Formaggi a latte crudo senza innesto a breve stagionatura: linee guida di buona produzione

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1 Agricoltura Formaggi a latte crudo senza innesto a breve stagionatura: linee guida di buona produzione Quaderni della ricerca Provincia di Lodi n marzo 2008 COLTIVARE IL FUTURO

2 Sperimentazione condotta nell ambito del progetto triennale n. 744: Valorizzazione di formaggi tipici lombardi (Pannerone di Lodi e formaggi molli di monte) prodotti con latte crudo senza innesto con stagionatura inferiore a 60 giorni: incremento della sicurezza per rafforzare la loro competitività sul mercato FORTISI, finanziato dalla Regione Lombardia con il Piano per la ricerca e lo sviluppo 2004 (d.g.r. 30/04/2004 n. VII/17326). Hanno realizzato le attività sperimentali: Coordinamento del Progetto: Germano Mucchetti germano.mucchetti@unipr.it Analisi strutturali e dell immagine: Emma Chiavaro, Doralice Grossi, Romina Iezzi Dipartimento Ingegneria Industriale, Università degli Studi di Parma V.le G.P. Usberti 181, Parma Ricerche microbiologiche: Domenico Carminati, Giorgio Giraffa, Barbara Bonvini, Miriam Zago, Cristina Rossetti, Antonella Bonioli, Maria Emanuela Fornasari, Alessandra Perrone Ricerche tecnologiche chimiche: Francesco Locci, Roberta Ghiglietti, Maria Chiara Remagni, Salvatore Francolino CRA-FLC Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero Casearie Via Lombardo 11, Lodi (flc.lo@entecra.it) Ricerche microbiologiche: Erasmo Neviani, Monica Gatti, Valentina Bernini, Camilla Lazzi, Benedetta Bottari, Juliano Lindner, Angela De Lorentiis Dipartimento di Genetica Biologia dei Microrganismi, Antropologia ed Evoluzione, Università degli Studi di Parma V.le G.P. Usberti 181, Parma Indagini tecnologiche e prove produttive: Angelo Carena Caseificio Carena C Caselle Lurani (LO) (caseificiocarena@caseificiocarena.it) Divulgazione risultati: Stefano Rancati, Alberto Tenconi Assessorato Agricoltura, Amministrazione Provinciale, Lodi Edizione e stampa dei testi: M.Paola Esposito, Salvatore Mancuso Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura Lodi Per informazioni: Regione Lombardia Direzione Generale Agricoltura Struttura Ricerca e innovazione tecnologica via Pola 12/ Milano tel fax agri_ricerca@regione.lombardia.it Referente: Gianpaolo Bertoncini tel gianpaolo_bertoncini@regione.lombardia.it Copyright Regione Lombardia

3 Formaggi a latte crudo senza innesto a breve stagionatura: linee guida di buona produzione Quaderni della ricerca n marzo 2008

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5 PRESENTAZIONE Mentre la globalizzazione delle produzioni e dei mercati ha contribuito a rendere meno drammatica la disponibilità mondiale di cibo, a livello locale è aumentata la domanda di prodotti alimentari tradizionali fortemente vincolati al territorio, sia per l origine delle materie prime che per le modalità di trasformazione. L attenzione sempre più diffusa, in tutti i livelli politici ed amministrativi, relativamente ai temi della sicurezza alimentare, pone la necessità di coniugare l igiene degli alimenti con la difesa della qualità tradizionale dei prodotti tipici. Nel settore caseario, ad esempio, limitare il ricorso alla pastorizzazione del latte per la produzione di alcuni formaggi tipici, impone di reinterpretare le pratiche tradizionali al fine di ridurre il rischio per la salute dei consumatori. In tale ottica, la Direzione Generale Agricoltura ha finanziato il progetto di ricerca Valorizzazione di formaggi tipici lombardi (Pannerone di Lodi e formaggi molli di monte) prodotti con latte crudo senza innesto con stagionatura inferiore a 60 giorni: incremento della sicurezza per rafforzare la loro competitività sul mercato FORTISI, per indagare se, ed in che modo, sia possibile mettere a punto una strategia razionale di riduzione del rischio e di salvaguardia della qualità, adattabile a queste particolarissime produzioni che, oltre a rappresentare la valorizzazione di una antica cultura casearia, costituiscono una risorsa non trascurabile per il mantenimento della presenza umana nella montagna lombarda, fortemente legata alla zootecnia. I risultati del progetto realizzato tra il 2005 ed il 2008 sono sintetizzati in queste Linee Guida, uno strumento pratico per i produttori e per i tecnici che vogliono continuare a produrre nel solco della tradizione, rispondendo alle richieste moderne di sicurezza e tipicità. Viviana Beccalossi Vicepresidente della Regione Lombardia Assessore all Agricoltura 3

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7 SOMMARIO Introduzione Obiettivo delle linee guida Linee guida per il trattamento del latte prima della sua trasformazione Stoccaggio del latte Obiettivo dello stoccaggio: organizzazione aziendale/disponibilità di latte Obiettivo dello stoccaggio: prematurazione biologica Obiettivo dello stoccaggio: scrematura parziale Stoccaggio del latte: come si raffredda Stoccaggio del latte: dove conservare il latte Linee guida per la lavorazione del latte in caldaia Contatto tra latte e superficie Condizioni che influenzano la crescita microbica Coagulazione del latte Linee guida per la stufatura ed acidificazione della cagliata Travaso della cagliata dalla vasca in stampo e formatura Controllo della temperatura della cagliata e velocità di acidificazione Drenaggio del siero e rivoltamenti Salatura e stagionatura...25 Conclusioni Allegati

