movimento in massa, indicatore, pericolosità, rischio.

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1 Geologica Romana 38 (2005), PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI INDICATORI DI PERICOLO E RISCHIO DA FRANA A SCALA INTERMEDIA: L AREA DELLA STRETTA DI CATANZARO (CALABRIA, ITALIA) Giovanni Gullà, Loredana Antronico, Marino Sorriso-Valvo & Carlo Tansi CNR - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica - Sezione di Cosenza, Via Cavour 4/ Rende (CS), Italia gulla@irpi.cnr.it RIASSUNTO - Le problematiche pericolosità e rischio da frana, sicuramente fra quelle di maggiore rilievo nello studio dei movimenti in massa, possono prestarsi ad una trattazione disciplinare, ma sono fra quelle che più efficacemente sono affrontabili con un approccio interdisciplinare. Assumendo come riferimento generale tale indicazione, nella nota è proposta una metodologia per la valutazione indicizzata della pericolosità e del rischio da frana, predisposta e validata con gli elementi conoscitivi desunti dalla Carta litologico-strutturale e dei movimenti in massa della Stretta di Catanzaro alla scala 1: Il lavoro illustrato mostra come la Carta fornisca efficacemente gli elementi di valutazione utili per la scala intermedia utilizzata. La metodologia, semplice e robusta, consente di trarre indicazioni convenzionali circa la pericolosità ed il rischio (Indicatore di Pericolo e Indicatore di Rischio) con le quali è possibile delineare le priorità di intervento ed orientare oculatamente gli studi di dettaglio. La metodologia di valutazione può facilmente includere elementi specifici e conoscenze generali che si rendono man mano disponibili. Nell area di studio si rileva che le instabilità sono caratterizzate da Indicatore di Pericolo medio (ip2) nel 58% dei casi, e moderato (ip1) nel 32% dei casi; il restante 10% riguarda instabilità con Indicatore di Pericolo elevato e molto elevato. La stima del rischio, condotta a titolo esemplificativo su un gruppo di instabilità, ha evidenziato il ruolo giocato dall Indicatore di Pericolo e quindi dagli elementi utilizzati per la sua definizione. PAROLE CHIAVE: Movimento in massa, indicatore, pericolosità, rischio. ABSTRACT - Landslide hazard and risk are amongst items of major concern in the field of slope stability studies. These topics can be suitable for disciplinary treatment, but they can be most effectively faced with an interdisciplinary approach. Based on this concept, in this paper a method for the assessment of landslide hazard and risk is proposed. The procedure has been developed by means of elements extracted from the geological and mass movements map of the Stretta di Catanzaro (Central Calabria, Southern Italy), drawn at 1:50,000 scale for this purpose. The paper shows how the Map efficiently provides evaluation elements given the adopted intermediate scale. The procedure, simple and robust, permits to get conventional rank elements for hazard and risk assessment (Hazard Index and Risk Index) that allow to delineate action priorities and to properly address detail studies. The evaluation procedure can easily include elements of specific and general knowledge as they are available. In the study area it is evident that slope instability phenomena are characterised by a medium value of Hazard Index (ip2) in the 58% of cases, and by a moderate value (ip1), in the 32% of cases. The risk estimation, carried out as an example on a group of instability phenomena, underlined the extremely important role played by the elements considered to define Hazard Index classes. KEY WORDS: Mass movement, index, hazard, risk. PREMESSA La valutazione della pericolosità e del rischio rappresenta una delle problematiche di maggiore rilievo nello studio dei movimenti in massa. Fra i molteplici aspetti connessi a tale studio quelli evidenziati si prestano ad essere trattati da diversi punti di vista disciplinari e sono anche fra quelli che più efficacemente possono essere affrontati con un approccio interdisciplinare. La definizione usuale della pericolosità da frana è riferita al singolo fenomeno e la sua valutazione rigorosa, nei limiti delle assunzioni che in ogni caso è necessario fare per schematizzare la complessa problematica, ha come presupposto la definizione del modello geotecnico dell instabilità di pendio. Bisogna tuttavia rilevare il diffuso interesse alla connotazione areale della pericolosità e del rischio da frana (Brabb, 1984; Varnes, 1984; Einstein, 1988; Brabb, 1989; Canuti & Casagli, 1996; Antronico et al., 1999; Gullà, 2001; Gullà, 2002). I punti di vista richiamati sono strettamente connessi e richiedono pertanto una più convinta trattazione unitaria ed organica per conseguire avanzamenti significativi in termini conoscitivi ed applicativi. Una tale visione è opportuna anche quando è necessario procedere in maniera disgiunta a valutazioni puntuali o areali della pericolosità e del rischio da frana. L analisi del singolo caso di instabilità di pendio può essere condotta eseguendo i rilievi, le indagini e gli studi necessari alla definizione del relativo modello geotecnico, per la cui individuazione si può dunque seguire un percorso canonico, lungo il quale, tuttavia,

2 98 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. sono ancora molti gli aspetti che necessitano di approfondimenti (Einstein, 1988; Hutchinson, 1992; Fell, 1994). Per la valutazione areale della pericolosità e del rischio da frana sono numerose le proposte che si ritrovano in letteratura ed un loro esame organico consente di evidenziarne alcuni aspetti cruciali (Carrara et al., 1982; Carrara, 1983; Brabb, 1984; Varnes, 1984; Einstein, 1988; Brabb, 1989; Canuti & Casagli, 1996; Crescenti, 1998; Aleotti & Chaudrhury, 1999; Antronico et al., 1999; Gullà, 2001; Gullà, 2002; Sorriso-Valvo, 2002). Nella valutazione areale della pericolosità e del rischio due aspetti, non sempre tenuti in debito conto, assumono particolare importanza: l estensione della zona di interesse ed il tempo che, compatibilmente con le finalità di tale valutazione, si può utilizzare. Per poter infatti concludere in tempi accettabili tutte le attività necessarie e conseguire risultati coerenti alla scala di rilievo e rappresentazione, bisogna individuare la minima dimensione delle instabilità da considerare per la valutazione areale della pericolosità e del rischio. Riguardo quanto esposto è essenziale una scelta congruente degli strumenti di indagine ed analisi. L impostazione delineata è stata seguita per trarre indicazioni circa la pericolosità ed il rischio da frana in un area d importanza strategica per lo sviluppo della Calabria, dell estensione di circa 1000 km 2, che coincide con la Stretta di Catanzaro, Fig. 1. Accurati rilievi geologico-strutturali e geomorfologici hanno consentito la redazione della Carta litologico-strutturale e dei movimenti in massa della Stretta di Catanzaro, alla scala 1:50.000, allegata alla presente nota e di seguito richiamata come Carta (Antronico et al., 2001). La Carta fornisce gli elementi assunti come riferimento generale per sviluppare la metodologia proposta nella presente nota. Fig. 1 - Localizzazione dell area di studio. Siting of the study area. CARTOGRAFIA DI RIFERIMENTO Generalità Il criteri assunti per la redazione della Carta sono correlati e calibrati all estensione dell area di studio e determinano gli elementi di valutazione della pericolosità e del rischio da frana. La scala considerata (1:50.000) consente di procedere al rilievo ed alla rappresentazione degli elementi da utilizzare in maniera congruente, affidabile ed in tempi accettabili. La coerenza dei dati è vincolata alla dimensione minima reale che si può rappresentare sulla carta. Pertanto, nel caso specifico, sono rappresentati tutti gli elementi relativi alle litologie, alle strutture ed ai movimenti in massa con dimensioni maggiori o uguali a 2 mm (100 m come dimensione reale). Geologia La Stretta di Catanzaro nel quadro geodinamico dell Arco calabro-peloritano La Stretta di Catanzaro ricade nel contesto geologico regionale dell Arco calabro-peloritano (Amodio-Morelli et al., 1976), un ampia porzione d origine alpina dalla caratteristica forma ad arco, interposta tra la catena magrebide (ad andamento E-O) e l Appennino meridionale (ad andamento NO-SE) (Ben Avraham et al., 1990). Strutturalmente esso rappresenta un thrust-system prodotto dalla sovrapposizione, tra il Cretaceo superiore ed il Paleogene, di una serie di unità cristallino-metamorfiche paleozoiche derivanti dalla deformazione di domini continentali ed oceanici. Successivamente alla sua strutturazione, l Arco calabro-peloritano è stato interessato da un intensa fase tettonica post-orogenica estensionale, iniziata dal Pliocene Superiore e tutt ora in atto (Westaway, 1993; Wortel & Spacman, 1993; De Jonge et al., 1994; Tortorici et al., 1995; Monaco et al., 1996). L estensione ha prodotto un ampia zona di rift, denominata da Monaco & Tortorici (2000) rift-zone siculo-calabra (Fig. 2), strutturata da un sistema di faglie normali sismogeniche (Postpischl, 1985; Boschi et al., 1995), che si estende dalla costa orientale della Sicilia, attraverso lo Stretto di Messina, fino al settore nord-occidentale della Calabria. Le faglie presentano direzioni variabili tra N-S e NE-SO e, meno frequentemente, evidenziano un andamento trasversale (direzioni medie ONO-ESE). I singoli segmenti di faglia che costituiscono la riftzone hanno frammentato l Arco calabro-peloritano in bacini sedimentari marini, disposti sia parallelamente che trasversalmente rispetto alla direzione dell Arco, ed in blocchi sollevati. Le faglie, che mostrano scarpate ben sviluppate e con sensibile grado di freschezza morfologica, in Calabria sollevano e delimitano i fronti dei principali sistemi montuosi (Aspromonte, Serre, Catena Costiera, Sila).

