Redazione Gruppocaccia Comitato direttivo

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1 Stampato da Graficamente via Oberdan, 56/A - Grosseto Copia gratuita per i soci Gruppocaccia Redazione Gruppocaccia Comitato direttivo Piccolotti Luciano Palma Massimo Mazzoli Enzo Giulietti Lido Mazzoni Primo Casini Benito Ghammam Jamel Governi Serafino Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Luigina Fazzuoli, Marco Antonio Moscatelli, Fabio Orsini, Giancarlo Baffarelli, Vincenzo Antidormi e Alessandro Ciccotti. Dott.ri Gian Luigi Vannucci, Valter Trocchi, Francesco Riga, Marina Macchia, Elisabetta Traverso e Giacolini Clarissa. Gruppocaccia Organizzazione di volontariato venatorio e ambientalista via del mare, 4 - Torba Capalbio (GR) Tel. 338/ Tel. 339/ E.mail:Gruppocaccia@katamail.com INFORMAZIONE PER I CACCIATORI E PER CHI AMA LA NATURA è una pubblicazione informativa delle attività del Gruppocaccia a disposizione di tutti gli aderenti all Organizzazione che desiderino pubblicare articoli o notizie. Tutta la documentazione, scritta e fotografica, inviata a questa redazione non sarà restituita ai proprietari salvo che questi non ne facciano espressa richiesta. Gli articoli devono essere inviati presso la sede dell Organizzazione (possibilmente dattiloscritti e accompagnati da immagini) e devono essere firmati dagli autori. Il Comitato direttivo si riserva di non pubblicare gli articoli ritenuti non in linea con quelle che sono le finalità indicate nello statuto e nei regolamenti Sommario Editoriale pag. 1/2 La Laguna di Orbetello pag. 3/4/5 La moglie del cacciatore pag. 6 Fagiani in Maremma pag. 7 Prime cure ai cani feriti dai cinghiali pag. 8-9 La Lepre italica pag Cinghiale: densità agricolo-forestale pag. 13 La tortora dal collare pag. 14 Cacciatori e territorio pag. 15 Cinghiale: il fattore sicurezza pag. 16 A pesca con il divergente pag. 17 Capalbio: strade vicinali 1966 pag La filariosi cardiopolmonare del cane pag. 20 Notizie di casa nostra pag. 21 La girata Ultima cop. dell Organizzazione di volontariato Gruppocaccia. Data di stampa 10 ottobre 2002

2 NUMERO 3 - OTTOBRE 2002 Gruppocaccia ORGANIZZAZIONE DI VOLONTARIATO VENATORIO E AMBIENTALISTA INFORMAZIONE PER I CACCIATORI E PER CHI AMA LA NATURA

3 editoriale Gruppocaccia LA VOCE DEI CACCIATORI Anche se ormai sono trascorsi alcuni mesi da quando, in una serata di inizio estate, una quindicina di persone si riunirono per dare vita al Gruppocaccia (che adesso conta quasi 200 iscritti), per qualcuno non è ancora ben chiaro quali siano le finalità e gli scopi che la nostra Organizzazione di volontariato si prefigge di affrontare e tentare di raggiungere. Cercarndo di usare un termine chiaro e facilmente comprensibile, potremmo dire che Gruppocaccia è la voce dei cacciatori. Il giornalino bimestrale che con grande sacrificio riusciamo a stampare e recapitare a tutti gli associati, è il frutto del nostro lavoro e il punto di incontro tra tutti coloro che hanno aderito a questa iniziativa e che hanno condiviso l idea del Gruppocaccia. Chiunque lo abbia letto, avrà sicuramente notato che in tutti gli articoli pubblicati non vi è il ben che minimo attacco contro niente e nessuno. È indubbio che in qualche nostro articolo possa trasparire una certa insofferenza nei riguardi di come viene attualmente gestita la caccia, ma, al tempo stesso, chiunque abbia letto attentamente gli articoli medesimi, avrà sicuramente notato che ogni intervento critico non è mai fine a se stesso, ma è sempre seguito da una proposta alternativa che forse da qualcuno potrà anche essere considerata inaccettabile, ma che sicuramente è cosa ben diversa dal fare demagogia. Questa alternativa è appunto la voce dei cacciatori, che non vogliono assolutamente sostituirsi agli Organi ufficiali ma che chiedono semplicemente di essere quantomeno ascoltati. Del resto, essendo il nostro un paese democratico, il popolo è sovrano e pertanto ha pieno diritto di 1 esporre la propria opinione. Gruppocaccia ha anche dei progetti, semplici ma ben chiari, il primo di questi è dare e chiedere informazioni sulle normative e le notizie relative all esercizio e la gestione della caccia, il secondo è quello di rilevare, grazie all aiuto di tutti i nostri associati, tutti quei piccoli e grandi problemi che interessano il nostro territorio e che molto spesso vengono trascurati, esaminarli, dettagliarli e proporli a chi può aiutarci a risolverli. Contiamo molto sull aiuto di tutte le Associazioni venatorie, e a tal proposito vorremmo far presente che la maggior parte dei nostri associati sono anche loro associati. Proprio per questo motivo Gruppocaccia si rivolge a tutte le Associazioni e non solamente a qualcuna. Le rispetta tutte e non intende colpirne alcuna o favorirne qualcun altra. La nostra Organizzazione mira ad un dialogo sincero e costruttivo, tutto ciò che facciamo e proponiamo non è rivolto solo a noi stessi, tutte le lettere che abbiamo scritto e che sono state inoltrate ai vari Organi ufficiali e a tutte le Associazioni venatorie stanno ad indicarlo. Purtroppo non sono molte le risposte che abbiamo ricevuto. Gruppocaccia, sulla base di quanto disposto dall art. 6 del proprio statuto, persegue il fine della solidarietà, in ambito civile, culturale, sociale, venatorio e ambientale. Tutte queste appena elencate non sono prerogative esclusive della nostra Organizzazione ma comuni con tutte le Associazioni venatorie. Ed è proprio in funzione di queste comuni vedute che ci auspichiamo di riuscire ad istaurare quella collaborazione che potrebbe sicuramente apportare dei grandi benefici al futuro della caccia e della gestione del nostro territorio. Non abbiamo mai chiesto (ne lo faremo in futuro) a coloro che hanno aderito alla nostra iniziativa, di iscriversi ad una specifica Associazione venatoria ne tanto meno di prendere le distanze qualcun altra. Chiediamo a tutti una sola cosa ma importantissima, di riflettere, di cercare cioè di capire quali siano i nostri problemi reali, in modo che possano essere affrontati nella maniera più opportuna e risolti non nell interesse di qualcuno ma di tutti. La nostra Organizzazione si interessa anche delle problematiche riguardanti la pesca e l ambiente in generale. Gruppocaccia non è forse il nome migliore per una Organizzazione che si occupa appunto anche di

4 pesca e ambiente. Sicuramente in fase di costituzione questo fatto non è stato preso attentamente in considerazione. Sono molte infatti le segnalazioni di coloro che hanno aderito all iniziativa che chiedono appunto che venga modificato tale nome, in modo da renderlo più adatto alle idee che intendiamo sviluppare e alle varie categorie di persone che hanno aderito o intendono aderire all Organizzazione. Questo Comitato ha perfettamente recepito le richieste di questi Associati e si è ripromesso di affrontare questo piccolo problema nella prima assemblea di tutti gli aderenti. Gruppocaccia ha nei suoi progetti anche quello di effettuare un semplice ma preciso monitoraggio delle nostre realtà locali. Esistono infatti molti fenomeni che i cacciatori, grazie alla loro costante e attenta presenza sul territorio riescono a rilevare per primi. Questi fenomeni indipendentemente dal fatto che siano positivi o negativi, sono comunque importanti. Quante volte andando a caccia avrete notato la presenza di specie particolari anche non cacciabili che magari erano anni che non vedevate, e quante altre volte vi sarete accorti che alcune specie particolari di selvaggina sono scomparse dalle zone nelle quali erano sempre state presenti? Quante volte vagando per i boschi avrete rilevato la presenza di discariche abusive o comunque di materiale inquinante abbandonato in luoghi non proprio idonei? Questa è appunto l importanza della nostra Organizzazione, quella cioè di amare e rispettare la nostra terra, contribuendo, nel modo più semplice ed opportuno a segnalare, e per quanto possibile a risolvere, tutte quelle situazioni di degrado che spesso solo chi vive determinate realtà è in grado di riconoscere. Numericamente, la categoria dei cacciatori è in netto calo, tanto da poterci definire specie in via di estinzione, eppure, nonostante questo, non riusciamo a trovare neanche quel minimo di unità che potrebbe rappresentare l unica speranza per la nostra sopravvivenza. Ed è proprio al raggiungimento di questa unità che mira Gruppocaccia. 2

