DOCUMENTI RAPPORTO CONTRATTAZIONE, RETRIBUZIONI E COSTO DE L LAVORO IN ITALIA

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1 DOCUMENTI 23 RAPPORTO CONTRATTAZIONE, RETRIBUZIONI E COSTO DE L LAVORO IN ITALIA

2 Il presente Rapporto è stato curato dal CNEL sulla base dello studio effettuato dal CESOS (Centro di Studi Economici Sociali e Sindacali). Alla redazione del testo hano contribuito: Serafino Negrelli e Lorenzo Bordogna (Sezione prima); Lorenzo Bordogna e Aldo Marchetti (Sezione seconda); Lauralba Bellardi, Gabriella Leone, Giovanni Roma e Vito Leccese (Sezione terza); Cesare Vignocchi, Fedele De Novellis e Federica Origo (Sezione quarta); Madia D Onghia e Domenico Paparella (Sezione quinta). 2

3 INDICE Premessa... pag. 9 SEZIONE PRIMA - L EVOLUZIONE DEL DIALOGO SOCIALE SOCIALE E LE PROSPETTIVE DEI MODELLI CONTRATTUALI IN EUROPA EVOLUZIONE DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI NEI PRINCIPALI 1. PAESI EU (Spagna, Germania, Francia, Gran Bretagna) Tendenze di centralizzazione o decentramento dei livelli contrattuali Evoluzione generale dei rapporti tra i vari livelli della struttura contrattuale Dibattito sulla struttura contrattuale e sui contenuti principali IL DIALOGO SOCIALE A LIVELLO EUROPEO Evoluzione generale del dialogo sociale europeo a livello macro Le direttive La dimensione intersettoriale e settore del dialogo sociale Il ruolo delle parti sociali: proposte e iniziate POSSIBILI SCENARI NEL NUOVO QUADRO DELL EUROPA 1. DELL EURO

4 Il nuovo quadro politico-economico e settoriale del dialogo sociale... pag Coordinamento delle politiche contrattuali in Europa: iniziative a livello intersettoriale (tripartite, bipartite o unilaterali) Coordinamento delle politiche contrattuali in Europa: iniziative a livello settoriale o di categoria Valutazioni e prospettive ATTIVITÀ E SVILUPPO DEI COMITATI AZIENDALI EUROPEI Grado di diffusione degli accordi Ruolo e competenze Attori e composizione Attività e funzionamento BIBLIOGRAFIA SEZIONE SECONDA - L EVOLUZIONE DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI E L ATTIVITÀ NEGOZIALE IN ITALIA VERIFICA DELL ATTUAZIONE DEGLI ACCORDI DI CONCERTAZIONE 1. E POLITICA DEI REDDITI I principali contenuti del Patto sociale per lo sviluppo e l occupazione del 22 dicembre L attuazione del Patto di Natale Prospettive (incerte) della concertazione L EVOLUZIONE DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI A LIVELLO 2. CONFEDERALE L assetto contrattuale ereditato dall accordo del luglio e il dibattito tra le parti sociali e gli esperti sulle opzioni per una eventuale riforma La contrattazione interconfederale per la trasposizione delle direttive europee L EVOLUZIONE DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI A LIVELLO 3. NAZIONALE DI CATEGORIA Premessa

5 L assetto della contrattazione e alcuni aspetti del dibattito in corso... pag L evoluzione dei contenuti della contrattazione nazionale di categoria Osservatori, commissioni miste e sistema di informazione Gli enti bilaterali Procedure negoziali e composizioni dei conflitti individuali e collettivi L EVOLUZIONE DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI A LIVELLO 4. DECENTRATO (AZIENDALE E TERRITORIALE): MODELLI, 4. ESPERIENZE E TENDENZE Le caratteristiche del campione Materie oggetto della contrattazione aziendale La contrattazione del premio di risultato L orario di lavoro Relazioni sindacali e diritti sindacali Formazione del personale e ambiente e salute Altre materie della contrattazione decentrata BIBLIOGRAFIA SEZIONE TERZA - L EVOLUZIONE DEGLI ISTITUTI CONTRATTUALI: LA DISCIPLINA NEGOZIALE DEI RAPPORTI DI LAVORO LE TENDENZE DELLA DISCIPLINA NEGOZIALE: SPUNTI DI 4. RIFLESSIONE LE RELAZIONI SINDACALI Sistemi di informazione e consultazione Organismi bilaterali e osservatori SISTEMI DI INQUADRAMENTO E CLASSIFICAZIONE PROFESSIONALE LA RETRIBUZIONE: STRUTTURA, COMPOSIZIONE E ASSETTI 4. CONTRATTUALI LA DURATA DELLA PRESTAZIONE: ORARIO DI LAVORO, 4. STRAORDINARIO, LAVORO NOTTURNO

6 6. AMBIENTE, SALUTE E SICUREZZA... pag FORMAZIONE, CREDITI FORMATIVI E DIRITTO ALLO STUDIO I CONTRATTI FORMATIVI LE PRESTAZIONI DI LAVORO C.D. FLESSIBILI Premessa Il contratto per fornitura di lavoro temporaneo (c.d lavoro interinale) Il part-time In particolare: le clausole elastiche nel part-time Segue: il lavoro supplementare e straordinario nel part-time Il lavoro ripartito (job sharing) IL TELELAVORO LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE CONCILIAZIONE E ARBITRIO SEZIONE QUARTA - COSTO DEL LAVORO E RETRIBUZIONI COSTO DEL LAVORO E RETRIBUZIONI L evoluzione recente dello scenario macroeconomico Inflazione programmata ed effettiva Il recente andamento delle ragioni di scambio Dispersione settoriale, retribuzioni contrattuali e di fatto Retribuzioni reali e distribuzione del valore aggiunto ai fattori della produzione IL COSTO DEL LAVORO: L ITALIA NEL CONTESTO EUROPEO Il differenziale di costo del lavoro La composizione del costo del lavoro: un analisi strutturale STRUTTURA ED EVOLUZIONE DEI DIFFERENZIALI SALARIALI 3. IN ITALIA NELLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI Differenziali salariali e caratteristiche d impresa