3 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), Fig. 2 - Caratteri sismotettonici della rift-zone siculo-calabra (da Monaco & Tortorici, 2000). Seismo-tectonics of the Calabria-Sicily rift-zone (from Monaco & Tortorici, 2000). I sistemi di faglie ad andamento trasversale della riftzone siculo-calabra rivestono un ruolo particolarmente importante nell area in esame, in quanto individuano la depressione tettonica (graben) che corrisponde alla Stretta di Catanzaro. Caratteri litologico-strutturali Da un punto di vista geologico-strutturale la Stretta di Catanzaro è una depressione tettonica denominata graben di Catanzaro (Tansi et al., 1998). Il graben è colmato da depositi plio-quaternari. Esso è stato strutturato da faglie sub-verticali con direzioni prevalenti ONO-ESE che evidenziano cinematismi per lo più normali, con una componente di trascorrenza sinistra che talora può diventare predominante. Il graben è interposto tra due horst costituiti da unità cristallino-metamorfiche paleozoiche appartenenti all Arco calabro-peloritano (Amodio- Morelli et al., 1976) rappresentati, rispettivamente, dalle propaggini più meridionali dei sistemi Catena Costiera- Altopiano Silano e da quelle più settentrionali del Massiccio delle Serre. Lungo il bordo settentrionale del graben di Catanzaro, la faglia Gizzeria-Nicastro-Pianopoli-Marcellinara rappresenta l elemento tettonico più rilevante su scala regionale poichè giustappone i litotipi cristallinometamorfici paleozoici del sistema Catena Costiera-Sila ai depositi plio-quaternari. Il tratto occidentale della scarpata della suddetta faglia è marcato da conoidi di deiezione di dimensioni rilevanti.

4 100 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. Le faglie che strutturano il bordo meridionale del graben di Catanzaro risultano assai meno evidenti e sono riconducibili alle sole direttrici Jacurso-Copanello e Maida-Case San Fantino, che segnano il limite tra i litotipi cristallini appartenenti al Massiccio delle Serre e i depositi sedimentari plio-quaternari che colmano il graben. In questo settore si riscontra inoltre un assenza di conoidi di deiezione. L horst del sistema Catena Costiera-Altopiano Silano, è costituito da rocce cristallino-metamorfiche paleozoiche d origine alpina riferibili all Arco calabro-peloritano e da rocce carbonatiche giurassiche appartenenti ad una sottostante catena appenninica neogenica, localmente affioranti in finestra tettonica. Secondo Amodio-Morelli et al. (1976), la catena alpina è strutturata dalla sovrapposizione tettonica di cinque unità rappresentate, dalla più bassa alla più elevata strutturalmente, da: Unità del Frido, costituita da rocce metamorfiche di grado da basso a medio, d origine oceanica d età cretacea; Unità di Gimigliano, costituita da rocce verdi (metabasalti e serpentiniti) d origine oceanica d età Giurassico-Cretaceo inferiore; Unità di Bagni, costituita da rocce metamorfiche paleozoiche di medio grado, d origine continentale; Unità di Polia- Copanello costituita da gneiss kinzigitici paleozoici d origine continentale profonda; Unità di Castagna costituita da gneiss occhiadini, paragneiss biotitici e micascisti granatiferi. Al di sopra della catena alpina così strutturata sovrascorre l Unità di Stilo costituita da un basamento paleozoico (composto da filladi e graniti), ricoperto da rocce carbonatiche, conglomerati ed arenarie del Triassico- Cretaceo superiore. La sottostante catena appenninica è rappresentata da rocce carbonatiche triassiche appartenenti al Complesso Panormide (Ogniben, 1973). Le varie unità di catena sono ricoperte in discordanza da sedimenti terrigeni del Miocene superiore-pliocene inferiore interessati da trasporto orogenico (Amodio- Morelli et al., 1976) riferibili a due distinti cicli sedimentari (Di Nocera et al., 1974): un ciclo Tortoniano superiore-messiniano, rappresentato da conglomerati a ciottoli di rocce cristalline e calcareniti bioclastiche, ed un ciclo Messiniano-Pliocene inferiore, rappresentato da conglomerati a ciottoli di rocce evaporitiche e calcaree e da sabbie. Su un substrato costituito dalle unità di catena e dai depositi tortoniano-pliocenici, poggiano le coperture terrazzate d età pleistocenica costituite da conglomerati e sabbie d origine marina e continentale. I terrazzi affiorano a differenti altezze e sono delimitati da inner edges che spesso corrispondono alla base delle scarpate delle principali faglie normali. In corrispondenza dell horst del Massiccio delle Serre le unità di catena sono rappresentate dalla sola Unità di Polia-Copanello (Amodio-Morelli et al., 1976). Le rocce gneissiche che la costituiscono sono ricoperte da potenti coltri d alterazione pleistoceniche. Al di sopra della suddetta unità e della relativa coltre d alterazione poggiano coperture terrazzate marine e continentali pleistoceniche con caratteri del tutto simili a quelli affioranti nel settore settentrionale dell area di studio. Litologie Date le finalità del lavoro, le molte unità stratigrafiche e tettonostratigrafiche affioranti sono state raggruppate nella Carta in tipi litologici. I tipi litologici sono stati in gran parte derivati dalla carta geologica della Calabria in scala 1: (Casmez, 1967) e, in minor misura, derivano da lavori inediti compiuti dagli Autori della Carta nella zona in esame. Nel presente paragrafo vengono descritte, per i vari tipi litologici, le unità formazionali che li costituiscono seguendo l ordine riportato nella legenda della Carta. DEPOSITI OLOCENICI (OL). Sono rappresentati dai sedimenti fluviali, dune e sabbie eoliche, detriti di frana e dai depositi di conoide affioranti prevalentemente lungo il bordo settentrionale del graben di Catanzaro. DEPOSITI PLEISTOCENICI TERRAZZATI (PLC, PLM). Sono stati distinti in depositi continentali e depositi marini. I depositi terrazzati d origine continentale (PLC) sono costituiti da conglomerati con ciottoli cristallini in una matrice sabbiosa grossolana intercalati da livelli sabbiosi. I depositi terrazzati d origine marina (PLM) comprendono conglomerati di facies deltizia e sabbie talora fossilifere intercalate da orizzonti ghiaiosi e conglomeratici. COLTRI D ALTERAZIONE PLEISTOCENICHE (COL). Comprendono conglomerati e sabbie residuali corrispondenti all orizzonte d alterazione degli gneiss dell Unità di Polia Copanello. Lo spessore è dell ordine dei metri. SEDIMENTI TORTONIANO-PLIOCENICI (ARG, AS, CGL, EV). Sotto questa denominazione sono stati raggruppati sia i depositi medio-suprapliocenici di riempimento del graben di Catanzaro, sia i depositi terrigeni del Miocene superiore-pliocene inferiore (Di Nocera et al., 1974). Depositi prevalentemente argillosi (ARG). Comprende depositi infra-pliocenici rappresentati da argille siltose da grigio chiare a brune con intercalazioni sabbiose, siltose e marnose e depositi alto-miocenici rappresentati da argille sabbiose e siltose di colore prevalentemente grigio con lenti di gesso e con intercalazioni sabbioso-arenacee. Depositi prevalentemente sabbiosi ed arenacei (AS). Comprende depositi del Pliocene medio-superiore rappresentati da sabbie brune a grana da media a fine con intercalazioni frequentemente siltose e raramente conglomeratiche, localmente fossilifere ed a stratificazione incrociata, da depositi alto-miocenici rappresentati da arenarie a cemento calcareo e sabbie a grana da fine a grossolana con intercalazioni di argille e silt e con occasionali sottili orizzonti di gesso e di calcare. Depositi prevalentemente conglomeratici (CGL). Comprende depositi del Pliocene medio-superiore rappresentati da conglomerati ben costipati e cementati a

5 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), ciottoli arrotondati di rocce ignee e metamorfiche con orizzonti sabbiosi e da depositi altomiocenici rappresentati da conglomerati rossi e bruni con ciottoli poco arrotondati e mal classati di rocce cristalline e calcaree, immersi in una matrice sabbiosa grossolana e localmente argillosa, caratterizzati nelle porzioni sommitali da blocchi di gesso di dimensioni rilevanti. Rocce evaporitiche e bioclastiche (EV). Comprende litotipi altomiocenici rappresentati da gessi macrocristallini massicci intercalati da sottilissimi livelli di sabbie fini e da calcari evaporitici vacuolari di colore biancastro. UNITÀ DELLA CATENA ALPINA CRETACICO- PALEOGENICA (FR, GIM, BAG, PCOP, CAS, STM, STG, STC). Riguardo alle unità tettoniche che costituiscono la catena alpina cretacico-paleogenica, ed alle loro denominazioni ed ai loro reciproci rapporti tettonostratigrafici, è stato adottato quasi integralmente lo schema proposto da Amodio-Morelli et al. (1976). Dal basso verso l alto sono state distinte le seguenti unità: Unità del Frido (FR). Comprende rocce metamorfiche da medio a basso grado d origine oceanica rappresentate da argilloscisti e filladi grigie cretacee composti da clorite, sericite e quarzo con frequenti intercalazioni quarzitiche ed occasionali intercalazioni di calcari cristallini, cui sono strettamente associate ofioliti appartenenti alla sottostante Unità di Gimigliano. Le rocce sono intensamente pieghettate. L unità è interessata da un metamorfismo alpino (HP/LT). Unità di Gimigliano (GIM). Comprende rocce verdi d origine oceanica rappresentate da metabasiti con intercalazioni di calcari cristallini e di serpentiniti e con coperture carbonatiche d età titonico-neocomiana. L unità è interessata da un metamorfismo paragonabile a quello dell Unità del Frido (HP/LT). Le due suddette unità metamorfiche sono attribuibili ad un dominio paleogeografico di mare profondo riferibile al Complesso Liguride di Ogniben (1973). Unità di Bagni (BAG). Comprende rocce metamorfiche di medio grado d origine continentale rappresentate da filladi grigie paleozoiche composte da clorite, muscovite e quarzo, con intercalazioni di metareniti e porfiroidi. L unità è interessata da un metamorfismo in facies scisti verdi. Unità di Polia-Copanello (PCOP). Comprende gneiss kinzigitici d origine continentale profonda a granato e sillimanite, frequentemente biotitici intercalati da rocce granitiche e granodioritiche e da filoni aplitici e pegmatitici. L unità comprende anche gneiss tonalitici e quarzo-dioritici intercalati da masse di anfiboliti e peridotiti. Gli gneiss si presentano in affioramento intensamente fratturati ed alterati e, talora, ridotti in caratteristici sabbioni. Il metamorfismo prealpino è in facies granulitica. Unità di Castagna (CAS). Comprende gneiss occhiadini a due miche, spesso fortemente foliati, e paragneiss biotitici minuti a muscovite e, localmente, a sillimanite. L unità è interessata da frequenti superfici di sovrascorrimento talora marcate da duplex costituiti da micascisti granatiferi e da frequenti livelli pegmatitici e granitoidi. In affioramento le rocce si presentano da fresche a profondamente alterate e degradate. L unità è interessata da un metamorfismo prealpino in facies scisti verdi. Le Unità di Bagni, di Polia-Copanello e di Castagna sono riferibili al Complesso Calabride di Ogniben (1973). Unità di Stilo. È costituita da un basamento pretriassico differenziato in un unità metamorfica e in una sovrastante unità granitica; sul basamento poggiano in discordanza successioni sedimentarie mesozoiche. - Il basamento metamorfico (STM) comprende filladi, metagrovacche e metacalcari intrusi da granito e da vene di filoni di porfido, nonché paragneiss biotitici, localmente granatiferi, e gneiss biotitico-anfibolici, caratterizzati da un intensa alterazione. - Il basamento granitico (STG) comprende graniti e granodioriti spesso a microcristalli di k-feldspato, microgranodioriti, tonaliti, micrograniti a due miche, intersecati da filoni di porfidi rossi e verdi. - La copertura (STC) è costituita da calcari neritici da massicci a ben stratificati, da dolomie saccaroidi compatte generalmente arenacee alla base e da conglomerati ed arenarie di tipo Verrucano. UNITÀ DELLA CATENA APPENNINICA NEOGE- NICA (DOL). Le unità carbonatiche triassiche della catena appenninica (Unità Panormidi di Ogniben, 1973), collocate, in posizione tettonica, al di sotto delle coltri alpine (Amodio-Morelli et al., 1976), sono rappresentate, nell area in esame, da dolomie e brecce dolomitiche localmente associate a calcari dolomitici. Tali rocce affiorano, in finestra tettonica, tra Gizzeria e Nicastro. Strutture tettoniche Nella Carta sono stati distinti sovrascorrimenti e faglie ad alto angolo. I sovrascorrimenti sono legati alla strutturazione del thrust-system a polarità europea che ha portato all impilamento delle diverse unità che costituiscono le catene alpina ed appenninica. Queste strutture sono d età compresa tra il Cretaceo superiore e il Miocene inferiore e pertanto sono riconoscibili esclusivamente all interno delle unità cristallino-metamorfiche paleozoiche e delle unità panormidi mesozoiche. Data l età, esse non presentano evidenze morfologiche e risultano smembrate dalle strutture tettoniche più recenti. Le faglie ad alto angolo presentano piani sub-verticali e cinematismi normal-trascorrenti. Esse sono connesse prevalentemente con le fasi tettoniche post-orogeniche estensionali quaternarie legate al sollevamento isostatico dell Arco calabro-peloritano. La più evidente conseguenza dell attività di queste faglie nell area di studio, è la presenza di spettacolari terrazzi marini, raggruppati da Tortorici et al. (2002) in sette ordini, che rappresentano il risultato dell interazione tra l uplift tettonico e le oscillazioni eustatiche quaternarie (Westaway, 1993).