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9 INTRODUZIONE Obiettivo delle linee guida L obiettivo di questo testo è dare ai produttori di formaggio un metodo e informazioni utili per cercare di ridurre il rischio igienico derivante dall uso di latte crudo nelle produzioni casearie tradizionali che non presentano punti critici apparenti di eliminazione e riduzione del rischio, in un contesto di ricerca della salvaguardia del loro modo di produrre, ovvero senza ricorrere alla pastorizzazione del latte e/o all introduzione di tecnologie realisticamente non applicabili nel contesto delle piccole produzioni di nicchia. L eterogeneità dei prodotti e la specificità delle pratiche usate in ognuna delle singole produzioni casearie (dal Pannerone alla molteplicità dei formaggi di monte, siano essi da latte di vacca che di capra) richiede linee guida non dedicate al singolo formaggio, ma per fasi specifiche della trasformazione del latte in formaggio. In tal modo ogni produttore o coloro che a diverso titolo intervengono nel settore (dai medici veterinari ai tecnici di associazioni ed enti pubblici) potrà compiere il proprio personale collage identificando le fasi inerenti il proprio processo produttivo. Queste linee guida non vogliono sostituirsi all indispensabile opera di formazione ed assistenza tecnica verso i produttori di formaggi tradizionali, ma diventare uno strumento aggiuntivo che semplifichi l opera dei produttori e di chi svolge attività di formazione e/o assistenza. Per facilità di catalogazione le fasi di processo sono state suddivise in 3 macrocategorie che si riferiscono alla fase di preparazione del latte nel caseificio (dal ricevimento al travaso in vasca di coagulazione o caldaia), alla fase di lavorazione in caldaia ed infine a quella fuori caldaia 1. Linee guida per il trattamento del latte prima della sua trasformazione. 2. Linee guida per la lavorazione del latte in caldaia. 3. Linee guida per la stufatura ed acidificazione della cagliata. 1. Linee guida per il trattamento del latte prima della sua trasformazione La durata del periodo che intercorre tra la fine della mungitura e l inizio della trasformazione del latte in formaggio è molto variabile in funzione delle pratiche locali e delle condizioni del caseificio, ovvero azienda di auto-trasformazione o azienda che trasforma anche o solo latte di raccolta: il latte può essere trasformato subito, ancora caldo, o talvolta dopo uno stoccaggio anche superiore alle 24 ore. Le ragioni di tale diversità di durata sono dovute a cause specificatamente aziendali (non caseificare due volte al giorno, scarsa disponibilità di latte per singola munta, etc) o a specifici obiettivi produttivi (conseguimento di una certa prematurazione biologica del latte; affioramento di parte della crema). 7

10 Il tempo di sosta del latte crudo tra mungitura e trasformazione influenza le sue caratteristiche microbiologiche in funzione della carica microbica e delle condizioni di stoccaggio e temperatura imposte al latte. La valutazione tuttavia va fatta considerando una serie di elementi: 8 nella linea produttiva di tali formaggi non è previsto l uso di uno starter di batteri lattici; per ottenere un formaggio con caratteristiche idonee è condizione necessaria che si abbia una fermentazione lattica in tempi accettabili (vedi sezione 3); il formaggio deve essere sicuro e quindi rispettare i principi stabiliti dai Regolamenti Europei in materia di sicurezza alimentare dei prodotti di origine animale nonché i criteri microbiologici ad essi relativi; i formaggi devono rispondere ad uno standard qualitativo che, anche se non espresso in regole scritte e cogenti, è riconosciuto dal senso comune e dai rapporti mercantili di scambio. L obiettivo è quindi quello di trovare un equilibrio tra l esigenza fondamentale di prevenire la crescita di microrganismi patogeni eventualmente presenti e quella di avere un latte con una carica accettabile di batteri lattici ed una carica minima di microflora contaminante potenziale responsabile di difetti. La qualità microbiologica del latte caldo appena munto, utilizzato ad esempio nel caso del Pannerone, dipende essenzialmente dalle pratiche di mungitura e dalle condizioni di raccolta, trasporto e travaso del latte. La sua attitudine microbiologica alla trasformazione casearia, e quindi la sua fermentescibilità, si confronteranno da un lato con la carica microbica (numero e tipo di microrganismi) e dall altro con i sistemi antimicrobici tipici del latte appena munto (sistema lattoperossidasi-tiocianato, lattoferrina, lisozima, etc) soprattutto attivi nelle prime ore dalla mungitura. Tale capacità di autodifesa del latte da un lato favorisce la sua conservazione nelle primissime ore dalla mungitura, fin tanto ad esempio che la temperatura non sia stata abbassata dai sistemi di refrigerazione, ma nel caso di trasformazione immediata (latte caldo ) è corresponsabile del ritardo nell avvio della fermentazione lattica, soprattutto quando non è utilizzato alcuno starter di batteri lattici. In ogni caso la trasformazione immediata del latte appena munto non pone ovviamente problemi di conservazione, che possono invece diventare importanti nel caso in cui il produttore, per ovviare a difficoltà fermentative del latte crudo dovute alla ridotta carica microbica del latte 1, cerchi di attuare una sorta di prematurazione biologica del latte conservandolo a temperatura superiori a C per ore o oltre. E stato osservato infatti che a 16 C la flora lattica comincia a duplicarsi nel corso della conservazione per 24 h, che a 20 C la crescita è esponenziale, mentre a 12 C non è stata osservata crescita misurabile. Tuttavia la conservazione del latte a 10 C o a 15 C non può essere valutata solo in termini di prematurazione, ma purtroppo anche in termini di rischio associabile alla crescita di flora di interesse igienico-sanitario (Figura 1). Mentre Escherichia coli si duplica con velocità crescente già a temperatura superiore ad 8 C, Staphylococcus aureus e gli stafilococchi coagulasi positivi in genere, pur potendo duplicarsi a temperature maggiori di 10 C, sono molto più lenti ed il loro numero permane sostanzialmente inalterato per 1 La ridotta carica microbica del latte appena munto è un fattore generalmente positivo, che tuttavia, nel caso particolare dei formaggi a latte crudo caldo senza starter, può rallentare la velocità della fermentazione lattica lasciando spazio a fermentazioni indesiderate. Questa osservazione tuttavia non vuole sostenere la posizione non condivisa di coloro che affermano che il latte pulito non può essere trasformato in formaggio e che troppa igiene fa male alla qualità.

