MANUALE PER LA PREVENZIONE DEI PERICOLI AMBIENTALI Sommario
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- Ottavia Mazzoni
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1 MANUALE PER LA PREVENZIONE DEI PERICOLI AMBIENTALI Sommario PREMESSA (M. GOVI) 1. FENOMENI IDROGEOLOGICI (M. GOVI) 1.1. FENOMENI FRANOSI (M. GOVI) TIPOLOGIE INDIZI PREMONITORI OSSERVAZIONI E CONTROLLI 1.2. PROCESSI TORRENTIZI (G. MORTARA 1 ) TIPOLOGIE SITUAZIONI PREDISPONENTI OSSERVAZIONI E CONTROLLI 1.3. DINAMICA FLUVIALE (O. TURITTO 1 ) TIPOLOGIE CAUSE DETERMINANTI E INDIZI PREMONITORI OSSERVAZIONI E CONTROLLI 1.4. VALANGHE (M. MARUCCO 2 ) TIPOLOGIE FATTORI PREDISPONENTI NORME DI COMPORTAMENTO RICERCA DI PERSONE TRAVOLTE 2. FENOMENI GEOLOGICI (P.F. SORZANA 1 ) 2.1. TERREMOTI (P.F. SORZANA) TIPOLOGIE POSSIBILITA' DI PREVISIONE 3. PERICOLI CONNESSI AD ATTIVITA' ANTROPICHE (G. MORTARA & o: TURITTO) 3.1. IMPIANTI IDRAULICI (V. ANSELMO 1 ) TIPOLOGIA DI INCIDENTI D'ESERCIZIO OSSERVAZIONI E CONTROLLI 3.2. ATTIVITA' ESTRATTIVE (M. GOVI) TIPOLOGIA DEI DANNI AMBIENTALI
2 3.2.2.OSSERVAZIONI E CONTROLLI 3.3. INQUINAMENTO (G. FAZIO 2 & G.M. RICCA 2 ) TIPOLOGIA DEGLI INQUINAMENTI OSSERVAZIONI E CONTROLLI 4. APPENDICE (M. GOVI, G.MORTARA & O.TURITTO) 4.1. GUIDA PER LA COMPILAZIONE DI RAPPORTI E SCHEDE SCHEDA FENOMENI FRANOSI SCHEDA PROCESSI TORRENTIZI SCHEDA DINAMICA FLUVIALE SCHEDA VALANGHE SCHEDA TERREMOTI SCHEDA IMPIANTI IDRAULICI SCHEDA ATTIVITA' ESTRATTIVE SCHEDA INQUINAMENTO SCHEDA OSSERVAZIONI IDROMETRICHE SCHEDA OSSERVAZIONI PLUVIOMETRICHE ( 1 ) CNR - Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica nel Bacino Padano. ( 2 ) Amministrazione provinciale di Torino. PREMESSA Esperienze recenti e del passato pongono chiaramente in evidenza che la difesa dai pericoli naturali e la tutela delle risorse ambientali e della pubblica incolumità non possono essere viste solamente in funzione dell'efficienza operativa attuabile attraverso interventi di emergenza in corso di evento, ma devono basarsi anche, e soprattutto, su una sistematica opera di prevenzione. Il numero di pericoli che oggi minacciano l'integrità dell'ambiente e della vita stessa sembra paradossalmente crescere, anche per entità di danni producibili, in relazione diretta con lo sviluppo economico-sociale e quindi con il progresso culturale e tecnologico raggiunto dalle varie comunità. Giustamente in anni recenti si sono richieste con fermezza, ed in gran parte sono state ottenute, maggiori garanzie di sicurezza nei luoghi di lavoro e nei pubblici ritrovi; nulla giustifica per contro la sottovalutazione o l'accettazione di rischi naturali o generati da azioni antropiche nell'ambiente che permanentemente ci circonda laddove, con analoghe iniziative codificate o quanto meno attraverso più adeguate forme di comportamento, sarebbe possibile prevenire i potenziali effetti.
3 Nell'ambito dei problemi qui considerati, prevenire significa attivare una serie di misure che, secondo le diverse situazioni, corrispondono alle seguenti strategie d'intervento finalizzate a: 1. rimuovere le cause del pericolo emergente ed impedire quindi che un determinato fenomeno si verifichi; 2. realizzare sistemi difensivi capaci quanto meno di controllare lo sviluppo dei fenomeni, annullandone od attenuandone gli effetti più gravi; 3. imporre vincoli o limitazioni d'uso del territorio, onde evitare la proliferazione di nuove situazioni di rischio. Per procedere secondo queste linee operative, da vagliare di caso in caso, é indispensabile prevedere, attraverso osservazioni aggiornate, la più probabile tipologia del fenomeno d'instabilità o di degradazione ambientale che si vuole evitare ed il luogo od i luoghi potenzialmente più esposti e quindi maggiormente vulnerabili. In sintesi, l'attività di prevenzione si basa fondamentalmente su due fasi di lavoro: la prima dedicata all'identificazione dei pericoli naturali od indotti ed al controllo dei loro meccanismi evolutivi sia nel tempo sia nello spazio; la seconda, consequenziale alla precedente, rivolta a porre in atto l'una o l'altra delle strategie d'intervento indicate ai punti 1,2,3. Il presente manuale ha lo scopo di fornire elementi conoscitivi di base e metodologie di controllo, indicando nell'insieme le modalità di comportamento da adottare nella prima fase dell'attività di prevenzione. Gli argomenti trattati sono direttamente connessi a fenomenologie in atto o potenziali che, in base a conoscenze già acquisite, si pongono in maggiore evidenza per diffusione e ripetitività entro il territorio della provincia di Torino. La suddivisione del manuale in capitoli concernenti i diversi pericoli ambientali consentirà ad ogni operatore di riconoscere i problemi più importanti esistenti nella zona di sua competenza e di adottare, in funzione delle varie situazioni osservate, le procedure più adatte tra quelle indicate per svolgere osservazioni e controlli. Il lavoro richiede omogeneità di criteri operativi e continuità di sorveglianza da applicare non solo prima e, se possibile, durante lo sviluppo degli eventi, ma anche dopo la loro conclusione. L'efficienza funzionale dell'attività di prevenzione dipende infatti dalle esperienze acquisibili attraverso il riscontro diretto degli effetti prodotti da fenomeni di cui, in precedenza, si era ipotizzato un certo grado di pericolosità. Tali motivi di esperienza, registrati e ben memorizzati da ciascun operatore, saranno utilizzabili successivamente in chiave previsionale a fronte di altre situazioni di rischio potenziale.