6 102 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. L età relativamente recente delle faglie ha consentito di distinguerne, attraverso studi aerofotointerpretativi, le evidenze morfostrutturali (scarpate morfologiche, allineamenti di crinali con discontinuità altimetriche, faccette triangolari e trapezoidali, corsi d acqua rettificati). Laddove i dati morfotettonici hanno evidenziato settori interessati da meccanismi deformativi particolarmente spinti, sono stati eseguiti rilievi mesostrutturali di campagna atti a comprovare la natura tettonica dei lineamenti e a valutarne i cinematismi. Gli stili strutturali di superficie sono stati confrontati ed affinati mediante l interpretazione di dati di sottosuolo, quali profili sismici a riflessione AGIP e stratigrafie desunte da sondaggi diretti (sondaggi meccanici e trivellazioni), anche alla luce di studi basati sulle emissioni di gas elio (Guerra & Lombardi, 1984). Le faglie ad alto angolo sono state differenziate nella Carta, sulla base dei loro cinematismi prevalenti, in faglie normali e faglie trascorrenti e, sulla base del loro rigetto morfologico, in faglie normali a rigetto elevato e limitato. Per quest ultima distinzione è stato considerato un limite approssimativo nel rigetto, valutato lungo la scarpata di faglia, dell ordine di qualche decina di metri. Sulla base di affinità giaciturali e cinematiche, le faglie recenti sono raggruppabili in tre sistemi che vengono di seguito descritti. SISTEMA DI FAGLIE NORMALI CON DEBOLE COMPONENTE DI TRASCORRENZA DESTRA AD ORIENTAMENTO DA N-S A NNE-SSO. Nel settore depocentrale della Stretta, il sistema è rappresentato da faglie normali, poco frequenti, ribassanti verso E che dislocano i sedimenti tortoniano-pliocenici e pleistocenici; a sud della direttrice Jacurso-Stalettì (descritta nel seguito), il sistema trova la sua massima espressione lungo le propaggini cristallino-metamorfiche più settentrionali del Massiccio delle Serre. SISTEMA DI FAGLIE NORMALI CON COMPO- NENTE DI TRASCORRENZA SINISTRA AD ORIEN- TAMENTO MEDIO ONO-ESE. È il sistema responsabile dell individuazione del graben di Catanzaro. Il bordo settentrionale del graben è caratterizzato da un sistema a gradinata di faglie ad andamento ONO-ESE, ribassanti verso SSO, che culmina, per estensione e rigetti, con la direttrice Gizzeria-Nicastro-Pianopoli- Marcellinara. Tale faglia solleva le propaggini meridionali cristallino-metamorfiche paleozoiche del sistema Catena Costiera-Altopiano Silano rispetto ai depositi tortoniano-quaternari di riempimento del graben. La scarpata di faglia, in parte mascherata lungo la sua porzione orientale da conoidi di dimensioni rilevanti, evidenzia un sensibile grado di freschezza morfologica e mostra un andamento sinuoso in pianta (direzioni variabili tra E-O e ONO-ESE). A nord della direttrice Gizzeria-Nicastro-Pianopoli- Marcellinara, faglie appartenenti al sistema ONO-ESE giustappongono variamente le diverse unità paleozoiche, i depositi altomiocenici ed i depositi postorogeni: tra queste si segnalano le direttrici Gagliano-Catanzaro, Angoli-Tiriolo-Siano e le due faglie normali antitetiche (ribassanti verso N) che si sviluppano nell area di Caraffa di Catanzaro. Le faglie appartenenti al sistema ONO-ESE appaiono cronologicamente più recenti per quasi tutto lo sviluppo del graben di Catanzaro, fatta eccezione per la porzione NE dello stesso, dove risultano dislocate dal sistema OSO-ENE, descritto di seguito. Il bordo meridionale del graben di Catanzaro si presenta strutturalmente meno articolato rispetto al bordo settentrionale, essendo delimitato dalle due sole direttrici ONO-ESE ribassanti verso NNE, Jacurso-Stalettì e Maida-Case S. Fantino. Queste due strutture sono responsabili del sollevamento delle metamorfiti paleozoiche dell Unità di Polia-Copanello rispetto ai sedimenti plio-quaternari di riempimento del graben di Catanzaro. Immediatamente a sud delle suddette faglie, i sistemi predominanti diventano decisamente le faglie estensionali appartenenti al sistema NNE-SSO, che rappresentano gli elementi tettonici cronologicamente più recenti. SISTEMA DI FAGLIE NORMALI AD ANDAMEN- TO OSO-ENE. Caratterizza il settore orientale della Stretta di Catanzaro, dove disloca il sistema ONO-ESE. Tra le faglie appartenenti a questo sistema è opportuno segnalare la struttura Martelletto-Catanzaro-Case Manna, responsabile del sollevamento dei terreni cristallini della Sila rispetto ai depositi della Stretta di Catanzaro; più a SE è stata riconosciuta la faglia antitetica M. Savuto-M. Volturino. Procedendo verso lo Ionio si segnalano infine una serie di faglie normali, ribassanti nel complesso verso SE, che caratterizzano il tratto terminale del bacino del Fiume Corace, tra Catanzaro e Catanzaro Lido, interessando esclusivamente depositi argillosi tortoniano-pliocenici. Come già accennato, l area di studio ricade in una zona ad elevato rischio sismico connesso con l attività delle faglie sismogeniche estensionali appartenenti alla rift-zone siculo-calabra (Fig. 2). Nell ambito della suddetta rift-zone e facendo riferimento ai lavori di Tortorici et al. (1995), Monaco & Tortorici (2000) e Tortorici et al. (2002), è stato possibile distinguere nella Carta le faglie normali attive o molto recenti. Come per le faglie ad alto angolo, anche per questa categoria di faglie è stato possibile differenziare quelle a rigetto elevato e a rigetto limitato. Parte delle faglie ONO-ESE, che strutturano il bordo settentrionale del graben di Catanzaro, costituiscono una fascia sismogenica: questi caratteri sono particolarmente evidenti nella faglia che, nei pressi del Torrente Zinnavo, disloca una conoide di deiezione post-würmiana e lungo la cui scarpata si impostano due nuove conoidi oloceniche, indicative di un ringiovanimento della stessa. I caratteri sismotettonici del settore meridionale della Stretta di Catanzaro sono invece definiti da due faglie normali, appartenenti al sistema ad orientamento da N-S a NNE-SSO, che caratterizzano l area compresa tra Francavilla Angitola, Curinga e il tratto più vallivo del Fiume Amato.