5 Area a particolare gestione Lagune di Orbetello Di Luciano Piccolotti La Laguna di Orbetello è nella nostra Regione una delle ultime zone umide naturali nelle quali è ancora possibile esercitare la caccia, questa credo possa essere considerata la causa principale per cui il numero dei cacciatori che richiedono l iscrizione all area si rivela in sensibile aumento di anno in anno. Essendo infatti numerosissimi gli appassionati di caccia alla migratoria acquatica e venendo a mancare gli spazzi idonei dove questo tipo di caccia può essere praticato, è conseguenza logica che vi sia un sovraffollamento in quelle pochissime zone dove invece l attività venatoria è ancora consentita. Per quanto riguarda l affluenza giornaliera dei cacciatori all interno dell area, ritengo che il Comitato di gestione dell A.T.C. GR 8 abbia fatto del suo meglio per garantire il necessario equilibrio tra cacciatori e territorio, non vedo infatti alternativa migliore all attuale regolamentazione che consente a tutti i cacciatori iscritti di fruire di un determinato ed equamente ripartito numero di botti e di giornate di spadulamento. Relativamente ad altri aspetti della gestione dell area, credo che con un po di impegno e buona volontà da parte del Comitato, ma anche ed in particolar modo di tutti i cacciatori, molto potrebbe essere semplificato o comunque migliorato. Domanda di iscrizione. La procedura che deve essere adottata per richiedere l iscrizione all area, è considerata da molti cacciatori (in particolare da quelli un po più anziani) eccessivamente onerosa per quanto riguarda le numerose formalità alle quali il richiedente deve attenersi. Occorre infatti per iscriversi, come prima cosa reperire un apposito modulo, compilarlo stando attenti a non commettere errori (pena l esclusione) e fare in modo che questo pervenga al Comitato tassativamente entro il 30 maggio (pena l esclusione). Riceveremo in seguito una comunicazione dell A.T.C. (inviata a mezzo posta ordinaria) dove ci verrà chiesto di dare a mezzo fax entro e non oltre il 20 agosto la disponibilità per una giornata lavorativa (pena l esclusione), oppure dovremmo trasmettere la ricevuta del versamento richiesto, sempre entro la medesima data (pena l esclusione). Tutte queste formalità potrebbero essere notevolmente semplificate. 3 Basterebbe infatti che il Comitato di gestione deliberasse, anticipatamente all apertura delle iscrizioni, l importo da pagare dai cacciatori e le date delle giornate in cui dovranno essere effettuate le prestazioni lavorative. Questo darebbe modo al cacciatore di scegliere già al momento della compilazione della domanda l opzione preferita. Nel caso in cui questi decida per il pagamento della cifra richiesta la fotocopia della ricevuta del versamento potrebbe essere allegata alla domanda stessa. Tutto questo, oltre che a rendere più facile la vita al cacciatore, consentirebbe anche al Comitato di avere già al 30 maggio la reale disponibilità sia economica che di manodopera necessaria per eseguire i lavori di manutenzione dell area. Inoltre, per quanto concerne il termine per la presentazione della richiesta di iscrizione, credo che sarebbe molto più opportuno fare riferimento alla data riportata dal timbro postale, come ormai avviene di routine per la presentazione di qualsiasi tipo di domanda. Infine, se qualche cacciatore dovesse dimenticare di fornire qualche dettaglio, ritengo che potrebbe tranquillamente essere contattato ed invitato a comunicare i dati mancanti, piuttosto che essere inappellabilmente escluso. Tassa di partecipazione. Anche per quanto riguarda la cifra da pagare per l ammissione all area, molti cacciatori chiedono una maggiore trasparenza da parte del Comitato di gestione. Stando alle vigenti normative, la caccia all interno delle aree a particolare gestione è consentita a tutti i cacciatori iscritti all A.T.C. e la cifra massima che i Comitati di gestione possono (o quantomeno potevano) chiedere per l iscrizione all A.T.C. medesimo è di lire (che adesso deve essere convertita in euro). Il sottoscritto, lo scorso hanno inoltrò una interrogazione al

6 Comitato dell A.T.C. GR 8 nella quale venivano richieste delle spiegazioni riguardanti appunto i presupposti in base ai quali, ai cacciatori iscritti in Laguna, veniva chiesto il versamento di ulteriori lire che andava ad aggiungersi alle versate per l iscrizione all A.T.C., che come già detto, sulla base delle allora vigenti normative, rappresentavano la massima cifra che può essere richiesta ai cacciatori. Nella stessa interrogazione veniva inoltre domandato se eventuali avanzi di denaro (qualora vi fossero) rimanessero a disposizione per lavori futuri nella A.P.G. Lagune di Orbetello o se invece tali somme venissero utilizzate per scopi diversi. Il Comitato dell A.T.C. GR 8 in data 26/09/2001 (Prot. 3473) rispose alla mia interrogazione sostenendo che, la Regione Toscana, su richiesta della Federcaccia, in data 30/07/99 si era espressa precisando che... Niente osti a che il Comitato di gestione dell A.T.C. fissi ina quota di partecipazione da parte dei cacciatori per la fruizione di aree a caccia specifica, ove tale contribuzione si configuri come partecipazione alle spese di realizzazione, manutenzione e gestione dell area stessa.... Dalle indicazioni della Regione si deve desumere che, la cifra che l A.T.C. può richiedere ai cacciatori per svolgere l attività venatoria all interno delle A.P.G., deve essere pari all importo complessivo sostenuto per le opere di manutenzione e gestione delle aree stesse diviso per il numero dei cacciatori iscritti. Alla domanda su come venissero utilizzate eventuali somme residue, l A.T.C. non ha fornito alcuna risposta. Cambio delle botti. Molti cacciatori iscritti, gradirebbero un ritorno della possibilità di poter cambiare la propria botte con quella di altri cacciatori, in tutti quei casi in cui per motivi di vario genere, siano impossibilitati ad usufruire della botte assegnata nel giorno stabilito e vi sia un amico cacciatore disponibile ad effettuare lo scambio. Credo che la cosa potrebbe essere possibile, anche se occorre sottolineare che per la procedura di scambio bisognerebbe trovare dei sistemi che non creino oneri supplementari per il Comitato. Ad esempio, per il disbrigo delle formalità potrebbero essere nominati, dagli iscritti o dal Comitato, dei delegati che si assumano l impegno di adempiere a tale compito. Regolamento di gestione. Per esercitare la caccia in Laguna, oltre alle regole che devono essere comunemente osservate nell esercizio della caccia, ve ne sono altre istituite dal Comitato di gestione (divieto di caccia ed accesso all area dalle ore 11 alle ore 14, divieto di utilizzare cartucce caricate con piombo di pezzatura superiore al n. 4, erigere capanni, cacciare nei giorni non autorizzati,ecc.). Personalmente credo che l introduzione di tali regole rappresenti una corretta presa di posizione da parte di chi gestisce e pratica la caccia, anche se ritengo altrettanto opportuno che, dal momento in cui delle regole vengono istituite, si dovrebbe cercare anche di fare in modo che siano rispettate da tutti. Le eventuali inosservanze al regolamento vengono punite con il ritiro del tesserino per periodi variabili a seconda della gravità dell infrazione. Tempo di squalifica e gravità dell infrazione vengono stabiliti insindacabilmente dal Comitato di gestione. Sarebbe invece molto più democratico se, le eventuali sanzioni disciplinari, fossero stabilite in forma scritta in base al tipo di infrazione commessa e riportate sul regolamento di gestione dell area in modo che tutti i cacciatori ne siano messi a conoscenza. Oltre che dimostrazione di trasparenza da parte del Comitato, un operazione di questo tipo eliminerebbe qualsiasi motivo di sospetto, da parte di molti iscritti, su possibili diversità di trattamento in casi di inosservanza dei regolamenti di gestione. Partecipazione dei cacciatori alla gestione dell area. Ascoltare i consigli dei cacciatori, per ciò che riguarda la gestione del territorio, secondo il parere del sottoscritto, sarebbe cosa utile e costruttiva. Sono il primo ad ammettere che molto spesso i cacciatori basano le proprie lamentele o proteste su elementi oggettivamente infondati. È anche altrettanto vero che chi dovrebbe informare il cacciatore non svolge molto bene il proprio compito. Istituire un gruppo di cacciatori che siano chiamati a partecipare alla gestione dell area, potrebbe benissimo contribuire a migliorare il rapporto tra Comitato e cacciatori iscritti. Naturalmente, per far si che la cosa possa funzionare, i rappresentati dei cacciatori dovrebbero essere nominati dall assemblea degli iscritti, in rappresentanza delle varie Associazioni venatorie. Gestione ambientale. I cacciatori che frequentano la Laguna, si saranno certamente accorti che purtroppo, dal punto di vista ambientale, la situazione dell area è in netto peggioramento. Le cause non sono certo attribuibili ai cacciatori ne tanto meno al Comitato di gestione, ritengo comunque che con un po di impegno da parte di entrambi, e magari anche con la collaborazione delle Associazioni ambientaliste, qualcosa di significativo potrebbe essere fatto per cercare di migliorare l attuale situazione di degrado. Per quanto riguarda la zona di Ansedonia la situazione 4