7 Progresso tecnico non neutrale, skill gap e differenziali salariali tra qualifiche... pag Le differenze di genere Differenziale di genere e discriminazione BIBLIOGRAFIA APPENDICE APPENDICE SEZIONE QUINTA - APPROFONDIMENTI TECNICI LE REGOLAZIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO PER VIA LEGISLATIVA 1. E LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA Interventi legislativi del biennio 2000/ Forme flessibili d impiego Contratto a termine Part-time Lavoro interinale Promozione di un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione Tutela della maternità e della paternità Congedi per eventi particolari e formativi Trasferimento d azienda Socio lavoratore di cooperativa Lavoro notturno Sciopero nei servizi pubblici essenziali L UTILIZZO DELLE TIPOLOGIE DEI RAPPORTI DI LAVORO NELLA 2. PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA (CONTRATTI D AREA, PATTI 2. TERRITORIALI) Premessa L esperienza italiana della programmazione negoziata L esperienza europea I caratteri della concertazione territoriale Relazioni industriali e contrattazione collettiva La contrattazione collettiva per la competitività Le nuove forme di regolazione del lavoro

8 Le politiche industriali e di sviluppo... pag La regolazione del lavoro Le relazioni industriali e la rappresentanza Il governo del mercato del lavoro Conclusioni BIBLIOGRAFIA

9 PREMESSA Il presente Rapporto, in attuazione delle disposizioni contenute dalla legge 936/86 (art. 10, co.1 e artt. 16 e 17), assolve alle funzioni conoscitive e di sostegno alla razionalizzazione delle relazioni sindacali in Italia, nonché alla necessità di sistematici approfondimenti in tema di retribuzioni e costo del lavoro. Le analisi e le considerazioni contenute nelle pagine che seguono riguardano il periodo 1 gennaio settembre 2001 e si avvalgono del materiale di studio e di ricerca predisposto dal Cesos (Centro di Studi Economici Sociali e Sindacali) che da molti anni, segue sistematicamente, anche con il patrocinio del Cnel, le dinamiche, i contenuti e le prospettive di evoluzione delle tematiche che costituiscono l oggetto del Rapporto medesimo. Lo studio si propone, da un lato, di mettere in luce gli andamenti generali delle tematiche indagate e, dall altro, di sottolineare le questioni di maggior rilievo che hanno caratterizzato il periodo preso in considerazione; le valutazioni in esso contenute non sono, come è facilmente intuibile, esenti da limiti di vario genere e richiederanno, pertanto, approfondimenti e considerazioni aggiuntive in considerazione, soprattutto, della delicatezza delle vicende oggetto di analisi. La peculiarità del nuovo Rapporto va individuata nel fatto di aver trattato, in un unico contesto, tematiche che, negli anni precedenti, erano affrontate da due distinte ricerche: quella sulle Relazioni sindacali e quella su Retribuzioni e costo del lavoro. 9

10 Particolare attenzione è stata posta al fine di evitare, per quanto possibile, eventuali sovrapposizioni con altri documenti prodotti dal Cnel. La ricchezza delle analisi e lo spessore degli approfondimenti teorici effettuati dal Cnel in altri campi hanno peraltro consentito l arricchimento del materiale di studio e l aggiornamento dei dati che sono stati utilizzati. Pur lasciando invariata la struttura essenziale del Rapporto è sembrato opportuno conferire maggiore spazio, rispetto al passato, a tematiche particolarmente attuali quali, ad esempio, quelle legate all evoluzione del dialogo sociale e alle prospettive dei modelli contrattuali in Europa. A tale riguardo è stato sottolineato l impulso dato all evoluzione generale del dialogo sociale europeo da importanti eventi che hanno caratterizzato il periodo preso in esame: si pensi all approvazione della Carta dei diritti fondamentali da parte del Consiglio europeo a Nizza nel dicembre 2000 e ad alcuni articoli fondamentali (artt. 12 Libertà di assemblea e di associazione ; 27 Diritti di informazione e di consultazione dei lavoratori nelle imprese ; 28 Diritto di azione e di contrattazione collettiva ) per lo sviluppo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva dell Unione, o, ancora, alla Strategia europea per l occupazione, divenuta una delle aree più dinamiche della politica comunitaria, in stretto collegamento con le politiche sociali, di relazioni industriali e con la stessa contrattazione collettiva. Che il dibattito sul dialogo sociale, sui relativi metodi e sul ruolo delle parti sociali resti aperto è confermato anche dalla proposta avanzata dalla Commissione europea (giugno 2000) di una nuova agenda quinquennale sulla politica sociale, nella quale, da un lato, vengono indicati gli obiettivi da raggiungere in tutte le aree ritenute prioritarie, dall altro viene rivolto un esplicito invito alle parti sociali affinchè assumano un ruolo di leadership nel raggiungimento degli stessi. In questo contesto appare utile richiamare le conclusioni del Consiglio europeo di Barcellona, anche se non contenute nel Rapporto: l ultimo vertice europeo ha ribadito che la scelta strategica dell Europa è quella di concentrare gli sforzi per aumentare l occupazione; i capi di 10

11 Stato e di Governo hanno affermato che la strategia europea per l occupazione si è dimostrata valida, ma deve essere semplificata, e che gli o- rientamenti definiti ogni anno dal Consiglio devono vincolare più efficacemente gli Stati membri. In tema di flessibilità, le conclusioni di Barcellona sottolineano la necessità di coniugare questa esigenza delle imprese con quella dei lavoratori in materia di sicurezza, mentre in tema di evoluzione dei salari la raccomandazione emersa è quella di consentirla in base agli sviluppi della produttività. Queste, in estrema sintesi, le ricette per modernizzare il mercato del lavoro. Tornando ai contenuti del rapporto, per quanto riguarda il dialogo sociale intersettoriale in senso stretto, un evento significativo al quale si è voluto dare rilievo è l accordo sul lavoro a tempo determinato, raggiunto il 14 gennaio 1999 e sottoscritto formalmente il 18 marzo tra la Ces (Confederazione europea dei sindacati), l Unice (associazione europea degli imprenditori privati) e la Ceep (associazione europea degli imprenditori pubblici). Tale accordo costituisce la terza intesa raggiunta direttamente dalle parti sociali a livello sovra-nazionale, dopo quelli citati del 1995 sui congedi parentali e del 1997 sul lavoro a tempo parziale. Seguendo la stessa procedura precedente, a tale accordo è stato attribuito effetto legale mediante una Direttiva da recepire e implementare negli stati membri entro il 10 luglio Per quel che concerne il nuovo contesto economico creato dal processo di unificazione monetaria, il Rapporto mette in luce la pressione concorrenziale cui sono esposte le economie nazionali, unitamente alla eliminazione della possibilità per i singoli paesi di utilizzare il tasso di interesse ed il tasso di cambio della moneta come strumenti di aggiustamento economico, nonché la severa limitazione della autonomia fiscale dei paesi membri, in virtù dei vincoli sulla finanza pubblica (deficit e debito) fissati dal Patto di Stabilità e Crescita. Dall insieme di questi vincoli, che eliminano lo spazio di manovra sulle monete nazionali e limitano in maniera sostanziale quello sui bilanci pubblici, consegue che la via maestra per assicurare la competitività delle economie nazionali e per compensare eventuali shock asimmetrici passa attraverso comportamenti virtuosi ex-ante degli attori e- 11