7 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), Caratteri generali Geomorfologia La Stretta di Catanzaro è un istmo che congiunge la Calabria settentrionale a quella meridionale. Sia la Calabria settentrionale sia quella meridionale costituiscono delle morfostrutture (Gerasimov, 1946) di primo ordine, se rapportate al rilievo emerso, ma in effetti esse mantengono tale caratterizzazione anche se rapportate alla topografia dei fondali jonico e tirrenico. La Stretta di Catanzaro è una morfostruttura di secondo ordine, costituita da una depressione tettonica, essenzialmente un graben trasversale ai rilievi delle morfostrutture di primo ordine. La depressione è emersa nel Quaternario, durante la fase di sollevamento tettonico che ha generato l attuale configurazione morfostrutturale dell intero territorio calabrese. La caratteristica morfologia a mesa testimonia l antico fondale di un mare poco profondo sollevato tettonicamente. Il graben, con orientamento generale ONO-ESE e delimitato dai sistemi di faglie normali organizzate a gradinata precedentemente descritti, presenta un rilievo massimo di circa 390 m, rappresentato dall altopiano che ospita gli abitati di Borgia e di Caraffa di Catanzaro. I due centri sono edificati sui depositi terrazzati del Pleistocene. Da Borgia verso SE, il rilievo diminuisce fino ai circa 0-20 m s.l.m. della piana costiera ionica, grazie ad una gradinata di faglie. Nel settore settentrionale della terminazione di SE del graben, il rilievo è minore ed i depositi terrazzati sono limitati a quote che non superano i 150 m s.l.m.. Verso ovest, il pianoro di Borgia e Caraffa degrada lentamente fino ai 40 m circa dell abitato di S. Pietro Lametino. Verso NO, il terrazzo si trova a circa m in prossimità di Vena di Maida ed a quote intorno a m ancora più a nord. Nella parte occidentale del margine settentrionale, il sistema di grandi conoidi di Nicastro ricopre i depositi terrazzati. A nord ed a sud del graben, per effetto delle faglie bordiere, i depositi terrazzati si trovano a quote crescenti verso l esterno, giungendo fino a 500 m di Jacurso a sud ed agli oltre 350 m a monte di Sambiase. Una caratteristica che differenzia le due terminazioni del graben è la diversità per numero e per quote dei terrazzi e delle superfici spianate. Troviamo infatti un maggior numero di terrazzamenti a NO, rispetto a SE. C è da notare, in prima istanza, che i terrazzi francamente marini sono limitati alle quote inferiori, mentre a quote superiori, fin oltre i 700 m, si trovano superfici di spianata (probabilmente per abrasione marina) senza sedimenti marini o con depositi continentali. L analisi della carta litologico-strutturale e dei movimenti in massa, consente comunque di comprendere come la molteplicità di terrazzi e superfici di spianamento, e le loro diversità che non si spiegherebbero con i soli moti eustatici o di epirogenesi omogenea, si giustificano ammettendo tassi di sollevamento tettonico diversi tra i vari blocchi separati da faglie normali, o con rilevante componente normale nella dislocazione tettonica. Tipico è il caso dei lembi di terrazzo di S. Pietro a Maida e di Maida, che si trovano su un blocco tettonicamente delimitato da faglie normali con rigetto elevato, ma non presentano livelli corrispondenti altrove nella Stretta. Un ulteriore ordine a quote superiori sembra invece costituito dai terrazzi degli abitati di Jacurso e di Cortale. Nelle aree di affioramento del substrato sedimentario neogenico, dove predominano termini a prevalente componente argillosa, sono diffusamente presenti fenomeni di dissesto che assumono la forma di frane, anche di grandi dimensioni, e/o di degradazione generalizzata per erosione diffusa di tipo calanchivo associata a frane superficiali. Nelle aree in cui dominano i fenomeni franosi, i versanti presentano un acclività generalmente ridotta. Al contrario, nelle aree ad erosione calanchiva o di intensa erosione lineare tipica delle sabbie limose, l acclività è accentuata, così come l accidentalità della morfologia a livello di forme minori. Le valli dei torrenti e fiumare che provengono dai rilievi montuosi a nord ad a sud della Stretta, hanno un reticolo la cui organizzazione risente sia dei deboli gradienti del rilevo locale, sia del controllo strutturale. I corsi d acqua principali, con i bacini maggiormente estesi, provengono da nord (Sila). Ad est, il T. Alli, il T. Fiumarella e il F. Corace, tutti con caratteri di transizione verso le fiumare, presentano un andamento consequente rispetto alla morfostruttura silana, e, tranne un affluente di destra del F. Corace, il F. Fallaco, attraversano senza subirne apparente controllo la gradinata di faglie bordiere settentrionali del graben di Catanzaro. Un maggiore controllo sul drenaggio da parte delle strutture tettoniche si nota nelle parti montane dei bacini di questi fiumi. Sul margine orientale, brevi corsi ad andamento resequente ed assetto subparallelo incidono profondamente i depositi terrazzati ed i sottostanti terreni plio-pleistocenici. Il F. Amato è il maggiore dei fiumi della Stretta. Esso proviene dalla Sila percorrendo una stretta valle, con direzione SE, caratterizzata da ampi meandri sovrimposti per antecedenza. Poco a nord di Miglierina e Tiriolo, il fiume compie un ampia svolta verso la destra idrografica, quindi percorre una lunga valle rettilinea con direzione OSO, per poi espandersi nell ampia piana di Lametia dopo aver ricevuto il T. Pesipe da sinistra e la F.ra S. Ippolito da destra. La svolta di Miglierina del F. Amato è, probabilmente, il risultato di un progressivo adattamento consequente rispetto al gradiente generato dalla gradinata di faglie bordiere. È possibile un altra evoluzione geomorfica di questo tratto dell Amato: l antico corso del fiume, che scorreva verso SE, potrebbe essere stato catturato da uno dei corsi consequenti impostati sulla gradinata di faglia. La valle del Pesipe si estende da est ad ovest e concorre a spostare molto verso ovest, rispetto al centro della Stretta, lo spartiacque continentale. I fondovalle dei vari corsi d acqua che provengono dalla Sila e dalle Serre nei tratti terminali sono piatti e molto estesi in larghezza. Essi conferiscono alla Stretta

8 104 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. una morfologia simile a quella della Piana di Gioia Tauro. Questa caratteristica è marcata soprattutto nella parte nord-occidentale della Stretta, dove sono presenti fenomeni franosi di probabile innesco sismico, dalla morfologia molto simile ai numerosi fenomeni co-sismici della Piana di Gioia Tauro (Cotecchia et al., 1969). I corsi d acqua che provengono dai monti sboccano da gole profonde. Essi hanno formato e tuttora formano ampie conoidi alluvionali nella parte occidentale della Stretta. Nella parte orientale e nella zona centrale troviamo solo alcune piccole conoidi lungo il versante destro del F. Fallaco, affluente di destra del F. Corace, e tre conoidi che interessano il fondovalle del T. Pesipe affluente del F. Amato. Questa diversità in numero, ampiezza e molteplicità di ordini delle conoidi, differenzia in modo molto evidente la morfologia delle due estremità della Stretta. Il motivo di tale differenza è evidentemente legato ad un maggior trasporto solido nei corsi d acqua del versante tirrenico, e/o ad una loro minore capacità di trasporto, rispetto ai torrenti del versante ionico, ma il motivo preciso non è stato finora individuato. La corrispondenza del maggior sviluppo delle conoidi con il maggior numero dei terrazzi, indica il probabile effetto del diverso regime tettonico, più discontinuo ed intenso nel tratto occidentale, rispetto a quello più regolare e meno intenso nel tratto orientale. A sud di Lacconia si trovano campi dunari le cui sabbie sono ben visibili nelle trincee autostradali. Appartengono ad un ordine di terrazzi probabilmente pre-olocenico (rilievo locale di oltre 20 m), ma la datazione precisa non è disponibile. Campi dunari attuali sono presenti nella zona di retrospiaggia tirrenica attuale, anche se ormai sono pochi i tratti preservati dall urbanizzazione. Sul versante ionico, sono presenti sottili cordoni dunari attuali. La costa tirrenica è caratterizzata da un ampia spiaggia che presenta un completo sistema di forme di spiaggia e retrospiaggia (i cordoni dunari) e piana costiera emergente. Nella zona di foce del F. Amato, sebbene non sia presente un vero e proprio delta, si trova un accenno di progradazione che in effetti è caratteristico di tutta la costa della Stretta. La spiaggia è prevalentemente sabbiosa, con ampi tratti ciottolosi. All altezza di Gizzeria Lido, è sviluppata un ampia spit bar che ha racchiuso un lago costiero dal lato della radice. La piana costiera ionica è molto meno sviluppata di quella tirrenica, sebbene anch essa sia in relativo equilibrio per quanto concerne il regime di degradazione/progradazione. Attualmente, sebbene la zona della Stretta di Catanzaro presenti un tasso di sollevamento medio relativo a tutto il Quaternario di circa 0,2 mm/a (Sorriso-Valvo, 1993), quindi inferiore a quello della Sila e delle Serre, la dinamica geomorfica della Stretta è relativamente rapida, a causa delle elevate pendenze locali e dell ampia diffusione dei fenomeni di erosione e di movimento in massa. I fenomeni di erosione sono attivi essenzialmente sui brevi versanti ad alta acclività che circondano i rilievi tipo mesa o a creste allungate, separati da ampi fondovalle aggradati. Tale aggradazione si riflette sulla dinamica costiera, che risulta in progradazione in prossimità della foce del F. Amato, e in erosione a nord ed a sud rispetto a questa foce (D Alessandro et al., 1983). La costa ionica risulta invece in sostanziale equilibrio. L elevata intensità della dinamica geomorfica della Stretta è testimoniata chiaramente dai numerosi eventi di inondazione e di riattivazione dei fenomeni franosi occorsi negli ultimi secoli: dal 1638 al 1990, in un area in gran parte sovrapponibile a quella di studio si sono verificati 45 importanti eventi di alluvionamento, quasi sempre accompagnati da numerose frane, anche di notevoli dimensioni; per lo stesso periodo si sono registrati cinque eventi sismici maggiori, e numerosi altri di incidenza locale (Rizzo & Fragale, 1999). La tettonica è il motivo principale della intensa morfodinamica del territorio della Stretta di Catanzaro, anche se è determinante l assetto geologico-strutturale (che controlla quello morfologico) e il carattere del clima, caratterizzato da forti contrasti stagionali ed eventi idrologici estremi. I movimenti in massa Dalla Carta di Antronico et al. (2001) è possibile desumere, come già evidenziato, gli elementi in vario modo correlati alla pericolosità ed al rischio da frana. Utilizzando come riferimento la Carta delle Grandi Frane e Deformazioni Gravitative Profonde di Versante di Sorriso-Valvo & Tansi (1996) nella Carta il tematismo che rappresenta i movimenti in massa è stato ottenuto mediante analisi aereofotointerpretativa (foto aeree IGMI in B/N a scala 1: del e del 1990), validando quanto cartografato con mirati controlli sul terreno. Nella Carta, considerate le finalità dello studio, sono riportati solo i fenomeni di movimento in massa certi, ritenuti tali sulla base della valutazione esperta degli Autori. Per la classificazione dei movimenti in massa si è fatto riferimento a quanto riportato in Varnes (1978) e in Cruden & Varnes (1996), che ne rappresenta un aggiornamento. Per quanto riguarda il cinematismo dei fenomeni franosi sono stati distinti e cartografati i seguenti tipi di movimento: scorrimento, colata, tipo complesso di scorrimento-colata. In questa sede il termine fenomeno complesso viene utilizzato come riportato in Varnes (1978) dove rappresenta una combinazione di due o più tipi di movimento. In riferimento al tipo di materiale coinvolto nel movimento e facendo sempre riferimento a Varnes (1978) sono stati distinti: scorrimento di terra o roccia, scorrimento di roccia in blocco, colata di terra o detrito, colata di roccia o Sackung (Tab. 1). Con il termine Sackung si intendono dunque i fenomeni gravitativi di grandi dimensioni ed assegnabili alla categoria delle DGPV (Dal Piaz, 1936; Jahn, 1964; Zischinsky, 1969; Nemčok, 1972; Guerricchio & Melidoro, 1973; Ter-Stepanian, 1974; Radbruch-Hall et al., 1976; Sorriso-Valvo, 1979; Dramis, 1984) ed assimilabili ai colamenti in roccia (rock flow) di Varnes (1978).