4 Con molta soddisfazione va registrata l'iniziativa assunta dall'assessore all'ecologia e Ambiente, dott. Paolo SIBILLE, per la realizzazione del tutto innovativo del Servizio Operativo di Prevenzione Territoriale e per la proposta di predisporre un apposito manuale di comportamento. La compilazione di quest'ultimo é il risultato di un'ampia collaborazione instaurata tra ricercatori del CNR - IRPI di Torino, personale dell'amministrazione provinciale e di altri Enti. A tutti gli autori dei vari capitoli va espressa sincera gratitudine. Un doveroso riconoscimento all'ing. G. CAMOLETTO ed al suo Ufficio Tecnico per il contributo fornito nella preparazione dell'allegata cartografia. Un sentito ringraziamento anche al sig. C. LATTINI per la composizione in videoscrittura del testo dattiloscritto, al geom. E. VIOLA per l'esecuzione degli elaborati grafici e al sig. P.G. TREBO' per l'elaborazione fotografica di questi ultimi. CAPITOLO I FENOMENI IDROGEOLOGICI Con tale espressione, non del tutto corretta (*) ma entrata ormai nell'uso corrente, ci si riferisce a quei fenomeni il cui sviluppo è condizionato fondamentalmente dall'acqua, dalle caratteristiche delle rocce e dei terreni e dalle forme del rilievo terrestre e quindi, nell'insieme, dalla storia geologica di una determinata area. Si tratta, in sintesi, di processi naturali che implicano movimenti di volumi idrici (anche sotto forma di neve e ghiaccio) e spostamento di materiali solidi, spesso in miscele nelle quali le due componenti sono variamente rappresentate FENOMENI FRANOSI Il termine "frana" definisce genericamente qualsiasi movimento di masse rocciose e/o di terreni, controllato dalla forza di gravita'. A fenomeno completamente avvenuto, l'effetto macroscopico più immediato di una frana è evidenziato dalla presenza di una zona di svuotamento nella parte alta del settore interessato dal dissesto (zona di distacco o nicchia) e di una o più forme di accumulo al piede del versante. La modalità di franamento si presentano tuttavia diverse da luogo a luogo, perché dipendono dal tipo di materiali coinvolti, dalle quantità d'acqua in essi contenute e dalla geometria delle superfici su cui muovono. E' opportuno quindi fare alcune distinzioni tipologiche fondate sulla composizione dei materiali potenzialmente instabili e sul loro più probabile meccanismo di movimento. (*) Nel lessico internazionale il termine "Idrogeologia" viene attribuito alla scienza che studia la distribuzione ed il movimento dell'acqua nel sottosuolo, con particolare riferimento alla ricerca ed utilizzazione delle risorse idriche sotterranee.
5 TIPOLOGIE Come già fatto cenno, una prima distinzione deve basarsi sulla natura dei materiali coinvolti e coinvolgibili da un fenomeno franoso. Ai fini di una corretta interpretazione delle cause del dissesto e degli interventi sistematori o di difesa da realizzare, è sempre molto utile conoscere se il fenomeno riguarda prevalentemente: corpi rocciosi massicci, scistosi o stratificati, indicati rispettivamente con le lettere A, B, e C fig. 1 (frane nel substrato); materiali incoerenti di varia genesi e composizione, indicati con la lettera D in fig. 1 (frane nei terreni della copertura superficiale). Fig. 1 - Serie schematica composta da substrato roccioso e copertura superficiale: A) roccia massiccia; B) roccia scistosa; C) roccia stratificata; D) materiali incoerenti o suoli. Una seconda distinzione necessaria, spesso più complessa, è strettamente collegata ai tre meccanismi fondamentali attraverso i quali si manifesta l'instabilità dei versanti: per caduta libera e rotolamento (fig.2): crolli di singoli massi o di volumi rocciosi più consistenti, frammentati in blocchi di varia dimensione (fenomeni sempre molto rapidi); per movimenti traslativi planari (fig.3) o rotazionali (fig.4): scivolamenti di strati rocciosi o masse di terreno con separazione in zolle disunite per fessurazioni trasversali e longitudinali (fenomeni lenti o rapidi per improvvise accelerazioni); per flusso in massa dei materiali (fig.5): colamenti di rocce e terreni a comportamento plastico, per lo più fluidificati dalle acque d'infiltrazione, con tendenza all'incanalamento nelle depressioni del versante (fenomeni per lo più lenti).
6 Fig. 2 - Frana per crollo: D) zona di distacco, A) zona di accumulo. Fig. 3 - Frana per scivolamento planare: disarticolazione degli strati rocciosi in zolle isolate (Z); zona di accumulo (A). Fig. 4 - Frana per scivolamento rotazionale lungo una superficie di rottura subcircolare. Fig. 5 - Frana per colamento: rigonfiamenti (R), lobi periferici (L). Oltre a questi tre meccanismi fondamentali di movimento se ne osservano spesso altri che possono essere definiti misti, in quanto la massa in frana nella sua discesa a valle subisce sollecitazioni varie connesse a variazioni sia delle forze motrici che di quelle resistenti (cambiamenti di pendenza, ridistribuzione delle acque filtranti, frantumazione dei materiali, modificazioni d'attrito). Secondo le diverse situazioni potranno essere riconosciuti dunque franamenti misti, caratterizzati da crolli e successivi scivolamenti o da scivolamenti che evolvono in colamenti.