12 conomici nelle imprese e nel mercato del lavoro. Di qui l importanza, in generale, dei sistemi nazionali di relazioni industriali e della contrattazione collettiva in particolare, quali variabili chiave sostitutive del tasso di cambio, su cui ricade buona parte della responsabilità di assicurare la competitività delle economie e delle imprese nazionali, di compensare shock asimmetrici, di accompagnare le differenze regionali, settoriali e professionali di performance economica. Questa visione della centralità del ruolo delle politiche contrattuali e retributive, e delle relazioni industriali in genere, nel nuovo contesto economico-politico creato dall Unione monetaria è considerata con cautela dai principali sindacati europei; essi sottolineano che in tal modo si sposterebbe il baricentro della contrattazione collettiva dal criterio della produttività e della sua distribuzione tra i fattori della produzione a quello della competitività, con il rischio di avviarsi ad una crescente concorrenza tra regimi nazionali di relazioni industriali. Da ciò nascerebbe l esigenza, se non di una europeizzazione della contrattazione collettiva (scarsamente realistica nelle condizioni date), almeno di un coordinamento trans-nazionale o sovra-nazionale delle politiche contrattuali e di relazioni industriali. In materia di concertazione il Rapporto registra come, dopo la conclusione del Patto di Natale e la sua parziale applicazione, questa ha conosciuto alterne fortune: nei rapporti tra le parti sociali, infatti, si sono accumulate tensioni che hanno condizionato il dibattito generale e le prospettive concrete delle prassi concertative. Con il Libro Bianco sul Mercato del Lavoro in Italia, nel quale è contenuto un programma di legislatura in materia, oltre alle misure di merito, parte delle quali riprese in due appositi disegni di legge delega collegati alla finanziaria 2002, uno sul mercato del lavoro ed uno sulle pensioni ed il trattamento di fine rapporto, viene prospettata dal Governo una valutazione sull esperienza di concertazione degli anni novanta; questa viene legata soprattutto agli obiettivi di contenimento dell inflazione e di risanamento dei conti pubblici richiesti dalla partecipazione all Unione economica e monetaria europea. Con riguardo alla concertazione il Libro Bianco indica il modello del dialogo sociale, così come regolamentato a livello comunitario e co- 12

13 me recepito e proceduralizzato nel Patto di Natale del 98, quale punto di riferimento più convincente per una rinnovata metodologia nei rapporti tra istituzioni e parti sociali anche a livello interno. La novità del passaggio dalla concertazione, secondo la prassi degli anni 90, al dialogo sociale non sembra solo nominalistica, tanto che l Assemblea del Cnel (in data 22 febbraio e 27 settembre 2001), ha espresso una certa preoccupazione circa la salvaguardia della politica dei redditi e della concertazione. Il tema dell assetto contrattuale ereditato dall accordo del luglio 93, più volte al centro del confronto tra le parti sociali e oggetto di riflessione da parte di studiosi ed esperti, ha dato vita ad un acceso dibattito che non è approdato ad orientamenti decisivi. Le posizioni delle parti, infatti, non sembrano mutate nella sostanza: da un lato, i datori di lavoro sottolineano qualche inadeguatezza della struttura definita nel 1993, una volta assolto il compito di aiutare il rientro dall inflazione e il raggiungimento dei criteri per l ingresso nell Unione monetaria europea: con l inflazione sotto controllo, e nel nuovo contesto dell euro, si affaccia la tesi che la compresenza di due livelli contrattuali non sia più del tutto giustificata e sia poco compatibile con le esigenze di competitività delle imprese. Sarebbe invece opportuna una maggiore snellezza e flessibilità del sistema contrattuale, assicurata dalla presenza di un solo livello, o grazie alla semplice abolizione di quello nazionale di categoria, o attraverso un meccanismo che metta in alternativa contratto nazionale e aziendale, lasciando le imprese libere di scegliere. Su questo tema, come su altri, si registra la differenziazione delle posizioni delle maggiori Organizzazioni. Il Rapporto si sofferma anche ad esaminare l evoluzione recente della struttura contrattuale relativamente ad alcuni contratti nazionali di categoria (agricoltura, metalmeccanico, chimico, tessile, commercio, credito, pubblico impiego, telecomunicazioni, elettrici) e alcune tendenze della contrattazione aziendale per l anno 2000, mettendo in evidenza la tendenza al decentramento dell azione negoziale con una crescente importanza della contrattazione di secondo livello. Un altra tendenza messa in rilievo, che caratterizza i più recenti contratti presi in considerazione, è rappresentata anche dallo sviluppo degli osservatori 13

