Relazione: Lo psicologo consulente e i nuovi requisiti minimi in psicologia giuridica e forense. Dr.ssa Carmen Muraro. Premessa

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1 Ordine Psicologi del Veneto Convegno Il minore nella valutazione della genitorialità: aspetti metodologici ed etico professionali. Padova 20 aprile 2013 Relazione: Lo psicologo consulente e i nuovi requisiti minimi in psicologia giuridica e forense. Dr.ssa Carmen Muraro Premessa Nel ringraziare il Consiglio dell Ordine degli Psicologi del Veneto, come sua vicepresidente e referente per la psicologia giuridica, per il sostegno ricevuto nell organizzare il convegno di oggi, rivolgo i miei ringraziamenti a tutti i componenti del gruppo di lavoro dell Ordine degli Psicologi del Veneto, denominato Valorizzazione dello psicologo consulente in ambito forense, con i quali è stato svolto un lavoro importante e utile nel campo della psicologia giuridica. Prima di iniziare consentitemi due parole sul tema affrontato dal convegno di oggi. La psicologia e la psicoterapia ci insegnano che le coppie in crisi rischiano di perdersi in labirinti di rivendicazioni che possono valicare le barriere generazionali, con pesanti lasciti psicologici anche per le future generazioni. Quando la crisi familiare, anziché varcare lo studio di uno psicoterapeuta, varca la soglia del tribunale, il sistema giudiziario diventa il palcoscenico in cui i familiari inscenano il loro dramma secondo ruoli e copioni peculiari alla loro storia personale e familiare. La separazione coniugale non è mai la soluzione dei problemi alla base della crisi familiare, tanto che il processo di separazione psicologica, come dice Malagoli Togliatti, si può dire compiuto in senso evolutivo solo quando sono risolti i nodi relazionali legati ai ruoli coniugali, che hanno portato alla dissoluzione del matrimonio [o dell unione affettiva] mentre rimangono, anche se trasformati, quelli genitoriali, ovvero si resta genitori e non più coniugi (a cura di M.Malagoli Togliatti, G. Montanari (2005), pag.19). La separazione coniugale quindi trascina con sé, nelle aule dei tribunali, un cospicuo fardello di istanze e di aspettative non solo concrete, ma anche di natura simbolica, spesso improprie rispetto al compito della giustizia, con la trasformazione dell impasse familiare ( gioco relazionale disfunzionale ) in un duro scontro sull affidamento e mantenimento dei figli, che paralizza le risorse familiari necessarie alla ridefinizione dei ruoli e delle relazioni: in particolare da coppia coniugale a genitori separati, ma responsabili nei confronti dei figli. E quindi un dovere di tutti gli operatori, che lavorano a confine tra le norme e le relazioni familiari, non perdere di vista il risvolto etico del proprio lavoro: non si tratta di una causa tributaria o bancaria, ma la dimensione più intima e privata dei rapporti umani, quelli familiari nel tentativo di mettere in salvo la genitorialità anche dopo la separazione (c.d. bi-genitorialità). Nel diritto di famiglia, non dovrebbe esistere un vincitore o un perdente, ma la consapevolezza che le persone che s incontrano sono per lo più disorientate, deluse o arrabbiate e che vanno aiutate a procedere oltre la separazione. Molta parte del mio intervento è dedicato al lavoro svolto dal gruppo di lavoro Valorizzazione dello psicologo consulente in ambito forense attivato dall Ordine degli Psicologi

2 del Veneto, che si è declinato in un interessante documento, denominato Lo psicologo nelle consulenze in ambito civile che trovate pubblicato sul sito dell ordine ( nell area dedicata ai Gruppi di Lavoro. Ricordo che la deontologia è la funzione che per prima giustifica l esistenza di un Ordine professionale, che nella sua veste disciplinare, esercita il bilanciamento tra l autodisciplina interna e la tutela dell utente/paziente. Ma non si riduce solo a questo. Se dal punto di vista del singolo professionista la deontologia è collegata alla personale responsabilità del professionista di sapere, sapere fare e saper essere, non da meno sul piano generale, la