7 INDIZI PREMONITORI Quasi tutti i fenomeni di instabilità dei versanti presentano modalità evolutive caratterizzate da più fasi tra le quali possono schematicamente essere distinte: una fase preparatoria più o meno prolungata e discontinua; una o più fasi pulsatorie di collasso; una fase di assestamento che può portare ad un equilibrio definitivo e temporaneo. Nel contesto delle attività di prevenzione la fase preparatoria riveste ovviamente la massima importanza oltre che per quanto riguarda il suo riconoscimento fin dai primi indizi, anche per porre in atto il più adeguato sistema di sorveglianza sull'evoluzione del fenomeno. Con riferimento ai tre tipi fondamentali di frana (crollo, scivolamento, colamento), la fase preparatoria si manifesta spesso attraverso una serie di indizi premonitori che, pur potendo da luogo a luogo apparire più o meno evidenti e significativi, consentono di riconoscere e delineare una certa zona di instabilità potenziale o quanto meno richiamano l'attenzione ai fini di più approfondite verifiche successive. CROLLI: questi fenomeni si generano improvvisamente da pareti rocciose o comunque su pendii ad elevatissima inclinazione; le condizioni predisponenti alla caduta di materiali più o meno abbondanti si rendono manifeste soprattutto in base ad osservazioni sul grado di fratturazione delle rocce, sulla disposizione geometrica delle fratture e sui reciproci rapporti di intersezione di queste ultime. Situazioni pericolose si realizzano quando sistemi di fessurazione incrociati scompongono l'ammasso roccioso in più parti, isolando numerosi blocchi che appoggiano su superfici di frattura o di stratificazione inclinate verso il basso, in direzione esterna al pendio (cfr. fig.2). Sintomatica risulta in questi casi la presenza di singoli massi già staccatisi dalla parete di roccia e distribuiti al piede di quest'ultima. Più o meno diffuse emergenze d'acqua, soprattutto alla base dell'affioramento, indicano continuità delle fratture all'interno dell'ammasso roccioso; in questi casi la pressione dell'acqua e l'azione disgregatrice del gelo-disgelo possono comportare crolli voluminosi e quindi condizioni di pericolosità più elevate. SCIVOLAMENTI: diversamente dai fenomeni descritti in precedenza, questi movimenti gravitativi che si determinano per traslazione di rocce e terreni lungo superfici di rottura piane e curve (cfr. fig. 3-4), coinvolgono in genere versanti di media o modesta inclinazione. Altri motivi di differenziazione sono individuabili nella fase preparatoria che si manifesta attraverso indizi premonitori più evidenti e talora ben prolungati nel tempo. Lo stadio iniziale di uno scivolamento planare o rotazionale è caratterizzato dall'apertura di fessurazioni più o meno continue e concentrate, soprattutto nella parte superiore del versante (fig.6), spesso ben sviluppate anche in profondità. Localmente, e per lo più nelle parti medie ed inferiori del pendio, si osservano rigonfiamenti e cedimenti del terreno, associati talora alla comparsa di emergenze idriche intermittenti. Questi fenomeni possono persistere nel tempo ripetendosi nei medesimi luoghi, anche se rimodellati e riassestati per intervento antropico. Le condizioni generali rimangono quindi apparentemente stazionarie, talora per vari anni; indizi di una instabilità crescente sono tuttavia segnati dall'allargamento delle fratture nel terreno, da variazioni nelle venute d'acqua, dalla comparsa di nuove fessure e deforcazioni su manufatti ed anche da una progressiva se pur lenta inclinazione o traslazione di piante d'alto fusto.
8 Fig. 6 - Indizi premonitori di instabilità: fessurazioni (F), rigonfiamenti (R). Ogni previsione circa il momento del collasso è quasi sempre alquanto difficile; il ruolo assunto dalle acque d'infiltrazione è fondamentale e quindi i periodi più pericolosi sono quelli caratterizzati da piogge prolungate e da maggior fusione del manto nevoso. Un ulteriore sintomo di instabilità potenziale può essere riconosciuto attraverso l'esame delle condizioni esistenti al piede del versante, quando quest'ultimo risulta esposto ad accentuati processi erosivi da parte di un corso d'acqua. COLAMENTI: queste frane, pur potendo coinvolgere anche masse rocciose minutamente fratturate, si manifestano diffusamente soprattutto in zone costituite da strati argillosi e sabbiosi o comunque da materiali detritici prevalentemente fini. I fenomeni si innescano su versanti di varia pendenza, ma i movimenti persistono anche sui settori a modestissima inclinazione. Salvo casi particolari, la massa si sposta con notevole lentezza attraverso continui processi di deformazione dei materiali coinvolti. Già nella fase iniziale l'instabilità è denunciata da significativi indizi corrispondenti a deboli ondulazioni del terreno che si traducono progressivamente in una serie di rigonfiamenti ed avvallamenti. In una fase evolutiva più avanzata tali forme tendono a disporsi secondo archi di cerchio trasversali alla direzione di movimento e, nel terreno mobilizzato, compaiono temporanee crepacciature subparallele. La massa in movimento può suddividersi in più lobi caratterizzati da velocità di spostamento diverse, relativamente maggiori dove il colamento risulta incanalato in depressioni del terreno o entro incisioni vallive (cfr.fig.5). Fenomeni apparentemente simili ai precedenti, ma con meccanismo evolutivo molto più rapido, avvengono per fluidificazione dei terreni superficiali saturi d'acqua durante gli eventi di pioggia di elevata intensità (fig.7). Fig.7 - Frana per fluidificazione dei terreni incoerenti della copertura superficiale. Si tratta in genere di frane di piccole dimensioni e di modesto spessore che si generano tuttavia in numero anche molto elevato, corrispondentemente a zone prative o comunque prive di un'efficiente copertura forestale. I tempi di sviluppo di tali fenomeni, a partire dall'inizio della pioggia, sono molto brevi ed unico indizio per riconoscere potenziali instabilità di questo tipo è fornito talora dalla presenza di tracce di frammenti analoghi avvenuti in passato nella medesima area.
