Violenza sulle donne, dov è lo Stato?

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1 Maggio 2013 DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA UILCA DI ROMA E DEL LAZIO DPPO & Redazione Luana BELLACOSA Sabrina DOTTORI Maria Rita GATTI Mirella GORI Giovanna RICCI Rete Fulvia ALLEGRI Sandra APUZZO Paola BOTTA Bianca CUCINIELLO Laura FORIN Raffaella INFELISI Stefania LEONE Nadia PETRINI Carla PROIETTI Stefania SABA Stefania SALVI FilomenaTEDESCHI UILCA Segreteria Regionale Roma e Lazio Via Collina n Roma Tel Fax Violenza sulle donne, dov è lo Stato? Un tempo vigeva la regola occhio per occhio dente per dente : se le donne subivano violenze, le famiglie regolavano il problema tramite la vendetta, con il delitto d onore o con matrimoni riparatori, o forzati. Modalità gestite dagli uomini di famiglia a cui era delegato il mondo delle relazioni esterne, pubbliche. Il buon nome, insomma. Come succede ancora in alcuni paesi considerati retrogradi, anche se in Italia, dove lavora Pangea, solo nell 81 è stato abolito il delitto d onore. Per evitare invece la violenza in casa la questione era più difficile, complessa e piena di espedienti. Per le figlie si era addirittura dovuto ricorrere al lenzuolo macchiato di sangue dopo la prima notte di matrimonio, per provare che nessuno aveva usato violenza salvando l onorabilità della famiglia. Ma una volta contratto il vincolo sacro per le mogli il silenzio era d ordine, non si lavano i panni sporchi in piazza e poi tra moglie e marito non mettere il dito. Oggi che sembra che pratiche odiose provenienti dal passato sono finite, e si riconosce che non tutti gli uomini sono violentatori o maniaci vestiti del solo impermeabile beige, le persone benpensanti affermano con disinvoltura che la violenza fa parte della modernità, perché la donna si è emancipata. Praticamente con tutta questa smania di indipendenza, autodeterminazione e gran sbandierare diritti se le va un po a cercare! Il che, onestamente, è come vedere la pagliuzza e non la trave nell occhio. La violenza sulle donne è strutturale e sistemica nella storia dell umanità, ce la lascia in eredità in qualsiasi latitudine, cultura, e con qualunque giustificazione religiosa o ideologica. E passa nelle storie simboliche senza mai essere nominata, basti pensare al ratto delle sabine su cui si fondò Roma, o a Lucia Mondello nei Promessi Sposi, lei, mi dice sempre Vittoria Tola, non portava la minigonna ma era già vittima di stalking di Don Rodrigo. Sta a noi cambiare il corso della storia, a trovare nuovi modelli e simboli, noi, uomini e donne e tutti i diversi altri generi, insieme. Come nel 66 Franca Viola, siciliana, fu la prima a rifiutare il matrimonio riparatore dopo la violenza subita. 1

2 Ma oggi, a cinquant anni da quel fatto, ancora in Italia la sensazione è che i diritti delle donne rispetto a quelli degli uomini sono un po meno diritti, a dimostrarlo le disparità che si affrontano tutti i giorni nei diversi ambiti della vita, e che si ingigantiscono quando si parla di violenza sulle donne. Eppure non vige più la regola occhio per occhio dente per dente, lo Stato moderno è garante dei nostri diritti uguali per tutti, e si frappone tra gli individui nella gestione della violenza, anche quella domestica sulle donne. Infatti, lo Stato mette a disposizione attraverso il lavoro dei ministeri e degli enti pubblici servizi e non solo in caso di violenza sulle donne: le forze dell ordine, (interni), i pronti soccorsi e i servizi sanitari, (sanità), la magistratura, i tribunali per i minori, quelli civili e penali (giustizia), i servizi sociali, etc. Ma se si osservano gli ultimi casi di violenze e omicidi di donne sembra che quanto sia messo a disposizione dallo Stato non percepisca il problema della violenza sulle donne nella sua dovuta gravità. Molte erano andate