IL COLLEGIO DI ROMA. [Estensore] Prof. Avv. Gustavo Olivieri Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario
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1 composto dai signori: Dott. Giuseppe Marziale IL COLLEGIO DI ROMA Presidente Prof. Avv. Pietro Sirena Membro designato dalla Banca d'italia [Estensore] Dott.ssa Claudia Rossi Membro designato dalla Banca d'italia Prof. Avv. Gustavo Olivieri Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario Prof. Avv. Marco Marinaro Membro designato dal C.N.C.U. nella seduta del 27/03/2013, dopo aver esaminato il ricorso e la documentazione allegata; le controdeduzioni dell'intermediario e la relativa documentazione; la relazione istruttoria della Segreteria tecnica; Fatto La ricorrente ha affermato: -che sarebbe titolare presso la banca resistente di un conto corrente, di una carta bancomat e di una carta di credito; -che, il 17 luglio 2012, avrebbe subito il furto di quest ultime all estero; -che, nello stesso giorno, avrebbe provveduto a bloccare le due carte rispettivamente alle 21 e alle 21:37; - che, il 25 luglio 2012, avrebbe sporto denuncia all autorità di Pubblica Sicurezza; - che, il 17 luglio 2012, con la carta di credito sarebbero stati effettuati n. 3 prelievi fraudolenti, aventi un importo complessivo di 769,00; -che, sempre il 17 luglio 2012 con la carta bancomat sarebbero stati effettuati n. 2 prelievi fraudolenti in data per un importo complessivo di 214,00; -che la ricorrente avrebbe disconosciuto formalmente le suddette operazioni fraudolente; -che non avrebbe conservato i codici segreti insieme alle proprie carte bancomat e di credito, né nel portafoglio rubatole; -che, in particolare, avrebbe conosciuto a memoria il codice della carta bancomat, laddove non avrebbe mai utilizzato quello della carta di credito, avendola utilizzata esclusivamente per effettuare pagamenti mediante POS, dietro presentazione di un documento di identità personale e apposizione della propria firma; -che, in ogni caso, i codici segreti sarebbero stati custoditi nella casa della ricorrente in Italia, in un cassetto, dove ella li avrebbe ritrovati al suo Pag. 2/10
2 rientro dall estero; -che i terzi non sarebbero pertanto venuti a conoscenza di tali codici segreti e lo strumento di pagamento non sarebbe sicuro. Ciò premesso, la ricorrente ha chiesto che la banca resistente sia condannata al pagamento di 983,60 a titolo di restituzione delle somme illegittimamente addebitatele. La banca ha resistito al ricorso affermando: -che le operazioni disconosciute dalla ricorrente sarebbero state effettuate successivamente alla perdita del possesso delle carte e prima che fossero bloccate, mediante la regolare digitazione dei rispettivi codici segreti e in completa assenza di anomalie; -che, senza la disponibilità del codice segreto, l utilizzatore della carta non potrebbe che effettuare dei tentativi digitando una serie casuale di cifre, fino a che raggiunto il limite di 3 tentativi la tessera verrebbe catturata dall apparecchiatura bancomat utilizzata; -che, nel caso di specie, ciò non si sarebbe verificato, in quanto l assenza di operazioni rifiutate a causa della digitazione di un codice PIN errato mostrerebbe come l autore dei prelievi avesse la disponibilità immediata di entrambi i codici segreti (all. 3 e 6 delle controdeduzioni); -che, pertanto, tale disponibilità potrebbe essere ricondotta esclusivamente a dei comportamenti gravemente negligenti della ricorrente; -che non si potrebbe condividere l orientamento espresso dall ABF in fattispecie analoghe, secondo il quale è stata esclusa la negligente custodia dei codici segreti pur in presenza di specifiche ed univoche circostanze di fatto; -che, in base agli artt. 7 e 12 del D. Lgs. n. 11 del 2010, la mancata adozione delle misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l utilizzo dello strumento di pagamento, caratterizzata dal dolo o colpa grave del titolare, costituirebbe un ipotesi di decadenza dal beneficio della limitazione di responsabilità tipizzata dal legislatore a favore del titolare degli strumenti di pagamento; -che, quindi, la questione principale da risolvere sarebbe quella della prova della violazione di tali obblighi di custodia da parte del titolare; -che, a tal riguardo, con la decisione n del 2012, l ABF avrebbe fatto riferimento ad una prova logicamente possibile e, cioè, ad una prova dei fatti che, in connessione tra loro, possono ragionevolmente condurre a ritenere gravemente negligente la condotta del cliente; -che tale prova potrebbe essere fornita per mezzo di presunzioni ex art c.c.; -che la Pag. 3/10