deontologia rimanda ad un bene comune, all identità della comunità professionale a cui appartiene. Ogni singolo professionista è parte di un tutto, e tramite le sue scelte professionali contribuisce ad accrescere la credibilità e la validità socio-culturale e scientifica della psicologia nei suoi diversi ambiti professionali. Come qualsiasi professionista, anche lo psicologo, non può e non deve accontentarsi di adempiere passivamente a dei vincoli, ma assumerne e riconoscerne consapevolmente la loro validità complessiva sia dal punto di vista etico che professionale. Competenza tecnica e correttezza deontologica sono le facce dell immagine e dell identità professionale di psicologo: entrambe sono direttrici necessarie e interdipendenti l uno all altra nell operare scelte professionali valide e deontologicamente sostenibili. Fatta questa breve premessa generale sulla deontologia, il tema del mio intervento si concentra sul ruolo e sui profili deontologici dello psicologo consulente per i tribunali, con ampi rimandi al documento Lo psicologo nelle consulenze in ambito civile, che tratta specificatamente della ctu psicologica nei procedimenti di separazione, divorzio e di affidamento dei figli minori naturali, e che ricordo potette visionare e scaricare dal sito del nostro ordine. Tale documento è il frutto di un lungo e approfondito lavoro, svolto tra il 2010 e il 2012 con la collaborazione di molti professionisti psicologi nel campo della psicologia giuridica. Esso rappresenta un documento di riferimento importante per gli psicologi consulenti per i tribunali ma non solo. Esso è infatti trasversale ai diversi modelli teorici della psicologia e al contempo interdisciplinare, in quanto è il frutto di un lungo confronto tra colleghi di diversa appartenenza teorica, e della continua interlocuzione con gli operatori giuridici. Non ultimo è la testimonianza diretta che la psicologia non solo ha diverse anime al suo interno, ma riesce mettere insieme e a valorizzare i diversi approcci teorici per un fine importante come sono le richieste provenienti dal mondo forense. Al fine di comprendere la portata dell etica professionale in questo ambito, si è cercato di fare chiarezza su chi è lo psicologo consulente, che tipo di lavoro svolge e quali sono le peculiarità del contesto forense in cui egli opera. Lo psicologo quando è chiamato ad assumere ruoli come quelli del ctu e/o del ctp è importante che sia consapevole che i suoi atti professionali nell ambito giudiziario, possono influenzare in modo significativo la vita delle persone e in particolare modo se si tratta di minori. Non va dimenticato infatti che in astratto il suo operato si pone tra la domanda di giustizia di un cittadino e il diritto di questi di ricevere una equa e giusta valutazione, non solo in termini processuali ma anche in termini di una corretta e valida valutazione tecnica. Un corretto e adeguato contributo tecnico, da parte dello psicologo consulente, nei procedimenti giudiziari contribuirà infatti a realizzare ad esempio il principio all infanzia serena dei

3 minori nella salvaguardia del loro diritto a frequentare regolarmente i propri genitori dopo la separazione. E notorio che lo psicologo è sempre più frequentemente sollecitato dal mondo del diritto e con ciò è aumentata la richiesta di interventi professionali dal sistema giudiziario, in particolar modo nel diritto di famiglia. Tutto questo rappresenta una indubbia opportunità professionale, ma richiede anche una serie di condizioni imprescindibili per lo psicologo, affinché il suo lavoro trovi la sua giusta collocazione con le richieste provenienti dal giudice e/o dall avvocato. Lo psicologo come ogni altro professionista deve avere la consapevolezza dei propri limiti di competenza/conoscenza tecnica (vd. Codice Deontologico). Riconoscere i propri limiti è un atto professionale altamente qualificante, in quanto tutela le persone direttamente coinvolte, il professionista stesso da eventuali errori professionali ( negligenza professionale ), e l immagine stessa della professione. Per poter