dalle forze dell ordine prima di essere uccise o acidificate, molte avevano segnalato e denunciato l ex marito o compagno che le intimidiva o avevano subito violenza. Chissà con quanta paura e angoscia ci erano andate dalle autorità preposte, con quanta speranza di trovare almeno nello Stato un punto di appoggio, una protezione! Forse hanno raccontato che l altro non rispettava le loro scelte, che le minacciava, caso mai anche davanti ai figli, come Michela di Acilia! Forse avevano già raccontato che lui era violento, che picchiava, urlava contro, le spaventava e non sapevano come gestirlo, come far rispettare la legittima volontà di non volersi più relazionare a lui, di voler essere rispettate nel proprio corpo, mente e sentimenti troppo difficile da capire questo? Donne che volevano solo vivere in pace, che adesso in Pace ci vivono veramente, al cimitero, dopo aver subito violenza due volte: da chi sosteneva di amarle, e da chi avrebbe dovuto proteggere il loro diritto alla vita. Ma chi è lo Stato in questi casi? Semplici uomini e donne che, forse come milioni di i- taliani, sono anche loro permeati da luoghi comuni sulle donne e sulla violenza, o sono uomini e donne all altezza di rispondere come ci si aspetterebbe da uno Stato? Uomini e donne che sottovalutano il rischio perché queste donne sono sempre un po esagerate nei racconti, che pensano o suggeriscono che è meglio sopportare, non denunciare e far restare la lite in famiglia, sopportare perché ci sono bambini di mezzo, cambiare una scheda telefonica perché qualcuno smetta di perseguitarti? O uomini e donne che pensano e sanno che la violenza è sempre un rischio, è una violazione del primo e inalienabile diritto alla vita e quindi alla libertà di scegliere nel rispetto dell altro! Le storie di violenza domestica vengono forse ancora troppo spesso percepite come affari di cuori. Fragilità delle donne che vogliono amare ed essere amate e uomini forti e duri che possono fare a meno dell amore tanto da ucciderti perché ti amo più di me stesso. O forse la violenza in ogni sua forma è ancora percepita come questione piuttosto relativa alla morale invece che diritto della persona a essere inviolata? Forse è un micidiale mix di tutto ed è per questo che non è ancora al centro dell attenzione da parte delle politiche dello Stato. Ma quando questi affari di cuori diventano colpi di pistola, o accoltellamento fatali? Quando si è ferite a morte, come scrive la Dandini, lo Stato dove è? E dove era quando poteva prevenire, proteggere e garantire il diritto alla vita di quelle donne? Diritto fondamentale e inalienabile. (Fonte: Il Fatto Quotidiano.it) 2

3 Quante donne sono morte e ancora muoiono per parto o aborto? Italia, paese malato in cui l aborto legittima la violenza sulle donne Si discute molto in questo momento della scelta di fare o non fare figli, e della violenza quotidiana che subiscono le donne per lo più da parte di uomini con cui hanno intrattenuto legami amorosi e famigliari. Come si fa a non vedere il legame fra due questioni di primo piano nel rapporto tra i sessi e il ritorno di quella grande ossessione della cultura maschile più conservatrice, fatta propria purtroppo anche dalle donne, che è l interruzione volontaria di gravidanza? Pochi giorni fa si è svolta a Roma, con la benedizione di Papa Francesco, la «marcia per la vita», «un occasione -come hanno detto gli organizzatori- di difesa della vita e di lotta contro l ingiustizia della 194». Non si osa ancora toccare la legge, ma si raccolgono firme per provvedimenti legislativi a livello europeo, a tutela dell embrione, che la modificherebbero nella sostanza. Non si dice esplicitamente che le donne che abortiscono sono delle assassine, ma lo si lascia intendere nel momento in cui si parla di «vita umana» e di diritti «fin dal concepimento». Ma se sono