7 purtroppo è ormai quasi irrimediabilmente compromessa, per la zona del 51 invece si potrebbe ancora fare molto. È da qualche tempo che si sente parlare del famoso pozzo che immetteva acqua dolce nello Stagnino e che ormai non funziona più. Non conosco con esattezza quali siano le cause, credo comunque, nel caso vi sia la possibilità di riattivarlo, che questa dovrebbe essere proposta come opera di urgente necessità. Una parte non indifferente dei soldi che noi cacciatori versiamo alla Regione per le concessioni venatorie vengono stanziati per miglioramenti ambientali, cerchiamo di fare in modo che una parte venga utilizzata anche per risanare la Laguna. Cosa si dovrebbe fare. Se è ancora possibile cacciare in Laguna, buona parte del merito deve obiettivamente essere riconosciuto all attuale Comitato di gestione. Molti cacciatori, compreso il sottoscritto, ritengono comunque che con un maggior dialogo e una reale collaborazione tra cacciatori e Comitato stesso, si potrebbe fare sicuramente molto di più di quanto attualmente viene fatto. Sono decisamente molti gli interventi, sia ambientali che faunistici, che con un minimo sacrificio da parte di tutti gli iscritti potrebbero essere attuati senza neanche bisogno di ricorrere a finanziamenti o spese straordinarie. Tra i principali problemi che devono essere risolti figura al primo posto quello della partecipazione attiva dei cacciatori alla gestione della Laguna e comunque della caccia in generale.. Su questo specifico punto, tutti i cacciatori dovrebbero assumersi maggiori responsabilità e partecipare più attivamente a tutte quelle iniziative finalizzate alla gestione della caccia e del territorio. Una cosa molto importante che dobbiamo imparare è che, qualsiasi cosa inerente la caccia, deve essere fatta da chi la caccia la conosce. Fintanto che chiederemo ai politici, di qualsiasi schieramento essi siano, di fare e decidere per noi, la situazione non credo che possa cambiare di molto se non in peggio, e questo non perché i politici siano cattivi, ma solo perché molto spesso di caccia non ne sanno più di tanto e le loro decisioni, nella maggior parte dei casi, vengono prese su larga scala ignorando completamente le realtà locali. La Laguna di Orbetello rappresenta, oltre che un patrimonio di inestimabile valore naturalistico, anche e soprattutto una parte di storia, di cultura e di tradizione della nostra terra. Non facciamola morire. Foto A. Ciccotti 5

8 Lamogliedelcacciatore Testo di Luigina Fazzuoli Avevo vent anni quando diventai la moglie di un cacciatore e qualcuno in meno quando presi la decisione di esserlo. Non voglio dire che mi innamorai di mio marito solo perché andava a caccia, però entrare nel suo mondo, per me così sconosciuto e appassionante, ebbe un ruolo decisamente molto importante. Scoprii infatti che essere cacciatore significava vivere in una dimensione diversa; significava conoscere profumi, colori e suoni per me fino all ora sconosciuti, ascoltare silenzi che avevano voce, distinguere colori che sembravano uguali, osservare le stagioni al di là delle loro naturali scadenze. Quello dei cacciatori era un mondo a parte, fatto di semplicità, di innocenza e di entusiasmi, che lo rendevano molto simile a quello dei bambini. Ascoltare un cacciatore quando raccontava le sue avventure era quasi come vedere un film in polifonia, si potevano benissimo sentire i versi degli animali, gli scampanellii dei cani, il vento, la pioggia e persino l odore del bosco. Ho trascorso ormai oltre trent anni accanto a questo marito cacciatore, ammirando sia la sua tenacia sia quella sorta di solidarietà e complicità che lo lega agli altri cacciatori ed ai suoi fedeli compagni cani, verso i quali ha sempre dimostrato un grandissimo amore, tanto che ormai anch io ho imparato a considerarli parte integrante della nostra famiglia. Rispetto questa sua grande passione, frutto di una cultura antica tramandatagli dai vecchi della famiglia, per i quali la caccia più che un passatempo era una necessità quasi vitale. Oggi, nel 2002, non mi sento più di condividerla, ma questo non toglie che non continui ad appoggiare ed ammirare quei cacciatori che, con lo stesso spirito di una volta, sono sempre pronti a camminare per un intera giornata in simbiosi con i loro cani e con la natura che rispettano e amano, che ritornano a casa soddisfatti anche se il loro carniere è misero, comunque felici di aver goduto di gioie semplici e pulite, proprio come i bambini. Certamente ci sono anche dei lati per niente poetici e tutt altro che piacevoli per la moglie di un cacciatore come ad esempio aspettare oltre l orario del normale rientro, magari preoccupandosi per cosa potrebbe essere accaduto, per poi vedere arrivare qualcuno felice e contento, pieno di fango e bagnato zuppo che con aria ingenua ti dice: scusa non mi ero accorto che fosse così tardi o cose del genere, e scoprire poi il giorno dopo che, quattro chiacchiere con gli amici sulla giornata di caccia, gli avevano fatto dimenticare di avere una casa dove qualcuno lo stava aspettando. Se il mondo del cacciatore è qualcosa di particolare, altrettanto lo è quindi quello di sua moglie. Un mondo fatto di pazienza, comprensione, spirito di adattamento, sveglie che suonano quando ancora è notte fonda, lunghe attese serali, panni sporchi, cani stanchi da curare, selvaggina da cucinare, lunghe storie da ascoltare ed invasione della casa a tutte le ore da parte di amici cacciatori. Certamente non è tutto piacevole, ma la caccia è così, non si discute! O si accetta, comprendendone tutte le emozioni, o si rifiuta, facendo però della propria vita coniugale una lotta continua senza possibilità di vittoria. Riflettete giovani mogli...riflettete! 6