lavorare efficacemente e correttamente in questo ambito è necessario saper assicurare, oltre ad una solida e qualificata competenza nella materia psicologica (psicologia clinica, psicodiagnostica, psicologia dell età evolutiva, delle relazioni familiari, ecc.), anche una specifica formazione in psicologia che gli consente di saper contestualizzare i suoi strumenti e il proprio ruolo in modo coerente con la finalità e la specificità della richiesta posta dal contesto forense. Naturalmente l aspetto della formazione dello psicologo consulente, tocca la delicata questione del percorso di qualificazione professionale in tale ambito, che rimane ancora scoperta considerata la mancanza di una specializzazione nella disciplina della psicologia giuridica, con la conseguente proliferazione di un offerta formativa multiforme ed eterogenea nei programmi e nelle modalità didattiche. A fronte di questo gap formativo, il CNOP già nel 2003 e, con ratifica, nel 2004 anche l Ordine degli Psicologi del Veneto (v. deliberazioni) avevano provveduto a formulare dei requisiti minimi per una buona prassi in psicologia giuridica. A distanza di quasi undici anni e stante il proliferare delle richieste di prestazioni psicologiche sono stati recentemente integrati (v. deliberazione OPV 2012). Tale riformulazione oltre a essere il frutto di una riflessione interna alla nostra comunità, nasce dall esigenza di meglio qualificare l intervento dello psicologo nell area giuridica, fornendo dei criteri chiari e obiettivi, utili sia per la scelta del percorso di qualificazione professionale in questo settore, e non ultimo per dare risposta alla costante richiesta da parte dei tribunali del Veneto, circa il criterio della comprovata formazione ed esperienza in questo campo, al fine dell iscrizione negli elenchi dei CTU del tribunale. Le novità introdotte pur essendo delle indicazioni precise per una buona prassi in psicologia giuridica e forense, rappresentano dei consigli utili alla tutela professionale dei professionisti che intendono operare in questo campo. Essenzialmente due sono le novità rispetto ai precedenti requisiti (OPV, 2004). La prima innanzitutto si riferisce al fatto che i requisiti minimi valgono non più solo per il CTU, ma anche per il CTP per l evidente responsabilità professionale che riveste anche questo incarico nelle valutazioni; la seconda è l introduzione di un parametro obiettivo, quantitativo e qualitativo, sulla formazione e sull esperienza maturata in questo campo (con indicazione di un monte ore articolato tra parte didattica e pratica).

4 Va ricordato che rimangono validi l anzianità di iscrizione di almeno 3 anni alla sezione A dell albo degli psicologi, e l aggiornamento nel campo della psicologia giuridica tramite partecipazione annuale a convegni e/o seminari di studio (con o senza ECM). Vi ricordo infine, che per gli psicologi già iscritti agli Elenchi degli Esperti e degli Ausiliari dei Giudici presso i Tribunali, e per quelli operanti come CTP da almeno tre anni, si considerano assolti i nuovi criteri (punti 1 e 2). Le incompatibilità deontologiche più frequenti in ambito forense. Molte e diverse sono le pressioni e i tranelli che si concentrano nei pressi di una consulenza nelle separazioni e/o divorzio. Tra i più frequenti ricordo l incompatibilità tra il ruolo di consulente e quello di terapeuta, e il ruolo di CTU. Lo psicologo deve astenersi dall assumere l incarico di CTU, qualora svolga o abbia svolto un ruolo di sostegno psicologico o di terapia nei confronti del minore o di una delle parti o della coppia. L incompatibilità tra i ruoli di consulente e di terapeuta vale anche per il CTP. E infatti scorretto assumere l incarico di CTP qualora lo psicologo abbia avuto o abbia in carico il minore e/o la coppia genitoriale (ad esempio supporto/intervento psicologico sul minore, terapia/sostegno di coppia, mediazione familiare, ecc.), in quanto violerebbe il rapporto di fiducia precedentemente instaurato con il minore e/o con entrambi i genitori. E inoltre, scorretto sovrapporre al ruolo di psicoterapeuta quello