3 circostanza dell utilizzo contestuale della carta e del PIN, unitamente alle circostanze di tempo e di luogo di consumazione della frode, nonchè le risultanze delle verifiche tecnico-informatiche e gli elementi tecno-scientifici, porterebbero a ritenere che l evento in esame sia riconducibile esclusivamente a gravi negligenze nella custodia da parte della ricorrente; -che, al fine di dimostrare l impossibilità tecnica delle altre ipotesi relative ad un acquisizione incolpevole del codice segreto, sarebbe stata richiesta una perizia tecnico-scientifica, secondo la quale non sarebbe possibile estrarre il codice PIN dalla banda magnetica di una carta prepegata, né dal suo microchip (se non a seguito di procedure molto costose e lunghe), né mediante accessi fraudolenti on line; -che la consulenza scientifica confermerebbe che la disponibilità dei codici segreti da parte degli autori del furto possa essere spiegata unicamente in base ai comportamenti negligenti della ricorrente; -che quando l incauto comportamento del cliente costituisca l unico presupposto possibile dell utilizzo non autorizzato di una carta di credito o bancomat, si dovrebbe ritenere che la sua colpa grave sia provata mediante indizi gravi, precisi e concordanti; -che, in caso contrario, si determinerebbe un sostanziale svuotamento dell obbligo del titolare di tale carta di custodire diligentemente il codice segreto di accesso; -che il comportamento di colui che annoti il codice segreto insieme alla carta ovvero non si curi di occultarlo a terzi durante la sua digitazione potrebbe essere addirittura caratterizzato da colpa cosciente o dolo eventuale; -che, opinando diversamente, si creerebbero le premesse per avallare disconoscimenti infondati, e addirittura dolosamente preordinati alla realizzazione di vere e proprie truffe nei confronti delle banche. Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che il ricorso sia rigettato perché infondato. Diritto La responsabilità dell emittente di una carta prepagata per il suo utilizzo non autorizzato è disciplinata dall art. 12 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n.11, il quale ha attuato nell ordinamento giuridico italiano la direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno europeo. Nel caso di specie, le operazioni di prelievo contestate dalla ricorrente sono state effettuate (il 17 luglio 2012, ossia) prima che ella effettuasse la Pag. 4/10
4 comunicazione del suo utilizzo non autorizzato, ai sensi dell art. 7, 1 comma, lett. b), del d.lgs. n.11 del In particolare, l art. 12, 3 comma, del medesimo decreto, statuisce che, «salvo il caso in cui abbia agito con dolo o colpa grave ovvero non abbia adottato le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l utilizzo dello strumento di pagamento, prima della comunicazione eseguita ai sensi dell art.7, 1 comma, lett. b), l utilizzatore medesimo può sopportare per un importo comunque non superiore complessivamente a 150,00 la perdita derivante dall utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto o smarrimento». In virtù di tale disposizione legislativa, il prestatore di servizi di pagamento può escludere la propria responsabilità per l utilizzo non autorizzato di uno strumento di pagamento soltanto provando la colpa grave dell utilizzatore, la quale costituisce un fatto impeditivo del risarcimento del danno, ai sensi dell art. 2697, 2 comma, c.c. A tale proposito, si deve in generale premettere che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la colpa grave è costituita da una «straordinaria e inescusabile» imprudenza, negligenza o imperizia, la quale presuppone che sia stata violata non solo la diligenza ordinaria del buon padre di famiglia di cui all art. 1176, 1 comma, c.c., ma anche «quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato da tutti» (Cass., 3 maggio 2011, n.913; Cass., 19 novembre 2001, n.14456). È bensì vero che, ai sensi dell art. 7, 1 comma, lett. b), del d.lgs. n.11 del 2010, il titolare di uno strumento di pagamento ha l obbligo di «utilizzare lo strumento di pagamento in conformità con i termini, esplicitati nel contratto-quadro, che ne regolano l emissione e l uso». Tuttavia, l art. 10, 2 comma, del d.lgs. n. 11 del 2010 statuisce che, «quando l utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un operazione di pagamento eseguita, l utilizzazione di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l operazione sia stata autorizzata dall utilizzatore medesimo, né Pag. 5/10