11 24 ore fino a 16 C. Dopo 24 ore a 20 C si può avere un inizio di crescita, la cui intensità dipende tuttavia in misura importante dai ceppi in gioco. cocchi lattici ufc/m l 1.0E E E E E E E ore 8 C 12 C 16 C 20 C E. coli ufc/m l 1.0E E E E E E E ore 8 C 12 C 16 C 20 C S. aureus ufc/m l 1.0E E E E E E E ore 8 C 12 C 16 C 20 C Figura 1) Crescita di cocchi lattici, E. coli ed S. aureus in latte crudo conservato a differenti temperature. 9

12 A temperatura del latte superiore a 20 C, per es. 25 C per un periodo di 16 ore, S. aureus inizia a crescere velocemente nel latte e potrebbe portare anche alla produzione di tossine stafilococciche, come è stato verificato durante l affioramento di crema da latte artificialmente inoculato con ceppi tossinogeni. Le condizioni applicate alla sosta del latte prima della trasformazione dovrebbero quindi essere il risultato di una procedura di scelte eseguite sulla base di chiarezza e priorità di obiettivi, cercando il miglior compromesso possibile ed in ogni caso privilegiando la sicurezza alimentare. La scelta di dare priorità alla sicurezza potrebbe portare anche a dover abbandonare la produzione di alcune tipologie di formaggio. Questo potrebbe avvenire qualora si dimostrasse che talune pratiche che determinano un aumento del rischio igienico sanitario (esempio sosta del latte a temperatura non controllata o comunque elevata) siano determinanti anche per la qualità del formaggio: eliminando infatti queste pratiche si otterrebbero formaggi privi della qualità riconosciuta, e quindi non meritevoli di conservare il nome con cui sono tradizionalmente identificati e commercializzati. La prima decisione da prendere per dare avvio alla produzione del formaggio è quindi la seguente: il formaggio può/deve essere ottenuto con latte di una munta o anche con latte di più munte? La risposta dipende da una serie complessa di fattori legati alle caratteristiche attese per il prodotto ed a considerazioni di gestione aziendale e disponibilità di latte. In funzione della scelta si aprono quindi due scenari: Con latte di una sola munta (es. Pannerone) non ci sono problemi di conservazione del latte, ma dovranno essere valutati eventuali problemi dovuti ad un ritardo nell inizio della fermentazione lattica, nel momento in cui, secondo tradizione, non si usano starter. Con latte di due o più munte si deve valutare come conservare il latte delle munte caratterizzate da un tempo di stoccaggio più lungo, ovvero in che condizioni (temperatura, durata, tipologia di recipiente) si mantiene il latte. 1.1 Stoccaggio del latte La scelta delle condizioni di sosta del latte sarà a sua volta funzione degli obiettivi legati allo stoccaggio. Le regole igieniche e la buona pratica casearia dicono che il latte andrebbe velocemente raffreddato a temperatura inferiore a 8 C fino al momento della sua trasformazione e conservato non oltre una durata tale per cui la carica microbica ecceda il limite di ufc/ml, salvo esigenze di ordine diverso legate alla qualità del prodotto da ottenere 2. Per i formaggi di nicchia a latte crudo nel cui schema produttivo non vi è alcuno dei punti di eliminazione/riduzione del rischio classicamente riconosciuti (pastorizzazione del latte, acidificazione veloce, cottura o filatura della cagliata, uso di additivi conservanti), si dovrebbe valutare con maggiore rigore 2 La normativa attuale (Reg CE 853/2004) non prevede limiti massimi di durata della conservazione del latte prima della trasformazione, a differenza del DPR 54/1997, ma fissa il criterio microbiologico di germi/ml, cui tuttavia è possibile derogare su motivata richiesta. 10

13 il rapporto, spesso tutto da dimostrare, tra la qualità del formaggio, (valore da tutelare), e la richiesta di deroghe ai regolamenti igienico sanitari, talvolta necessarie per ottenere quella qualità. Per poter valutare questo rapporto tuttavia occorrerebbe aver prima definito la qualità del prodotto: in assenza di una definizione oggettiva minima della qualità (intervalli accettabili di umidità, grasso e sale, più altri parametri specifici caratterizzanti il prodotto) diventa difficile concedere deroghe motivate sulla difesa della qualità. Un esempio può essere quello del limite di carica microbica del latte crudo. Il produttore, cui dal 2006 spetta la responsabilità ultima ed unica della sicurezza del prodotto, deve avere ben presente che il limite di germi/ml di latte prima della trasformazione è un criterio non assoluto senza legami diretti con la sicurezza, cui si può quindi derogare, ma deve anche sapere che ha una sua validità preventiva, soprattutto in assenza di altri fattori di riduzione del rischio. Spesso si dichiara che il formaggio avrà una durata di stagionatura superiore a 60 giorni e così sussiste la motivazione tecnica per l ottenimento della deroga. Talvolta accade che, in assenza di rigorosi sistemi di tracciabilità, il formaggio sia commercializzato prima del termine dei 60 giorni, oppure succede che, per osservare la normativa, un formaggio tradizionalmente consumato dopo una breve stagionatura sia effettivamente stagionato per 60 giorni, modificando le sue caratteristiche (calo peso, maggior contaminazione della crosta e differente maturazione etc). La richiesta di una deroga per motivi di difesa di una qualità tradizionale può indurre quindi cambiamenti delle caratteristiche tradizionali che si volevano difendere. Un ulteriore problema per il piccolo produttore che non chiede la deroga è inoltre quello della carenza di informazione. Raramente il piccolo produttore è cosciente di rispettare o meno il limite di carica microbica quando si devono gestire prodotti a rischio. Il non regolare controllo della qualità del latte in alpeggio, per le oggettive difficoltà di un corretto campionamento eseguibile in tempo utile per le analisi, è vissuto talvolta dai produttori come un obbligo in meno, ma in realtà è deficit di conoscenza e quindi maggiore assunzione di rischio, soprattutto nel caso producano formaggi a pasta cruda a breve maturazione e/o burro. In assenza di numeri e di dati storici sufficienti, per quanto questi numeri abbiano solo valore indicativo, il produttore può quindi fare solo scelte generiche di buon senso e non improntate su una conoscenza informata della propria condizione. Deve inoltre valutare se attrezzature e strutture produttive sono sufficientemente adeguate per lavorare con accettabili margini di sicurezza, avendo tuttavia ben presente che se è vero che pessime attrezzature e strutture rendono più rischiosa la produzione, è altrettanto vero che ottime attrezzature e strutture non garantiscono la sicurezza microbiologica del formaggio. Normalmente tuttavia il produttore tradizionale, anche giovane, ha essenzialmente un sapere pratico tramandato da generazioni di produttori che gli permette di fare il formaggio, ma risente della carenza di un percorso formativo precedente l inizio della sua attività produttiva, che avrebbe potuto fornirgli quelle conoscenze di tipo microbiologico, normativo e scientifico più in generale, indispensabili oggi per gestire le responsabilità che la legge affida al produttore di alimenti. 11

