Il ruolo del Pediatra di famiglia nella gestione dei pazienti con Immunodeficienze. Paola Ercolini, Pediatra di famiglia, distretto 25, ASL Napoli 1.
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- Severino Tommasi
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1 Il ruolo del Pediatra di famiglia nella gestione dei pazienti con Immunodeficienze primitive Paola Ercolini, Pediatra di famiglia, distretto 25, ASL Napoli 1. Introduzione Il campo delle immunodeficienze primitive (IDP) è in rapida evoluzione grazie alla ricerca di base che identifica continuamente nuovi meccanismi patogenetici alla base di queste malattie. Ciò aiuta, da un lato, a ottenere diagnosi sempre più accurate, ma dall altra aumenta la complessità dell approccio a queste malattie, poiché ogni forma presenta peculiarità in termini di modalità di trasmissione, outcome, trattamento e complicanze, imponendo quindi al Pediatra di famiglia (PDF) un aggiornamento puntuale e continuo. D altra parte, anche se la singola immunodeficienza è spesso un evento raro, le IDP nel loro complesso hanno un incidenza tutt altro che trascurabile, in aumento (soprattutto per quanto riguarda le forme meno severe, in passato sottostimate) grazie all attenzione che si pone a queste condizioni. Inoltre, mentre le IDP erano considerate malattie gravi e peculiari dei primissimi anni di vita, oggi sono conosciute molte forme a prognosi meno severa, e l età di diagnosi si è spostata in avanti. Quindi, è importante che il PDF conosca, almeno per grosse linee, l epidemiologia delle diverse forme di IDP. I momenti di coinvolgimento del PDF nella storia del paziente con IDP sono: a) Sospettare l IDP in un paziente, e ciò può avvenire attraverso: - una storia clinica suggestiva di infezioni ricorrenti ma soprattutto difficili da contrastare (evento più frequente);
2 - la valutazione occasionale di esami di laboratorio di I livello (più raramente); - un anamnesi familiare accurata che evidenzia un IDP in altri membri della famiglia (auspicabile ma non sempre facile); - la combinazione di eventi infettivi associati a condizioni autoimmunitarie (evenienza ancora rara ma in aumento, per la crescente attenzione che si pone a queste forme). b) Avviare test di I livello mirati soprattutto ad escludere il sospetto di IDP e interpretarli correttamente. c) In caso di persistente sospetto, avviare test di II livello oppure riferire il paziente a strutture specializzate per l approfondimento diagnostico. d) Dopo l eventuale diagnosi, gestire il paziente con IDP e riconoscere le complicanze che possano richiedere ulteriori interventi di strutture specializzate. a) Il sospetto dell IDP Il tipico elemento che consente di sospettare l IDP è la storia di infezioni di diversa gravità che si ripetono, e ancor più predittiva è la presenza di infezioni (anche non particolarmente severe) che è difficile condurre a guarigione. Generalmente vanno considerati separatamente i bambini al di sotto del I anno di vita (quando i contatti sociali e scolari sono ancora limitati e quindi la ricorrenza di episodi infettivi rappresenta un campanello d allarme più importante) rispetto ai più grandicelli che, a seguito dei primi contatti, hanno una maggior frequenza di eventi infettivi. Tuttavia, poiché l età di scolarizzazione si sta abbassando, la storia clinica va valutata alla luce della socializzazione in ogni singolo caso. Altro aspetto da considerare con
3 attenzione è il tipo di infezione: sedi meno frequenti (ossea, meningea, epatica, sistemica o politopica) sono più suggestive di IDP rispetto alle classiche infezioni delle vie urinarie o tonsillari. Le infezioni profonde sono più suggestive di IDP. Le infezioni sostenute da opportunisti o da microrganismi non usuali, soprattutto nel I anno di vita sono più sospette rispetto a quelle sostenute dai classici cocchi o dai comuni enterobatteri. Infine, in base al tipo di infezioni e all eventuale presenza di altri sintomi è possibile orientare il sospetto di IDP verso forme a coinvolgimento linfocitario, fagocitario, umorale, del complemento o combinate (1). Spesso un bambino viene sottoposto ad un emocromo o, più raramente, al dosaggio delle Ig sieriche anche in assenza di un sospetto di IDP. L attenta lettura dei risultati (come discusso nel prossimo paragrafo) può far nascere il sospetto di una IDP. In altri casi, il sospetto della IDP (o comunque l individuazione di bambini a rischio) può nascere per familiarità. Ad esempio, la diagnosi di deficit selettivo di IgA (che ha un incidenza di circa 1:400) può emergere occasionalmente in un bambino sottoposto a screening per celiachia; poiché circa il 20% dei deficit selettivi di IgA è familiare (con trasmissione autosomica dominante o recessiva) è utile sottoporre al dosaggio delle IgA gli eventuali fratelli (nel mio ambulatorio mi è capitato di far diagnosi di deficit selettivo di IgA in un paio di casi in cui la diagnosi era stata occasionalmente posta in un fratello sottoposto a screening per celiachia). Analogamente, se dall anamnesi familiare emerge una condizione di IDP in un parente, è importante ricercarla ed escluderla nel nostro piccolo paziente (anche in questo caso segnalo un bambino seguito nel mio ambulatorio cui è stata posta diagnosi di immunodeficienza comune variabile perché la madre era affetta dalla malattia). Purtroppo, l anamnesi familiare spesso è trascurata, oppure è poco