9 OSSERVAZIONI E CONTROLLI Quando la fase preparatoria dei fenomeni di instabilità è sufficientemente prolungata, gli accertamenti dovrebbero esser effettuati con sistematica ripetitività, al fine di verificare le modalità evolutive dei processi e riconoscere eventuali tendenze all'accelerazione dei movimenti. Ai fini della prevenzione, quindi, i controlli e le osservazioni da svolgere riguarderanno primariamente tutti quegli aspetti che possono essere riconosciuti come manifestazioni iniziali di instabilità: presenza di nuovi, singoli frammenti detritici ai piedi di pareti rocciose; dovrà esserne identificato con la migliore approssimazione il punto di distacco, ricostruito il percorso in base alle tracce di rotolamenti e di eventuali rimbalzi, valutata la distanza complessivamente coperta dai massi più sopravanzati (fig.8); locali destabilizzazioni di singoli blocchi rocciosi su versanti fortemente inclinati, situazioni di questo tipo saranno oggetto di ripetuti accertamenti onde verificare eventuali variazioni nelle condizioni di appoggio dei massi instabili (fig.9); fessurazioni in ammassi rocciosi, in terreni e su manufatti: un attento controllo va esercitato per valutarne ogni eventuale ampliamento sia nell'estensione laterale che nel grado di apertura ed approfondimento (figg.10-11); rigonfiamenti ed avvallamenti del terreno, deformazioni in manufatti di vario tipo: dovrà essere registrata ogni progressiva accentuazione dei fenomeni attraverso periodici sopralluoghi, valutando eventuali tendenze a movimenti traslativi; tali controlli possono essere effettuati con modalità speditive in base ad osservazioni sull'allineamento di piante d'alto fusto o di altri elementi di riferimento distribuiti nell'area instabile, traguardabili da un punto prefissato collocato in zona stabile (fig.12); improvvisa riduzione o annullamento di efficienza funzionale delle opere di drenaggio nei manufatti di sostegno lungo le strade (fig.13) od in altre strutture a protezione di insediamenti di vario tipo: tali situazioni richiedono verifiche anche al contorno dell'opera drenante occlusa, onde individuare i motivi d'insieme che ne hanno interrotto il regolare funzionamento; fenomeni sottoescavazione al piede del versante per azione erosiva esercitata da un corso d'acqua (fig.14): le osservazioni riguarderanno la natura dei materiali esposti all'erosione (rocce o terreni) ed i controlli dovranno essere periodicamente ripetuti per stimare la rapidità del processo di demolizione; emergenze idriche di nuova formazione e ristagni d'acqua, da controllare nella loro persistenza e negli eventuali cambiamenti di localizzazione entro zone instabili, registrando episodi di irregolarità nei deflussi, per intermittenza o particolare torbidità dell'acqua. Come già precisato, le operazioni esposte ai punti precedenti riguardano la fase preparatoria dei fenomeni franosi; ulteriori interventi si rendono necessari nei momenti immediatamente successivi al collasso vero e proprio di una massa instabile. Le osservazioni in questo caso saranno dedicate fondamentalmente a raccogliere i seguenti dati:
10 Fig. 8 - Caduta di un masso roccioso attraverso ripetuti rimbalzi e rotolamenti. Fig. 9 - L'instabilità del masso è denunciata dalla modesta traslazione sul piano d'appoggio e dalla rottura del ramo. La freccia indica la direzione del movimento. Fig Operazioni di misura in corrispondenza a fessurazioni aperte: misure di larghezza (A); misure di profondità (B).
11 Fig Misure e controlli su manufatti lesionati: con righello millimetrato (R), filo a piombo (V) e spie in vetro (S). Fig Controllo di movimento gravitativo attraverso verifica di allineamento da un punto fisso stabile (P). Fig La figura schematizza una situazione di pericolo incipiente denunciata dalla mancata efficienza di alcuni fori di drenaggio nel muro di contenimento. Ora in cui è avvenuto il fenomeno franoso: ciò consentirà di individuare le relazioni esistenti tra il dissesto e la quantità di pioggia eventualmente caduta fino al momento del suo innesco; in alcune circostanze sarà utile valutare anche l'estensione e lo spessore del manto nevoso ancora presente intorno all'area franata, da porsi in relazione con le registrazioni termometriche; quantità d'acqua che defluisce dalla massa franata e dalle rocce o terreni contigui rimasti in sede con identificazione dei luoghi di maggiore fuoriuscita: osservazioni di questo tipo, anche se necessariamente qualitative ma tempestivamente effettuate, possono essere di grande utilità per interpretare il fenomeno e progettare le opere di sistemazione; se i movimenti sono ancora in atto durante i sopralluoghi, può presentarsi l'opportunità per una valutazione della velocità di spostamento della massa in frana; questo dato, anche se non rappresentativo della velocità massima, può avere una precisa utilità quando posto in relazione con i parametri geometrici dei materiali coinvolti e quelli morfometrici del tratto percorso dalla massa in movimento a partire dell'inizio delle misure; se i materiali di accumulo devono essere immediatamente rimossi, è opportuno registrarne,
12 con la migliore approssimazione, i volumi e la massima distanza percorsa misurandola corrispondentemente alle parti frontali della massa franata; altre osservazioni riguarderanno gli eventuali effetti di sbarramento prodotti nell'alveo di corsi d'acqua (fig.15). Fig Attività erosiva di un corso d'acqua al piede di un versante: il fenomeno è spesso evidenziato da accumuli di detriti in alveo e da fessurazioni nel terreno. Fig Gli accumuli di frana in alveo costituiscono pericolosi motivi di impedimento al deflusso: nel tratto a monte può formarsi un lago con sommersione dell'area circostante. Se il temporaneo sbarramento repentinamente cede, si genera una violenta ondata di piena PROCESSI TORRENTIZI Nell'ambiente montano il reticolo idrografico secondario è costituito in gran parte da incisioni torrentizie ed elevata pendenza nelle quali, per effetto di piogge intense, si possono generare improvvise pulsazioni di piena. Questi eventi talora si manifestano con estrema violenza, provocando radicali modificazioni degli alvei ed effetti anche gravissimi sulle conoidi e allo sbocco nelle vallate principali. La pericolosità dei processi deriva principalmente dalle ingenti quantità di materiale solido spostate e dal breve intervallo di tempo entro il quale questi fenomeni solitamente si innescano e si esauriscono (da 15 minuti a 1 ora circa). Il più vistoso e caratteristico riscontro morfologico dell'azione pulsatoria di rimozione, trascinamento e infine deposito dei materiali è rappresentato proprio dalle conoidi alluvionali, forme coniche di accumulo attraverso le quali in genere i bacini tributari si raccordano al fondovalle principale (fig.16).
