Si fa presto a dire Germania 1. Giuseppe Ciccarone ed Enrico Saltari

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1 Si fa presto a dire Germania 1 Giuseppe Ciccarone ed Enrico Saltari La produttività del lavoro è la parola chiave attorno a cui ruotano i destini dell economia italiana. Per appezzarne la centralità, basta guardare ai due avvenimenti più importanti, anche se apparentemente distanti, che caratterizzano questa fine Il primo riguarda le vicende di Mirafiori, che ricordano assai da vicino, e forse in peggio, quelle già vissute qualche mese fa a Pomigliano. L amministratore delegato della Fiat si è dichiarato disponibile a fare investimenti consistenti soltanto se avrà l assicurazione che i nuovi impianti saranno utilizzati a pieno. Il punto che qui interessa di questa vicenda è che si ritiene necessario un aumento di produttività nel settore auto per tornare a essere competitivi e che questo aumento si può realizzare innanzitutto attraverso nuovi investimenti, associato all introduzione di quelli che ormai sono noti come contratti tedeschi. L altro avvenimento ha a che fare con la stabilità finanziaria del nostro paese, finora salvaguardata dal rigore delle politiche di bilancio e da quello degli organismi di controllo della Banca d Italia. Oggi questo rigore potrebbe non rivelarsi più sufficiente. Come ha osservato il Governatore della stessa Banca d Italia, se si vuole preservare la stabilità del nostro sistema finanziario, occorre adottare politiche che aumentino il potenziale di crescita dell economia italiana, cioè appunto la produttività. Senza un suo deciso rilancio che dia nuovo impeto alla crescita del reddito, sarà difficile accrescere il gettito fiscale per riportare il rapporto deficit/pil al di sotto del 3%; sarà difficile migliorare la situazione finanziaria delle famiglie italiane il cui reddito disponibile in termini reali è in calo ormai da tre anni; sarà difficile mantenere ancora a lungo la solidità finanziaria del sistema bancario. Anche in questo caso è stata evocata la Germania, sottolineando la necessità che la nostra industria diventi produttiva e competitiva come quella tedesca. Il principale obiettivo di questo contributo è di mostrare che l accumulazione di capitale fisico e umano, l organizzazione dei luoghi di lavoro e la formazione dei lavoratori sono stati influenzati in misura significativa dalle diverse scelte operate nei due paesi relativamente al modo in cui introdurre maggiore flessibilità nel mercato del lavoro. Queste scelte hanno generato, a loro volta, effetti significativi e differenti sulla dinamica della produttività, sulla crescita del reddito e sull andamento del mercato del lavoro. Non è di conseguenza possibile diventare tedeschi limitando l attenzione alla 1 Desideriamo ringraziare Valeria Calicchia per la sua collaborazione.

2 contrattazione e a qualche altro elemento accessorio. Se quello è il fine da perseguire, il modello tedesco deve essere accolto partendo dal suo modello di flessibilità del mercato del lavoro. La storia economica recente del nostro paese ci mostra che le difficoltà dell economia italiana non sono iniziate con la recessione attuale. È dall inizio degli anni novanta che la nostra economia vive un periodo di stagnazione economica, con una crescita media del Pil di poco superiore a un punto percentuale annuo. Il rallentamento si è ulteriormente accentuato nell ultimo decennio, fino alla grave recessione attuale, la più profonda dal dopoguerra, che ha provocato ben due anni consecutivi di contrazione del Pil ( 1,3% nel 2008 e 5% nel 2009); soltanto nel 2010 la crisi si è arrestata e l'economia è tornata a crescere, peraltro a un tasso dell 1%. A questa caduta del Pil si è accompagnata una brusca riduzione dell occupazione. Dall inizio della crisi (ultimo trimestre del 2007) al secondo trimestre del 2010, il tasso di disoccupazione è aumentato in Italia di due punti percentuali, raggiungendo l 8,5%. Se si includono nella disoccupazione, come fa la Banca d Italia, i lavoratori scoraggiati e l equivalente della Cassa integrazione guadagni (CIG), il tasso disoccupazione sale all 11%, mentre il tasso di disoccupazione giovanile, che riguarda i lavoratori con un età tra i 15 e i 24 anni, tocca ormai il 30%. In ogni caso, secondo l ultima rilevazione dell Istat, il numero di disoccupati sfiora 2 milioni e 200 mila unità. All inizio della crisi l aumento della disoccupazione si è concentrato sui contratti atipici, ma dal 2010 ha iniziato a riguardare anche i dipendenti a tempo indeterminato. Andamenti opposti sono stati registrati in Germania, dove il tasso di crescita del PIL, dopo una caduta prossima al 5% nel 2009, viene previsto intorno al 3,6% nel 2010, il valore più alto registrato dai tempi della riunificazione. Nel mercato del lavoro, gli effetti della recessione iniziata alla fine del 2007 sono stati molto limitati e il tasso di disoccupazione è addirittura diminuito, proseguendo il suo trend discendente iniziato nel 2005, quando si trovava poco sopra l'11%, e arrivando al 7% attuale (secondo trimestre 2010). Questa divaricazione nelle traiettorie seguite dal prodotto e dalla disoccupazione in Italia e in Germania fa seguito al tentativo, operato da entrambi i paesi a partire dai primi anni Novanta, di aumentare la flessibilità del mercato del lavoro. Esistono tuttavia diversi modelli di flessibilità, ossia diversi modi di variare l'impiego di lavoro e ridurre il costo di questo cambiamento. In Italia, con la Legge Treu prima e la Legge Biagi poi, si è posta l enfasi su quella che la Commissione Europea definisce flessibilità (numerica) esterna, che si realizza variando il numero di lavoratori occupati attraverso il ricorso al mercato del lavoro esterno all impresa. Un aspetto fondamentale in questo tipo di flessibilità è la temporaneità dell impiego dei lavoratori, che si realizza mediante