madri snaturate, donne capaci di dare la vita così come la morte, non si ammette implicitamente che la violenza che subiscono se la sono in qualche modo meritata? Non richiama forse quel «se la sono cercata», detto delle donne che vestono o si comportano in modo sessualmente provocante? La grande ossessione che attraversa la storia fin qui conosciuta del rapporto uomo-donna è chiaro che riguarda essenzialmente la maternità, vista come destino naturale o obbligo procreativo per la donna: madre sempre e comunque, anche quando è solo moglie, figlia, sorella, compagna di vita; snaturata se non fa figli o se li uccide allo stato embrionale, ma anche se decide di abbandonare il luogo dove l uomo si aspetta di trovarla -la casa, la famiglia, la cura del suo benessere e del suoi interessi. La violenza maschile ha molti aspetti da quelli più selvaggi e manifesti a quelli più invisibili, che si ammantano di sacralità e rispetto dei più alti valori umani-, ma un o- biettivo sempre più evidente: impedire che le donne trovino il senso della propria vita in se stesse, e non nell essere al servizio o in funzione dell altro, nel rifiuto di conformarsi a modelli che contrastano coi loro desideri, a essere, come sono sempre state un «mezzo per un fine», nella sessualità come nella procreazione e nelle forme più elevate dell amore. «Sante o puttane, vergini e madri», non si può forse dire che sono state finora solo un corpo a cui gli uomini hanno dato pensieri e immagini? Alla vigilia di una imponente manifestazione che si tenne il 3 giugno 1995 in difesa della Legge 194, scriveva Rossana Rossanda sul Manifesto (5 maggio 1995): «È come se qualcosa spingesse uomini o chiese o stati a inchiodare il corpo femminile sul margine fra vita e morte nel quale per secoli lo hanno cacciato e il parto e l aborto. Là dovrebbe restare o essere riportata la maledetta sessualità femminile? ( ) Ma se scelta è, è scelta in prima istanza e in ultima della donna. Qualsiasi uomo che abbia saputo dalla donna (lui non può saperlo) di averne fecondato un ovulo, sa quel che accadrà a se stesso e a lei: a lui nulla, a lei, una rivoluzione. La maternità è un evento globale e lungo che investe una esistenza femminile, scompone ogni altro programma di realizzazione, ed esige mediazioni perché uno dei due non ne esca mutilato». L interruzione volontaria di gravidanza è ancora vista come «questione morale», con 3

4 particolare riferimento alla religione, come «questione femminile» (come se non c entrasse l uomo, la sessualità maschile che si è imposta per secoli come controllo sul corpo della donna, affermazione di virilità, fissazione della donna nel ruolo di madre), come «questione privata», come se non sapessimo che è ancora oggi la maternità a limitare, se non a escludere, la piena presenza e realizzazione delle donne nella sfera pubblica. Oggi si comincia a parlare di formazione di tutte le figure sociali (avvocati, medici, forze dell ordine, ecc.) che hanno a che fare con le donne vittima della violenza maschile. L aborto non è sempre necessariamente un trauma, ma rimanda comunque alla storia che ha visto il potere di un sesso sull altro passare attraverso il corpo, una sessualità maschile generativa, imposta spesso in modo violento e irresponsabile, anche senza bisogno di arrivare allo stupro. Quante donne sono morte e ancora muoiono per parto o aborto? Per quanto dettate dalla radicalità con cui si è posto il femminismo ai suoi inizi, dovrebbero fare ancora riflettere le parole di Carla Lonzinel libro Sessualità femminile e aborto «L uomo sa che il suo orgasmo nella vagina la donna lo accoglie più o meno coinvolta emotivamente e fisiologicamente, sa che quello è il suo orgasmo e non quello della donna, sa che di conseguenza di questo la donna può restare incinta contro la sua volontà e dunque essere costretta