9 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), Carta al Scorrimento di terra o roccia Scorrimento di roccia in blocco Tipo di movimento SCORRIMENTO Definizione generale (da Varnes, 1978) Il movimento comporta uno spostamento per taglio lungo una o più superfici, oppure entro un livello abbastanza sottile. Queste superfici di scorrimento sono visibili o possono essere ragionevolmente ricostruite. Colata di terra o detrito Colata di roccia (Sackung) Scorrimento-colata COLATA COMPLESSO Il fenomeno si esplica con movimenti entro la massa spostata, tali per cui o la forma assunta dal materiale in movimento o la distribuzione apparente delle velocità e degli spostamenti sono simili a quelle dei fluidi viscosi. Le superfici di scorrimento nella massa che si muove non sono generalmente visibili, oppure hanno breve durata. Il movimento, generalmente molto lento e con la distribuzione delle velocità apparentemente simile a quella dei fluidi viscosi, può avvenire lungo più superfici di taglio che apparentemente non sono collegate e provocare piegamenti e/o rigonfiamenti. Il movimento risulta dalla combinazione di due o più dei tipi di movimento. Tab. 1 - Classificazione tipologica utilizzata per i movimenti in massa cartografati a scala 1: ed altre indicazioni connesse. Types of mass movement phenomena mapped at the 1:50,000 scale, and related indications. Sono stati cartografati 119 movimenti in massa che interessano principalmente i terreni sedimentari. I tipi di movimenti in massa più diffusi sono gli scorrimenti e gli scorrimenti-colata, con la stessa percentuale pari al 43%; seguono le colate con una percentuale del 14%. Si rileva, in particolare, una concentrazione di Grandi Frane (Sorriso-Valvo, 1995), alcune delle quali già individuate da Sorriso-Valvo & Tansi (1996), nella porzione centrale dell area in studio, mentre gli unici due fenomeni di DGPV coinvolgono le rocce metamorfiche affioranti nella porzione settentrionale dell area. Infine, è stato riconosciuto e cartografato un solo fenomeno di sprofondamento che non è stato considerato nell analisi dei dati. Se si considera il grado di attività delle frane (attivo, quiescente, stabilizzato) la maggior parte dei fenomeni cartografati sono risultati quiescenti; relativamente al grado di evoluzione (stato di sviluppo: incipiente, avanzato, esaurito) la maggior parte dei fenomeni cartografati sono risultati in una fase di sviluppo evoluta (Carrara & Merenda, 1974; 1976). Nella Carta i fenomeni franosi cartografati non sono stati distinti in base al grado di attività, ma tale dato è stato inserito nel data base. DATI ESTRATTI DALLA CARTA E LORO ANALISI Nella Tab. 2 sono identificati e descritti gli elementi desunti direttamente ed indirettamente dalla Carta. Per ogni fenomeno franoso è stata compilata una scheda nella quale, oltre al numero di identificazione ed alla localizzazione (comune e provincia), sono state inserite informazioni relative alla tipologia del fenomeno, al grado di attività, allo stato di sviluppo, all esposizione, alla pendenza del versante interessato dalla frana, alla larghezza, alla distanza in pianta tra la corona e l unghia della frana, alla superficie in pianta, alle quote minima e massima. Relativamente alle strutture tettoniche, classificate per come riportato nella Tab. 3, sono state individuate le possibili posizioni delle stesse rispetto all instabilità cui possono essere riferite, Fig. 3. In particolare è stata anche individuata la distanza minima della struttura tettonica più vicina alla corona di frana utilizzando due modalità di misura: per distanze minori o uguali a 500 m si prende in considerazione il punto di massima curvatura della corona (Fig. 4a) (DIC), per distanze superiori a 500 m la distanza cercata è individuata esaminando tutti i punti della corona di frana (Fig. 4b) (DMC).

10 106 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. Identificazione Numero di identificazione (N) Comune (COM) Provincia (PRO) Esposizione (ESP) Formazione (FOR_25) Faglia (FAG_25) Litologia (LIT) Struttura Geologico Tecnica (SGT) Tipologia (TIP) Pendenza (PEN) Larghezza (LAR) Distanza Corona Unghia (DCU) Area in Pianta (ARE) Quota massima (QMA) Quota minima (QMI) Differenza Quote mass e min (DQU) Grado di Attività (GAT) Stato di Sviluppo (SSV) Tipo di Struttura (TIS) Distanza dalla Corona (DIC) Posizione della Struttura (POS) Distanza Minima dalla Corona (DMC) Manufatti Interessati (MAI) Descrizione Associato ad ogni instabilità Comune nel cui territorio ricade l instabilità Provincia nel cui territorio ricade l instabilità Del versante su cui insiste l instabilità Quella/e coinvolta/e nell instabilità e rilevata/e dalla Carta geologica alla scala 1: (di seguito CaGeo25) Quella rilevabile dalla CaGeo25 Definita dall insieme di formazioni della CaGeo25 che alla scala delle instabilità considerate hanno indicativamente un comportamento meccanico omogeneo Definite sulla base dei rapporti geometrici con cui si dispongono le LIT coinvolte nell instabilità Individuata sulla base dei caratteri cinematici delle instabilità Quella media del versante su cui insiste l instabilità Massima dimensione trasversale dell instabilità Distanza tra i punti di massima curvatura della corona e dell unghia dell instabilità Superficie in pianta dell instabilità Quota massima dell instabilità Quota minima dell instabilità Differenza fra le quote massima e minima Grado di attività dell instabilità Stato di sviluppo dell instabilità Codice identificativo del tipo di struttura, individuato dai rilievi condotti, che interessa l instabilità Distanza in metri tra la struttura tettonica ed il punto di massima curvatura della corona dell instabilità per valori fino a 500m Posizione della struttura che interessa l instabilità rispetto alla stessa identificata da codici Distanza in metri fra un qualsiasi punto della corona dell instabilità e la struttura tettonica più vicina alla stessa per distanze superiori a 500m Manufatti e strutture antropiche direttamente interessate dalle instabilità Tab. 2 - Elementi relativi alle instabilità di pendio desumibili direttamente ed indirettamente dalla Carta alla scala 1: Elements related to slope instability phenomena that can be obtained either directly or indirectly from the 1:50,000 scale map. Alle frane presenti nella Carta è stata associata una o più Unità Lito-Tecniche (ULT) elencandole, nel caso siano più di una, in successione stratigrafica dall alto verso il basso. Le ULT sono state individuate raggruppando i tipi litologici riportati nella Carta in base al loro comportamento meccanico indicativamente omogeneo alla scala delle instabilità di riferimento (Tab. 4). A tal fine è stata condotta un analisi dei caratteri descrittivi delle formazioni e dei tipi litologici definiti, delle caratteristiche dimensionali e cinematiche delle instabilità (Gullà et al., 2002). Le ULT sono state pertanto identificate come segue: roccia sciolta a comportamento prevalentemente attritivo (RSA); roccia sciolta a comportamento prevalentemente coesivo (RSC); roccia tenera a comportamento prevalentemente fragile (RTF); roccia tenera a comportamento prevalentemente duttile (RTD); roccia lapidea fratturata a comportamento prevalentemente fragile (RLF); roccia lapidea fratturata e degradata a comportamento prevalentemente duttile (RLD). Considerando inoltre le informazioni contenute nella Carta geologica della Calabria alla scala 1:25.000, è stato possibile individuare per ogni frana riportata nella

11 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), Codice Descrizione Note 1 Limiti di sovrascorrimento (ANTICHE) 2 Faglie normali a rigetto elevato (RECENTI) Rigetto maggiore di qualche decina di metri 3 Faglie normali a rigetto limitato (RECENTI) 4 Faglie normali attive o molto recenti e rigetto elevato (RECENTI ATTIVE o MOLTO RECENTI) Rigetto maggiore di qualche decina di metri 5 Faglie normali attive o molto recenti e rigetto limitato (RECENTI ATTIVE o MOLTO RECENTI) 6 Faglie trascorrenti (tra ANTICHE e RECENTI) Tab. 3 - Classificazione delle faglie riportate nella Carta per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana. Classification of faults mapped for the evaluation of landslide hazard and risk. Fig. 3 - Possibili posizioni della struttura (POS) rispetto alla corona, al piede ed al fianco dell instabilità. Possible position of tectonic structures (POS) with respect to a landslide. Carta la relativa Struttura Geologico-Tecnica (SGT) (Sorriso-Valvo & Tansi, 1996), Fig. 5. Per le aree direttamente coinvolte dai movimenti in massa sono stati infine rilevati gli elementi vulnerabili dalla carta topografica a scala 1: dell IGMI, aggiornata al Per la definizione delle diverse tipologie di elementi relativi alle abitazioni si è fatto riferimento alle definizioni utilizzate dall ISTAT (1995) per i censimenti. La base di dati utilizzata nella presente nota è relativa ad instabilità di pendio che ricadono in un area pari a poco più del 6% del territorio della Calabria. Sono in Fig. 4 - Modalità di misura della distanza della struttura tettonica più vicina dal punto di massima curvatura della corona della frana (DIC) per valori fino a 500 m (A), e della distanza minima tra la corona e la struttura tettonica più vicina (DMC) per distanze superiori a 500 m (B). Procedure for measuring the minimum distance between a tectonic structure and the point of maximum curvature of the landslide crown (DIC) for distance up to 500 m (A), and the minimum distance between the crown and the tectonic structure (DMC) when the distance is greather than 500 m (B).