14 come organismi stabili, in grado di assumere, progressivamente, compiti e prerogative precedentemente attribuiti ad altre strutture. Negli ultimi contratti, inoltre, acquistano una crescente importanza gli enti bilaterali (in alcuni settori le commissioni paritetiche), aventi il compito principale di coordinare e promuovere iniziative di formazione professionale per i dipendenti delle categorie. Ampio spazio è dato nel Rapporto alle innovazioni e alle modifiche apportate alla disciplina dei rapporti individuali e collettivi di lavoro conclusi nel periodo considerato. Alcuni degli aspetti che emergono dalle discipline contrattuali analizzate appaiono particolarmente rilevanti perché evidenziano tendenze significative nella disciplina di taluni istituti contrattuali, ovvero segnalano punti critici e problematiche che incidono sull assetto complessivo delle relazioni industriali e sulla loro evoluzione futura; alcune riflessioni fatte sugli aspetti relativi alla durata dei contratti ed alla disciplina in materia di retribuzione segnalano taluni profili di sofferenza dei principi e del modello di struttura contrattuale formalizzato dal Protocollo del 23 luglio In materia di retribuzione è stato posto l accenno su alcune tendenze contrattuali in materia e, più specificamente, è stata tentata una valutazione circa il fatto che si possa, concretamente, considerare avviata la flessibilizzazione delle retribuzioni: il risultato atteso è una redistribuzione del reddito tra salari e profitti idonea, da una parte, a consentire una crescita non inflazionistica delle retribuzioni e un aumento degli investimenti, dall altra, ad avviare un processo di crescita economica e dell occupazione. Anche la fase contrattuale che qui si analizza conferma il nodo critico che già si era evidenziato in occasioni precedenti. Particolare attenzione viene data alle innovazioni, alle modifiche e alle integrazioni in materia di orario di lavoro e di prestazioni di lavoro c.d. flessibili. Su queste ultime, in particolare, la produzione contrattuale è veramente estesa, in quanto i contratti collettivi hanno regolato istituti nuovi (tali almeno per il livello di categoria, esistendo già alcuni accordi aziendali in materia), come il lavoro ripartito (job sharing), e proseguito l opera di adeguamento della disciplina negoziale alle innovazioni legislative che, per soddisfare le esigenze di flessibilità organiz- 14

15 zativa e produttiva delle imprese, hanno introdotto nuove forme di lavoro - come è avvenuto nelle pubbliche amministrazioni per il telelavoro - ovvero ridotto i vincoli relativi alle condizioni e alle modalità del ricorso a tipologie contrattuali già esistenti, attribuendo rilevanti funzioni - in tale prospettiva - ai contratti collettivi. Nel settore pubblico la tendenza liberalizzatrice appare, invece, meno accentuata. Il Rapporto apprezza l attenzione dedicata, sulla scia delle innovazioni legislative nazionali e comunitarie, alla formazione dei lavoratori. I contratti, infatti, tendono a creare una sorta di punto di incontro fra le esigenze di crescita dei lavoratori e i fabbisogni professionali delle imprese e, in alcuni casi, anche a creare le condizioni di una più stretta collaborazione con i servizi pubblici all impiego, per tener conto delle esigenze e delle potenzialità dei soggetti, pubblici e privati, che operano nello stesso territorio. Per quanto riguarda, infine, le discipline in materia di relazioni sindacali, esse paiono dirette a rafforzarne la proceduralizzazione e, tramite questa, a favorirne la stabilità in un clima di cooperazione tra i soggetti negoziali, soprattutto sulle materie di loro maggiore interesse. In tema di costo del lavoro e retribuzioni il Rapporto segnala come l attenzione alla dinamica nominale e reale delle retribuzioni, rafforzata dai meccanismi di politica dei redditi, avrebbe spesso relegato sullo sfondo un fenomeno molto rilevante, quello del progressivo spostamento delle quote distributive a sfavore del lavoro. Recentemente questa evoluzione si è arrestata. La quota del valore aggiunto attribuita al capitale si è stabilizzata sugli elevati valori raggiunti, l occupazione ha ripreso a crescere e la produttività procapite ha mostrato segni di cedimento. Il recente incremento dell elasticità dell occupazione rispetto agli andamenti economici sembra procedere assieme all ingresso di nuova forza lavoro, spesso con figure contrattuali atipiche e con livelli di produttività progressivamente in flessione. Ma questo non è l unico mutamento importante che sta caratterizzando il mercato del lavoro del nostro paese. Il completamento dell Unione Mo- 15

16 netaria Europea stabilizza la possibilità di un immediato confronto fra i livelli monetari delle diverse grandezze economiche, fra le quali un posto di rilievo è occupato dal costo del lavoro. Alla luce di una maggiore mobilità futura dei diversi fattori produttivi, l esistenza di significativi differenziali di costo diverrà un elemento importante non solo nelle scelte di localizzazione delle imprese, ma anche delle persone, soprattutto dei lavoratori più qualificati. Il confronto sui livelli salariali non è mai, tuttavia, un esercizio agevole. Le differenze istituzionali e strutturali che esistono fra i vari Paesi tendono, infatti, a introdurre elementi spuri difficilmente eliminabili; ciò spinge a trarre da questa rilevazione indicazioni di posizionamento, più che valutazioni numeriche precise; si evince, così, che il nostro paese, in termini di costo orario industriale si troverebbe poco al di sotto della media europea. Relativamente al salario il differenziale, invece, tende ad ampliarsi, a causa della maggiore incidenza degli oneri sociali. Operando con un approccio di più semplice disaggregazione settoriale è stato possibile anche introdurre ulteriori qualificazioni circa il posizionamento del nostro paese: il maggiore addensamento delle imprese italiane in settori tradizionali è in parte compensato dal fatto che in questi settori il nostro costo del lavoro è più sostenuto rispetto alla media europea. Lo stesso avviene all estremo opposto, cioè nei settori fortemente innovativi, mentre nei settori intermedi il costo del lavoro italiano è più basso. Disaggregando per classi dimensionali si ottiene infine un più contenuto costo proprio nelle imprese di minori dimensioni. Le specificità del nostro Paese sono state messe in luce anche analizzando il nesso che lega i differenziali salariali e le caratteristiche d impresa. L esistenza di significative differenze nei salari percepiti da lavoratori simili, in termini di livello di istruzione, esperienza lavorativa, qualifica ed altro, ma occupati in imprese con diverse caratteristiche, costituisce un risultato ormai consolidato. Gli elementi che determinano tali rilevanti differenze salariali intersettoriali sono stati individuati, principalmente, nel grado di concentrazione del mercato, nel potere di contrattazione del sindacato, nelle specificità tecnologiche, nella composizione della forza lavoro, nella dimensione media delle imprese. 16