9 Fagiani in Maremma Testo e foto di Marco Moscatelli Il fagiano è il selvatico più odiato ed amato da tutti i cacciatori, naturalmente stiamo parlando di fagiani veri e non di quelli pronta caccia. Il fagiano selvatico è in grado di mettere a dura prova sia i cani che il cacciatore, si tratta di un animale con una spiccata intelligenza, dote questa che gli consente di sottrarsi ai più svariati pericoli. La vera caccia al fagiano coincide con l arrivo delle beccacce, poiché in autunno con la caduta del fogliame, possiamo iniziare a cacciare nel bosco dove non di rado, durante le battute di caccia alla ricerca della regina, capita di incontrare degli stupendi esemplari di fagiano che si sono rifugiati nella vegetazione più folta per scampare ai cacciatori. È in questo periodo che si vede la capacità del cane di guidare per centinaia di metri fino a raggiungere questo instancabile pedinatore. Durante le prime settimane di caccia i fagiani cadono facile prede sotto i colpi dei cacciatori, i superstiti sviluppano però un forte istinto di sopravvivenza che li rende estremamente diffidenti e sempre in allerta tanto che riuscire ad incarnierarli diventa impresa assai ardua, perché il vero fagiano, quello per intenderci nato e cresciuto in natura, non ha nulla da invidiare ai suoi parenti definiti più nobili come la starna e la pernice. Purtroppo il fagiano viene spesso disprezzato da molti appassionati cinofili poiché considerato inadatto per i cani da ferma; in parte bisogna dargli ragione dato che molto spesso riusciamo a sparargli più per caso durante i lunghi spostamenti che percorre di pedina che non davanti al cane puntato. La caccia al fagiano in Maremma è particolarmente sportiva vista l impervietà dei luoghi in cui tale caccia viene praticata, proprio per questo motivo incarnierare un esemplare a stagione inoltrata come ad esempio nei mesi di dicembre o gennaio, procura a cani e cacciatore, una grandissima soddisfazione resa ancora più gratificante dalla bellezza della livrea che i maschi indossano nel periodo invernale. Per cercare di rendere maggiormente chiara l idea di cosa voglia intendere per fagiani selvatici, vi racconto di seguito un paio di episodi di caccia vissuta: l inverno scorso, dopo aver trascorso buona parte della mattinata alla ricerca di beccacce ed averne a fatica incarnierata una, decido di tentare a fagiani visto anche che i miei due cani cominciavano a dare cenni di stanchezza e di lì a poco si sarebbe conclusa la stagione venatoria. Mi avvicino ad un campo coltivato che costeggia una zona di macchia fitta circondata da rovi e marruche dove speravo di trovare qualche colchide in pastura, infatti mentre ero ancora in fase di avvicinamento, vedo tutti e due i cani accennare la presenza del gallinaceo, ma prima ancora che riescano a fermarlo questi si invola al limite del tiro; lo centro di prima botta, vedo una grande spennata ma non cade, sparo allora un secondo colpo e lo vedo cadere. Mi rendo immediatamente conto di averlo solo ferito, forse a causa del piombo troppo fino utilizzato inadatto a bucare il fitto piumaggio invernale. So che riuscire a recuperarlo non sarà impresa da poco; corro immediatamente sul luogo dove lo avevo visto cadere, ma vi trovo solamente qualche penna che il gallo ha lasciato prima di darsi fuggitivo. Chiamo i cani e li incito al recupero ma il campo di asparagi dove il fagiano si è rifugiato è fittissimo anche a gennaio; dopo oltre mezzora di inutili tentativi ritorno sui miei passi e mentre comincio a pensare che ormai sia giunto il momento di gettare la spugna, mi accorgo che il vecchio Artù non è ancora rientrato. 7 Salgo allora nella parte più alta del campo e riesco a scorgerlo in lontananza con il vecchio fagiano tra le mascelle che mi riporta ancora vivo con un ala rotta e, udite udite, anche con una zampa impallinata; anche così ferito era riuscito a percorrere circa 150 metri dal luogo in cui lo avevo visto cadere. A fine gennaio tento nuovamente la sorte a fagiani, visto che la stagione non era stata delle migliori per le beccacce. Il luogo di caccia è costituito da bosco, rovi e marruche, con sparsi qua e là piccoli campi lavorati. Proprio ai bordi di uno di questi campi trovo i cani in ferma. Al mio arrivo iniziano a guidare lentamente fino ad entrare nei rovi, spero solo che il fagiano voli al più presto altrimenti rischio di perderlo, invece i cani insistono e perseguono sempre più all interno della rogaia che provo a costeggiare cercando di servire al meglio i miei due ausiliari. A un certo punto vedo Max, il cane più giovane, rompere gli indugi ed iniziare ad allungare il passo, sicuramente il fagiano sta viaggiando a tutta birra e da un momento all altro si involerà fuori dalla portata del fucile. Tento di tagliargli la strada andandomi a piazzare una settantina di metri davanti al cane che sta lavorando. La lunga fila di rovi ad un certo punto fa una rientranza dove il fuggitivo sicuramente dovrà passare. Infatti, poco dopo, sento dei rumori dentro i rovi e penso che sia Max che sta arrivando e decido di spostarmi nuovamente. Mentre mi giro intravedo una specie di palla che rotola a cento all ora tra la fitta vegetazione, mi muovo appena e il fagiano parte in volo dietro un a pianta; gli sparo praticamente di istinto senza neanche mirare, la fucilata butta giù fagiano e anche qualche ramo, lo raccolgo è un esemplare magnifico con una coda di almeno 50 centimetri. I cani arrivano e gli mostro il frutto delle loro fatiche, la giornata volge al termine, sfiniti ma soddisfatti facciamo ritorno verso casa. Queste sono alcune delle tante storie che accadono solo in Maremma.

10 OPERAZIONI DI PRIMO INTERVENTO SUI CANI FERITI DAI CINGHIALI a cura del Dott. Gian Luigi Vannucci A pochi giorni dall inizio della nuova stagione di caccia al cinghiale, il dot. Luigi Vannucci ci ha gentilmente fornito dei consigli su come intervenire nella maniera più corretta in tutte quelle situazioni nelle quali i nostri cani vengono feriti dai cinghiali. Il primo soccorso effettuato dal cacciatore sul cane ferito durante la battuta di caccia al cinghiale, può consentire (indipendentemente dalla gravità o sede della lesione) di agevolare non solo l intervento chirurgico del veterinario, ma anche un più rapido recupero clinico e atletico dell animale. Le ferite si possono a grandi linee distinguere in superficiali, profonde con interessamento muscolare e da sfondamento in cavità toracica e/o addominale. Denominatore comune circa la gestione di qualsiasi ferita e il garantire sempre la pulizia in modo da evitare contaminazioni successive di quest ultima da terra, foglie, arbusti e peli, che ne ritarderebbero i tempi di guarigione. Il cacciatore canaio dovrebbe sempre avere a disposizione delle garze oppure dei panni puliti (vanno benissimo dei vecchi lenzuoli tagliate a strisce), dei guanti in lattice, un laccio emostatico e delle stecche di legno (tipo quelle dei gelati). FERITE SUPERFICIALI In genere non comportano rischio di vita del cane ma necessitano comunque di attenzioni soprattutto per eventuali rotture di vasi sanguigni di medio calibro che possono portare ad emorragie temporanee. In questo caso l utilizzo di garze o panni puliti per tamponare consentono il controllo delle emorragie stesse e delle eventuali possibili contaminazioni delle ferite. FERITE PROFONDE (con interessamento muscolare) La gestione è identica alla precedente ma con qualche accortezza in più. I muscoli recisi in genere offrono maggiore possibilità di attecchimento ai germi ed una più copiosa perdita di sangue, per cui, quanto detto in 8 precedenza va effettuato con la massima tempestività e attenzione. La pulizia di questo tipo di ferite va effettuata con decisione senza timore di procurare dolore o ulteriori danni all animale ferito. L utilizzo di lacci emostatici consente di controllare meglio emorragie negli arti. FERITE DA SFONDAMENTO Questo tipo di ferite devono essere trattate con la massima rapidità perché possono mettere a rischio la vita del cane. È importante in questi casi mettere immediatamente al cane ferito una museruola o un collare Elisabetta per evitare che l animale stesso possa aggravare la propria condizione con autotraumatismi (es. cani che si mordono e si strappano gli intestini). Nei casi di sfondamento del torace, i lobi polmonari (questi ultimi si riconoscono perché sono di colore rosa intenso e fuoriescono ritmicamente dalla ferita del torace) vanno delicatamente reinseriti all interno possibilmente utilizzando dei guanti in lattice, tamponando poi il foro con le solite garze o panni puliti legati attorno al torace.

11 Attenzione a non sottovalutare la presenza di piccoli fori in queste zone: possono essere il punto di entrata del dente del cinghiale. Le ampie lacerazioni toraciche o profonde ferite penetranti in addome con fuoriuscita di organi necessitano l utilizzo lenzuoli puliti con i quali avvolgere gli organi fuoriusciti per evitare contaminazioni, autotraumatismi e shock termici. Bisogna infatti ricordare che gli organi addominali funzionano e mantengono la loro integrità solo a certe condizioni di umidità e calore; sarà poi il chirurgo a controllare, lavare e pulire il tutto. La funzionalità della milza (organo di forma allungata colore rosso vino) merita un cenno particolare in quanto rappresenta un organo addominale ripieno di sangue la cui rottura va affrontata come possibile danno emorragico e come rottura d organo addominale, quindi è necessario controllare l emorragia ma solo sul punto di rottura senza annodare lacci o fili alla base dell organo. Ciò vale anche per il fegato anche se in questo caso i rischi di emorragia sono inferiori. Come si può capire se l emmorragia in corso è grave? Si deve alzare il labbro del cane o abbassare la palpebra inferiore per osservare il colore della mucosa buccale e congiuntivale che normalmente deve essere rosa o rossa. Nel caso in cui fosse invece di colore pallido o addirittura bianca il cane deve essere portato immediatamente dal veterinario più vicino che valuterà la necessità di eseguire una flebo in caso di shock (mucosa pallida) o addirittura una trasfusione; a questo proposito e sempre bene portare dal veterinario un altro cane possibilmente imparentato con quello ferito da poter utilizzare come donatore in caso di trasfusione. Anche la rottura degli intestini può provocare gravi emorragie del mesentere (detto in gergo ratta): controllare con tamponi, garze o fazzoletti solo queste senza preoccuparsi di cosa fluisce dall intestino rotto; sarà il veterinario a farlo. Un cenno particolare va fatto per le ferite al collo, punto questo dove si trovano dei vasi sanguigni molto grossi e il rischio di emorragie mortali è altissimo; talvolta fori molto piccoli possono aver provocato danni a questi vasi con fuoriuscita abbondante di sangue o formazione di grandi ematomi sottocute. Si suggerisce in questo caso di avvolgere con strisce di lenzuolo pulite o fasce tutto il collo per tamponare l eventuale emorragia. Un ultimo cenno meritano le fratture agli arti. Le fratture che coinvolgono le parti ossee degli arti più lontane dal corpo vanno sempre steccate fasciando l arto per evitare che possano aggravarsi o che l osso rotto possa recidere qualche arteria o vena o che possa bucare la pelle diventando così frattura esposta: si possono utilizzare allo scopo stecche di legno (vanno benissimo i bastoncini dei gelati), fasce o strisce di lenzuolo. 9 Questa breve descrizione riguardo il primo soccorso in caso di lesioni provocate ai cani dai cinghiali, vuole essere solo un piccolo aiuto a tutti coloro che possono trovarsi in queste spiacevoli ma tanto frequenti situazioni, ma anche un fermo suggerimento circa la necessità di portare il prima possibile il cane dal veterinario.