14 1.2 Obiettivo dello stoccaggio: organizzazione aziendale/disponibilità di latte E importante raffreddare il latte per poterlo conservare, pur nella consapevolezza che una conservazione prolungata a 4 C, se da un lato rallenta la crescita microbica in genere e blocca quella dei batteri lattici, dall altro tuttavia permette la crescita dei batteri psicrofili 3, sbilanciando in tal modo i rapporti naturali tipici della contaminazione ambientale del latte appena munto. La linea guida nel caso di utilizzo di latte di due munte consecutive è quella di conservare a temperatura minore/uguale a 4 C il latte della prima munta per un tempo non superiore a ore, in modo tale da ridurre al minimo il tempo a disposizione per lo sviluppo della flora psicrofila. Banale, ma non inutile, anche l avvertenza di controllare/far controllare la precisione ione del termometro con cui si misura la temperatura del latte. Nel caso si debba stoccare il latte più a lungo, si deve avere la consapevolezza che si sta utilizzando latte crudo la cui microflora sarà comunque alterata nei suoi equilibri iniziali e tale squilibrio non è sicuramente a favore della flora lattica. In altre parole, la qualità dei formaggi ottenuti con latte refrigerato difficilmente potrà essere uguale a quella dei formaggi ottenuti da latte caldo. 1.3 Obiettivo dello stoccaggio: prematurazione biologica La prematurazione biologica del latte a temperatura fino a 15 C per circa ore è una pratica tradizionale del caseificio diffusa soprattutto nel settore delle paste cotte, ma applicata anche in quella dei formaggi crudi a pasta molle. Tale pratica nel contesto dei formaggi senza innesto ed a breve maturazione assume tuttavia un carattere di pericolosità dovuta ad un rapporto generalmente sfavorevole tra beneficio auspicato (crescita di flora funzionale direttamente/indirettamente alla caseificazione; preacidificazione limitata e mirata del latte) e rischio di crescita di flora potenzialmente pericolosa per la salute del consumatore e/o responsabile di difetti, in particolare nel momento in cui sono assenti fasi del processo (pastorizzazione) che potrebbero eliminare il pericolo. Per ridurre quantomeno il rischio, la linea guida è quella di non oltrepassare la temperatura di 12 C per un tempo tra mungitura ed inizio della caseificazione che non superi le 12 ore. In ogni caso qualora si ritenga necessario adottare la prematurazione biologica del latte, questa scelta dovrebbe essere un obiettivo preciso della linea produttiva, e quindi si dovrebbe poter dimostrare che la prematurazione avvenga. La prematurazione del latte dovrebbe essere realmente un fattore utile alla qualità del formaggio e non la scusa per evitare di raffreddare il latte in tempo utile a causa di problemi di trasporto e/o stoccaggio. 3 Sono definiti come microrganismi psicrofili quelli in grado di crescere con sufficiente rapidità anche alle basse temperature impiegate per la refrigerazione del latte e/o la stagionatura dei formaggi. 12

15 1.4 Obiettivo dello stoccaggio: scrematura parziale La sosta del latte può anche servire per una parziale scrematura della munta della sera che sarà poi miscelata con quella del mattino al fine di avere un formaggio meno grasso e disponibilità di panna per produrre burro. Una temperatura più elevata di stoccaggio del latte può favorire la separazione della crema. La microflora del latte crudo avrà una crescita la cui velocità dipende dalla carica iniziale, dalla variabilità di generi e specie microbiche presenti, dalla temperatura e dal tempo a disposizione. L agglutinazione dei globuli di grasso allontana quota parte della microflora del latte, ma con temperatura maggiore di 15 C aumenta la probabilità di avere una carica microbica superiore a quella iniziale sia nella crema che nel latte parzialmente scremato. Qualora la temperatura superi 20 C per un tempo superiore a 16 ore aumenta il rischio di avere nella crema la presenza di tossine stafilococciche termoresistenti e l entità del rischio dipenderà dalla contaminazione iniziale del latte da parte di stafilococchi coagulasi positivi. La possibilità di avere crescita di enterobatteri tossinogeni è egualmente reale e, considerando che nella intera linea di produzione di questi formaggi non intervengono trattamenti termici in grado di denaturare le eventuali enterotossine preformate, aumenta il rischio di contrarre tossinfezione, anche nell ipotesi poco probabile che gli enterobatteri non siano poi in grado di continuare a crescere nelle fasi successive della caseificazione. La linea guida è quindi analoga a quella relativa alla prematurazione, ovvero non oltrepassare la temperatura di 12 C per un tempo tra mungitura ed inizio della caseificazione inferiore a 12 ore. La difficoltà in questo caso è che le aziende che utilizzano la scrematura parziale del latte possono non avere sistemi di refrigerazione del latte e quindi diventa difficile raffreddare velocemente il latte. Una eventuale quantità leggermente inferiore di burro sarà compensata da una sua maggior sicurezza e da una resa in caseificazione del formaggio leggermente maggiore. Linea guida comune è inoltre, quale che sia l obiettivo dello stoccaggio, quella di misurare regolarmente il valore di acidità del latte (acidità titolabile/ph) all arrivo in caseificio ed immediatamente prima della lavorazione e di trascrivere il dato. Questa doppia misura permetterà una prima verifica dell effettivo raggiungimento degli obiettivi i preposti (stabilità del latte/prematurazione). 1.5 Stoccaggio del latte: come si raffredda Il raffreddamento del latte alla temperatura prevista in funzione dei differenti obiettivi dello stoccaggio deve essere realizzato nel minor tempo possibile, a maggior ragione qualora si decidesse di conservare il latte a 12 C piuttosto che a + 4 C, in quanto diventa ancor più importante ridurre il tempo in cui il latte permane tra 37 C e 12 C. Le tecniche di raffreddamento dipendono in larga parte dalla disponibilità di serbatoi raffreddati mediante compressori frigoriferi e/o per scambio indiretto di calore con acqua. In caso di disponibilità di serbatoi refrigerati è sufficiente l osservanza di buone procedure di utilizzo. 13