ad abortire. Ugualmente l uomo fa l amore come un rito della virilità e alla donna accade di restare fecondata nel momento stesso in cui le viene sottratto il suo specifico godimento sessuale». Libertà autonomia, basta violenze: i diritti delle mamme, visti dai bambini Vorrei che potesse spendere 50 euro tutti per sé. Vorrei che potesse non spazzare la casa per un giorno. Vorrei che la mia mamma potesse telefonare a chi vuole. Quando vuole. Vorrei che avesse il diritto a non essere maltrattata. I vorrei sono tanti: desideri piccoli, diritti scontati. Un libro dei sogni, per il gruppo di bambini interpellati da Intervita onlus per un operazione insolita: indagare il mondo delle madri attraverso le parole dei figli. A parlare sono millecinquecento bambini coinvolti nel progetto Frequenza200 (network nazionale contro l abbandono scolastico) che abitano in quartieri di Milano (Vigentino, Morivione, Fatima, Cermenate), di Napoli (San Lorenzo-Vicaria) e Palermo (Borgo Vecchio), dove sono attivi i centri dell associazione che hanno l obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle fasce più deboli di popolazione. Poco importa, o forse importa moltissimo, che le realtà prese in esame siano caratterizzate da bassa scolarizzazione, scarsa indipendenza personale ed economica, violenza. Le problematiche legate al contesto sono in realtà temi trasversali, relativi al mondo della mamma, il punto fragile della famiglia. Dall indagine di Intervita e- sce un Rapporto sullo stato della mamma di oggi che parla di madri in difficoltà, orfane di diritti fondamentali. Sono molte, quelle che frequentano i centri Intervita, a non godere di una piena libertà. A non possedere un telefono cellulare per il veto di partner gelosi. Segregate in casa, nessuna autonomia nella gestione del tempo libero: con mariti e compagni possessivi, magari assenti per lunghi periodi da casa, che impediscono loro di costruire spazi privati da dedicare al divertimento o al relax. Sono invece concessi spazi per la cura del corpo (parrucchiere, e- stetista, massaggiatrice), purché a domicilio: di Lea Melandri 4

5 luoghi affollati e promiscui, come le palestre, non sono graditi alle figure maschili. E i bambini li vedono i buchi nel cuore delle mamme. Raccontano il loro senso di impotenza di fronte ai risultati scolastici ( Vorrei che avesse figli con 7 in tutte le materie ); descrivono le loro difficoltà, il malessere, la stanchezza, la tristezza: in particolare sono le ragazze a percepire la fatica di alcune mamme a celare sentimenti negativi al solo fine di tutelarle. A parlare di donne per le quali esprimere la propria emotività è un lusso ( Vorrei che avesse il diritto ad avere una relazione con l uomo che ama ; il diritto all allegria ; a divertirsi ; a essere ascoltata ; a ricevere dolcezza ). Le parole dei bambini raccontano di donne e madri su cui ricade completamente ed esclusivamente la cura domestica. Anche per quelle mamme che lavorano. In famiglia, anche nelle realtà più moderne dice il rapporto non ci sono casi in cui un uomo si dedica totalmente alle pulizie domestiche, alla cucina, alla cura dei figli. Per contro, il livello di diffusione dei servizi per la prima infanzia è pari al 20% contro il 33% della media europea. Questo significa legare indissolubilmente queste madri al vincolo casalingo e di child care. I dati più sconcertanti riguardano la violenza: dai colloqui con bambini e ragazzi è infatti risultato evidente un generalizzato alto tasso di violenza all interno delle famiglie. In particolare, in alcuni contesti più che in altri, gli episodi di violenza domestica sulle madri sono talmente diffusi da essere spesso socialmente accettati e condivisi. I numeri del Rapporto: 6 milioni 743mila donne hanno subito violenza (31,9% della classe di età tra i 16 e i 70 anni) e 3 milioni 