12 Una ricerca sulle lepri della Provincia di Grosseto Di Valter Trocchi, Francesco Riga e Marina Macchia Il settore Sviluppo e Tutela del Territorio dell Amministrazione Provinciale di Grosseto e l Istituto Nazionale della Fauna Selvatica hanno attivato da pochi mesi un progetto di ricerca in collaborazione sulla distribuzione e l ecologia della lepre italica - Lepus corsicanus - (la lepre scopaiola o lepre macchiaiola ) in provincia di Grosseto. La validità della Lepre italica come buona specie è stata confermata soltanto recentemente grazie a più complete analisi morfologiche e all uso di moderne tecniche di analisi del DNA. In precedenza, dopo la prima descrizione condotta da W. E. De Winton (1898) di questa specie, altri autori avevano infatti considerato questa lepre una sottospecie della Lepre europea - Lepus europaeus. Seguendo questa classificazione, per lungo tempo si era trascurata la vera identità tassonomica della Lepre italica, ritenendo che ormai si fosse perduta a seguito di inquinamento genetico dovuto ai ripetuti ripopolamenti con esemplari alloctoni di Lepre europea. La Lepre italica è quindi una specie endemica italiana, ancora in gran parte da scoprire a cominciare dalla sua esatta distribuzione nel territorio. La provincia di Grosseto riveste un ruolo strategico particolarmente interessante collocandosi al limite settentrionale dell areale della specie e in una fascia di transizione con quello della Lepre europea. Si tratta di un area privilegiata per lo studio dei rapporti ecologici e comportamentali che si stabiliscono tra la Lepre italica e la Lepre europea e per definire un modello di recupero delle popolazioni ormai rarefatte della Lepre italica. A tal fine occorre sottolineare che per il pieno successo della ricerca in atto occorra la fattiva collaborazione di tutti i cacciatori di lepre della provincia, i quali possono contribuire al Progetto semplicemente fornendo piccoli campioni di tessuto (es.: Orecchio, pelle, muscolo, uteri, ecc.) degli esemplari di lepre abbattuti nel corso del normale esercizio venatorio. Per la raccolta e la consegna di questi campioni sono già stati distribuiti degli appositi contenitori a gruppi di cacciatori, nel corso di apposite riunioni esplicative organizzate prima dell apertura della caccia presso gli A.T.C., ma altri potrebbero essere forniti a richiesta (contattando gli A.T.C. o la Provincia). SCHEDA SULLA LEPRE ITALICA Descrizione morfologica. La Lepre italica ha forme relativamente più slanciate rispetto alla Lepre europea, ma nel complesso le è simile. Rispetto a questa specie la lunghezza testa-corpo, il piede posteriore e soprattutto le orecchie sono proporzionalmente più lunghe ed il peso medio degli adulti è di 0,8 Kg inferiore. Anche queste caratteristiche morfologiche, che favoriscono una migliore dispersione del calore corporeo, denotano l adattamento della Lepre italica ai climi più caldi delle regioni centro-meridionali italiane. Non vi è dimorfismo sessuale. Lunghezza testa-corpo cm 49 (44,1-54,4), lunghezza orecchio cm 9,6 (9-10,1), lunghezza piede posteriore cm 12,7 (11,4-13,5), lunghezza coda cm 8,4 (7,3-10,2), peso Kg 2,7 (1,85-3,8). La colorazione del mantello differisce da quella della Lepre europea per le tonalità più fulve, specialmente sulle cosce e sul groppone dove la parte distale dei peli di borra è gialliccia anziché grigiastra. Nuca e parte dorsale del collo, invece, di tonalità grigio nerastre nella Lepre italica e rossicce nella Lepre europea. La linea di passaggio tra la colorazione del fianco e quella ventrale (bianca) è più alta nella Lepre italica mancando la fascia di transizione rossiccia e sfumata caratteristica della Lepre europea. Geonemia. Fino agli anni trenta la Lepre italica era distribuita in Italia centro-meridionale (con limite settentrionale dato dall Isola d Elba sul versante tirrenico e dalla provincia di Foggia sul versante adriatico) ed in Sicilia. Inoltre la specie era presente in Corsica, dove sarebbe stata introdotta dall uomo in epoca storica. Attualmente l areale della Lepre italica è in via di definizione, tuttavia, in Sicilia la distribuzione sembra essere continua, mentre nell Italia peninsulare, benché la specie sia stata ritrovata in tutte le regioni interessate dall areale storico, si riconoscono soltanto 10

13 popolazioni localizzate. Le ricerche condotte sull Isola d Elba e sull Isola di Pianosa hanno permesso di accertare solo la presenza della lepre europea. In Corsica la Lepre italica è stata riscoperta nel luglio del 2002 grazie ad analisi genetiche condotte dall INFS. Origine delle popolazioni italiane. Sebbene non sia stata ancora realizzata una revisione critica del materiale paleontologico disponibile, si ipotizza che la Lepre italica (o una forma ancestrale) fosse presente in Italia già prima delle grandi glaciazioni pleistoceniche. In conseguenza di tali glaciazioni la specie si sarebbe rifugiata nelle aree meridionali della penisola caratterizzate da un clima più mite. L origine delle popolazioni della Sicilia e dell Isola d Elba risulta compatibile con episodi di colonizzazione coincidenti con forti cadute del livello marino, di cui l ultima si è verificata nel tardo Pleistocene. Distribuzione ecologica. Le informazioni sull ecologia della Lepre italica sono ancora limitate, tuttavia se ne è accertata la presenza dal livello del mare ad una quota di metri sull Etna. Gli ambienti preferiti da questa lepre sembrano rappresentati da un alternanza di radure (anche coltivate), ambienti cespugliati e boschi di latifoglie. Rispetto alla Lepre europea la Lepre italica sembra meglio adattata ad un bioclima di tipo mediterraneo. Riproduzione. Allo stato attuale esistono pochissime conoscenze in materia ed anche queste debbono essere sottoposte a migliori verifiche. È comunque certo che la Lepre italica si può riprodurre in tutto il periodo autunnale, a differenza della Lepre europea, che utilizza solo una piccola parte di esso. Si può quindi ritenere che la specie abbia sviluppato una differente strategia riproduttiva che si sviluppa nell intero arco dell anno (analogamente alla Lepre sarda - L. Capensis mediterraneus). Non è noto il numero dei parti all anno, mentre la dimensione della figliata va da 1 a 3 leprotti, con una media 1,86 leprotti a parto, inferiore rispetto alla Lepre europea (2,4). I leprotti nascono con gli occhi aperti, ricoperti di pelo, all interno di un covo realizzato tra la vegetazione e sono in grado di muoversi dopo poche ore. Non è noto se anche in questa specie si verifica la superfetazione (parziale sovrapposizione temporale di due gravidanze distinte). Status. In questo secolo l areale della Lepre italica ha subito una sostanziale contrazione accompagnata da una sensibile riduzione di densità delle popolazioni. Le cause di questo fenomeno non sono sufficentemente note benché si possano richiamare alcune modificazioni ambientali, il randagismo canino e sistemi di gestione faunistico-venatoria spesso errati (assenza di piani di prelievo, ripopolamenti, mancanza di legame del cacciatore con un territorio abituale di attività). Le popolazioni di Lepre italica oggi si presentano in genere con basse densità di popolazione (meno di 5 soggetti ogni 100 ettari) soprattutto nelle aree ove è consentito l esercizio venatorio, tuttavia in alcune aree protette si sono stimate densità di circa soggetti ogni 100 ettari. Problemi di conservazione. La Lepre italica può ritenersi un endemismo tipicamente italiano, considerando che in Corsica la specie sarebbe stata introdotta dall uomo, per cui è importante adottare al più presto corrette misure di conservazione e gestione. A tal fine risulta necessario definire innanzi tutto l attuale distribuzione della specie e lo stato di conservazione delle popolazioni locali. Non si dispone di sufficenti conoscenze per stimare le conseguenze della probabile frammentazione e dell isolamento delle popolazioni continentali della specie, tuttavia questi problemi appaiono realistici e dovranno essere attentamente verificati anche attraverso studi genetici. Uno dei principali problemi di conservazione delle popolazioni di Lepre italica nei territori di caccia è rappresentato dalla notevole difficoltà di riconoscimento rispetto alla Lepre europea (soprattutto a distanza e con l animale in fuga) e, quindi, dall estrema difficoltà di provvedere misure differenziate di tutela in presenza di entrambe le specie. In ogni caso in Sicilia, nonostante l introduzione di migliaia di esemplari di Lepre europea, non risulta siano presenti popolazioni di questa specie ed il prelievo venatorio avviene essenzialmente a carico delle locali popolazioni di Lepre italica. L esclusione di ulteriori immissioni di Lepre europea nell areale della Lepre italica appare raccomandabile per una efficace attuazione delle strategie di conservazione e di gestione di quest ultima specie e per prevenire il rischio di competizione e di trasmissione di patologie. La definizione di un efficace rete di aree protette e zone di ripopolamento espressamente utili per la tutela della Lepre italica risulta indispensabile, sia per conservare le popolazioni esistenti, sia per favorirne la diffusione (comprese le necessarie 11