4 contributiva perché la famiglia non sa riferirla con esattezza, o addirittura individui con malattie genetiche (anche non severe) tendono a non divulgare l informazione ad altri membri della stessa famiglia perché a queste malattie si associa ancora il concetto di vergogna o di colpa. E per concludere, occorre destinare particolare attenzione al crescente numero di sindromi autoimmuni associate ad immunodeficienza (2), in cui la storia clinica può essere aperta da sintomi che non evocano in prima battuta uno stato di immunodeficienza. Basti pensare all APECED (Autoimmune Polyendocrinopathy, Candidiasis, Ectodermal Distrophy) in cui spesso la storia clinica si apre con candidiasi, ipoparatiroidismo e con i sintomi (a volte sfumati) dell Addison per poi complicarsi con una serie di fenomeni autoimmuni (tiroidite, epatiti, emolisi o anche enteropatia resistente a qualunque trattamento) e di immunodeficienza (neoplasie cutanee, IVU ricorrenti, infezioni delle vie respiratorie, etc.), o all IPEX (immunodysregulation polyendocrinopathy enteropathy X-linked syndrome) che tipicamente si apre con diarrea intrattabile, diabete o tiroidite per poi complicarsi con altri disordini autoimmuni che includono, in molti pazienti, la neutropenia. Oggi si ritiene che fino all 85% di pazienti con IDP presentino almeno una concomitante patologia autoimmune (2). Quindi, fino a prova contraria, malattie autoimmuni in età pediatrica, soprattutto se multiple, vanno considerate come possibile esordio di una IDP. b) le indagini di I livello Di fronte al sospetto di IDP il contributo del laboratorio è essenziale, e pochi esami, purché valutati con attenzione, possono avere un ruolo determinante nell avvalorare e ancor più nell escludere il sospetto di IDP (3). L emocromo è sicuramente il primo esame. Nella sua valutazione occorre seguire alcune regole:
5 a) non considerare la formula leucocitaria in percentuale ma in valore assoluto b) considerare i valori di riferimento relativi all età (3), in particolare per i linfociti. Una linfopenia può essere suggestiva di SCID, e più autori hanno sottolineato come la riduzione dei linfociti possa precedere anche di un paio di mesi la diagnosi clinica (3), oppure può associarsi all immunodeficienza comune variabile (in genere accompagnata dalla riduzione dei livelli di Ig sieriche). c) viceversa, per i neutrofili è possibile parlare di neutropenia con valori inferiori a 1500/mm 3 indipendentemente dall età, e classificarla come severa (<500/mm 3 ), moderata ( /mm 3 ) o lieve ( /mm 3 ). La neutropenia può associarsi a diverse forme di IDP: neutropenie congenite, sindrome di Wiskott-Aldrich, in cui spesso coesiste una piastrinopenia (< /mm 3 ) ed una riduzione del volume piastrinico medio (parametro di solito trascurato nella lettura dell emocromo). Anche in questi casi, il segnale di laboratorio può precedere la diagnosi. In un caso di neutropenia congenita osservata nel mio ambulatorio, la valutazione retrospettiva dell emocromo indicava una neutropenia lieve (ma ingravescente) già oltre 1 anno prima della diagnosi. Analogamente, un eosinofilia importante può essere associata a sindrome iper-ige o (come descritto nel successivo paragrafo) o alle nuove sindromi autoimmuni in cui coesiste l immunodeficienza. L altro esame di I livello a disposizione del PDF è il dosaggio delle immunoglobuline, (Ig) mentre, a mio avviso, andrebbe assolutamente evitato il protidogramma, perché l analisi elettroforetica delle gamma-globuline è un indice poco sensibile e specifico. Il dosaggio delle Ig consente di individuare i difetti che coinvolgono una singola classe (es. deficit selettivo di IgA) o tutte le tre classi (fino alle forme più severe di agammaglobulinemia X linked), oppure una o più classi in diversa combinazione