961mila donne hanno subito violenze fisiche; 120 le vittime di femminicidio solo nel A rendere singolare la situazione italiana è un dato sconcertante: solo il 18,2% delle donne che hanno subito violenze li considera reati e solo il 7,2% li denuncia. Addirittura il 33,9% non ne parla con nessuno. Dati desolanti se si pensa che secondo l Organizzazione Mondiale della Sanità a livello mondiale, la violenza tra le mura domestiche è considerata la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne (14 50 anni). E poi c è il concetto stesso di mamma: per molti dei figli interpellati è totalizzante rispetto a quello di donna: una mamma ha aspirazioni, sogni e attributi sempre e solo interni alla famiglia. Una sovrapposizione pericolosa, che non riguarda le altre donne. Perché questa disparità? La campagna di sensibilizzazione «Mia Mamma è (anche) una Donna», lanciata da Intervita, punta a riconoscere nella mamma desideri e diritti propri. La scelta stessa di partire dal punto di vista dei figli, chiamati a descrivere cosa piace ma anche cosa non piace alle loro mamme, si rivela uno straordinario strumento di verità: Vorrei che potesse non lavorare più e andare in vacanza ; Desidero volerle sempre bene per tutta la mia vita. Vorrei che potesse avere 5 minuti tutti per sè, senza pensare agli altri. In sintesi, autonomia, basta violenze e magari un reddito di Mammanza. Simbolo della campagna di sensibilizzazione è Maya, una sagoma femminile contrassegnata dal cuore arancio di Intervita scaricabile via web (sul sito di Intervita e su lascatolepienadivita.it) e personalizzabile con un messaggio dedicato alla propria mamma. Il contributo raccolto permetterà all associazione di realizzare azioni concrete per offrire a tante donne italiane la possibilità di crearsi un futuro migliore attraverso tre filoni di intervento: sostegno psicologico alle mamme in difficoltà, coinvolgimento in attività di scolarizzazione e sostegno all autonomia economica attraverso corsi di formazione. (Fonte: Il Corriere della Sera ) 5

6 Lavoro disoccupazione giovanile al 38,4% Il 22 giugno manifestazione Cgil, Cisl e Uil a Roma (AGI) - Il tasso di disoccupazione si attestava a marzo scorso all'11,5%, invariato rispetto a febbraio e in aumento di 1,1 punti percentuali nei dodici mesi. Lo rende noto l'istat. Il numero di disoccupati, pari a 2 milioni 950 mila, diminuisce dello 0,5% rispetto a febbraio (-14 mila). Il calo interessa sia la componente maschile sia, in misura più lieve, quella femminile. Su base annua la disoccupazione cresce dell'11,2% (+297 mila). Gli occupati a marzo scorso sono 22 milioni 674 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto a febbraio (-51 mila). Il calo riguarda la sola componente femminile. Su base annua l'occupazione diminuisce dell'1,1% (-248 mila). Il tasso di occupazione, pari al 56,3%, diminuisce di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e di 0,6 punti rispetto a dodici mesi prima. Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,5% rispetto al mese precedente (+69 mila unità). Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e in diminuzione di 0,2 punti su base annua. A marzo l'occupazione maschile cresce dello 0,1% in termini congiunturali, mentre diminuisce dell'1,3% su base annua. L'occupazione femminile si riduce dello 0,7% sia rispetto al mese precedente sia nei dodici mesi. Il tasso di occupazione maschile, pari al 65,9%, sale di 0,1 punti percentuali rispetto a febbraio, mentre diminuisce di 0,9 punti su base annua. Quello femminile, pari al 46,7%, diminuisce di 0,3 punti sia in termini congiunturali sia rispetto a dodici mesi prima. Rispetto a febbraio la disoccupazione diminuisce dello 0,7% per la componente maschile e dello 0,2% per quella femminile. In termini tendenziali la disoccupazione cresce sia per gli uomini (+12,5%) sia