14 operazioni di reintroduzione). Studi ecologici di base dovranno chiarire l habitat ed il grado di idoneità degli ambienti per la specie, anche per definire adeguate strategie di conservazione e di miglioramento dell habitat. Il randagismo canino, se non opportunamente controllato, può rappresentare un serio rischio per la conservazione della Lepre italica così come della Lepre europea. I censimenti delle lepri di Luciano Piccolotti Nel precedente articolo gli autori hanno parlato di densità della popolazione della Lepre italica, in molti si chiederanno quali siano le metodiche adoperate per stabilire il numero delle lepri presenti in un determinato territorio. Quanto vado adesso ad illustrarvi è il racconto di una serata trascorsa dal sottoscritto appunto alla ricerca della Lepre italica, in compagnia della dottoressa Marina Macchia, di una Guardia Provinciale e dell amministratore dell A.F.V. Polverosa. La zona interessata dal censimento era appunto una parte dell A.F.V. Polverosa, il mezzo utilizzato per effettuarlo il fuoristrada della Polizia Provinciale al quale era stato azzerato il contachilometri parziale prima dell inizio dell operazione. L operazione vera e propria di ricerca delle lepri si è svolta nel seguente modo: la Guardia Provinciale fungeva da autista, l amministratore dell Azienda da navigatore (nel senso che indicava i percorsi e provvedeva ad aprire i vari cancelli che incontravamo nel nostro tragitto). Il sottoscritto e la dottoressa eravamo invece nel cassone scoperto del fuoristrada, dove, muniti di due potenti fari collegati alla batteria del mezzo utilizzato, illuminavamo i campi parallelamente alla strada che stavamo percorrendo. Nel momento in cui veniva avvistata una lepre, con un leggero colpo sul tettino del mezzo, avvisavamo il conducente che immediatamente provvedeva ad arrestarsi, a quel punto io continuavo a tenere la lepre dentro il fascio luminoso e la dottoressa, utilizzando un normale binocolo, tentava di stabilire se si trattasse di una Lepre italica o una Lepre europea. Immediatamente dopo, sempre la dottoressa, provvedeva ad annotare su un apposita scheda i dati identificativi della lepre (italica o europea), le coordinate del punto dove ci trovavamo rilevate con un apparecchio GPS e successivamente, misurandola con un telemetro, la distanza che intercorreva tra tale punto e quello dove era stata avvistata la lepre. È appunto su questi dati, rapportati ai chilometri percorsi, che viene stabilito l indice di densità della popolazione delle lepri. Per dovere di cronaca, in oltre tre ore di ricerche siamo riusciti ad avvistare soltanto cinque lepri di cui quattro europee e una italica. L avvistamento della Lepre italica è stato effettuato in una radura presente nella parte più alta di Poggio al Leccio, le lepri europee sono state invece avvistate nei campi coltivati nella parte più bassa dell Azienda. Nel corso dell operazione sono stati inoltre avvistati non meno di quaranta/cinquanta caprioli, una decina di cinghiali, una quindicina di volpi e nessun cane randagio. 12

15 CINGHIALE: DENSITÀ BIOLOGICA E DENSITÀ AGRICOLO-FORESTALE Gruppocaccia Il nuovo Regolamento per la gestione faunistico-venatoria e modalità di prelievo degli ungulati, stabilisce all art. 81, comma 3 che il Comitato di gestione dell A.T.C. definisce, per ogni distretto,... entro un anno dall entrata in vigore del presente regolamento, la densità agricolo-forestale sostenibile per ciascuna specie, tenuto conto dei criteri generali indicati dall I.N.F.S., e ne verifica il rispetto. I successivi articoli stabiliscono che, decorso tale termine la densità agricolo-forestale è fissata dalla Provincia, e, fintanto che tale densità non venga comunque determinata, la densità agricolo-forestale regionale...è fissata, per il cinghiale, a 2,5 soggetti ogni 100 ettari. Ma quali sono i criteri generali indicati dall I.N.F.S. ai quali i Comitati di gestione degli A.T.C.devono fare riferimento per determinare la densità agricolo-forestale sostenibile nei vari distretti per il cinghiale? Riportiamo di seguito uno stralcio del documento BIOLOGIA E GESTIONE DEL CINGHIALE (Giovanna Massei e Silvano Toso) edito appunto dall I.N.F.S. nel Dalle considerazioni e dai dati finora esposti risulta evidente come, dal punto di vista gestionale, la densità di una popolazione di cinghiali sia un parametro che va considerato in senso relativo, non soltanto cioè in relazione alla capacità portante dell ambiente, ma anche in funzione dell impatto che la specie determina sulle attività economiche locali. In tal senso si definisce pertanto una densità biologica, superata la quale compaiono nella popolazione segni di decadimento fisico dovuti ad elevata competizione intraspecifica, e una densità agricolo-forestale, oltre la quale si verificano danni eccessivi alla colture e alla fitocenosi. In entrambi i casi si tratta di concetti strettamente legati alla situazione locale e contingente; in particolare la definizione del limite oltre il quale i danni diventano eccessivi dipendono dalle opzioni adottate nell area che ospita una determinata popolazione animale, la cui gestione può essere decisa in funzione dell importanza relativa accordata agli interessi venatori piuttosto che a quelli agricoli. La densità agricolo-forestale è dunque sempre inferiore alla densità biologica e il suo mantenimento comporta da parte dell uomo un attività di controllo atta a contrastare la naturale tendenza della popolazione a sfruttare pienamente la capacità portante dell ambiente. I molteplici fattori che influenzano la recettività dei singoli ambienti non consentono di fornire valori numerici generalizzabili circa la densità biologica del cinghiale, né tanto meno di dare indicazioni sul carico di animali accettabile in funzione di scelte economico-sociali. Perco (1987) fornisce, per gli ambienti mediterranei, valori di densità biotica variabili da 2-4 a 5-10 (fino a 25) capi per 100 ettari. È verosimile che la foresta e la macchia mediterranea o sub-mediterranea, con la varietà di specie quercine e la scalarità temporale dell offerta di frutti selvatici che la contraddistingue, rappresentino l optimum ecologico originario per la specie, che in tali ambienti può raggiungere densità assai più elevate (in assenza di foraggiamento artificiale) rispetto a quelle generalmente mostrate dalle popolazioni dell Europa centrale ed orientale. 13