17 Il Rapporto tiene conto anche della localizzazione geografica dell impresa e registra l evoluzione del differenziale per macro-aree: l intero Nord tende a migliorare la sua posizione, in termini di salari pagati alle categorie operaie, rispetto al Sud e al Centro. Per gli impiegati avviene lo stesso in relazione al confronto Nord-Sud, ma il Centro mantiene invariata la sua condizione di maggior favore. Non è stata, infine, tralasciata una dettagliata analisi dei differenziali di genere, tema cui si presta sempre maggiore attenzione. Nel corso degli anni 90, per la media delle qualifiche si è registrato un certo ridimensionamento di tale differenziale, giunto verso la fine del decennio in prossimità del 20%. Allo stesso tempo, il miglioramento delle condizioni salariali è stato accompagnato da un generale incremento dell incidenza dell occupazione femminile. Il Rapporto è, conclusivamente, orientato a ricostruire e descrivere con un taglio il più possibile neutro le questioni e gli eventi che maggiormente hanno caratterizzato il periodo preso in esame, i comportamenti e le scelte degli attori del mondo economico-sindacale e, quindi, le conseguenze che ne sono derivate, al fine di proporre una lettura degli avvenimenti che possa essere largamente condivisa in una fase, peraltro, caratterizzata da una difficile transizione del sistema verso assetti contrassegnati da una maggiore modernità. La Commissione dell Informazione 17

18 SEZIONE PRIMA L EVOLUZIONE DEL DIALOGO SOCIALE E LE PROSPETTIVE DEI MODELLI CONTRATTUALI IN EUROPA 19

19 1. EVOLUZIONE DEGLI ASSETTI CONTRATTUALI NEI PRINCIPALI PAESI UE (CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A SPAGNA, GERMANIA, FRANCIA, GRAN BRETAGNA) 1.1 Tendenze di centralizzazione/decentramento dei livelli contrattuali ed evoluzione dei rapporti tra i vari livelli della struttura contrattuale Nel 2000 la contrattazione collettiva nei paesi dell Unione europea si è svolta in uno dei contesti economici più favorevoli di tutto il decennio, seppur nell ambito dei più modesti rendimenti realizzati nelle realtà più significative: Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia. La crescita economica nel 2000 è stata del 3,4%, il livello più alto dal 1989, ma in molte economie il livello ha superato il 4% (Irlanda 10,5%; Finlandia 4,8%; Spagna 4,1%). L aumento delle esportazioni, derivante dalla maggior debolezza dell euro rispetto al dollaro, ha contribuito in gran parte a tale crescita. Come sembra dimostrare anche il fatto che negli undici paesi dell area euro la crescita è stata leggermente superiore: 3,5%. L inflazione si è mantenuta un po sopra il 2% (2,3% nell area dell euro), ovvero quasi un punto percentuale in più rispetto all anno precedente, a causa soprattutto degli effetti dell aumento dei prezzi del petrolio. Va ricordato che nello stesso periodo, l inflazione negli Stati U- niti è salita dall 1,8% al 3,2%. La crescita economica ha avuto effetti positivi sull occupazione. In particolare, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il livello più bas- 21

20 so degli ultimi 20 anni, l 8,4% nell UE e il 9% nei paesi dell area euro (contro rispettivamente il 9,2% e il 9,9% nel 1999; e il 9,9% e il 10,8% nel 1998). In alcuni paesi, il tasso è rimasto ancora alto nel 2000: oltre il 10% in Spagna (14,2%), Grecia e Italia; tra l 8% e il 10% in Francia, Germania, Finlandia e Belgio; anche se in questi stessi paesi i miglioramenti nel recente periodo e soprattutto nel 2001 sono stati particolarmente significativi. Ma nella maggior parte dei paesi dell UE il tasso di disoccupazione è al di sotto del 6% (e in alcuni, come l Austria, la Danimarca, l Irlanda, l Olanda, vicino o al di sotto del 4%), segnalando pertanto realtà di quasi piena occupazione. Se l evoluzione degli assetti contrattuali nei paesi dell UE è stata influenzata da tale contesto, ha anche contribuito ad alcuni risultati, in particolare se si osservano i prevalenti atteggiamenti di moderazione salariale. L andamento delle retribuzioni è caratterizzato infatti anche nel 2000 dalla crescita moderata dei salari nominali, +2,8% rispetto al +2,5% del 1999, nei paesi dell Ue (ma rispettivamente +2,4% e +1,9% nell area dell euro). Data la più elevata inflazione, la crescita dei salari reali è stata modesta nei paesi dell Ue (+0,6% nel 2000, contro +1% nel 1999) e vicino allo zero negli undici paesi dell area dell euro (rispettivamente +0,1 e +0,6%). Sono andamenti che sembrano confermati anche dalle stime delle rispettive banche centrali nazionali dei paesi Ue nel 2001, in un contesto di crescita economica che va però delineandosi come molto meno favorevole, se non di vera e propria recessione, rispetto all anno precedente. I salari nominali sarebbero infatti cresciuti del 3,3% nei quindici paesi Ue e del 3% nei paesi della zona euro; i salari reali invece rispettivamente dello 0,8% e dello 0,2%. Se si considera il rapporto tra crescita dei salari reali e crescita della produttività del lavoro, si può osservare che se nei paesi Ue la prima è pari o leggermente superiore alla seconda (+0,1); nei paesi della zona euro essa è nettamente inferiore (-0,3%). Si tratta ormai di una tendenza di lungo periodo protrattasi per tutti gli anni novanta. Secondo una rilevazione dell Eiro (2000), la crescita dei salari nominali nei paesi dell Ue è stata di circa il 9% annuo nel periodo dagli anni sessanta alla metà degli anni settanta, ha raggiunto il 22

21 picco del 19% nel 1975 ed è quindi progressivamente declinata fino al 3% alla fine degli anni novanta. Occorre peraltro segnalare la forte convergenza imposta dai criteri del Trattato di Maastricht, se si osserva che negli anni settanta la crescita annua dei salari nominali variava tra l 8,3% della Germania e il 20% della Spagna! Inoltre, se negli anni sessanta e settanta si registravano trend paralleli della crescita dei salari reali e di quella della produttività del lavoro, fenomeno che segnalava una politica salariale più aggressiva in quel periodo; negli anni ottanta e novanta la crescita dei salari reali è avvenuta secondo percentuali molto al di sotto rispetto a quelle relative alla produttività del lavoro, con le sole eccezioni degli anni e Negli anni ottanta la crescita dei salari reali si è mantenuta mediamente al di sotto di un punto percentuale rispetto alla crescita della produttività del lavoro; mentre negli anni novanta il gap è stato dello 0,6%. La politica salariale è stata particolarmente moderata in Irlanda, Finlandia, Italia e Grecia; mentre la crescita dei salari reali si è avvicinata di più alla crescita della produttività del lavoro in Portogallo, Belgio, Olanda e Regno Unito. Nel complesso, tale moderazione salariale ha continuato a svilupparsi nell ambito di processi di concertazione sociale tripartita a livello nazionale, di accordi di politica dei redditi, di veri e propri patti sociali centralizzati. Quest ultima tendenza è rimasta particolarmente significativa nei paesi di minore dimensione, come ad esempio in Irlanda, Finlandia, Olanda ed altri. Mentre ha subito o ha incontrato maggiori difficoltà nei paesi più grandi. In Germania, ad esempio, le vicende contrattuali degli ultimi anni sono state contrassegnate dai colloqui tripartiti relativi alla Alleanza per il lavoro. La coalizione governativa rosso-verde (SPD e Gruenen) insediata dal 1998 considera quest ultima un mezzo per rafforzare i suoi piani di riforma di lungo periodo e per ottenere specifici accordi e misure per migliorare la situazione occupazionale. In tal senso, insieme alle politiche nazionali di carattere più generale, la politica contrattuale ha svolto un ruolo crescente. Alla richiesta degli imprenditori di far rientrare anche la politica salariale nei colloqui tripartiti dell Alleanza, la maggioranza dei sindacati si era inizialmente opposta. La risposta del leader dell Ig Metall, Klaus Zwickel, nei primi mesi del 1999, fu perentoria: chiunque voglia importare la contrattazione collettiva nell Al- 23