16 Nel caso invece il latte sia munto manualmente o con impianto di mungitura, ma l azienda non sia dotata di serbatoi refrigerati, come può accadere ove si pratica la scrematura parziale del latte della munta della sera, in particolare nel periodo tardo primaverile - estivo, è necessario non affidare il raffreddamento del latte al semplice effetto della temperatura ambientale e quindi alla sua variabilità. L uso di bacinelle/serbatoi nella cui intercapedine si abbia un ricircolo abbondante di acqua di rete potrebbe far raggiungere le condizioni limite indicate in un tempo ragionevole. Più è lungo il tempo necessario a raggiungere la temperatura prevista, minore dovrebbe essere la durata complessiva della sosta per ridurre il rischio di crescite microbiche eccessive: in tal caso sarebbe opportuno non stoccare latte proveniente da più di due munte. Per raffreddare il latte si sconsiglia invece l uso di serpentini ad immersione in serbatoi o bacinelle, qualora non si disponga di supporti e procedure che prevengano da un lato il contatto tra serpentino non in uso e pavimento e dall altro consentano il lavaggio efficace e la disinfezione della parte esterna del serpentino medesimo (quella a contatto con il latte). In assenza di tali sistemi infatti l uso di serpentini diventa un fattore di contaminazione microbiologica del latte. La linea guida è quindi quella di utilizzare, laddove possibile, i serbatoi refrigeranti per raggiungere la temperatura di stoccaggio del latte,, sia essa quella di 4 C o più alta ta.. In assenza di tali attrezzature occorre comunque prevedere sistemi che consentano, mediante scambio indiretto di calore con acqua di rete, di raffreddare velocemente il latte, considerando tuttavia che i metodi utilizzati siano tali da non rappresentare, vedasi l esempio del serpentino di raffreddamento, un punto di incremento del rischio di contaminazione del latte. 1.6 Stoccaggio del latte: dove conservare il latte I recipienti in cui il latte è mantenuto durante mungitura, trasporto e stoccaggio prima della sua trasformazione sono fra i principali responsabili, assieme alle pratiche di mungitura, delle caratteristiche microbiologiche iniziali del latte. Le condizioni di stoccaggio, come visto, impedendo o favorendo crescite selettive di microflora, determineranno poi le caratteristiche microbiologiche finali del latte. La scelta del recipiente dovrebbe tenere in adeguato conto le sue caratteristiche di lavabilità e disinfezione. Nelle pratiche tradizionali, escludendo i sistemi di mungitura, sono usati recipienti aperti (secchi, bacinelle di affioramento) e chiusi (bidoni, serbatoi). Questi ultimi possono a loro volta essere suddivisi tra recipienti lavabili con sistemi CIP (Cleaning In Place) 4 oppure manualmente o con spazzole. Nella realtà lombarda non sono generalmente più in uso recipienti in legno ed i materiali prevalenti appaiono essere nell ordine acciaio, alluminio e plastica. La detergenza di tali recipienti è fondamentale per assicurare che essi non diventino fonte di contaminazione ulteriore del latte dopo la mungitura. Nella pratica tradizionale, mantenuta talvolta ancora nel caseificio da 4 Sistema di lavaggio CIP: è un sistema in cui il flusso dell acqua di lavaggio e di risciacquo è gestito attraverso l uso combinato di serbatoi, pompe e scambiatori di calore che gestiscono velocità di scorrimento, concentrazione dei detergenti e temperatura del fluido, le cui condizioni operative possono essere registrate e quindi sono tracciabili. Si applica al lavaggio di tubazioni, serbatoi ed impianti per i quali sia possibile costituire un anello chiuso che permette l invio ed il recupero delle soluzioni detergenti. 14

17 Grana, il detergente classico è il siero di fine caseificazione. L uso di siero è potenzialmente un grave errore in quanto se il latte ha avuto problemi di ordine microbiologico in qualsiasi punto della sua filiera di produzione e trasformazione fin tanto che è terminata l estrazione della cagliata, questi problemi si trasmettono automaticamente al siero: usando il siero come detergente per le attrezzature si inquina quindi il recipiente. Inoltre, se il recipiente lavato con siero non è accuratamente risciacquato, i costituenti del siero residuo rappresentano una fonte di nutrienti per i microrganismi, che troveranno condizioni più favorevoli per crescere, anche sotto forma di biofilm 5 e quindi con proprietà di resistenza al calore ed ai disinfettanti maggiore rispetto alle stesse cellule non in biofilm. Il lavaggio meccanico in CIP sarebbe in via generale da preferirsi a quello manuale non fosse altro per la possibilità di monitorare durata e condizioni del lavaggio, ma nelle piccole aziende, ed in ogni caso per i sistemi aperti, si deve ricorrere a sistemi manuali. Laddove il sistema HACCP ha trovato applicazione è capitato troppo spesso di osservare un applicazione burocratica delle procedure di monitoraggio delle condizioni di detergenza che suggerisce una mancata comprensione dell importanza di tale fase per il buon esito della produzione. In generale, ma anche nel caso delle aziende di autotrasformazione ove non si applicavano i DPR 54/1997 e 155/1997 6, è tuttavia egualmente importante la comprensione dell importanza di una detergenza efficace da realizzare mediante uso di detersivi specifici e corretti risciacqui 7. L annotazione costante e reale delle pratiche di risciacquo, lavaggio e disinfezione effettivamente realizzate rappresenta uno strumento fondamentale per poter individuare nel modo più rapido ed efficace i punti ed i luoghi ove intervenire in caso di problematiche igienico/sanitarie e/o di difettosità del prodotto. La linea guida è quella, ove possibile, di preferire recipienti chiusi a quelli aperti per ridurre la contaminazione del latte da parte dell ambiente. L uso di sistemi chiusi (es. serbatoi con coperchio) consente inoltre, sempre ove possibile, di adottare pratiche di lavaggio con metodiche CIP. In ogni caso è da evidenziare l importanza del lavaggio delle attrezzature non solamente con acqua o con siero, ma con detergenti specifici seguito da risciacquo e, e almeno periodicamente, da disinfezione con sostanze ossidanti o di facile reperibilità e basso costo quale ad esempio l ipoclorito di sodio da usare a temperatura ambiente nella misura di circa 100 ppm (concentrazione finale) 8 per tempi di contatto di almeno 1 ora. 5 Biofilm. E una particolare forma di crescita microbica per cui le cellule microbiche si organizzano in ammassi stratificati solidali alla superficie e tra loro, grazie alla produzione di sostanze di natura polisaccaridica. 6 I DPR 54/1997 e 155/1997 non si applicavano a quei produttori che limitavano la vendita dei loro prodotti in ambito strettamente locale ed in forma diretta al consumatore. 8 Esempio di calcolo della concentrazione di ipoclorito. Nel caso di ipoclorito al 5% - prodotto per igiene domestica, per ottenere una concentrazione finale di 100 ppm, ovvero di 0,1 g di ipoclorito/litro, occorre considerare la sua concentrazione iniziale, nell esempio 50 g/litro, e quindi utilizzare 2 ml di prodotto per litro di acqua da utilizzare come soluzione di lavaggio. 15