12 108 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. particolare 105 le frane della Carta di cui si dispone completa informazione e che sono state considerate nell analisi di seguito illustrata. L analisi dei dati è stata condotta riferendosi alle distribuzioni in dieci classi di frequenza ottenute suddividendo in parti uguali gli intervalli di variazione delle variabili esaminate. Le frane rispetto alla loro estensione, ad esclusione di una sola instabilità (superficie pari a m 2 ), si distribuiscono nelle prime tre classi, la prima delle quali contiene il 93% dei fenomeni, Fig. 6a. I versanti coinvolti sono caratterizzati da inclinazioni variabili da circa 7 a circa 32, la cui distribuzione di frequenza è bimodale (moda nelle classi e ), Fig. 6b. La larghezza delle frane si colloca nel 96% dei casi nelle classi da m a m, con una distribuzione asimmetrica ed unimodale, Fig. 6c. Ancora unimodale, ma con una asimmetria meno pronunciata, è la distribuzione della lunghezza che si colloca nelle classi da m a m, con il 48% dei casi concentrati nella classe m, Fig. 6d. Le frane considerate, come tipo di movimento, sono riferibili a: scorrimento-colata, 41%; scorrimento, 44%; colata, 15%. Le instabilità esaminate coinvolgono 14 tipi litologici, 13 combinazioni di due tipi litologici e 5 combinazioni di tre tipi litologici, Fig. 7. La percentuale più alta di frane, il 24%, coinvolge il tipo litologico costituito da depositi prevalentemente argillosi (ARG). Per quanto attiene l assegnazione delle Strutture Geologico Tecniche (SGT), l analisi condotta evidenzia che il 76% delle instabilità è riferibile a cinque delle dodici SGT definite, Fig. 5. Il 92% delle frane considerate sono quiescenti, il 5% sono attive e per il 3% delle situazioni l indicazione sul grado di attività non è chiaramente identificabile come attivo o quiescente. Per i fenomeni considerati lo stato di sviluppo è stato classificato avanzato nel 62% circa dei casi. L analisi può essere approfondita riferendosi ai casi compresi nei tre tipi di movimento. Le distribuzioni delle inclinazioni dei versanti evidenziano delle specificità: per le colate la frequenza percentuale più alta è nella classe (33%), mentre la maggior parte delle instabilità ha un inclinazione variabile da 10 a 16 ; i fenomeni di scorrimento-colata sono presenti in ognuna delle classi definite (da 7 a 27 ) ma sono decisamente più numerosi nelle classi 9-11 (26%) e (16%); per gli scorrimenti non si rileva nessuna marcata concentrazione nell intervallo complessivo da 8 a 32. Il rapporto distanza corona-unghia su larghezza, indicativo della forma planimetrica, assume valori da circa 0.3 a poco più di 7. Per le colate e per gli scorrimenticolata il rapporto è generalmente maggiore di uno, in particolare: le colate presentano maggiori concentrazioni nelle classi (27%) e (20%); gli scorrimenti-colata mostrano un picco in corrispondenza della classe (30%). Per gli scorrimenti, una percentuale complessiva del 57% presenta valori del rapporto minori o uguali a In definitiva le instabilità relative alle tipologie colata e scorrimento-colata sono, come è ragionevole attendersi, di forma generalmente più allungata rispetto alla tipologia scorrimento. Per le instabilità esaminate si possono rilevare alcune significative concentrazioni di fenomeni in alcuni dei tipi litologici individuati: per le colate e per gli scorrimenticolata si rileva una netta prevalenza di fenomeni nel tipo litologico indicato come ARG (depositi prevalentemente argillosi); per gli scorrimenti si evidenzia invece una distribuzione articolata con il 14% dei fenomeni nel tipo litologico CGL (depositi prevalentemente conglomeratici) e con altre tre concentrazioni (9-12%) nei tipi litologici AS (depositi prevalentemente sabbiosi ed arenacei), CAS (gneiss) e STG (graniti e granodioriti). I fenomeni classificati come colate sono prevalentemente concentrati in ambiti caratterizzati dalla struttura geologico tecnica identificata come ammasso roccioso prevalentemente costituito da roccia sciolta a comportamento indicativamente coesivo. Per gli altri due tipi di movimento si rileva quanto segue: gli scorrimenti-colata interessano con una maggiore frequenza ambiti in cui sono presenti le strutture geologico tecniche ammasso roccioso prevalentemente costituito da roccia sciolta a comportamento indicativamente coesivo (circa il 29%) e ammasso roccioso prevalentemente costituito da roccia lapidea fratturata ed a comportamento indicativamente duttile (16%); gli scorrimenti, invece, non evidenziano alcuna particolare concentrazione relativamente alle SGT identificate. VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITÀ E DEL RISCHIO DA FRANA Generalità Nella letteratura sono ormai numerose le proposte metodologiche per la valutazione areale della pericolosità e del rischio da frana (Gullà, 2002). Fra queste, giusto per citarne alcune, si ricordano quelle formulate da Brabb (1984), Varnes (1984), Einstein (1988). L esame di tali proposte, rappresentative di un ampio ventaglio di soluzioni presenti in letteratura, consente di rilevare una sostanziale convergenza sugli aspetti che in termini operativi portano alla stima della pericolosità e del rischio (Canuti & Casagli, 1996; Gullà, 2002; Sorriso-Valvo, 2002). L analisi della letteratura fornisce una cornice nel cui ambito è possibile individuare riferimenti metodologici da utilizzare per affrontare efficacemente la problematica pericolosità e rischio da frana e suggerisce, nel contempo, l opportunità di sviluppare le procedure di valutazione ancorandole all impianto formale proposto da molti Autori. Quanto evidenziato permette di: mantenere una congrua flessibilità nella valutazione areale, consigliata dalla necessità di dover calibrare le procedure alle caratteristiche dei dati disponibili e di garantire affidabilità e tempi accettabili nel conseguimento dei risultati; utilizza-

13 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), Roccia Sciolta Tenera Lapidea Attritiva (RSA) Coesiva (RSC) Fragile (RTF) Duttile (RTD) Fratturata e fragile (RLF) Fratturata Degradata e Duttile (RLD) OL ARG CGL FR STC PCOP PLC EV BAG DOL STG PLM GIM CAS STM COL AS Identificazione e denominazione dei Tipi Litologici raggruppati nelle ULT. OL: PLC: PLM: COL: AS: ARG: CGL: EV: GIM: FR: BAG: CAS: STC: DOL: PCOP: STG: STM: a) Roccia sciolta a comportamento prevalentemente attritivo (RSA) Depositi prevalentemente ghiaiosi ed, in subordine, depositi sabbiosi e limosi. Depositi conglomeratici con livelli sabbiosi. Conglomerati tipicamente rossastri costituiti da ciottoli di rocce cristallino-metamorfiche immersi in matrice sabbiosa grossolana, con occasionali livelli sabbiosi a grana grossolana. Conglomerati e sabbie di colore bruno che tendono a diventare rossastri nelle porzioni sommatali. Depositi residuali. Sabbie ed arenarie giallastre in prevalenza a grana da fine a grossolana, talora bioclastiche, con intercalazioni siltose ed argilloso-siltose. b) Roccia sciolta a comportamento prevalentemente coesivo (RSC) Argille da grigio-chiaro a grigio-scuro, localmente siltose o sabbiose con intercalazioni di sabbie, silt, marne, gessi e calcari evaporitici. c) Roccia tenera fragile (RTF) Conglomerati poligenici immersi in una matrice sabbiosa e con intercalazioni sabbiose. Gessi macrocristallini biancastri e calcari evaporitici grigio-chiari vacuolari, questi ultimi con sottili intercalazioni siltose ed argilloso-siltose. Calcari organogeni compatti di colore da grigio a bruno chiaro. Lave a pillow e brecce di pillow su cui poggiano coperture d età titonico neocomiana. d) Roccia tenera duttile (RTD) Argilloscisti e filladi grigie con frequenti intercalazioni quarzitiche e occasionalmente con intercalazioni di calcari cristallini. Metamorfismo alpino caratterizzato da alta pressione e bassa temperatura. Filladi contenenti intercalazioni di metareniti, porfiroidi. Metamorfismo in facies scisti verdi. Gneiss occhiadini a due miche, spesso fortemente foliati. Paragneiss biotitici minuti a muscovite e localmente a sillimanite. Micascisti granatiferi con cloritoide. Frequenti associazioni di masse pegmatitiche e granitoidi. Metamorfismo prealpino in facies da scisti verdi profonda ad anfibolica. e) Roccia lapidea fratturata fragile (RLF) Calcari neritici, dolomie, conglomerati ed arenarie di tipo Verrucano con intercalazioni di argille rosse e verdi e locali livelli carboniosi. Dolomie e brecce dolomitiche localmente associate a calcari dolomitici. Le rocce appaiono fortemente fratturate. f) Roccia lapidea fratturata e degradata duttile (RLD) Gneiss e fels a granato e sillimanite, frequentemente biotitici. Gneiss tonalitici e quarzo-dioritici. Intercalazioni di masse di anfiboliti e peridotiti. Metamorfismo prealpino in facies granulitica. Graniti e granodioriti spesso a microcristalli di k-feldspato, microgranodioriti, tonaliti, micrograniti a due miche. Filoni di porfidi rossi e verdi. Filladi, metagrovacche e metacalcari; paragneiss biotitici, localmente granatiferi, gneiss biotiticoanfibolici. Tab. 4 - Unità Lito-Tecniche (ULT) definite per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana. Engineering Geological Units (EGU) defined for the evaluation of landslide hazard and risk.

14 110 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. Fig. 5 - Strutture Geologiche Tecniche (SGT) definite per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana. Engineering Geological Structures (EGS) as defined for the assessment of landslide hazard and risk.

15 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), Fig. 6 - Distribuzione di frequenza di area, inclinazione, larghezza e lunghezza delle 105 instabilità considerate nella Carta. Frequency distribution of area, slope angle, width and length of 105 mapped instability phenomena.