22 leanza, la distruggerà. Tuttavia, le cose sembrano destinate a cambiare in seguito a nuovi eventi (vedi sotto). La struttura contrattuale in Germania è stata e sarà ancora largamente influenzata dal processo di unificazione nazionale. In particolare, occorre osservare che se la grande maggioranza dei lavoratori nel paese è coperta dalla contrattazione collettiva (Bispinck, 2001), ad un più elevato grado di estensione nella parte ovest (circa 73%) corrisponde un livello ancora basso nella parte est (57%). I contratti collettivi di settore restano i più diffusi (65% dei lavoratori coperti all ovest; 46% all est); mentre bassa è la copertura relativa ai contratti aziendali (8% all ovest; 11% all est). Tra le aziende che non sono formalmente coperte dai contratti collettivi, sono comunque significative le percentuali di estensione delle imprese che assumono come guida questi contratti (13% dei lavoratori all ovest contro il 14% complessivamente non coperto; 22% all ovest contro il 21% non coperto). Le percentuali delle imprese interessate dai contratti collettivi è appena sotto la metà (47% del totale delle imprese) all ovest e solo un quarto (26%) all est. Una gran quantità di imprese con meno di 20 dipendenti non sono coperte, a differenza di quelle medie e grandi coperte al 75-90%. I settori con i più elevati livelli di estensione contrattuale restano quelli degli enti locali e di sicurezza sociale (ovest 97%; est 96%); miniere, energia e acqua (96% e 93%) e credito, assicurazione (94% e 88%). In crescita risultano i settori dei servizi (70% e 53%); delle organizzazioni non-profit (67% e 51%) e agricoltura (57% e 29%). Anche in Francia, l evoluzione degli assetti contrattuali ha fatto registrare importanti tendenze di cambiamento nel recente periodo, in particolare verso il decentramento, soprattutto per effetto della legge sulla riduzione dell orario di lavoro, introdotta in maniera sperimentale nel Una seconda legge nel gennaio 2000 ha stabilito l obbligo delle 35 ore settimanali nelle imprese con più di 20 dipendenti. Per le imprese che non applicano direttamente le misure contrattate a livello di settore, è possibile negoziare e stipulare accordi a livello aziendale con i dipendenti o le loro rappresentanze. Tali accordi sono vincolanti per ottenere i benefici di legge. 24

23 Tra il giugno 1998 e la fine di novembre 2000, sono stati registrati accordi collettivi sulla riduzione dell orario di lavoro, che hanno riguardato lavoratori. Secondo i primi dati, tali accordi a- vrebbero consentito di creare o salvaguardare posti di lavoro (Dufour, 2001). Secondo le stesse previsioni del Ministero delle finanze, la riduzione dell orario di lavoro dovrebbe creare tra il 1999 e il 2002 circa 280 mila posti lavoro in più, dei quali 200 mila effettivi a partire dalla fine del In Spagna, la struttura della contrattazione collettiva continua ad essere fondata sugli accordi collettivi regionali che coprono il 56% dei lavoratori. I contratti collettivi nazionali di settore costituiscono il secondo livello più importante, con un estensione del 29%; mentre gli accordi aziendali riguardano appena il 12% dei lavoratori. Anche nelle tornate contrattuali del l associazione imprenditoriale Ceoe- Cepyme e le organizzazioni sindacali delle Cc.Oo. e dell Ugt hanno difeso tale modello fondato sui tre principali accordi interconfederali firmati negli anni recenti (Gutiérrez, Morillo, 2001). In particolare l accordo interconfederale del 1997 ha reso più razionale la struttura contrattuale, ponendo fine alla precedente frammentazione mediante un e- splicito e formalizzato coordinamento tra i differenti livelli negoziali. Esso prevede infatti che mentre alcuni contenuti possono essere trattati solo nel contratto collettivo nazionale di settore; altri possono essere negoziati ai più bassi livelli regionali e di impresa. La struttura contrattuale prevalente nei diversi settori ha però largamente influenzato il successo nell implementazione di tale accordo interconfederale (Esc, 2000). Nei settori in cui predominante è la contrattazione collettiva nazionale sono stati ottenuti buoni risultati nella ripartizione delle competenze, delle responsabilità e delle materie tra i vari livelli negoziali. Nei settori con più rilevanti tradizioni di contrattazione regionale di categoria, non si sono registrati progressi significativi rispetto al passato. Un secondo accordo interconfederale sempre nel 1997 è stato invece sottoscritto per offrire forme di regolazione nei settori non coperti dagli accordi collettivi, almeno per certe materie (inquadramenti; carriere; struttura del salario; azione disciplinare). All atto della sua firma, 25