13 Fig Uno dei più tipici e diffusi aspetti del paesaggio montano è rappresentato dalle conoidi alluvionali (C), forme di deposito a ventaglio costruite dai torrenti al loro sbocco nel fondovalle TIPOLOGIE Quando la portata di un torrente, solitamente modesta, talora insignificante, subisce un incremento, nell'alveo si creano turbolenze che innescano i primi locali fenomeni di erosione alle sponde e di trasporto solido sul fondo. I deflussi liquidi, resi molto torbidi per l'alto contenuto di materie in sospensione, coinvolgono progressivamente nel processo di trascinamento sempre maggiori quantità di depositi alluvionali e detritici. In brevissimo tempo si genera una miscela solido-liquida di elevata densità e grande mobilità nella quale sono immersi, a varia altezza, ghiaie e massi di ogni dimensione cui si associano quasi sempre numerosi tronchi d'albero divelti dalle sponde. Laddove particolari condizioni morfologiche e topografiche lo consentono (ad es. strettoie naturali ed artificiali che impediscono il libero deflusso, curvature dell'asta torrentizia, riduzioni di pendenza) i materiali più grossolani vengono spesso abbandonati selettivamente ai lati, formando caratteristiche cordonature (fig.17). Fig Cordonature laterali (C) generate da un processo di trasporto in massa: rilevamento delle massime altezze raggiunte da un punto fisso (P). Indizi di instabilità in manufatti trasversali, per fessurazione (F) e sottoescavazione (S). Il processo di "trasporto in massa" si esaurisce sul settore di conoide ove la miscela solido-liquido, che può raggiungere il volume di diverse decine di migliaia di mq, si espande, suddividendosi talora in più lobi. A seconda delle dimensioni prevalenti dei materiali mobilizzati, i fenomeni di trasporto in massa torrentizio vengono distinti in: colate di detrito, quando la massa risulta composta per più del 50% da materiale grossolano,
14 cioè da ghiaie e blocchi che possono raggiungere talora 4-5 metri di diametro (fig.18); colate di fango, quando la massa risulta composta per più del 50% da materiale fine (sabbie, limi, argille), all'interno del quale sono tuttavia spesso inglobati blocchi di varia dimensione (fig.19). Fig Aspetto tipico di una colata detritico-alluvionale composta da blocchi e ciottoli immersi in una matrice sabbioso-ghiaiosa. M) misura della massima altezza raggiunta; S) segnale stabile di riferimento. Fig Colata di fango composta in gran prevalenza da materiale fine con blocchi e tronchi d'albero. La miscela solido-liquida si adatta alla morfologia del terreno, espandendosi talora in più lobi (L) SITUAZIONI PREDISPONENTI In tutta la regione alpina sono molto numerosi i piccoli bacini all'interno dei quali si possono generare fenomeni di trasporto in massa. Questi sono particolarmente temuti, oltre che per gli effetti devastanti che spesso possono produrre, anche per la rapidità con cui si sviluppano, per lo più senza una fase preparatoria chiaramente identificabile ai fini del preavviso. L'attività di prevenzione in questo caso deve principalmente basarsi su operazioni da compiere ben prima che l'evento possa avere inizio, attraverso il riconoscimento delle situazioni che, all'interno di ciascun bacino, potrebbero favorire l'innesco del fenomeno torrentizio di trasporto in massa.
15 Le principali osservazioni da svolgere devono essere rivolte soprattutto ad accertare i seguenti fatti: quantità di materiali detritici ed alluvionali presenti in alveo, soprattutto se distribuiti in accumuli caotici corrispondentemente a settori di relativa maggiore pendenza dell'asta torrentizia o su tratti di versante contigui a quest'ultima; dimensione dei massi più grandi presenti in alveo o nelle sue immediate vicinanze, onde ottenere elementi di valutazione indiretta delle capacità di trasporto della corrente e quindi della impetuosità dei fenomeni già avvenuti (fig.20); altezza, rispetto al fondo-alveo, dei depositi laterali abbandonati da piene precedenti, al fine di ricavare indicazioni orientative circa i massimi spessori raggiunti dalla miscela di acqua e detriti trasportata in una certa sezione d'alveo (cfr. figg.17-18); presenza di fattori che possono comportare restringimento o temporaneo impedimento al libero deflusso in alveo: strettoie rocciose, versanti instabili, accumuli di frana (cfr. fig.15) o valanga, ingombri per discariche di vario tipo, piante d'alto fusto sradicate o sradicabili durante la piena, opere di attraversamento di luce insufficiente (fig.21); presenza di fattori che possono comportare improvvisi rilasci d'acqua in quantità tali da determinare una pulsazione di piena lungo l'alveo: invasi lacustri naturali od artificiali nelle parti superiori del bacino idrografico, masse glaciali o nivali che potrebbero esser oggetto di rapida fusione (fig.22). Fig Canale di scarico in una conoide alluvionale. Le capacità di trasporto del torrente sono valutabili in base alle dimensioni del masso M; la luce del ponte appare pertanto sottodimensionata. A) settore apicale non sufficientemente profondo per impedire disalveamenti (D). Fig Motivi di impedimento al libero deflusso delle acque in un alveo torrentizio: alberi d'alto fusto e ponte con luce insufficiente. C) Segni di riferimento per il controllo delle
16 variazioni d'altezza dell'acqua. Fig Motivi che possono generare improvvisi incrementi di portata in un torrente: rapida fusione di nevai o di ghiacciai (G) a monte di invasi lacustri (L) con possibilità di pericolose tracimazioni OSSERVAZIONI E CONTROLLI All'interno dei bacini riconosciuti più pericolosi occorre effettuare una serie di periodiche verifiche, anche in riferimento alle situazioni descritte al paragrafo precedente. Prima dell'evento Nell'ambito dell'attività ordinaria di controllo le osservazioni riguarderanno i seguenti argomenti: condizioni di stabilità ed efficienza di opere sistematorie in alveo, sia trasversali che longitudinali, accertando l'eventuale comparsa di deformazioni e fessurazioni, tendenza della corrente all'aggiramento degli appoggi laterali o di sottoescavazione delle fondazioni, verificando anche il grado di riempimento del tratto d'alveo a monte delle briglie (cfr. fig. 17.); variazione nella localizzazione e dimensione di accumuli detritico-alluvionali in alveo, locali condizioni di instabilità progressiva dei materiali più grossolani, grado d'invasione della vegetazione arborea ed arbustiva nel letto di piena del torrente; modificazioni nella geometria dell'alveo in corrispondenza ad opere di attraversamento con misure delle eventuali riduzioni nella sezione utile ai deflussi e controllo di eventuali processi erosivi che possono intaccare le fondazioni dei manufatti; grado di inclinazione dell'alveo nel settore d'apice della conoide, all'uscita quindi del corso d'acqua dal bacino montano, dove è molto importante che il letto del torrente sia sufficientemente largo e profondo da contenere i volumi idrici e solidi provenienti da monte, impedendone la fuoriuscita e l'espandimento incontrollato verso zone antropizzate (cfr. fig.20); efficienza nella tenuta dei materiali di contenimento degli invasi lacustri naturali od artificiali presenti nei bacini, onde tempestivamente accertate eventuali perdite per infiltrazioni o fuoriuscite per trascinazione. Durante l'evento Nell'ambito delle osservazioni da compiere in corso di evento è di grande utilità raccogliere dati in merito alle precipitazioni piovose, tenuto conto che i fenomeni di trasporto in massa torrentizio vengono prevalentemente generati durante piogge di breve durata e forte intensità. Le osservazioni