3 contratti di lavoro a tempo determinato e parasubordinato (come i co.co.co e i contratti a progetto), l impiego temporaneo di collaboratori e consulenti, l utilizzo di lavoratori dipendenti da agenzie di somministrazione (lavoro interinale) e la riduzione dei vincoli che riguardano assunzioni e licenziamenti. Con l avvento della crisi economica, la principale conseguenza di queste modifiche nel mercato del lavoro è stata quella di rendere particolarmente vulnerabile l occupazione atipica. Le riforme del mercato del lavoro realizzate dal governo Schröder (e rafforzate dal governo Merkel), note come riforme Hartz, dal nome della commissione che le aveva suggerite, hanno invece mirato ad accrescere la flessibilità interna all'impresa, ovvero la sua capacità di variare l impiego di lavoro già presente al suo interno. Questo tipo di flessibilità può assumere due modalità: può essere numerica, come quella esterna, oppure funzionale. La prima si realizza adeguando l orario di lavoro alle esigenze produttive, senza modificare il numero dei lavoratori. Gli strumenti più diffusi a tal fine sono gli straordinari (temporanea estensione del volume totale delle ore lavorate) e i turni aggiuntivi, il lavoro serale, notturno e nel week end, la variazione dell orario di lavoro nell ambito di schemi di lavoro flessibile e il part-time. L'altro tipo di flessibilità è quella funzionale che attiene alla misura con cui le aziende adattano l organizzazione del lavoro ai cambiamenti del mercato, spostando i lavoratori tra differenti attività e compiti all interno dell azienda. L intento delle riforme tedesche è stato proprio quello di rendere più flessibile il mercato del lavoro, non solo e non tanto attraverso una sua deregolamentazione, ma soprattutto con misure (finanziate in buona misura dal governo) utilizzate per favorire il lavoro a tempo parziale (Kurzarbeit, l'equivalente della nostra Cassa Integrazione) e la flessibilità negli orari di lavoro individuali, che vengono gestiti all'interno di una sorta di contabilità complessiva dell'orario, con debiti e crediti. L effetti della crisi economica sul mercato del lavoro si è così manifestato con una riduzione del numero di ore lavorate per addetto, piuttosto che con una contrazione dei posti di lavoro. Se si guarda alla rilevanza della flessibilità esterna, non si può fare a meno di notare che: (i) il lavoro indipendente (nel quale si nascondono i lavoratori para-subordinati) rappresenta quasi il 24% della forza lavoro in Italia e soltanto l 11% in Germania; (ii) l incidenza dei contratti a tempo determinato è più elevata nel primo paese che nel secondo di circa un punto e mezzo percentuale. Pochi dati possono anche aiutare a comprendere la minore rilevanza attribuita dal nostro mercato del lavoro alla flessibilità interna. Nel 2009 ha fatto uso degli straordinari il 70% delle imprese italiane e l 80% di quelle tedesche. L incidenza del part-time sul totale dell occupazione è del 25% in Germania e del 14% in Italia, dove la percentuale di lavoratori part-time involontari è quasi triplicata dal 2000 al 2008, mentre è meno che raddoppiata in Germania. I sistemi di working account (le ore lavorate in più,