24 tale accordo copriva 23 settori per un totale di 800 mila lavoratori. Il terzo accordo interconfederale scaduto alla fine del 2000 ha riguardato la regolamentazione extra-giudiziale delle vertenze. Il Regno Unito continua a caratterizzarsi come uno dei paesi europei con la più decentrata struttura contrattuale. La più recente indagine del 1998 (Workplace Employee Relations Survey) indica che la tendenza di decentramento contrattuale, a livello di impresa e di posto di lavoro, è stata costante per tutti gli anni novanta, con il conseguente declino degli accordi di livello superiore (Charlwood, 2001). Sul totale dei posti di lavoro nei quali la retribuzione dei lavoratori non manageriali è regolata dalla contrattazione collettiva, il 39% è coperto da accordi multiemployer, mentre il 61% è coperto da contratti aziendali o di workplace. Queste cifre mascherano variazioni intersettoriali. La prima percentuale scende infatti al 18% nei settori privati; mentre sale al 65% nei settori pubblici. L indagine WERS segnala inoltre, nel corso degli anni novanta, il declino della contrattazione collettiva in generale, anche nei posti di lavoro con presenza sindacale e coperti da un accordo collettivo formale. Ad esempio, il 14% dei workplaces sindacalizzati hanno salari regolati unilateralmente dal management. Secondo Brown e altri studiosi (2000), questo fenomeno di sindacato senza contrattazione si realizzerebbe quando sindacato e management non sono in grado di raggiungere un accordo sui salari: poiché ai sindacati viene meno il potere di continuare il negoziato, il management prosegue in maniera unilaterale. 1.2 Evoluzione generale dei contenuti della contrattazione collettiva ai vari livelli Come si è osservato nel paragrafo precedente, i contenuti della contrattazione collettiva nei paesi Ue nel 2000 e nel 2001 sono stati ancora largamente orientati al tema delle paghe e della relativa moderazione salariale, alla quale si sono accompagnati anche modesti livelli di conflittualità. Questo tema è stato particolarmente trattato a livello centrale, in molti paesi prevalentemente in sede di contrattazione intercon- 26

25 federale o di contrattazione nazionale, anche se non sono mancati esempi, sperimentazioni o discussioni riguardanti un pur limitato decentramento (vedi sotto). Il coordinamento delle contrattazioni salariali a livello macro è fondato però su modelli diversificati nei vari paesi (EIRObserver 4/00). Nella maggior parte dei paesi prevale un coordinamento di tipo interassociativo con accordi a livello nazionale o intersettoriale. Questi possono essere di natura più o meno vincolante. Ad esempio, in Belgio, Finlandia e Irlanda, viene definita a livello nazionale la soglia massima di incremento. Mentre in Germania, le raccomandazioni dal centro sulla contrattazione salariale ai livelli decentrati non sono vincolanti. Comunque solo in pochi paesi dell Unione europea non vi sono stati accordi centralizzati sulle politiche retributive (Austria, Francia, Lussemburgo, Spagna e Regno Unito). Un secondo tipo di coordinamento della contrattazione collettiva sui salari è stato quello fondato su accordi intrassociativi, ovvero all interno delle stesse associazioni imprenditoriali e sindacali che in qualche misura ne hanno assunto il controllo. Forme di questo tipo sono emerse in particolare in Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, O- landa, Spagna, Svezia. In alcuni casi, come si può notare, esse hanno accompagnato o si sono sovrapposte ai precedenti accordi interassociativi, garantendone il successo o rafforzandone comunque gli effetti. In alcuni paesi non sono poi mancate forme di coordinamento contrattuale sulle politiche salariali basate sul pattern bargaining, cioè sulla leadership di un settore particolare. E il caso ad esempio di alcuni settori dominanti nell industria, quali quelli chimico e metalmeccanico, più esposti alla competizione internazionale (come in Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Olanda, Svezia), oppure di alcune grandi imprese che possono svolgere lo stesso ruolo trainante (come in Olanda). Infine, non va sottovalutato anche il ruolo svolto dal coordinamento imposto dallo stato, mediante forme legislative di indicizzazione delle paghe oppure meccanismi di salario minimo garantito, che esistono in molti paesi (Francia, Irlanda, Grecia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Regno Unito) 27

26 Ma altri importanti contenuti negoziali hanno oggettivamente favorito nuovi orientamenti verso il decentramento contrattuale. Il fatto, ad esempio, che sull orario di lavoro, nella maggior parte dei paesi Ue, si sia arrestata ormai la tendenza alla riduzione secca dell orario di lavoro settimanale, per legge o per contratto, ha contribuito a spostare il baricentro della struttura contrattuale verso i livelli inferiori aziendali e territoriali per negoziare nuovi schemi di flessibilità dell orario, straordinari, banche ore, ecc. Peraltro anche l eccezione della Francia, con la legge del 2000 sulle 35 ore settimanali, ha comportato tra gli effetti principali proprio quello di rafforzare i livelli decentrati della negoziazione sulla relativa implementazione. Effetti simili non sembrano invece essersi verificati nella implementazione delle direttive europee nei vari paesi, come ad esempio nel caso di quella del part-time, trattata prevalentemente ai vari livelli nazionali. Sui temi relativi all occupazione e alle nuove forme di lavoro, la contrattazione collettiva nei vari paesi è ampiamente influenzata dalla direttive europee e/o dalla legislazione nazionale. Per quanto riguarda l occupazione, in particolare, è evidente il ruolo dei Piani di azione nazionale previsti dalla Strategia europea per l impiego e secondo le guidelines fissate nel summit di Lisbona del 2000 (vedi sotto). Ai vari livelli nazionali, peraltro, le negoziazioni sembrano essere focalizzate soprattutto sulla opportunità di ripensare le rigide tutele previste tradizionalmente dalla legge e dalla contrattazione collettiva, in presenza di più rigidi mercati del lavoro caratterizzati sia da carenza di certe professionalità che da segmenti di disoccupazione di lunga durata; su strumenti e incentivi di flessibilità del lavoro, in particolare sul lavoro interinale, telelavoro e altre forme di organizzazione del lavoro; sullo sviluppo della formazione professionale e dell apprendistato per le qualifiche tecniche e di livello medio-alto. Naturalmente, i temi oggetto di direttive europee o di proposta di direttive, quali quelli relativi alle pari opportunità o ai diritti di informazione e consultazione dei lavoratori, devono essere anch essi segnalati come particolarmente importanti nei rispettivi processi nazionali di contrattazione collettiva. Infine, la riforma dei sistemi pensionistici e le pensioni integrative 28