17 da fare sono: misure della quantità di pioggia caduta, quando possibile, ad ogni ora, per l'intera durata dell'evento, utilizzando appositi contenitori standarizzati, sui quali saranno fatte precise letture dell'altezza d'acqua raccolta (fig.23); Fig Modello di misurazione di pioggia a lettura diretta. controlli sul progressivo innalzamento dei livelli idrici in alveo, da farsi corrispondentemente a prefissate sezioni del corso d'acqua ed in riferimento a capisaldi stabili, che possono essere individuati su ponti, strutture murarie laterali agli alvei (cfr. fig.21), alberi d'alto fusto ben radicati od altro; osservazioni sul progressivo aumento di torbidità dell'acqua, sulla quantità e qualità dei materiali galleggianti trasportati dalla corrente, valutazioni anche approssimative della velocità di quest'ultima, annotazioni circa la rumorosità connessa al trascinamento dei detriti e ciottoli al fondo ed in merito ad eventuali concomitanti vibrazioni accertabili sul terreno lungo le sponde; segnalazione tempestiva di eventuale rapida decrescita dei deflussi nel torrente con evento perdurante, indizio di pericolose situazioni determinate da temporanei sbarramenti in alveo per frana od accumuli detritici di vario tipo (cfr. fig.15). Dopo l'evento Le osservazioni da fare ad evento concluso sono finalizzate a raccogliere elementi di conoscenza circa le modalità con cui i fenomeni di trasporto in massa torrentizio sono avvenuti; i sopralluoghi da farsi tempestivamente, quando le tracce lasciate dalla massa defluita sono ancora ben evidenti, saranno rivolti ad ottenere i seguenti dati: massime altezze raggiunte dalla massa fluida di detriti: le osservazioni saranno effettuate in prefissate sezioni d'alveo (cfr. fig.17) e, in corrispondenza delle tracce più alte lasciate dal fenomeno, saranno collocati segni stabili (targhette, picchetti o tacche di vernice indelebile) con indicazione della data dell'evento (cfr. fig.18, fig.24);
18 Fig Effetti abrasivi su tronchi d'albero prodotti da un fenomeno di trasporto in massa torrentizio; l'altezza H indica lo spessore della parte più densa della corrente torbida, dove sono maggiormente concentrati i detriti grossolani. tipologia dei materiali trasportati in massa e depositati internamente ed esternamente all'alveo: sarà utile anche solo una valutazione qualitativa sulle dimensioni prevalenti dei materiali grossolani (ghiaia e blocchi) e sulla quantità di quelli più fini (sabbie e limi); massima distanza percorsa da singoli massi di maggiori dimensioni dei quali era nota la posizione in alveo precedentemente all'evento; entità delle modificazioni prodotte nella geometria dell'alveo, con particolare riferimento alle variazioni di profondità e larghezza; indicazioni sul più probabile luogo di innesco del fenomeno di trasporto in massa e sulle cause concomitanti che lo hanno generato (cedimento di una o più briglie nel tratto montano, sbarramenti per frana, valanga o ponti distrutti, discariche in alveo) DINAMICA FLUVIALE In questo paragrafo vengono considerati i problemi riguardanti prevalentemente la rete idrografica principale. Con l'espressione "dinamica fluviale" si intende quell'insieme di processi naturali che si manifestano lungo un corso d'acqua per interazione fra la corrente fluviale ed i terreni in cui il corso d'acqua è inciso. Tali processi si traducono in una continua trasformazione della geometria dell'alveo; le modificazioni possono essere di modesta entità ed avvenire in modo graduale, talora impercettibile; in altri casi avvengono cambiamenti radicali e concentrati in breve tempo. Quando la corrente idrica ha un'elevata quantità di energia da dissipare, le trasformazioni non rimangono circoscritte all'interno dell'alveo, ma possono coinvolgere la pianura circostante, con gravi effetti di impatto sulle strutture antropiche, qualora queste vengano ad interferire con l'evoluzione naturale del fenomeno.
19 1.3.1 TIPOLOGIE Un evento di piena è caratterizzato da un deflusso d'acqua superiore a quello che normalmente transita lungo l'alveo. In tali circostanze l'energia da dissipare cresce con l'aumentare della piena ed è quindi proprio durante tali fenomenologie che si manifestano con maggiore violenza gli effetti della dinamica fluviale. Essi possono essere così sintetizzati: sollecitazioni meccaniche: la massa d'acqua sottopone ad intensi e prolungati sforzi sia gli elementi naturali dell'alveo che le strutture artificiali (opere di difesa, derivazioni, attraversamenti) soprattutto se poste perpendicolarmente alla direzione della corrente e ingombre di materiale fluitato (fig.25); processi erosivi e deposizionali: i fenomeni di erosione, trasporto e deposito del materiale presente in alveo assumono un ruolo preminente sulle modificazioni delle vie di deflusso. Tali azioni, operanti anche con quantità d'acqua relativamente modesta determinando in questo caso solo piccoli spostamenti di sabbie e ghiaie e minute, in condizioni idrometriche di piena possono mobilizzare notevoli volumi di materiale, consentendo al corso d'acqua di incidere nuovi canali, colmare altri precedentemente attivi o riconquistare posizioni abbandonati al lungo tempo. In casi estremi si può constatare un completo rimaneggiamento dei depositi alluvionali che ha come risultato finale una radicale trasformazione dell'assetto plano-altimetrico della fascia fluviale; Fig Potenziali motivi di impedimento al libero deflusso delle acque per accumulo di tronchi d'albero sul lato a monte di un'opera di attraversamento. L'eventuale sbarramento può produrre esondazioni a monte e pericolose spinte sul manufatto Fig Allagamento per fuoriuscita delle acque di piena attraverso un varco prodotto da cedimento del rilevato arginale. esondazioni: quando il volume delle acque di piena non può più essere contenuto all'interno delle sponde, queste vengono superate e il flusso che si origina segue una dinamica di