18 2. Linee guida per la lavorazione del latte in caldaia La contaminazione del latte deve considerare da un lato le differenti possibilità di contatto del latte con materiali, attrezzature e persone, e dall altro le condizioni di temperatura, coagulazione del latte e rottura del coagulo/separazione del siero che, regolando la disponibilità di nutrienti per i microrganismi, influiscono sulla velocità di crescita microbica e discesa del ph. 2.1 Contatto tra latte e superficie Le superfici con cui il latte entra in contatto in questa fase sono: sistemi di travaso del latte dal serbatoio di stoccaggio, dall impianto di mungitura o dalle bacinelle di affioramento (secchi, canale, tubazioni in acciaio/plastica); vasche di coagulazione, generalmente di tipo aperto, riscaldate a fuoco diretto di legna e/o gas o per circolazione di vapore in camicia o di acqua in serpentini immersi nel latte; attrezzi per l agitazione del latte (rotelle) e la rottura del coagulo (spannarola, spada, lira, spino); strumenti per il controllo di parametri analitici (termometri, dosatore preleva campioni per acidità titolabile, elettrodi per ph); mani e braccia dell operatore, a contatto con latte e/o cagliata sia per la valutazione della consistenza del coagulo, sia talvolta durante la rottura o l estrazione. Altre fonti di possibile contaminazione sono rappresentate da ricaduta di fuligine e/o ceneri nel caso di lavorazioni a fuoco di legna, insetti. L adeguata pulizia delle superfici a contatto è quindi una pratica di produzione assolutamente necessaria. Fondamentale diventa quindi la presenza in azienda di supporti che consentano il deposito, senza contatto con pavimento o pareti, di attrezzi e parti mobili degli impianti (canale, tubi etc.) sia quando non in uso, sia soprattutto, per quanto riguarda gli attrezzi, durante l uso. Il contatto diretto del latte con l operatore impone di affrontare l aspetto relativo all utilizzo dei guanti o altri dispositivi di protezione. Nella pratica l uso del guanto in fase di lavorazione del latte in caldaia non è diffuso perché può dare la sensazione di ridurre la sensibilità del contatto mano-cagliata e perché rappresenta un costo: ma il suo utilizzo rappresenterebbe di per sé un vantaggio certo per l igiene del prodotto? Solo a condizione che il guanto sia sostituito o lavato ogni qualvolta l operatore fa qualcosa di diverso durante la fase di lavorazione del latte in caldaia o si tocca altre parti del corpo (naso, ad es.). Altrimenti il guanto riduce la percettibilità dello sporco che resta affidata al solo occhio e non più anche al tatto. Il suggerimento in questo caso è quindi quello di lavarsi frequentemente le mani, meglio con acqua tiepida se disponibile, ed in ogni caso ogni volta che si è toccato qualcosa di diverso prima di toccare nuovamente il latte o la cagliata. 16