27 sono stati tra i temi più affrontati nel periodo recente dai grandi attori sociali a livello nazionale, ma anche tra quelli che hanno dato origine ai maggiori contrasti. In Francia, nel 2000, sono iniziate le trattative sulle pensioni integrative per i dipendenti dei settori privati. Gli imprenditori si sono irrigiditi sulla richiesta di un periodo contributivo di almeno 45 anni; mentre i sindacati non vogliono mettere in discussione il diritto al ritiro dal lavoro a 60 anni. In Germania, sull agenda contrattuale per gran parte del 2000 vi è stata la riforma dello sistema nazionale di pensione obbligatoria, proposta dal governo per abbassare i costi e per incoraggiare forme personalizzate. I sindacati, come nel caso della moderazione salariale e della flessibilità del lavoro, sono stati molto critici soprattutto riguardo alla modifica del sistema che penalizzerebbe i lavoratori e hanno chiesto che sia garantito un livello di pensione almeno del 67% e che anche nei casi di sistemi personalizzati venga comunque data priorità a soluzioni derivanti da accordi collettivi. Negli ultimi tre anni, sono stati conclusi sulle pensioni a livello di settore molti accordi collettivi che hanno riguardato quasi 8 milioni di lavoratori. 1.3 Dibattito sulla struttura contrattuale e sui contenuti principali Tutti i paesi dell Ue mantengono strutture contrattuali fondate su più livelli, con almeno qualche forma di contrattazione sui salari a livello di settore e di impresa (Eiro, 2000). Cinque paesi hanno anche forme di contrattazione salariale a livello intersettoriale riguardante tutta l economia (Finlandia e Irlanda), tutto il settore privato (Belgio e Grecia) o tutto il settore industriale (Danimarca). Ma si registra una grande varietà rispetto al livello dominante nella struttura contrattuale dei vari paesi. Se in due paesi è quello intersettoriale che continua a prevalere (Belgio e Irlanda); in altri due è quello di impresa (Regno Unito e Francia). In generale, però, il livello di settore mantiene ancora la leadership nella maggioranza dei paesi dell Unione (Austria, Germania, Grecia, I- 29

28 talia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia). Mentre nei rimanenti paesi non esiste un livello dominante, come in Danimarca e in Lussemburgo, oppure la predominanza di uno dei livelli contrattuali può variare di volta in volta tra quello intersettoriale e quello di settore (Finlandia). Va comunque sottolineato il fatto che la estensione della contrattazione salariale di settore varia anch essa da paese a paese: è limitata a pochi settori in Irlanda e nel Regno Unito; riguarda soprattutto le piccole e medie imprese in Francia, Olanda, Portogallo e Spagna (dove i lavoratori delle grandi imprese sono coperti da specifici accordi aziendali). Inoltre, se nella maggioranza dei paesi si registra una struttura molto centralizzata nel settore della pubblica amministrazione; nei settori dove prevalgono le grandi imprese, la contrattazione salariale risulta fortemente influenzata dal livello aziendale. Senza contare le differenze derivanti dal grado di copertura territoriali di molti contratti di settore e dai rapporti tra i vari livelli contrattuali che possono determinare ad e- sempio fenomeni significativi di slittamento salariale. Le citate tendenze di decentramento contrattuale nel 2000 e nel 2001, soprattutto sui contenuti salariali e in parte dell orario del lavoro, non sembrano però aver modificato in maniera rilevante questi assetti tradizionali nei vari paesi. Nel Regno Unito, peraltro, il declino della contrattazione collettiva di settore a favore di quella d impresa è un fenomeno iniziato fin dagli anni ottanta. Così pure, la minore importanza della contrattazione di settore in Francia non sembra modificare molto il quadro contrattuale di un paese da sempre caratterizzato dalla elevata frammentazione della stessa contrattazione di categoria. Forse solo in Spagna sembra verificarsi una riduzione del ruolo della contrattazione di impresa a vantaggio di quella di settore. La sostanziale conferma della stabilità degli assetti contrattuali nei paesi dell Ue non ha però significato l assenza di un intenso dibattito sulla possibile revisione di tali assetti soprattutto nella prospettiva della loro maggiore flessibilità e decentramento, in particolare in Germania e in Francia. A metà del 1999, le confederazioni sindacali e imprenditoriali tedesche della DGB e della BDA sottoscrissero una dichiarazione congiunta sulla politica salariale, che non solo riconosceva l autonomia 30

29 della contrattazione collettiva, ma sottolineava anche la necessità di riformare ed estendere l accordo regionale di settore. Non vi era un riferimento esplicito alla politica salariale, ma si sosteneva comunque che per ridurre la disoccupazione è necessaria una politica contrattuale affidabile di medio e lungo termine ; e inoltre che i guadagni di produttività dovrebbero essere utilizzati innanzitutto per aumentare l occupazione (DGB/BDA, 1999). Gli imprenditori tedeschi hanno interpretato questo documento come un oggettivo consenso comune su una strategia di contrattazione collettiva più orientata all impiego, garantita dalla continuazione di una moderata politica salariale. I sindacati tedeschi hanno invece tentato di accentuare gli effetti occupazionali derivanti da una redistribuzione del lavoro. Se tale documento non ha prodotto effetti significativi nelle tornate contrattuali del 1999, diversa è stata la tendenza nel Dopo prolungate discussioni, le parti sociali hanno sottoscritto una nuova dichiarazione congiunta per una politica contrattuale di lungo termine e più orientata all occupazione, a partire dalle nuove tornate contrattuali. Si dice in particolare che in tal senso i margini determinati dalla crescita della produttività saranno utilizzati soprattutto per accordi di crescita dell occupazione. Nonostante il carattere di semplice formula di compromesso, questo accordo sembra aver prodotto effetti sia sulle procedure che sui contenuti delle successive tornate contrattuali (Bispinck, 2001). In Francia il carattere offensivo degli accordi sulla riduzione di orario (meno del 10% contengono solo clausole di garanzia occupazionale) sembra essere correlato al ciclo economico particolarmente favorevole nel In tale contesto, il governo si è inoltre opposto a limitare o a posporre la scadenza del gennaio 2002 per le imprese di dimensione minore. Come è stato notato, a vent anni dalle leggi Auroux, l orientamento verso il decentramento contrattuale sembra essere rilanciato e obbliga gli imprenditori a ripensare le proprie strategie di relazioni industriali a livello di impresa. In particolare, tale ripensamento sembra reso inevitabile anche da altre leggi in discussione sulla partecipazione dei lavoratori al capitale e ai risultati dell impresa, oltre che sulla informazione e azione dei rappresentanti dei lavoratori nei casi di ristrutturazione. 31

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