16 112 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. Fig. 7 - Distribuzione di frequenza di tipo litologico delle 105 instabilità considerate nella Carta. Frequency distribution of type of rock of 105 mapped instability phenomena. re compiutamente il quadro conoscitivo disponibile in termini generali e specifici per l area di interesse; individuare la scala di rilievo e di rappresentazione più idonea per acquisire gli elementi che, coerentemente con il livello conoscitivo, si ritiene di poter impiegare per la valutazione di pericolosità e rischio (Einstein, 1988). Il percorso delineato impone di tenere chiaramente distinti gli aspetti areali e puntuali e, nel contempo, di promuovere azioni di convergenza ed integrazione al fine di migliorare in maniera significativa le loro potenzialità. Ciò può essere ottenuto sia riferendo la valutazione areale della pericolosità e del rischio da frana a contesti geo-ambientali omogenei rispetto a specifiche tipologie di instabilità di pendio, sia associando la valutazione puntuale della pericolosità e del rischio da frana alla tipizzazione geotecnica delle instabilità di pendio. A quanto precedentemente esposto fa riferimento in termini generali la procedura di seguito illustrata, calibrata rispetto ad elementi di valutazione della pericolosità e del rischio estratti dalla Carta. Nella trattazione si farà riferimento alle seguenti definizioni generali: - Rischio (R): è il prodotto della Pericolosità (H) e del Danno (D). - Pericolosità (H): è la probabilità che una frana potenzialmente distruttiva di determinata intensità (I) si verifichi in un determinato intervallo di tempo ed in una data area. - Intensità (I): è la severità geometrica e meccanica di una frana potenzialmente distruttiva. - Danno (D): è il prodotto del Valore degli elementi a rischio (E) per la loro Vulnerabilità (V) ed esprime quindi l entità dei danni che l evento può produrre. - Valore degli elementi a rischio (E): riferisce dell entità degli elementi a rischio ed è misurato in modo diverso a seconda della loro natura (esp. numero di persone a rischio, valore economico dei beni monetizzabili, ecc.). - Aree vulnerabili: sono zone che possono essere potenzialmente interessate da eventi di frana e su cui insistono elementi a rischio. - Vulnerabilità (V): esprime in termini adimensionali l attitudine dell elemento a rischio a subire danneggiamenti per effetto della frana e si esprime, in particolare, come aliquota dell elemento a rischio che subisce danneggiamento: 0 (nessun danneggiamento), 1 (perdita totale). La vulnerabilità necessita di approfondimenti tali da consentire, in presenza di un quadro conoscitivo adeguato, la valutazione del danneggiamento di uno specifico elemento a rischio prodotto da una frana di caratteristiche note e che, evidentemente, è funzione del potenziale distruttivo della frana e della resistenza globale dell elemento a rischio. Metodologia proposta Esaminando gli elementi che si possono estrarre dalla Carta, e considerando le indicazioni precedentemente illustrate, si possono selezionare quelli utilizzabili per le finalità della presente nota. Nella proposta formulata indichiamo in particolare come elementi base quelli correlabili alle caratteristiche cinematiche, considerando il comportamento meccanico indicativamente attribuito ai volumi di materiale coinvolti nelle instabilità. A tal fine un elemento base utilizzato è rappresentato dalle sei Unità Lito-Tecniche (ULT) ottenute, considerando il quadro conoscitivo disponibile e la scala del rilevamento, raggruppando opportunamente i 17 tipi litologici previsti nella legenda della Carta, Tab. 4. Nella procedura proposta, la superficie dell instabilità utilizzata nella valutazione della pericolosità e del rischio è posta in conto solo nella definizione delle aree vulnerabili. Coerentemente con i contenuti informativi impiegati sono di seguito proposte le definizioni utilizzate nella metodologia.

17 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), L Indicatore di Pericolo, che consiste nella capacità distruttiva indicizzata di una frana di intensità ed attività nota che si verifica in una certa area, è espresso in funzione di un Indicatore di Attività (ia) e di un Indicatore di Intensità (ii). Per la definizione dell Indicatore di Attività sono esaminate due ipotesi: la prima ipotesi considera come elemento di riferimento direttamente il Grado di Attività (GAT), Tab. 5; la seconda ipotesi considera sia il GAT sia lo Stato di Sviluppo (SSV), Tab. 6. I valori dell Indicatore di Attività così calcolati sono riportati nell intervallo 0-1 e, quindi, raggruppati in quattro classi, di ampiezza costante, rappresentative di pericolo crescente (da ia1 a ia4). Per l attribuzione alle instabilità dell Indicatore di Intensità (ii) si è fatto riferimento alla tipologia di instabilità ed al tipo di ULT coinvolta, in particolare sono stati utilizzati due indicatori specifici in diverso modo correlati alla possibile evoluzione (mobilità) del fenomeno nella fase parossistica. L Indicatore specifico della Indicatore di Attività (ia) Quiescente Dubbia Attiva Tab. 5 - Definizione dell Indicatore di Attività (ia) nella prima ipotesi di lavoro. Relativamente al Grado di Attività i casi classificati come dubbio riguardano fenomeni il cui grado di attività non è chiaramente identificabile come attivo o quiescente (3% dei casi). Definition of Activity indicator (ia) based on the first hypothesis. Tipologie Carta al Identificazione ist Colata CO 3 Scorrimento-colata SC 2 Scorrimento in blocco SB 2 Scorrimento SR 1 Colata di roccia (Sackung) CR 3 Tab. 7 - Valori assegnati all Indicatore specifico della tipologia (ist) per l Indicatore di Intensità. Assigned values for the Specific Typology indicator (ist). classi di Indicatore di Intensità (da ii1 a ii4) rappresentative di pericolo crescente. A questo punto, utilizzando la matrice mostrata nella Tab. 10, le instabilità considerate sono collocate in quattro classi indicative del livello di pericolo: (ip1) Indicatore di Pericolo moderato, (ip2) Indicatore di Pericolo medio, (ip3) Indicatore di Pericolo elevato, (ip4) Indicatore di Pericolo molto elevato. Un ulteriore aspetto necessario per la valutazione del rischio è rappresentato dagli Elementi a Rischio (ER) la cui semplice classifica adottata è mostrata nella Tab. 11. Le tipologie di elementi a rischio identificabili dalla Carta sono correlate a tale classifica basandosi sulle caratteristiche funzionali generali ed il carico abitativo ipotizzabile, Tab. 12. In particolare, ad ogni instabilità sono stati associati tutti gli elementi a rischio che ricadono nell areale di influenza che, nel presente lavoro, coincide con la superficie occupata dal fenomeno stesso. Alla Indicatore di Grado di Attività (GAT) Attività ia Quiesc. Dubbia Attiva Stato di Sviluppo (SSV) Esaurito Dubbio Avanzato Tab. 6 - Definizione dell Indicatore di Attività (ia) nella seconda ipotesi di lavoro. Relativamente allo Stato di Sviluppo i casi classificati come dubbio riguardano fenomeni il cui sviluppo non è chiaramente identificabile come avanzato o esaurito (stadio intermedio). Definition of Activity indicator (ia) based on the second hypothesis. Descrizione Generale Roccia Sciolta [RS] Roccia Tenera [RT] ULT Descrizione Specifica Sigla ism Roccia Sciolta a comportamento prevalentemente Attritivo Roccia Sciolta a comportamento prevalentemente Coesivo Roccia Tenera a comportamento prevalentemente Fragile Roccia Tenera a comportamento prevalentemente Duttile RSA 3 RSC 1 RTF 4 RTD 2 tipologia (ist) con valori più alti attribuiti a fenomeni con maggiore mobilità nella fase parossistica (Tab. 7); l Indicatore specifico del materiale (ism) connesso al possibile comportamento a rottura e post-rottura del materiale con valori più alti assegnati ai materiali con comportamento indicativamente fragile (Tab. 8). Una semplice relazione additiva è utilizzata per assegnare ad ogni instabilità considerata il relativo valore dell Indicatore di Intensità, Tab. 9. Con le stesse modalità già descritte i valori ottenuti sono raggruppati in quattro Roccia Lapidea [RL] Roccia Lapidea fratturata a comportamento prevalentemente Fragile Roccia Lapidea fratturata e degradata a comportamento prevalentemente Duttile RLF 5 RLD 2 Tab. 8 - Valori assegnati all Indicatore specifico del materiale (ism) per l Indicatore di Intensità. Assigned values for the Specific Material indicator (ism).

18 114 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. ii Tipologia [ist] ULT [ism] RSA RSC RTF RTD RLF RLD [3] [1] [4] [2] [5] [2] CO [3] SC [2] SB [2] SR [1] CR [3] Tab. 9 - Valori dell Indicatore di Intensità (ii). Values of Intensity indicator (ii). Indicatore di Attività (ia) Indicatore di Intensità (ii) ia1 ia2 ia3 ia4 ii1 ip1 ip1 ip1 ip1 ii2 ip1 ip2 ip2 ip3 ii3 ip1 ip2 ip3 ip4 ii4 ip1 ip3 ip4 ip4 Tab Tabella a due entrate per la determinazione dell Indicatore di Pericolo (ip). Two-entry table for determining the Hazard indicator (ip). Classifica ER1 ER2 ER3 ER4 Identificazione Aree disabitate e improduttive Edifici isolati Infrastrutture viarie minori Zone agricole Verde pubblico Nuclei urbani Insediamenti industriali Insediamenti artigianali Insediamenti commerciali minori Infrastrutture viarie secondarie Centri urbani Grandi insediamenti industriali Grandi insediamenti commerciali Beni architettonici, storici e artistici Principali infrastrutture viarie Servizi di rilevante interesse sociale Tab Ordinamento ed identificazione degli Elementi a Rischio (ER). Ranking and identification of Elements at risk (ER). scala intermedia trattata nella presente nota, per ogni elemento a rischio si assume per la Vulnerabilità, la cui definizione generale rappresenta un aspetto di notevole complessità, la condizione di perdita totale (Gullà, 2002). Pertanto la matrice riportata nella Tab. 13 consente di definire per ogni instabilità di pendio il relativo Indicatore di Danno (id) (da id1 a id4 livello di danno crescente) incrociando gli Elementi a Rischio con l Indicatore di Intensità relativi alla stessa instabilità. Sempre riferendosi a quattro classi, si perviene alla definizione dell Indicatore di Rischio (ir) incrociando l Indicatore di Pericolo e l Indicatore di Danno, Tab. 14. Valutazione indicizzata della pericolosità Con la metodologia illustrata, la cui finalità principale è quella di ottenere indicazioni a scala intermedia circa la pericolosità ed il rischio da frana nella porzione di territorio considerata, sono stati conseguiti i risultati di seguito illustrati. Relativamente all Indicatore di Attività nella Fig. 8a si rileva una significativa variazione nella distribuzione in classi a seconda che si consideri per la sua definizione solo il Grado di Attività (prima ipotesi) o questo con lo Stato di Sviluppo (seconda ipotesi). Nella prima ipotesi si osserva che l 87% delle instabilità ricade nella classe ia2; nella seconda ipotesi la massima concentrazione di fenomeni si mantiene nella classe ia2 (67%), ma si ottiene una significativa presenza nella classe ia1 (30%). L elemento Stato di Sviluppo assume dunque un peso significativo nella definizione dell Indicatore di Attività. Per definire le classi dell Indicatore di Intensità sono stati considerati due possibili divisori per i valori che sono ottenuti dallo schema di cui alla Tab. 9. Nel primo caso il divisore è rappresentato dal valore massimo previsto nella stessa Tab. 9; nel secondo caso è stato assunto come divisore il valore massimo fra quelli attribuiti con lo schema di calcolo di cui alla Tab. 9 alle instabilità considerate. I risultati conseguiti per i due casi indicati sono mostrati nella Fig. 8b ed evidenziano una differenziazione significativa. Utilizzando il valore massimo previsto nello schema di calcolo come divisore si ottiene in generale un risultato che ha un carattere di maggiore generalità, in quanto si riferisce a tutte le condizioni previste dallo stesso schema di calcolo, mentre nel secondo caso, divisore costituito dal valore massimo ottenuto relativamente a tutte le instabilità considerate, si ottiene un indicazione pesata rispetto all area di studio. Sulla base di quanto illustrato è possibile definire le quattro distribuzioni dell Indicatore di Pericolo mostrate nella Fig. 9. Nell ipotesi in cui si consideri solo il Grado di Attività nella definizione dell Indicatore di Attività (prima ipotesi), il confronto di quanto riportato nella Fig. 9a-c consente di rilevare una modesta differenziazione delle due distribuzioni dell Indicatore di Pericolo ottenute per i due casi di classificazione dell Indicatore di Intensità