per le donne (+9,6%). Il tasso di disoccupazione maschile, pari al 10,7%, cala di 0,1 punti percentuali rispetto a febbraio, mentre aumenta di 1,2 punti nei dodici mesi; quello femminile, pari al 12,7%, aumenta di 0,1 punti rispetto al mese precedente e di 1,1 punti su base annua. Il numero di inattivi aumenta nel confronto congiunturale per effetto della crescita della componente femminile (+0,8%), mentre rimane invariata la componente maschile. Su base annua si osserva un calo dell' inattività sia tra gli uomini (-0,3%) sia tra le donne (- 1,0%). LAVORO: DISOCCUPAZIONE GIOVANILE SA- LE AL 38,4% A MARZO Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni sale al 38,4%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 3,2 punti nel confronto tendenziale. Lo comunica l'istat. Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 635 mila e rappresentano il 10,5% della popolazione in questa fascia d'età. LAVORO: CONFESERCENTI, TRA AUTONOMI -416MILA OCCUPATI DAL 2008 Tra recessione e austerity, i lavoratori autonomi "sono la fascia che, proporzionalmente, ha pagato il conto più salato di questi cinque anni di crisi, perdendo sul campo 416mila posti di lavoro e bruciando 68 miliardi di reddito disponibile. Un dato, quest'ultimo, che fa virare in negativo l'intero reddito primario nazionale (-30,9 miliardi)". L'analisi è di Confesercenti che, in occasione del Primo Maggio, momento della riflessione sul tema del lavoro, lancia l'allarme per gli autonomi, composti in larga parte da piccoli e micro imprenditori. "Dalle autorevoli dichiarazioni 6

7 rilasciate da più di un ministro - scrive la Confederazione - il nuovo Governo dimostra di riconoscere l'esigenza di ridurre la pressione fiscale attraverso un piano di tagli della spesa pubblica inefficiente e improduttiva, come Confesercenti suggerisce da anni. L'augurio è che i tagli siano portati avanti in modo rapido e coraggioso: secondo le nostre stime, si possono liberare 70 miliardi di euro". Secondo Confesercenti, il mix di crollo occupazionale, recessione e aumento della pressione fiscale ha determinato, nel periodo preso in esame, una pesante diminuzione dei redditi primari. Nel solo 2012, l'ammontare dei redditi "smarriti" rispetto all'anno immediatamente precedente l'inizio della crisi e- conomica (2007) è risultato pari a quasi 16 miliardi; la metà della perdita complessiva (31 miliardi) accumulata, anno dopo anno, nel quinquennio. Particolarmente pesante la flessione dei redditi primari da lavoro autonomo: 67,8 miliardi nel quinquennio, un terzo dei quali concentrato nel "Un dato che trascina giù l'intero reddito primario nazionale: nello stesso periodo, infatti, quello da lavoro dipendente cresce di 13,9 miliardi" (Fonte: La Repubblica ) Studi di genere solo 16 atenei coinvolti. E l 87% dei corsi è fatto da donne Presentata all'università Roma Tre la prima ricerca dettagliata realizzata sul tema dall'associazione italiana di sociologia da cui emerge che su un totale di 57 atenei pubblici italiani solo in 16 è presente almeno un insegnamento in gender studies. L'allarme dei curatori: "La tendenza è considerare il settore di pertinenza esclusivamente femminile. Siamo un Paese arretrato per quel che riguarda l insegnamento e l apprendimento degli studi di genere. Con questo termine si intende quell insieme di studi, più diffusi nei Paesi anglosassoni e del Nord Europa (ma anche in Francia e Germania), che indagano atteggiamenti e comportamenti sociali, economici e politici legati al nostro essere uomo o donna, eterosessuali, omosessuali, transessuali e così via. La condizione di analfabetismo in cui ci troviamo emerge dalla prima ricerca dettagliata realizzata sul tema, che viene presentata il 10 maggio a Roma dall Associazione italiana di sociologia (Ais) all Università di Roma Tre). L indagine, realizzata