16 La tortora dal collare Testo di Luciano Piccolotti La tortora dal collare (Streptopelia decaocto) pur non essendo originaria del nostro paese, rappresenta ormai un fenomeno largamente diffuso sull intero territorio della penisola, costituendo un aspetto di rilevante importanza faunistica che sia il legislatore che le Associazioni venatorie, agricole ed ambientaliste, dovrebbero prendere in seria considerazione. Visto infatti il consistente incremento di questa specie, alla quale vanno ad aggiungersi nutriti branchi di piccioni torraioli provenienti dalle nostre città, i danni alle coltivazioni, in modo particolare alle semine di cereali e di erbai destinati a pascolo per ovini, si rivelano di anno in anno sempre più influenti. La tortora dal collare orientale è ormai stabilmente presente in quasi tutto il continente europeo. In Italia le prime presenze furono registrate nelle regioni nord orientali nel Da allora molti esemplari si sono stabiliti e quindi riprodotti all interno dei parchi e dei giardini delle varie città del nord Italia, per poi discendere lungo le coste fino a popolare le regioni centrali (l Emilia Romagna in modo particolare) per arrivare successivamente a colonizzare anche molte zone del nostro meridione. La tortora dal collare, a differenza della tortora comune (Steptopelia turtur, quella che noi cacciatori chiamiamo anche tortora grigia o selvatica), ama vivere a stretto contatto con l uomo, vivendo stabilmente in prossimità o all interno di centri abitat, dai quali si sposta esclusivamente per la ricerca del cibo. Altra caratteristica che differenzia la tortora dal collare dalla tortora comune è la sua eccezionale prolificità, infatti, nel periodo compreso tra marzo e settembre, questa varietà si riproduce più volte, arrivando ad effettuare anche cinque cove. I nidi sono di costituzione molto semplice come quelli di tutte le altre varietà di columbidi e vengono costruiti sui rami degli alberi (preferite le conifere) ed usati più volte, in questi ultimi vengono solitamente deposte due uova che sono covate da entrambi i genitori. La schiusa avviene dopo circa due settimane e i giovani tortorotti abbandonano il nido dopo circa venti giorni dalla loro nascita. Personalmente, data l eccessiva confidenza e fiducia che 14 questa varietà di tortora riserva nei confronti dell uomo, ritengo che renderla specie cacciabile non sia scelta nobile. Al tempo stesso, visto i sensibili danni che arreca alle coltivazioni ed il suo numero in costante aumento, potrebbe essere attuata nei suoi confronti, insieme ai piccioni torroiali (questi ultimi oltre ad arrecare danni alle colture contribuiscono anche a rendere sporche le città) una qualche forma di caccia limitata con l obiettivo di contenerne il numero. Ad esempio, nelle sole giornate di preapertura, potrebbe essere concesso a tutti i cacciatori di abbatterne un certo numero determinato in base alla consistenza faunistica. Altra proposta potrebbe essere quella di consentire la caccia a questo volatile (sempre nelle sole giornate di preapertura) come alternativa a quella alla tortora comune. Infatti, a giudicare anche dai limitati abbattimenti effettuati nella scorsa preapertura di settembre, la tortora comune sembrerebbe in grave difficoltà, pertanto, provare ad effettuare aperture alternate (un anno alla tortora comune e un anno a quella dal collare) potrebbe dare dei buoni risultati per un corretto mantenimento della giusta quantità numerica delle due varietà. Un altro fattore negativo apportato dall eccessiva ed incontrollata diffusione delle tortore dal collare e dei piccioni torraioli, è quello rappresentato dal conseguente aumento numerico dei corvidi. Per delle complesse ma precise leggi biologiche, l aumento di alcune specie predabili (in questo caso le tortore dal collare e i piccioni torraioli), corrisponde ad un inevitabile aumento delle specie opportunistiche (i corvidi). Infatti, capita sovente di vedere gazze e corvarelle predare i nidi di tortore e piccioni, il che potrebbe anche andare bene, se non fosse che i corvidi non fanno distinzione di specie e ad essere predati risultano spesso anche i nidi di altri uccelli che magari avrebbero invece bisogno di essere tutelati. Molti cacciatori si augurano che, in un futuro non troppo lontano, qualcosa possa cambiare nella gestione di questa varietà di tortora che ormai a tutti gli effetti possiamo considerare stanziale. Disporre di un numero quantitativamente consistente di tortore dal collare e piccioni torraioli e vietarne gli abbattimenti, e consentire invece di sparare alle pochissime tortore comuni presenti sul territorio non credo possa più essere considerata una scelta corretta.

17 CACCIATORE/TERRITORIO unostranorapporto (Prima parte) Gruppocaccia Molte volte abbiamo sentito parlare di rapporto cacciatore/territorio che dovrebbe essere di un cacciatore ogni 13 ettari. Quando però ci ritroviamo sul terreno di caccia, ci accorgiamo di starci un po stretti. Cerchiamo insieme di scoprirne le cause. Una delle principali innovazioni apportate dalla legge 157/92 è stata quella dell introduzione degli ambiti territoriali di caccia. Per ambito territoriale di caccia, sulla base delle disposizioni della legge 157/92, deve intendersi tutta quella porzione di territorio agro-silvo-pastorale sulla quale non siano presenti istituti faunistici di vario genere (pubblici e privati) e non sia soggetta a divieto di caccia anche per effetto di qualsiasi altra legge o disposizione. Lo scopo primario degli A.T.C. deve essere quello di stabilire un corretto rapporto tra cacciatori e territorio, tale da garantire un prelievo venatorio equilibrato e non dannoso per la continuità delle specie cacciabili. Ma quali sono i criteri che vengono adottati per stabilire la densità venatoria sostenibile per ogni ambito territoriale di caccia, ciò a dire il numero dei cacciatori ammissibili in ogni A.T.C.? L art. 14, comma 3, della legge 157/92 demanda al Ministero dell agricoltura e delle foreste, di stabilire con periodicità quinquennale, l indice di densità venatoria minima sostenibile in ogni ambito territoriale di caccia. Tale indice è costituito dal rapporto fra il numero dei cacciatori ed il territorio agro-silvo-pastorale nazionale. Ricapitolando, l indice di densità venatoria minimo viene stabilito tenendo conto del numero complessivo dei cacciatori italiani rapportato a tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale e non alla porzione di questo dove è possibile esercitare la caccia programmata. Il Decreto Ministeriale del 9 luglio 1993, conferma l indice di densità venatoria minima (già ridefinito con D.M. 30 gennaio 1993, n ), per ogni ambito territoriale di caccia in 0,0526 cacciatori per ettaro, ovvero 1 cacciatore ogni 19,01 ettari di territorio (per la zona delle Alpi il rapporto è di un cacciatore ogni 49,49 ettari). La Regione Toscana nell art. 17 del Testo Unico dei Regolamenti Regionali del 7 agosto 2002, n. 34, fissa in 1 a 13 il rapporto cacciatore/superficie agro-silvo-pastorale del comprensorio espressa in ettari. Prendendo ad esempio i dati ufficiali riportati sul Piano faunistico venatorio regionale, relativi all A.T.C. GR 8, troviamo una superficie agro-forestale complessiva di ettari ed una ricettività di ben cacciatori. Anche la Regione Toscana, così come il Ministero dell agricoltura e delle foreste, calcola l indice di densità venatoria sull intera superficie agro-silvo-pastorale del comprensorio in cui ricade l A.T.C. (nella quale sono compresi parchi, oasi, aziende faunistico e agrituristico venatorie, zone di ripopolamento e cattura, fondi chiusi, ecc. ecc.) e non sulla reale superficie disponibile per la caccia programmata che di fatto costituisce l ambito territoriale di caccia. Visto però che i cacciatori non possono fruire delle zone soggette a divieto o ad istituti privati, l indice di densità venatoria rapportato al territorio libero è molto superiore ad un cacciatore ogni 13 ettari. Esistono ulteriori cause che provocano un sovraffollamento in modo particolare in alcune zone di caccia, di questo argomento ne parleremo nel prossimo numero del nostro giornalino. 15

18 Caccia al cinghiale il fattore sicurezza Testo e foto di Fabio Orsini Questo scritto è rivolto a quella parte di cacciatori malati di cinghiale, o meglio ancora, appassionati di questo tradizionale tipo di caccia molto sentito in Maremma. Cacciare in assoluta sicurezza durante una battuta in squadra dovrebbe essere elemento d estrema importanza sentito da tutti i partecipanti, e non un onere ed una responsabilità da far pesare solo sul capocaccia o su gli incaricati a tendere le poste. Episodi delle passate stagioni sono lì a ricordarlo. Ci diciamo molto spesso: a noi non succederà mai nulla perché siamo prudenti, ma purtroppo l imprevisto o l attimo di incoscienza sono spesso dietro l angolo. Queste poche nozioni di seguito esposte possono essere racchiuse in u unica parola: prevenzione. La squadra durante ogni battuta dovrebbe tenere disponibile un mezzo all interno del quale deve sempre essere custodita una sacca con il necessario per il pronto soccorso, molti incidenti sono causati da malore o cadute, avere sempre a portata di mano il necessario per fronteggiare i primi soccorsi tornerà sicuramente utile, consentendoci di evitare quelle lunghe attese che spesso possono rivelarsi fatali. Alla posta ogni partecipante alla battuta, anche il più esperto, deve rivolgere la propria attenzione al terreno e alla vegetazione vicino al presunto punto di passaggio del cinghiale, il fucile del calibro 12 è l ideale nella macchia fitta, ma attenti alle sassaie o ai grossi massi isolati, il rimbalzo è sicuro! La carabina, tanto bistrattata dai cacciatori più anziani, è sicuramente meno pericolosa riguardo ai rimbalzi e ottima nel campo aperto e nei tiri lunghi, ma, una volta premuto il grilletto, la palla, a seconda del calibro e senza incontrare ostacoli (padella), può percorrere anche 1000/1500 metri ed oltre prima di arrestarsi, quindi attenzione! Ogni cacciatore di cinghiale è a conoscenza diretta o indiretta di episodi dove si è sfiorata la tragedia, pertanto, facendo tesoro di tutto questo, è bene prestare sempre la massima attenzione e prudenza ora, che sta per ricominciare la nuova stagione di caccia al cinghiale. 16