6 (ipogammaglobulinemia comune variabile che però raramente ha un esordio prima dei 10 anni di vita). Tuttavia, occorre considerare che anche per le Ig gli intervalli di riferimento variano considerevolmente nelle diverse fasce d età pediatrica (in particolare nei primi mesi di vita), e non tutti i laboratori pongono attenzione a fornire intervalli di riferimento specifici per l età del paziente in esame. Inoltre, vi è una notevole variabilità legata ai metodi d analisi, per cui non sempre i risultati ottenuti da laboratori diversi appaiono confrontabili. Nell interpretazione delle Ig sieriche va tenuto presente anche un eventuale aumento: ad esempio, un aumento delle IgM può indicare un immunodeficienza con iper IgM, ma in età pediatrica è difficilissimo porre questa diagnosi a causa della miriade di cause infettive (anche minori) che può causare un aumento delle IgM. Nell interpretazione delle Ig non va dimenticato il normale processo di riduzione delle Ig che si verifica in tutti i bambini intorno al sesto mese di vita ed è seguito da un progressivo incremento della produzione anticorpale autoctona. Comunque i valori di Ig non risultano inferiori rispetto agli intervalli di riferimento per l età. Da considerare (anche se non è di solito compreso nel dosaggio delle Ig sieriche) il dosaggio delle IgE il cui aumento può essere indicativo di sindrome da iper IgE, anch essa inclusa nel novero delle IDP. c) In caso di persistente sospetto, conviene avviare test di II livello oppure riferire il paziente a strutture specializzate per l approfondimento diagnostico? Quesito epocale e poco risolvibile in chiave scientifica. La risposta dipende dal delicato equilibrio tra la necessità di non caricare le strutture specializzate quando non è strettamente necessario e la preoccupazione (di grado diverso in ogni PDF) di non potersi assumere la responsabilità di gestire un paziente potenzialmente grave. Il primo aspetto da considerare, infatti, è la gravità del quadro clinico del
7 singolo paziente e l importanza della IDP che si sospetta. In caso di quadri particolarmente severi è opportuno riferire subito il paziente ad una struttura specializzata. Viceversa, se le condizioni lo consentono è possibile ricontrollare le eventuali alterazioni di laboratorio dopo un adeguato intervallo di tempo, tenendo conto dell emivita dei parametri esaminati (le Ig hanno un emivita di 21 giorni, un eventuale ricontrollo prima di tale intervallo è inutile; di fronte ad una moderata linfopenia o granulocitopenia si può effettuare un ricontrollo ed osservare il trend dopo un paio di mesi, etc.). Se il PDF ha familiarità con un laboratorio di riferimento in citofluorimetria (in grado di offrire anche un contributo interpretativo adeguato), di fronte ad una moderata linfocitopenia può essere utile effettuare, come II scelta, l analisi delle sottopopolazioni linfocitarie, o, di fronte ad una riduzione delle IgG (non considerata fisiologica), procedere con il dosaggio delle sottoclassi. L ultimo punto da considerare (ma di gran lunga il più importante) è la disponibilità sul territorio (senza dover ricorrere al turismo sanitario in altre regioni) di una struttura specializzata di Immunologia Clinica Pediatrica facilmente accessibile, in cui il piccolo paziente riferito dal PDF venga valutato da professionalità adeguate e auspicabilmente non in tempi biblici, senza dover ricorrere a complesse burocrazie per la prenotazione. Ma soprattutto, deve essere una struttura disponibile a colloquiare, su ogni singolo caso, con il PDF sia in entrata che in uscita, anche attraverso adeguate epicrisi. Nei casi in cui si verifica questa situazione è ovvio che, di fronte ad un sospetto importante, il PDF riferirà prontamente il piccolo paziente alla struttura specializzata per avviare una cogestione. d) Dopo l eventuale diagnosi, gestire il paziente con IDP e riconoscere le complicanze che possano richiedere ulteriori interventi di strutture specializzate.
8 Le IDP, soprattutto quelle più severe, possono offrire una rosa di complicanze estremamente variegate sotto il profilo della severità e della varietà, basti pensare all aumentato rischio di neoplasie (in particolare malattie emolinfoproliferative) e di malattie autoimmuni. E importante che il PDF, almeno per grosse linee, ne sia a conoscenza per attuare tutte le norme di prevenzione del caso. Su questo punto giocano alcuni aspetti fondamentali: a) l aggiornamento continuo del PDF, che deve necessariamente essere promosso dalle stesse strutture specializzate; b) un adeguata epicrisi rilasciata per ogni singolo paziente in cui sia descritto anche come riconoscere e fronteggiare le possibili complicanze della malattia; c) la disponibilità continua, da parte delle professionalità della struttura specializzata, ad interagire con il PDF, soprattutto quello che opera in aree lontane. Bibliografia 1) Tommasini A, Insalaco A, Rodriguez Perez C, Soresina AR, Plebani A. Quando sospettare un immunodeficienza. Medico e Bambino 2001;8: ) Taddio A, Valencic E, Maschio F, Tommasini A. Immunodeficienza e autoimmunità. Medico e Bambino 2005;10: ) Pirrone A, Tommasini A. Immunodeficienze primitive: istruzioni per l uso. Medico e Bambino 2010;10:
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