5 che questi abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all art.7». Il fatto stesso dell utilizzo non autorizzato della carta prepagata intestata alla ricorrente non costituisce pertanto la prova che, per quanto qui rileva, ella abbia agito con dolo o colpa grave. La banca resistente ha tuttavia obiettato che, fermo restando il principio di diritto che è stato appena enunciato, sarebbe tecnicamente impossibile ricavare il PIN dalla carta stessa e che le particolari circostanze di luogo e di tempo che caratterizzano il caso di specie costituirebbero piuttosto gli indizi gravi, precisi e concordanti di una colpa grave della ricorrente, ai sensi dell art c.c. (pp. 5 e 11 delle controdeduzioni). Tale difesa è tuttavia infondata e deve essere pertanto respinta. Nelle proprie precedenti decisioni, questo Arbitro ha costantemente ribadito (e per tutte v. la decisione ABF, Collegio di Roma, n. 665 del 2010) che «allo stato delle conoscenze tecnologiche non si può affatto escludere la possibilità della sottrazione al cliente, da parte del terzo frodatore, dei codici identificativi attribuiti al primo per l accesso ai servizi bancari on line o per l utilizzo di strumenti di pagamento, senza che al comportamento del cliente possa riconoscersi alcuna efficienza causale nella produzione del fatto illecito (il furto dei detti codici d accesso o numeri identificativi)». Questo principio di diritto è stato recentemente ribadito dal Collegio di Coordinamento di questo Arbitro nella decisione n del La stessa banca resistente non si perita peraltro di affermare che l inserimento stesso di una carta di credito o bancomat negli appositi lettori delle postazioni ATM rende tecnicamente possibile la duplicazione dei dati contenuti nella sua banda magnetica, e pertanto la sua clonazione (p. 6 ss. delle controdeduzioni). Ciò può peraltro avvenire mediante dispositivi estremamente semplici da parte dei terzi frodatori, come il posizionamento nella postazione ATM di un apposito lettore della carta che copia i dati contenuti nella banca magnetica (c.d. skimmer) e l installazione di una telecamera ovvero di una tastiera identica a quella originale per la cattura del PIN (v. la presentazione ABI, 23 marzo 2011, Attacchi ai Pag. 6/10
6 Bancomat. Le protezioni antiskimmer e antitaccheggio. Integrazione protezione esplosioni e scasso). Per quanto riguarda poi la presunzione che è stata invocata dalla banca resistente ai sensi dell art c.c., si deve anzitutto rilevare che tale difesa si risolve nel tentativo di dedurre da alcune circostanze di fatto la prova della mancata diligente custodia dei codici segreti, da cui per successiva presunzione si vorrebbe avvalorare l ipotesi che un terzo abbia potuto acquisirli e farne uso. Questo Arbitro ha tuttavia rilevato che, in mancanza di un fatto noto, non è consentito far riferimento a un fatto presunto (che il PIN utilizzato dal terzo fosse stato sottratto al titolare della carta) per far derivare da questo un ulteriore presunzione (che il PIN fosse conservato insieme alla carta): secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la c.d. presumptio de praesumpto non è infatti generalmente ammessa dall ordinamento giuridico (Cass., 20 giugno 2006, n ; Cass., n. 9 aprile 2002, n. 5045; Cass., 28 gennaio 1995, n. 1044). Ciò posto, non si può a priori escludere che, così com è stato ipotizzato dalla banca resistente (p. 7 delle controdeduzioni), terzi siano venuti a conoscenza dei codici identificativi della ricorrente. Tuttavia, com è noto, ai sensi dell art. 2697, 2 comma, c.c., l onere della prova di tale fatto grava pur sempre sulla banca resistente che, nel caso di specie, non lo ha tuttavia assolto. Poiché questo Arbitro ritiene che non sia stata provata la colpa grave della ricorrente, ai sensi dell art. 12, 3 comma, del d.lgs n.11 del 2010 la banca resistente è nei suoi confronti responsabile del danno costituito dalla perdita dell importo addebitatole, fermo restando quanto si dirà subito dopo a proposito del limite di tale responsabilità (c.d. franchigia). *** L art. 12, 3 comma, del d.lgs. n.11 del 2010 prevede che l utilizzatore di uno strumento di pagamento possa sopportare per un importo complessivamente non superiore a 150,00 la perdita derivante dall utilizzo indebito di tale strumento, conseguente al suo furto o smarrimento. Pag. 7/10