di CTP (del cliente o parte in causa), in quanto interferisce inevitabilmente nel rapporto di alleanza terapeutica con il paziente medesimo. Riflessioni sull Ascolto del Minore nella CTU L ascolto del minore contempla sicuramente i due aspetti quello giuridico e quello psicologico, e gli operatori che lavorano in questo settore devono sapersi muoversi tra questi due livelli senza mai pensare che l uno possa escludere l altro, ma è altrettanto importante non creare confusione a discapito della salvaguardia del minore. E notorio infatti che l ascolto del minore ha diverse finalità a secondo dell ambito civile, penale o minorile. Il tema di oggi affronta i procedimenti di separazione, divorzio e di affidamento dei figli minori naturali, dove l ascolto del minore deve servire a dare voce ai minori, che subiscono le decisioni dei grandi, ma che possono, proprio perché coinvolti, esprimere il loro punto di vista. Il minore deve poter sentire che è suo diritto poter stare con entrambi i genitori senza sentirsi in colpa se ha delle preferenze diverse per l uno e per l altro, e nel dire questo va tutelato nel non sentire di tradire i genitori. E un operazione tutt altro che semplice, ma va ribadito che l incontro del CTU con il minore è finalizzato a raccogliere le sue opinioni, i suoi bisogni e i suoi vissuti in merito alla vicenda familiare, e il minore non può mai essere qualificato come uno strumento d indagine istruttorio o probatorio, interrogarlo sulla sua opinione rispetto alle questioni sulle quali litigano gli adulti: il minore non è un testimone, né un mezzo di prova. A volte vi è il rischio di creare situazioni in cui il bambino viene messo sul banco dei testimoni, quale testimone oculare e ago della bilancia, da cui far discendere torti e ragioni nella

5 causa giudiziaria tra i suoi genitori, con pesanti riflessi se non propriamente iatrogeni per il suo equilibrio psicologico. Altra situazione di non facile trattazione è il caso dei minori che chiedono al CTU di mantenere il segreto su certe loro dichiarazioni, che mettono il consulente in impasse tra la richiesta del bambino e l obbligo di trasparenza giudiziaria. A questo si aggiunge poi la questione di riferire al giudice quanto dal minore è stato appreso, e di come il giudice nella decisione finale, che coinvolge direttamente il minore, potrà tenerne conto come decidere anche diversamente. Questa situazione ci fa capire quanto sia delicato l incontro con il minore e come diventi importante chiarire fin da subito con lui la natura e la finalità dell incontro, compresi i limiti del nostro intervento, al fine di evitare aspettative irrealistiche. Altra tematica scottante è la consegna o meno ai genitori della registrazione dell ascolto del minore. Nelle situazioni di grave contrasto genitoriale è auspicabile la massima prudenza nel trattare le dichiarazioni del minore. In tal senso dare la registrazione di quanto emerso durante l ascolto del minore nell incontro del CTU nella piena disponibilità da parte dei genitori, anche per il tramite dei loro consulenti di parte, può diventare anch esso elemento di rischio per il bambino, qualora vi sia il rischio che egli venga sottoposto, anche inconsapevolmente, ad un conflitto di lealtà da parte di uno o di entrambi i genitori. Altra questione la partecipazione diretta o indiretta dei CCTTP all incontro del CTU col minore. In linea con la prassi adottata in molti tribunali, anche la riflessione svolta da gruppo di lavoro dell Ordine, propende per un setting il meno artificioso possibile, con l auspicio che i consulenti di parte vi assistano indirettamente tramite la presa visione della registrazione audio e/o audio-video dell incontro, o uno specchio unidirezionale o tramite telecamera a circuito chiuso. A ciò viene aggiunta la raccomandazione affinché, il CTU abbia cura di reperire eventuali suggerimenti o domande dei CCTTP, senza del resto dimenticare di informare il minore sulle persone che ascoltano il colloquio e/o avranno accesso alla sua narrazione.

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