19 PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE DI... Geologica Romana 38 (2005), IDENTIFICAZIONE DESCRIZIONE CLASSIFICAZIONE Centro Abitato (CEA) Nucleo Abitato (NUA) Case Sparse (CAS) Strada Principale (STP) Strada Secondaria (STS) Si intende un aggregato di case contigue o vicine con interposte strade, piazze e simili, o comunque brevi soluzioni di continuità, caratterizzato dall esistenza di servizi od esercizi pubblici costituenti la condizione di una forma autonoma di vita sociale. Si intende la località abitata, priva del luogo di raccolta che caratterizza il centro abitato, costituita da un gruppo di case contigue o vicine, con almeno cinque famiglie e con interposte strade, sentieri, spiazzi, aie, piccoli orti, piccoli incolti e simili, purchè l intervallo tra casa e casa non superi una trentina di metri e sia in ogni modo inferiore a quello intercorrente tra il nucleo stesso e la più vicina delle case manifestamente sparse. Si intendono quelle disseminate nel territorio comunale a distanza tale tra loro da non poter costituire nemmeno un nucleo abitato. - Autostrada: strada a 4 corsie - Strada a 2 o 3 corsie (7 metri ed oltre) - Strada ad una corsia (tra 3,5 e 7 metri) - Rotabile secondaria - Mulattiera, sentiero ER4 ER3 ER2 ER4 ER3 Ferrovia (FER) Linea ferroviaria ER4 Tab Identificazione, descrizione e classificazione degli Elementi a Rischio (ER) derivati dalla Cartografia I.G.M.I. a scala 1: Identification, description and ranking of Elements at Risk (ER) in the 1:50,000 scale map of I.G.M.I. Indicatore di Intensità Elementi a Rischio ii1 ii2 ii3 ii4 ER1 id1 id1 id1 id1 ER2 id1 id2 id2 id3 ER3 id1 id2 id3 id4 ER4 id1 id3 id4 id4 Tab Tabella a due entrate per la determinazione dell Indicatore di Danno (id). Two-entry table for determining the Damage indicator (id). (rispettivamente divisore pari al massimo valore previsto nella Tab. 9 e divisore pari al massimo valore relativo alle frane considerate); ad una conclusione analoga si perviene se nella definizione dell Indicatore di Attività si considera Grado di Attività e Stato di Sviluppo (seconda ipotesi), Fig. 9b-d. Nel caso in cui la classificazione dell Indicatore di Intensità è condotta riferendosi al valore massimo previsto dallo schema di calcolo (Tab. 9) (primo caso), possiamo osservare quanto segue nelle distribuzioni dell Indicatore di Pericolo ottenute senza e con l elemento Stato di Sviluppo: rimane sempre più alta la percentuale nella classe ip2 con valori rispettivamente dell 87% e del 64%; si ha una variazione delle percentuali nella classe ip1 con valori rispettivamente del 3% e del 32% (Fig. 9 a-b). Una situazione sostanzialmente analoga si rileva fra le distribuzioni dell Indicatore di Pericolo, considerando per la classificazione di ii il valore massimo ottenuto per le frane dall area di studio (secondo caso), Fig. 9c-d. Quanto illustrato indica dunque che per l area di studio esaminata i due diversi casi di adimensionalizzazione considerati per ii non determinano differenze nelle distribuzioni dell Indicatore di Pericolo. Inoltre la notevole omogeneità geologica dell area di studio fa sì che l utilizzo dell elemento Struttura Geologico Tecnica, in sostituzione dell elemento Unità Lito Tecnica, nella definizione dell Indicatore di Intensità, non produca sostanziali differenze nelle distribuzioni dell Indicatore di Pericolo ottenute (Gullà et al., 2002).

20 116 Geologica Romana 38 (2005), GULLÀ et al. id1 id2 id3 id4 ip1 ir1 ir1 ir1 ir1 ip2 ir1 ir2 ir2 ir3 ip3 ir1 ir2 ir3 ir4 ip4 ir1 ir3 ir4 ir4 Indicatore di rischio moderato (ir1): danni sociali, economici ed al patrimonio ambientale marginali. Indicatore di rischio medio (ir2): possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l incolumità delle persone, l agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche. Indicatore di rischio elevato (ir3): possibili problemi per l incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici ed alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, interruzioni di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale. Indicatore di rischio molto elevato (ir4): possibili perdite di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture ed al patrimonio ambientale, distruzioni di attività socio-economiche. Tab Tabella a due entrate per la determinazione dell Indicatore di Rischio (ir) e relativa descrizione. Two-entry table for determining the Risk indicator (ir), and definition of rank. Ulteriori elementi aggiuntivi sono stati utilizzati per valutarne gli effetti sull Indicatore di Pericolo (Gullà et al., 2002). In particolare sono stati considerati: pendenza (PEN), rapporto tra la distanza corona-unghia e la larghezza dell instabilità (DCU/LAR), differenza di quota tra corona e unghia dell instabilità (DQU), distanza della struttura tettonica più vicina al punto di massima curvatura della corona quando inferiore a 500 m (DIC). Il peso degli elementi considerati è stato definito sulla base di semplici assunzioni di proporzionalità fisico-meccanica. Si è quindi assunto che l intensità del fenomeno aumenti: con la pendenza media del versante (PEN); per valori crescenti del rapporto DCU/LAR (forma allungata indicativa di una maggiore mobilità del fenomeno); con la differenza fra la quota massima e minima (DQU); in maniera inversamente proporzionale alla distanza tra la struttura tettonica ed il punto di maggiore curvatura della corona dell instabilità stessa. Relativamente a quest ultimo aspetto sono disponibili riferimenti circostanziati per alcuni contesti geo-ambientali della Calabria (Greco & Sorriso-Valvo, 2005). In definitiva le valutazioni riassunte portano a concludere che alla scala intermedia l utilizzo degli elementi aggiuntivi non produce significative variazioni negli scenari indicativi di pericolosità e, pertanto, gli stessi non sono strettamente necessari nella definizione dell Indicatore di Pericolo alla scala intermedia considerata. Stima del rischio Per una verifica completa della metodologia proposta nella presente nota si è proceduto alla valutazione dell Indicatore di Rischio per alcune instabilità rappresentative presenti nella Carta, Fig. 10. Per una maggiore generalità l Indicatore di Pericolo utilizzato è quello definito considerando: l Indicatore di Attività ottenuto con il Grado di Attività e lo Stato di Sviluppo (seconda ipotesi), l Indicatore di Intensità calcolato rispetto al massimo valore previsto nello schema di cui alla Tab. 9 (primo caso). Nella Tab. 15 sono riportate le classi relative a Indicatore di Attività, Indicatore di Intensità ed Indicatore di Pericolo che sono attribuite alle instabilità scelte. Riguardo l Indicatore di Attività le situazioni esaminate sono attribuite alle seguenti classi: due ad ia1, tre ad ia2, una ad ia4; relativamente all Indicatore di Intensità, le 6 instabilità sono invece collocate a coppia nelle classi ii2, ii3 ed ii4. Consegue da quanto illustrato che per quanto concerne l Indicatore di Pericolo abbiamo l attribuzione dei casi trattati alle seguenti classi: due casi ciascuno ad ip1 ed ip2, un caso ciascuno ad ip3 ed ip4. Nella Tab. 16 sono riportati gli elementi vulnerabili rilevati dalla Carta nell areale di riferimento delle instabilità considerate, Fig. 10. Possiamo constatare che sono presenti diverse combinazioni di elementi vulnerabili, ad esempio: nucleo abitato (NUA), strada principale (STP), strada secondaria (STS) e ferrovia (FER) per la frana 92 (Fig. 10a); centro abitato (CEA) e strada secondaria (STS) per l instabilità 123 (Fig. 10b); case sparse (CAS) e strada secondaria (STS) per l instabilità identificata con il numero 124 (Fig. 10b). Sulla base di quanto illustrato ed utilizzando la matrice proposta nella Tab. 13, sono individuati gli Indicatori di Danno attribuiti alle instabilità considerate: id3 per le instabilità 28, 92 e 119, id4 per le instabilità 13, 123 e 124. Con la matrice riportata nella Tab. 14, e facendo riferimento agli Indicatori di Danno e di Pericolo assegnati ad ognuna delle instabilità considerate, sono assegnati alle stesse instabilità i relativi Indicatori di Rischio, Tab.17. Dalla tabella richiamata si può rilevare che ai sei casi considerati per la valutazione indicizzata del rischio sono attribuiti a coppia gli indicatori ir1, ir2 ed ir4, quest ultimo indicativo della condizione di rischio più elevata.

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