19 Divergente con relativo trave ed esche artificiali LA PESCA CON IL DIVERGENTE di Giancarlo Baffarelli La pesca con il divergente o barchino è un tipo di traina molto particolare, in quanto per effettuarla non è necessario disporre di una imbarcazione ne tanto meno di un rumoroso motore, ci vogliono tuttavia un paio di buone gambe abituate a camminare poiché l azione di pesca si svolge appunto camminando, spesso per chilometri, lungo la battigia. Il teatro di questo particolare tipo di pesca è infatti la spiaggia, le prede che andiamo ad insidiare sono numerosissime anche se la più ricercata rimane certamente la spigola. Degne comunque di nota sono anche le frequenti catture di lecce stella, pesci serra, sugarelli, rombi, occhiate, aguglie e tracine. L attrezzo che ci consentirà di filare in mare le nostre esche, che saranno per lo più anguilline o pesciolini di silicone, ma anche piume o piccoli cucchiaini, è una sorta di catamarano costruito in compensato marino, in grado di uscire verso il largo, superando anche onde di discrete dimensioni senza rovesciarsi e portandosi dietro il trave con le relative esche. Il trave viene solitamente realizzato con del monofilo di nylon da un millimetro di diametro, o, volendo esagerare, con un multifibra intrecciato di ultima generazione (che a parità di tenuta è molto più sottile e assolutamente non elastico) della lunghezza di circa 80/100 metri, nel quale, ogni dieci metri circa, andremo a posizionare delle robuste girelle a tre vie sulle quali agganceremo, tramite un moschettone, dei terminali di monofilo di nylon da millimetri 0,30/0,35, della lunghezza di circa 4 o5 metri con annodate all estremità opposta le esche artificiali. L azione vera e propria consiste nel piazzare il barchino sulla battigia in posizione obliqua, quindi stendere il trave e posizionare via via i terminali con le relative esche. Quando avremo terminato questa operazione, inizieremo a tirare il trave con decisione e comincieremo a camminare nella direzione desiderata. Il divergente, per la sua particolare forma, tenderà a raggiungere il mare per dirigersi verso il largo portandosi dietro le nostre esche. A questo punto il nostro compito è solo quello di camminare con andatura normale lungo la spiaggia facendo in modo che il trave rimanga sempre bene in tenzione, accorgimento questo che ci consentirà di sentire le inconfondibili vibrazioni che ci segnaleranno le abboccate delle eventuali prede, che comunque saranno anche ben visibili, soprattutto in condizione di mare calmo, sotto forma di bollate o salti dei nostri pesci sulla superficie dell acqua. Per quanto riguarda il numero delle esche da calare in acqua, ognuno ha le sue preferenze, anche se il consiglio, soprattutto per chi è alle prime esperienze, è quello di non esagerare, 6 o 7 esche ben distanziate fra di loro rappresentano la soluzione ideale, in quanto favoriscono un azione di pesca più fluida, garantiscono una buona copertura della fascia di mare in cui andiamo a pescare e soprattutto riducono al minimo la possibilità di fastidiosi imbrogli delle nostre lenze. Per dovere di cronaca, suggerisco a chi li vuol provare, altri due tipi di pesca alternativi, praticabili sempre utilizzando questo favoloso attrezzo. Il primo consiste nel sostituire l esca artificiale con l esca viva, buonissimo è il cefaletto di 10/12 centimetri di lunghezza o anche oltre se le nostre mire sono ambiziose. Al riguardo è bene anche irrobustire sia il trave che i terminali, quest ultimi andranno realizzati con un buon monofilo da 0,50 millimetri e magari con la parte finale in cavetto d acciaio termosaldato soprattutto se nella zona è segnalata la presenza di pesci serra. La velocità di trascinamento non è rilevante quando si usano esche vive, quello che più conta è credere in ciò che stiamo facendo ed esplorare lunghi tratti di litorale. Le nostre fatiche potrebbero essere ricompensate da spigole di taglia notevole, pesci serra o addirittura dalla grande leccia che di certo non disdegnerà di attaccare un cefalo ben vivo e ben presentato che cercheremo di far incrociare sulla sua rotta. Il secondo tipo di utilizzo del divergente ha come obiettivo i pesci grufolatori, cioè tutti quei pesci che cercano nutrimento sul fondo sabbioso come le mormore, le orate, le sogliole, le triglie, ecc. Per praticare questo tipo di pesca il trave rimane quello classico, i terminali devono invece essere realizzati con del monofilo da 0,25 millimetri di diametro ed al posto delle esche artificiali monteremo un amo del n. 6/8. Per far si che i nostri ami struscino sul fondo sabbioso occorre piazzare sul terminale stesso, a circa 80 centimetri dall amo, un pallino di piombo del peso di mezzo grammo. Come esche useremo vermi di mare (moriddu, coreano, americano, arenicola, ecc.). Anche per questa tecnica occorre sondare ampi tratti di mare camminando ad una velocità piuttosto limitata, una volta allamata la prima preda è consigliabile, utilizzando un legno od una canna facilmente reperibili sulle nostre spiagge, marcare il punto della cattura e ripercorrerlo più volte, visto che è abitudine dei pinnuti grufolatori viaggiare in branchi. Per tutti i tipi di pesca praticabili con il divergente, le ore consigliate sono quelle del primo mattino e della tarda serata, per i periodi vanno bene tutti i mesi dell anno anche se quelli invernali sono i migliori per insidiare in modo particolare le spigole. Con mare calmo e luna piena si può tentare alle mormore anche nelle ore notturne. 17

20 Cenni Capalbio storici sulla nostra terra Elenco strade vicinali di uso pubblico 1966 di Vincenzo Antidormi Il 7 luglio 1966, con delibera n. 48, il Consiglio comunale di Capalbio approvava l elenco delle strade vicinali di uso pubblico. All epoca il Sindaco era il Sig. Giacomini Aurelio, gli altri membri del Consiglio comunale erano Cicerchia Andreini Mara, Palandri Geo Antonio, Baccioli Attilio, Calvisi Quirino, Berretti Giovan Batta, Cafagnoni Umberto, Capitani Umberto, Lotti Primo, Romagnoli Tesauro, Veronesi Giuseppe, Albini Ivo, Landi Umberto, Panini Fortunato, Franci Ivo, Nardi Gino, Pellegrini Bruno, Carracini Romolo e Abbate Mario. Erano presenti alla seduta (pubblica) 13 consiglieri su 19. La delibera fu pubblicata sull albo pretorio il giorno e in data , con Prot. 3915, ne venne inoltrata copia alla Prefettura ai sensi dell art. 3 della legge 9 giugno 1947, n vicinale dalle Tombe al Tricosto - dalla via della Tagliata alla vicinale del Tricosto - km. 3, vicinale dalla Torba alle Sette finestre - dalla S.S. Aurelia alla vicinale Tombe/Tricosto - km. 1, vicinale dalla Nunziatella al Tricosto - dalla S.S. Aurelia in loc. Nunziatella alla vicinale del Tricosto - km. 1, vicinale di Macchia Tonda - dal bivio della S.S. Aurelia alla vicinale dei Cavalleggeri - km. 1, vicinale dei Cavalleggeri - dalla vicinale della Tagliata al confine interprovinciale con Viterbo in loc. Gratticciaia - km. 11, vicinale della Radicata - dalla vicinale della Marsiliana fino alla vicinale dei Cavalleggeri in loc. Cavallin del cervo - km. 1, vicinale del Cavallin del cervo - dalla vicinale della Marina fino all imbocco con la vicinale della Marsiliana - km. 3, vicinale della Capanna del Brilli - dalla vicinale della Marsiliana fino all imbocco con la vicinale delle Forane - km. 2, vicinale della Grasceta - dalla vicinale della Marsiliana fino alla vicinale della Capanna del Brilli - km. 1, vicinale delle Forane - dalla vicinale della Marsiliana alla stessa strada in loc. Casetta delle Forane - km. 1, vicinale della Marina - dal confine intercomunale con Manciano in loc. Schiacciole fino alla S.S. Aurelia - km. 13, vicinale da Capalbio al Giardino - dalla vicinale della Marina, loc. Macchia Tonda, fino alla vicinale del Tricosto - km. 5, vicinale di San Floriano - dalla vicinale del Tricosto fino alla vicinale della Marina - km. 2, vicinale di Casaglia - dalla vicinale della Marina alla vicinale di Montecavallo, in loc. Tre cancelli - km. 1, vicinale delle Stiacciole - dalla vicinale di Montecavallo alla vicinale della Marina - km. 2, vicinale di Monte Forcato - dalla vicinale di Montecavallo, in loc. Monte Forcato, fino al podere omonimo - km. 1, vicinale del Cavallin del Papa - dalla vicinale della Marina al confine intercomunale con Manciano loc. Poggio delle vene - km. 3, vicinale di Piancalcaia - dalla vicinale di Pescia Fiorentina/Manciano alla vicinale di Macchia Carbona/Montauto - km. 2, vicinale della Potassa - dalla vicinale del Cavallin del Papa alla vicinale di Capalbio/Manciano - km. 4, vicinale della Potassa - dalla vicinale di Piancalcaia al confine intercomunale con Manciano, al fosso Ripiglio - km. 3, vicinale da Capalbio a Manciano - dalla vicinale della Marina, loc. Tricosto, al confine intercomunale, loc. 18

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