4 o in meno, rispetto a quanto stabilito dal contratto vengono accumulate come ore di credito, o di debito ) sono presenti nel 52% delle imprese italiane e nell 87% di quelle tedesche. Dal 2005 al 2010, la percentuale di lavoratori che almeno una volta al mese hanno lavorato per due o più volte nelle ore serali è aumentata del 7% in Germania ed è diminuita dell 11% in Italia; andamento analogo si è registrato per il lavoro nelle ore notturne. Questi dati dimostrano che la scelta di politica economica del nostro paese è stata quella di recuperare la competitività riducendo i costi del cambiamento nell utilizzo del lavoro attraverso la crescita della flessibilità esterna. Il crescente utilizzo di contratti di lavoro che hanno come aspetto principale la temporaneità e l atipicità ha favorito l ampliamento dell occupazione ma, come abbiamo appena visto, solo nel breve periodo. Al contempo, le nuove forme contrattuali, insieme alla moderazione salariale e ai flussi migratori, hanno ridotto, al margine, il prezzo del lavoro relativamente a quello del capitale, frenando la spinta delle imprese a introdurre innovazioni attraverso gli investimenti e a ridurre la dotazione di capitale per lavoratore. Il rallentamento del capitale innovativo per occupato, quello legato alle tecnologie dell informazione e della comunicazione, è stato particolarmente marcato, anche per la bassa propensione delle imprese ad affrontare i costi della riorganizzazione imposti dalle nuove tecnologie. La scelta tedesca di accrescere la flessibilità interna ha invece sostenuto l accumulazione di capitale e l innovazione. Anche la comprensione di questo anello della catena logica che stiamo costruendo richiede l utilizzo di pochi dati. Dal 2000, il tasso di crescita del capitale totale per occupato è diminuito costantemente in Italia, raggiungendo nel 2007 un terzo del valore iniziale; il tasso medio è stato pari a circa la metà di quello tedesco. Lo stesso è accaduto al tasso medio di crescita della dotazione di capitale innovativo per addetto, ma negli ultimi cinque anni (cioè dall inizio delle diverse riforme realizzate nei rispettivi mercati del lavoro) la distanza si è ulteriormente accentuata: il tasso medio italiano è di poco superiore a un terzo di quello tedesco. La maggiore propensione delle imprese tedesche all accumulazione di capitale, soprattutto di quello legato alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, si è accompagnata alla più intensa adozione di forme innovative di organizzazione del lavoro, a partire dalla possibilità di spostare tra diverse mansioni alcuni lavoratori che conoscono tutte le fasi del processo produttivo aziendale. Se nel 2005 era coinvolto in job rotation il 37% dei lavoratori tedeschi e il 28% di quelli italiani, dal quell anno al 2010 si realizza, in Germania, un aumento medio di quasi dieci punti percentuali e in Italia una riduzione di circa sei punti.