7 Questo Arbitro ritiene che tale importo debba essere caso per caso determinato secondo i seguenti criteri (v. la decisione ABF, Collegio di Roma, n del 2012): 1. La proporzione con l entità della somma fraudolentemente sottratta (in particolare, su una somma esigua, di poche centinaia di euro, la franchigia da dedurre non potrà comunque raggiungere la soglia massima di 150,00); 2. La maggiore o minore levità della compartecipazione colposa del ricorrente nella produzione del fatto illecito (i prelievi fraudolenti); 3. Il grado di negligenza dell intermediario. Per quanto riguarda il punto n.1, nel caso di specie questo Arbitro ritiene che l importo delle operazioni disconosciute non sia esiguo. Si giustifica pertanto l applicazione di una franchigia. Per quanto riguarda il punto n.2, questo Arbitro ritiene che non sussistano specifici elementi probatori di un eventuale compartecipazione colposa della ricorrente nella produzione del fatto illecito. In particolare, si deve rilevare che l importo di cui si tratta è stato addebitato il 17 luglio 2012 alla ricorrente ed ella, appena avvedutasi del furto, ha provveduto subito a bloccare le carte prepagate (alle ore 21:37 e, rispettivamente, 21:38 dello stesso giorno). Per quanto riguarda il punto n.3, conviene premettere che il prestatore di servizi di pagamento deve «assicurare che le caratteristiche di sicurezza personalizzate di uno strumento di pagamento siano accessibili solo all utente di servizi di pagamento abilitato ad utilizzare lo strumento stesso, salvi restando gli obblighi imposti all utente di servizi di pagamento di cui all art. 56». A ciò consegue che il prestatore dei servizi di pagamento può dare la prova di aver adempiuto le proprie obbligazioni contrattuali con la diligenza richiesta dalla natura dell attività che esercita (art. 1176, 2 comma, c.c.) soltanto dimostrando di aver assicurato che lo strumento di pagamento sia accessibile solo dall utente. Ciò vale a maggior ragione, se si considera che la diligenza che è richiesta a una banca nell adempimento delle proprie obbligazioni deve essere valutata con particolare rigore, perché è «qualificata dal maggior grado di prudenza e attenzione che la connotazione professionale dell agente consente e richiede» (Cass. civ., sez. I, 24 settembre 2009, n ). Pag. 8/10
8 In particolare, «non può essere omessa [ ] la verifica dell adozione da parte dell istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio [ ]: infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento e assumendo quindi come parametro la figura dell accorto banchiere» (Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2007, n ). Non si può peraltro non osservare che, come ribadito da questo Arbitro nella decisione del Collegio di Coordinamento n del 2012, il Provvedimento della Banca d Italia del 5 luglio 2011 ha precisato che i prestatori di servizi di pagamento hanno l obbligo di dare corso a fasi di verifica teorica e pratica della vulnerabilità dei presidi di sicurezza con relativa revisione periodica del processo stesso, nonché di definire un adeguato insieme di presidî di sicurezza logica e fisica per i sistemi informativi, un efficace processo di controllo interno, un appropriato piano di continuità operativa e una gestione dei rapporti contrattuali con i fornitori esterni coerente con i suddetti vincoli: in breve, un preciso obbligo di costante ed effettivo monitoraggio dell efficienza del sistema di sicurezza che, come tale, non può non tenere in debita considerazione l evoluzione dei metodi di aggressione e la costante ricerca di soluzioni protese ad ovviarne o aggirarne le offensive. Contemperando i suddetti criteri, questo Arbitro ritiene che, nel caso di specie, la franchigia di cui all art. 12, 3 comma, del d.lgs. n.11 del 2010 possa trovare applicazione nella misura di 100,00. In accoglimento del ricorso, la banca resistente è pertanto condannata a pagare la somma di 883,60, oltre agli interessi legali dal giorno del reclamo a quello del pagamento. Pag. 9/10
9 P.Q.M. Il Collegio accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, al netto della franchigia di Euro 100,00 (cento/00). Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l intermediario corrisponda alla Banca d Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso. IL PRESIDENTE firma 1 Pag. 10/10
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