20 propagazione che dipende essenzialmente dalla quantità d'acqua che fuoriesce, dalla velocità della corrente di esondazione, dalla morfologia delle zone circostanti (fig.26). Durante le piene lungo i corsi d'acqua arginati può manifestarsi una serie di fenomeni che portano quasi sempre al cedimento, localizzato od esteso, dei rilevati arginali e quindi ad una più o meno violenta fuoriuscita d'acqua; le cause più frequenti sono: tracimazione: l'acqua, superato il coronamento dell'argine, defluisce in cascata precipitando da alcuni metri d'altezza per raggiungere il piano-campagna; nel punto di impatto si innesca un processo erosivo la cui intensità aumenta con l'aumentare sia della quantità d'acqua tracimata, sia del dislivello superato. Con il perdurare della tracimazione il rilevato arginale, generalmente costruito in terra, viene più o meno rapidamente demolito (fig.27); Fig Illustrazione schematica di un fenomeno di tracimazione d'argine con conseguente escavazione al piede esterno di quest'ultimo. sifonamento: in questo caso le acque si infiltrano attraverso il materiale che costituisce l'argine e, seguendo vie preferenziali, raggiungono la parte esterna del manufatto; lungo il tragitto asportano materiale dalla struttura e ne minano la stabilità (fig.28); Fig Infiltrazione d'acqua all'interno del corpo arginale con fuoriuscita sul fianco esterno (sifonamento). erosione al piede: quando la capacità erosiva della corrente fluviale si esercita lateralmente asportando materiali al piede di un argine in froldo (*), questo può venire progressivamente indebolito fino alla completa distruzione (fig.29). Fig Parziale demolizione del lato interno di un argine per erosione al piede esercitata dalla corrente fluviale. (*) L'argine dicesi in "froldo" quando costruito lungo la linea di sponda naturale e può essere quindi sfiorato dalle correnti veloci che si generano in alveo durante le piene; gli argini principali o "maestri" sono collocati in genere ad una certa distanza dall'alveo essendone separati da un'area detta "golenale".
21 Il flusso d'acqua che fuoriesce dalle sponde o dagli argini va ad occupare settori più o meno ampi della zona circostante determinando un allagamento e le modalità di espandimento delle acque dipendono dalle caratteristiche geometriche del terreno. Le situazioni che riscontrano più spesso sono associabili fondamentalmente a due tipi di alveo che occupano settori di pianura abbastanza ben differenziati: alveo a canali multipli (fig.30) che occupa le zone di alta pianura, è inciso in depositi alluvionali prevalentemente grossolani e la sua pendenza è ancora relativamente alta; per le sue caratteristiche geometriche e granulometriche le vie di deflusso appaiono intensamente ramificate e distribuite su una ampia fascia. Durante le piene la corrente idrica, transitando ad alta velocità, non segue l'andamento dei vari rami, ma tende ad occupare l'intera fascia, riprendendo anche i canali abbandonati da molto tempo. In questo caso gli allagamenti risultano comunque contenuti all'interno del così detto "alveo di piena", spesso delimitato da terrazzi insommergibili che definiscono la fascia fluviale. I danni che derivano da tali allagamenti sono imputabili al fatto che l'alveo di piena spesso non è stato precisamente riconosciuto sul terreno e ne è stata sottovalutata l'ampiezza, con conseguente sottodimensionamento delle opere di attraversamento e talora con occupazione dell'area fluviale per insediamenti urbani ed attività di vario tipo; Fig Esempio di corso d'acqua con alveo a canali multipli. T) terrazzi insommergibili. alveo a canale unico (fig.31) che occupa in genere le zone di bassa pianura, è inciso in depositi alluvionali fini e la sua pendenza è molto bassa; il corso d'acqua ha un andamento sinuoso-rettilineo o meandriforme e le sue sponde sono ben definite. Durante le piene le acque, non trattenute dalle sponde o dagli argini, vanno ad occupare porzioni di territorio talora molto estese, dove localmente possono ristagnare anche per diversi giorni; le acque di allagamento possono percorrere lunghe distanze seguendo avvallamenti e pendenze del terreno, talora regredendo progressivamente verso monte se il deflusso verso valle è impedito da strutture disposte trasversalmente alla direzione di deflusso. Fig Esempio di corso d'acqua con alveo a canale unico.
22 Fenomeni di allagamento possono inoltre avvenire per le seguenti cause: rigurgito della rete idrografica secondaria e/o dei canali artificiali per l'impossibilità di smaltire le proprie acque entro l'alveo del corso principale il cui livello di piena è molto elevato; ristagno nelle zone depresse di acque meteoriche impedite nel loro deflusso da mancanza di drenaggio (fig.32); Fig Il ristagno di acque è condizionato da depressioni naturali del terreno non drenate o da opere antropiche (rilevati stradali e ferroviari, argini, muri) prive di adeguati sistemi per lo smaltimento delle acque. Fig In un'ansa fluviale l'attività erosiva della corrente (E) si esercita con maggiore energia contro la sponda concava (in destra idrografica nel caso illustrato); al contrario sulla sponda convessa, dove si riduce la velocità della corrente, viene favorito il deposito di materiale alluvionale (D). emergenza delle acque freatiche più superficiali; anche in questo caso l'effetto è imputabile allo scarso drenaggio. Le acque di esondazione trasportano, oltre ad una parte del materiale mobilizzato all'interno dell'alveo, anche frazioni più minute prese in carico lungo il loro espandimento sulla campagna. L'abbandono di tali materiali, per una più o meno brusca riduzione della velocità della corrente, dà luogo al fenomeno dell'alluvionamento. Gli alluvionamenti provocati da corsi d'acqua a canali multipli sono costituiti da materiali grossolani, distribuiti in maniera discontinua (correnti veloci). L'esondazione di corsi d'acqua a canale unico depositano elementi fini, abbastanza omogeneamente