5 Gli effetti prodotti dai differenti cambiamenti legislativi del mercato del lavoro sull'accumulazione di capitale, sull innovazione tecnologica e sulla riorganizzazione dei luoghi di lavoro hanno generato andamenti della produttività del lavoro estremamente divaricati. Per guardare soltanto all ultimo decennio, la Germania ha un indice della produttività del lavoro superiore di otto punti a quello del 2000; l Italia ha un valore inferiore di quasi due punti. Questi andamenti non dovrebbero sorprendere chi ha prestato attenzione al recente lavoro di ricerca sulla relazione tra flessibilità interna ai luoghi di lavoro, propensione all innovazione e produttività. La crescita di quest ultima richiede infatti l introduzione congiunta e coerente di tecnologie innovative e di innovazioni organizzative che favoriscano una maggior capacità cognitiva dell impresa, alimentando in tal modo un processo cumulativo favorito dalla possibilità di finanziare i costi dei cambiamenti con fondi interni; la insufficiente presenza di uno degli elementi complementari riduce la rilevanza del processo cumulativo. In un contesto produttivo e competitivo basato sulla globalizzazione commerciale e l innovazione, il vantaggio per chi opera nei settori economici ad alto valore aggiunto e ha già acquisito la tecnologia di frontiera non è rappresentato dal capitale innovativo in sé, ma dal modo in cui esso è reso coerente con l assetto organizzativo e le capacità dei lavoratori presenti nell impresa. La questione è ovviamente differente per chi opera prevalentemente in settori tradizionali e/o non ha ancora accesso al capitale innovativo necessario per posizionarsi sulla frontiera tecnologica efficiente. Ciò spiega, non solo le differenze nell utilizzo di forme di lavoro flessibile basate su un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nel processo decisionale e una maggiore discrezione/autonomia dei lavoratori nello svolgimento dei propri compiti, ma anche la diversa enfasi posta in Germania e in Italia sulla formazione continua e il training on the job. Nel 2010, la percentuale di lavoratori che può accedere a programmi di formazione nell industria e nei servizi è pari a quasi il 40% in Germania e al 17%in Italia. Riforme del mercato del lavoro dai tratti sostanzialmente differenti hanno dunque contribuito a produrre due modelli di sviluppo diversi. In Italia, la spinta verso la flessibilità esterna, generata dalle modificazioni legislative degli ultimi anni in tema di contratti di lavoro, ha incentivato buona parte delle imprese a rimanere nei settori tradizionali e a sfruttare il minor costo relativo del lavoro rispetto al capitale per aumentare l occupazione, soprattutto atipica, a scapito della dotazione di capitale innovativo per addetto, della riorganizzazione delle imprese e del capitale umano. In Germania, la flessibilità interna, trainata dalla contrattazione aziendale, ha favorito una specializzazione industriale concentrata sulle esportazioni ad alto valore aggiunto, su una maggiore crescita del capitale innovativo

6 per addetto, sulla riorganizzazione dei luoghi di lavoro e sulla formazione quale elemento chiave della crescita. Naturalmente, la scelta di favorire la flessibilità esterna, piuttosto che quella interna, non può essere considerata la sola causa della malattia italiana. Ad essa si sono sommate altre cause strutturali ben note, sia di natura economica (prime tra tutte il nanismo delle imprese e il modello tradizionale di specializzazione produttiva, oltre che il dualismo territoriale), sia di natura sistemico-istituzionale (il quadro normativo, la regolamentazione e la concorrenza, la carenza di capitale umano e di infrastrutture). Ma questi sono appunto fenomeni strutturali che, proprio perché tali, sono presenti da tempo nel nostro sistema economico e non possono spiegare quanto è avvenuto negli ultimi quindiciventi anni. Il nostro paese non può dunque pensare di curare la malattia della bassa produttività agendo soltanto riducendo il peso del contratto di lavoro nazionale in favore della contrattazione decentrata e aumentando la quota del salario legata alla produttività realizzata. È invece necessario ripensare la contrattazione, legando la crescita dei salari non alla crescita della produttività effettivamente realizzata ma a quella programmata, o contrattata dalle parti sociali, una proposta da noi avanzata da tempo in numerose sedi e sulla quale si comincia a registrare un consenso crescente. Inoltre, se la rilevanza attribuita alla flessibilità interna deve essere aumentata, quella della flessibilità esterna deve essere al contempo ridotta attraverso la semplificazione delle forme contrattuali e la loro tendenziale unificazione in un unico istituto, per favorire una contrazione del dualismo nel mercato del lavoro e l eliminazione di incentivi avversi all accumulazione e all innovazione. Per facilitare la realizzazione di questo nuovo scambio tra flessibilità interna e investimento innovativo in capitale fisico, capitale umano, organizzazione e formazione, un governo responsabile dovrebbe uscire dall apatia degli ultimi anni e tornare a fare la sua parte. Sono prioritari incentivi fiscali alla crescita dimensionale, all internazionalizzazione e allo spostamento delle imprese verso i settori a più elevato valore aggiunto, per rendere la flessibilità funzionale al cambiamento produttivo e organizzativo. La limitatezza delle risorse disponibili rappresenta ovviamente un vincolo stringente nella definizione di queste politiche, ma essa non deve impedire di concentrare la spesa su quello che dovrebbe essere l obiettivo prioritario e condiviso da perseguire.

7 Note sugli autori Giuseppe Ciccarone è ordinario di Politica Economica nell'università di Roma "La Sapienza", Vice Presidente della Fondazione "Giacomo Brodolini" e Direttore della rivista Economia e Lavoro. Enrico Saltari è ordinario di Economia Politica nell'università di Roma "La Sapienza". Nel 2009 gli è stato conferito il premio "Sapienza Ricerca" per l'eccellenza nella ricerca.

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