19 2.2 Condizioni che influenzano la crescita microbica La scelta della temperatura del latte per la coagulazione, unitamente a dose e tipo di caglio, è un fattore fondamentale per la buona riuscita del formaggio in quanto condiziona la durata e la qualità della coagulazione, l attitudine della cagliata alla sineresi del siero ed in quanto determina la velocità di duplicazione dei microrganismi e quindi il loro tasso di crescita. L evoluzione della temperatura di latte e cagliata durante la fase di lavorazione in caldaia dipende dalla quantità di latte, ed in misura inferiore dal materiale e dallo spessore della vasca di coagulazione, in funzione della sua conducibilità termica e della temperatura dell ambiente. La scelta della temperatura deve quindi considerare la molteplicità degli aspetti e non limitarsi solamente alla valutazione dell effetto sulla coagulazione, a maggiore ragione quando si caseifica latte senza aggiunta di innesto. Temperature di coagulazione del latte nell ordine di C sono caratteristiche del Pannerone e di formaggi essenzialmente a coagulazione acida, e privilegiano in teoria la crescita di flore lattiche mesofile, quali i lattococchi. Valori attorno a C sono invece classici delle formaggelle di monte in cui la flora lattica è rappresentata generalmente da una combinazione di specie mesofile e termofile. Tutte le temperature indicate non garantiscono l assenza di crescita di flora contaminante, alterativa o patogena. Qualora flora appartenente a queste tipologie sia presente nel latte, la sua possibilità di crescita dipenderà dall esito dalla competizione con la flora lattica e dalla disponibilità, per un tempo più o meno lungo, di condizioni di substrato favorevoli (temperatura ottimale, bassa acidità, abbondanza di nutrienti). Il non impiego di colture starter acidificanti caratteristico di questi formaggi è dovuto generalmente al fatto che lo standard tradizionale di qualità è associato a gusti non acidi e comunque meno acidi anche nel caso dei coaguli a base lattica. L uso dello starter modificherebbe in parte le proprietà sensoriali del formaggio sia perché determina una maggior produzione di acido lattico, per quanto limitata, sia perché, attraverso la maggior velocità di acidificazione, può interagire anche con i meccanismi di spurgo del siero e quindi con la mineralizzazione della cagliata e in ultima analisi con la struttura della pasta del formaggio. Quando non si utilizza lo starter, l unico mezzo a disposizione per selezionare la componente lattica, filocasearia o pro-tecnologica tra la eterogenea flora autoctona del latte crudo, è quindi una gestione attenta della temperatura in modo tale da consentire una acidificazione sufficientemente rapida, o non troppo lenta, come accade quando la temperatura della cagliata in stampo, in fase di spurgo, scende eccessivamente (vedi sezione 3). La linea guida, banale ma non scontata, è quella che il produttore cerchi di collegare le caratteristiche del suo prodotto ottimale o di prima scelta, al ciclo termico di produzione, non lasciando al caso ed alla sola stagione la gestione della temperatura. Per fare questo è importante che il produttore conosca precisamente, grazie alla sua registrazione, l evoluzione della temperatura nelle fasi caratterizzanti, e quindi misuri la temperatura del latte al momento dell addizione del caglio, quella della cagliata immediatamente prima della rottura ed al momento dell estrazione. Il produttore si costruirà in questo modo un data base di semplici informazioni che potrà poi collegare alla qualità del formaggio, verificando o meno correlazioni tra eventuali difettosità e ciclo 17

20 produttivo. Questa raccolta di informazioni diventerà lo strumento per decidere anche quando latte e cagliata devono stare a temperatura favorevole alla fermentazione lattica (e qual è questa temperatura in funzione del tipo di processo caseario) e quando, nella successiva fase di stufatura, può diventare opportuno abbassare la temperatura per rallentare fino a bloccare la fermentazione lattica. 2.3 Coagulazione del latte La scelta della temperatura di coagulazione del latte non influenza solo le caratteristiche del coagulo, ma anche la successiva fermentazione lattica. Una temperatura di coagulazione più elevata di un paio di gradi centigradi rispetto agli usi, accompagnata in caso da una lieve riduzione della quantità di caglio, può creare le basi per garantire una permanenza successiva della cagliata a temperatura favorevole alla crescita dei batteri lattici. Di concerto, una temperatura più alta favorisce la sineresi del siero dalla cagliata grazie alla maggior capacità di aggregazione delle micelle di caseina, la proteina del formaggio. Effetto analogo ha la pratica di riscaldare la cagliata rotta di qualche grado centigrado, normalmente non oltre 42 C. La limitata dose di caglio generalmente impiegata nel caseificio tradizionale, molto più bassa di quelle usate nel caseificio industriale, risponde essenzialmente a due scopi: il risparmio economico, tanto più che l auto-produzione aziendale di caglio è pratica ormai pressoché scomparsa nel settore del latte bovino; ottenere tempi lunghi di coagulazione, che permettono alla cagliata di lavorare, nel senso che il latte e la cagliata fin tanto che sono nella vasca di coagulazione presentano una massa ben superiore a quella della sola cagliata in stampo e quindi preservano meglio il calore. In tal senso va la pratica di girare periodicamente la cagliata in modo tale da portare sul fondo quella inizialmente a contatto con la superficie e l aria e quindi più rapida a raffreddarsi. Altro parametro troppo spesso ancora ignorato nel caseificio tradizionale è la misura dell acidità del latte in vasca di coagulazione: l acidità condiziona, come la temperatura, l attività del caglio. Raggiunta la giusta consistenza del coagulo dopo un opportuno tempo di sosta, arriva il momento della rottura o taglio, che è uno dei momenti fondamentali per la buona riuscita del formaggio in quanto dalla gestione di tale fase dipenderà il contenuto d acqua del formaggio e con essa la ritenzione del lattosio e dei minerali. Le modalità di rottura sono molteplici e specifiche per formaggio, ma il criterio di base da seguire sarebbe quello di fare in modo che i granuli di cagliata abbiano la maggiore omogeneità possibile di dimensioni, indipendentemente dalla grandezza del granulo, che è invece specifica per tipologia di formaggio. Questo perché in tal modo il contenuto di umidità del singolo granulo sarà mediamente confrontabile con gli altri e quindi si ridurrà il rischio di ristagni localizzati di siero e quindi di acidificazione differenziata e di fermentazioni anomale localizzate. 18