da Giada Sarra, Roberta Sorrentino e Francesco Antonelli, rispettivamente dottorande e ricercatore universitario del dipartimento di Scienze politiche di Roma Tre, indica che in Italia sono presenti soltanto 56 insegnamenti di genere, tra corsi di laurea triennali e magistrali, 12 corsi di perfezionamento, 6 master e 4 dottorati. Per renderci conto della situazione disastrosa in cui siamo basta considerare che la sola Università di Berkeley, negli Usa, offre più di 60 corsi in Gender studies nel secondo semestre del I NUMERI - Per quanto riguarda la formazione universitaria nei corsi di laurea triennali e magistrali, su un totale di 57 atenei pubblici italiani, sono solo 16 quelli in cui è presente almeno un corso universitario in studi di genere. Il 74% dei corsi è nelle università del nord Italia (il 64% concentrato nell Università di Bologna, che si conferma un apripista in questo ambito), il 10% nel centro, il 16% nel sud e nelle isole. Un fattore che denota l approssimazione con cui vengono considerati gli studi di genere è che sono quasi assenti nelle facoltà scientifiche 7

8 (solo il 7% negli studi medici). Anche in un ambito come quello del diritto si arriva soltanto al 6 per cento. E assurdo pensare che gli studi di genere debbano essere relegati alle scienze sociali o della letteratura spiega Sarra Quando parliamo di genere parliamo di vita reale delle persone, di come percepiamo i nostri corpi, i nostri orientamenti sessuali, il nostro posto nella società. Si tratta di una formazione che dovrebbe essere estesa anche ad ambiti come quello medico ed economico. GLI STUDI DI GENERE IN ITALIA? ROBA DA DONNE - Dalla ricerca, inoltre, risulta evidente che in Italia la tendenza è quella di considerare gli studi di genere come appropriati solo per le donne. C è infatti una femminilizzazione di chi li insegna: l 87% sono donne e soltanto il 13% uomini. Secondo Antonelli, questa marginalizzazione è soprattutto legata al persistere del sessismo che porta il nostro Paese ad essere fra gli ultimi in Occidente per esempio per ciò che riguarda la partecipazione femminile al mercato del lavoro o nel ricoprire ruoli dirigenziali. Negli Stati Uniti, aggiunge Sarra, questa mentalità è stata superata da tempo. Gli studi di genere possono e debbono essere insegnati anche da uomini e devono essere seguiti anche da studenti maschi. Il fatto che ci troviamo in presenza di un ambito marginalizzato risulta chiaro anche dalla tipologia dei docenti, quasi tutti ricercatori (34%) e associati (27%). Gli ordinari sono solo il 23% mentre i non strutturati (i docenti non di ruolo) il 16 per cento. COSA FARE PER MIGLIORARE - Inoltre, come sottolinea Sorrentino, dal report (che è stato fatto considerando l anno accademico ) si evince chiaramente la mancanza di studi principalmente incentrati sui generi altri e sul panorama dell omosessualità come realtà sociale e politica. Prevalgono infatti gli insegnamenti che mettono al centro gli aspetti relazionali e l interesse per il genere femminile e i rapporti tra uomini e donne. Migliorare la situazione non è semplice, ma sicuramente possibile. Secondo Sarra bisogna fare in modo che gli studi di genere si moltiplichino a livello universitario e che non si limitino alle tematiche tradizionali come le donne e la famiglia, ad esempio. E necessario che questo sapere, così ampio e variegato e in continua evoluzione, venga spezzettato, allargato, diffuso, reso appetibile per tutti, anche per i ragazzi. Si devono includere nei programmi le diverse identità della società e iniziare a pensare ad estendere questi studi anche alle scuole secondarie. Non ci sarebbe nulla di strano. Pensiamo che negli Stati Uniti l educazione sessuale è una materia obbligatoria da 15 anni. (Fonte: Il Fatto Quotidiano ) 8

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