23 distribuibili su tutta la superficie allagata (correnti per lo più lente). In entrambi i casi, poiché la velocità delle acque di esondazione si riduce progressivamente lungo il percorso, diminuisce l'energia di trasporto e quindi il materiale più grossolano viene depositato nei pressi dell'alveo e quello più fine nelle zone periferiche. Gli allagamenti prodotti da rigurgiti, ristagni ed emergenze della falda freatica non sono solitamente accompagnati da fenomeni di alluvionamento per assenza di corrente CAUSE DETERMINANTI E INDIZI PREMONITORI E' noto che gli eventi di piena sono fondamentalmente preceduti da piogge di breve durata ma forte intensità, oppure da periodi di piogge di modesta intensità, ma prolungate nel tempo. Le prime possono provocare piene disastrose nei corsi d'acqua di piccole dimensioni, mentre le seconde influiscono essenzialmente sui bacini di maggiore superficie. Altre cause responsabili di eventi di piena sono: rapida fusione del manto nevoso e/o di masse glaciali per un brusco innalzamento della temperatura; fuoriuscita di acque da invasi lacustri naturali o artificiali; accidentali impedimenti al deflusso lungo l'alveo di un corso d'acqua o alla sua foce. La rapidità dei fenomeni o la concomitanza di più fattori (ad esempio piogge prolungate accompagnate da rapida fusione del manto nevoso) aumenta il grado di pericolosità delle piene che ne derivano. Il progredire della piena spesso è accompagnato da manifestazioni di diverso tipo: aumento nella torbidità delle acque; trascinamento di materiale fluitante in quantità progressivamente maggiori; rumori e vibrazioni nel terreno, connessi a urti di ciottoli negli alvei ghiaiosi, stanno ad indicare che la velocità della corrente ha superato un certo valore critico al di sopra del quale avviene la mobilizzazione del materiale; accentuazione dei processi erosivi in anse concave o comunque nei punti di maggior battuta della corrente (fig. 33); aumento di velocità della corrente e cambiamenti di direzione per modificazioni nella geometria dell'alveo. I processi che intaccano la stabilità dei rilevati arginali possono essere messi in luce dai seguenti indizi: tendenza da parte delle acque a sfiorare il piede interno dell'argine; risalita di acque in pozzi contigui al corso d'acqua;
24 comparsa di acque torbide al piede arginale esterno; locali fenomeni di rigonfiamento sui lati della arginatura con tendenza al colamento dei materiali che costituiscono il rilevato. I fenomeni di rigurgito sono preceduti dal rallentamento della corrente fino al totale arresto con successiva inversione della direzione della corrente. I ristagni e le emergenze della falda superficiale sono quasi sempre preceduti dalla comparsa di sporadiche, piccole plaghe di acqua stagnante; nel caso delle emergenze della falda freatica, un indizio significativo è rappresentato dalla risalita delle acque nei pozzi OSSERVAZIONI E CONTROLLI Prima della piena Poiché, come si è detto, gli eventi di piena sono generati in prevalenza dalle precipitazioni, in primo dato che deve essere costantemente tenuto sotto controllo riguarda la qualità e la durata delle piogge. Le misure possono essere fatte attraverso apparecchi automatici a registrazione continua o semplicemente mediante appositi contenitori di capacità standardizzata, come già indicato al paragrafo (cfr.fig.22). In situazioni locali, corrispondenti a corsi d'acqua alimentati da bacini lacustri naturali, è utile conoscere in anticipo l'entità degli incrementi idrometrici all'interno degli invasi. E' altresì necessario verificare l'efficienza della sezione d'uscita dell'emissario e controllare la presenza di eventuali infiltrazioni d'acqua al piede dei materiali che chiudono il bacino. Durante la piena Il modo migliore per seguire l'evolversi di una piena lungo un corso d'acqua si basa sul costante controllo dei livelli idrici, al fine di identificare una soglia di altezza limite (livello di guardia) al di sopra della quale possono verificarsi tracimazione e allagamenti (fig.34). Tali osservazioni possono essere effettuate mediante apparecchiature automatiche teletrasmittenti o con metodi più speditivi, eseguendo nel corso dell'evento periodiche letture del livello raggiunto dalla piena, corrispondentemente ad un'asta graduata o su altri precisi punti di riferimento (fig.35). Soprattutto nella fase di crescita della piena è indispensabile registrare dati riguardanti la velocità di risalita dei livelli idrici (cm/ora) e il grado di torbidità dell'acqua; quest'ultimo può essere valutato misurando la concentrazione dei materiali in sospensione su campioni d'acqua, raccolti ad intervalli di tempo regolari con apposite bottiglie della capacità non inferiore al litro. Ripetuti sopralluoghi nelle zone di maggior battuta della corrente permettono di individuare l'intensità dei processi erosivi sulle sponde attraverso la quantità di terreno progressivamente asportato. Lungo i fiumi arginati occorre controllare i manufatti sia dal lato interno (verso fiume), sia dal lato esterno (verso campagna) per riconoscere tempestivamente gli indizi di instabilità arginale precedentemente illustrati (cfr. paragrafo ). Lungo gli alvei della rete idrografica secondaria che confluisce al corso d'acqua principale in piena, è necessario seguire l'andamento dei deflussi per individuare l'eventuale rallentamento di velocità o arresto della corrente (cfr. paragrafo ).
25 Corrispondentemente a zone depresse o mal drenate, dove possono verificarsi allagamenti per ristagni e/o emergenze della falda, è bene riconoscere tale potenzialità fin dai primi indizi corrispondenti a piccole plaghe di terreno sommerso. Fig L'acquisizione di una lunga serie di dati sulle altezze idrometriche registrate in una determinata sezione d'alveo consente di individuare, corrispondentemente a diversi stati idrometrici, particolari livelli di riferimento. Tra questi molto importante è il livello di guardia, superato il quale vengono attivate opportune misure di sorveglianza. Fig Asta idrometrica su ponte per la misura delle altezze d'acqua in un alveo fluviale. I livelli raggiunti dalle piene importanti possono essere ricordati mediante l'apposizione di segni e scritte su strutture stabili. Dopo la piena Al termine delle fasi di ritiro e abbassamento del livello delle acque di piena, si rivela di grande utilità registrare tutte le conseguenze derivate dalla dinamica del fenomeno; in particolare all'interno dell'alveo devono essere verificati: i maggiori ingombri da parte dei depositi alluvionali; i punti di maggior concentrazione dei processi erosivi, con particolare attenzione per quelli localizzati in corrispondenza di manufatti con eventuale messa a giorno delle opere di fondazione. Infine, per quel che riguarda la zona esterna all'alveo, occorre: registrare il periodo di permanenza delle acque di allagamento in ogni area sommersa; fornire i dati sulla natura e sullo spessore del materiale depositato; collocare su manufatti o su qualsiasi struttura stabile segnali di riferimento per indicare il livello massimo raggiunto massimo raggiunto dalle acque di inondazione (cfr.fig.35).
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