21 Per raggiungere questo obiettivo sarebbe importante poter eseguire una singola rottura e non, come spesso avviene, il susseguirsi di ripetute operazioni di taglio, magari con attrezzi diversi (spannarola, lira o spino), operazioni che spesso sono la risultante della ricerca di una conciliazione tra esigenze di rottura e gestione della temperatura. La linea guida in questa fase è quindi quella di controllare accuratamente la temperatura del latte prima, e della cagliata poi, per verificare che coincida con i propri obiettivi e che non si abbia una dispersione eccessiva di calore: nel caso, si dovrebbe provvedere a modificare quelle condizioni e/o pratiche casearie che determinano il fenomeno. L igiene di attrezzi, materiali a contatto e persone è fondamentale, perché la temperatura di coagulazione, in assenza di starter e comunque di una ridotta carica di batteri lattici, non è inibitoria per altri microrganismi, anzi spesso ottimale. Igiene degli attrezzi significa non solo detergenza accurata, ma, come detto, evitare di appoggiarli prima o durante l uso su superfici non idonee. 3. Linee guida per la stufatura ed acidificazione della cagliata 3.1 Travaso della cagliata dalla vasca in stampo e formatura Il travaso della cagliata ed il riempimento degli stampi è realizzato secondo pratiche e tecniche differenti che prevedono l uso di tele, secchi, mescoli forati o altri attrezzi. Il riempimento può essere quindi integrato/completato dall intervento manuale dell operatore, come nel caso della frammentazione manuale della cagliata del Pannerone in fagotto o dei rabbocchi manuali di cagliata, per pareggiare la massa negli stampi o raccogliere eventuali grumi caseosi fuorusciti dagli stampi. Il travaso della cagliata negli stampi è il momento che confina, in un certo qual senso, la possibilità di contaminazione alla sola superficie esterna, non essendo dopo possibile ulteriore contaminazione della pasta se non in seguito ad operazioni particolari, quali ad esempio la foratura per le paste erborinate o l unione di due cagliate, come talvolta nel caso dello Strachitunt. La qualità microbiologica della pasta del formaggio dipenderà quindi da quanto fatto fino a questo momento, mentre la qualità microbiologica della superficie dipenderà dalla qualità delle superfici (in primis gli stampi), dei fluidi (salamoia, aria) e dell igiene complessiva degli operatori con cui il formaggio entrerà in contatto. La scelta del tipo di formato (e quindi del rapporto tra scalzo e faccia, ovvero del rapporto tra superficie e volume) è inoltre determinante non solo per la presentazione finale del formaggio, ma perché la forma influenza in modo determinante, in una prima fase, la velocità di raffreddamento della cagliata e la superficie disponibile per lo spurgo del siero e quindi perché contribuisce a definire la distribuzione dell anaerobiosi nella massa ed a determinare i rapporti tra crosta e pasta, soprattutto nei formaggi con crosta fiorita o comunque viva. La raccomandazione a questo proposito riguarda l importanza di produrre formaggi della medesima pezzatura, avendo scelto la pezzatura sulla base di ragioni commerciali coerenti tuttavia con l impronta 19

22 tecnologica del formaggio. La scelta di produrre formaggi monoporzione o comunque di ridotta pezzatura, tipica del caseificio caprino e del settore dei formaggi con coagulazione ad indirizzo prevalentemente lattico, di fatto rende impossibile la separazione della crosta ed il formaggio diventa quindi 100% edibile. Dalla scelta della pezzatura (anche se non solo da questo) può discendere quindi anche la scelta sull edibilità della crosta e, sulla base di questa opzione, dovranno essere messi in campo gli opportuni accorgimenti in termini di prevenzione, pratiche produttive e/o uso di additivi. 3.2 Controllo della temperatura della cagliata e velocità di acidificazione Per ridurre la variabilità della fermentazione lattica, compatibilmente con il fatto che si sta trattando di formaggi a latte crudo senza innesto a pasta non cotta e non filata, il principale se non l unico strumento a disposizione del produttore nel momento in cui la cagliata è nello stampo è ancora quello di gestire al meglio l evoluzione della temperatura. Per ottenere questo l evoluzione della temperatura della cagliata durante la fase di stufatura deve seguire il più possibile il ciclo termico ideale e soprattutto occorre che tutte le forme seguano il medesimo ciclo termico con la minor variabilità possibile. La problematica è quindi di duplice natura: 1. individuare e realizzare il ciclo termico più opportuno; 2. ridurre la variabilità tra le forme predisponendo opportuni sistemi di stufatura. Tempo necessar io per acidificar e la cagliata incubata alla temperatura 25 C 30 C 38 C no starter starter no starter starter no starter starter da ph 6,6 a 6, da ph 6,0 a 5, da ph 5,6 a 5, tempo totale da ph 6,6 a 5, Come evidenziato dai dati in Tabella, ove sono state comparate le velocità di acidificazione di cagliate mantenute a 3 differenti temperature ed ottenute senza impiego di starter o mediante impiego di uno stesso starter di streptococchi termofili, si può osservare che la cagliata senza starter presenta una velocità di acidificazione decisamente superiore al crescere della temperatura, in quanto permette alla flora lattica termofila autoctona di sfruttare al meglio la vicinanza alle condizioni ottimali di crescita. L impiego di starter termofilo, associato ad un precoce raffreddamento della cagliata (es. 25 C, lontano quindi dall optimum), porta a risultati analoghi a quelli ottenibili con una cagliata senza starter mantenuta al caldo. Se tuttavia la permanenza della cagliata a temperature superiori accelera la fermentazione da parte dei batteri lattici termofili, allo stesso tempo può condizionare anche la crescita di E. coli e stafilococchi coagulasi positivi. La figura 2 illustra i differenti trend di crescita osservati per una popolazione di E. coli e di S. aureus in funzione della temperatura della cagliata e dell uso o meno di starter. 20

23 Crescita S. aureus in cagliata a 25 C Crescita E. coli in cagliata a 25 C incremento (log ufc/g) incremento (log ufc/g) tempo (ore) tempo (ore) Senza Innesto Con Innesto Senza Innesto Con Innesto Crescita S. aureus in cagliata a 32 C Crescita E. coli in cagliata a 32 C incremento (log ufc/g) incremento (log ufc/g) tempo (ore) tempo (ore) Senza Innesto Con Innesto Senza Innesto Con Innesto Crescita S. aureus in cagliata a 38 C Crescita E. coli in cagliata a 38 C incremento (log ufc/g) incremento (log ufc/g) tempo (ore) tempo (ore) Senza Innesto Con Innesto Senza Innesto Con Innesto Figura 2) Incremento della crescita (log ufc/g) di E. coli e S. aureus in cagliate modello incubate a temperatura costante di 38 C, 32 C e 25 C. Nell intervallo di tempo considerato (24 h) E. coli ha avuto un incremento di conta superiore a 3 log 9 con velocità diverse in funzione della temperatura. Le prove con starter indicano che la crescita di E. coli non è stata inibita, ma comunque contenuta soprattutto nelle prove a 32 C e 38 C, nonostante le diverse curve di acidificazione (Figura 3). Diverso è stato invece l andamento delle prove con S. aureus in cui l uso di un innesto di batteri lattici ne ha bloccato la crescita nelle prove a 38 C e 32 C. 9 Esempio: se la carica iniziale è pari a 10 4 (10.000) ufc/g, un incremento di 3 log significa che la carica sarà pari a 10 7 ( ) ufc/g. 21

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