FORUM P.A Lo sviluppo della previdenza complementare nel pubblico impiego
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1 FORUM P.A Lo sviluppo della previdenza complementare nel pubblico impiego Fiera di Roma 7 maggio 2002
2 1. Lo sviluppo della previdenza complementare in Italia In Italia la previdenza complementare appare ancora oggi molto meno sviluppata rispetto a quella degli altri paesi industrializzati; fino all'entrata in vigore del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, l'italia é stato l'unico tra i paesi dell'europa occidentale in cui la previdenza complementare non fosse esplicitamente prevista e regolamentata. Di conseguenza i fondi pensione non sono stati negli anni passati, e non sono tuttora, tra i principali attori nei processi di raccolta, gestione ed intermediazione del risparmio nel nostro paese. Tuttavia, a partire dal citato provvedimento del 1993, si sono realizzati vari interventi finalizzati a favorire lo sviluppo di fondi pensionistici privati. Tale tendenza va ricollegata agli interventi di riforma del sistema pensionistico obbligatorio che si sono succeduti nel corso degli anni novanta. Basti ricordare, a conferma di ciò, il fatto che la regolamentazione della materia è stata effettuata principalmente attraverso due provvedimenti: il citato decreto legislativo 124/93, entrato in vigore pochi mesi dopo la riforma Amato del sistema pubblico obbligatorio; e la riforma Dini del 1995 (legge 8 agosto 1995, n. 335), che ha modificato in modo contestuale sia il sistema pensionistico obbligatorio che quello complementare. Lo sviluppo della previdenza complementare è stato quindi considerato necessario in funzione della necessità di fornire ai lavoratori la possibilità di attenuare, attraverso la copertura fornita dagli schemi integrativi, gli effetti di riduzione della copertura pensionistica del regime obbligatorio determinati dalle riforme degli ultimi anni. La stabilizzazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL attorno ai suoi livelli attuali (poco più del 14%) avverrà infatti in conseguenza della significativa riduzione delle prestazioni determinata dall introduzione del sistema di calcolo contributivo. Il principale scopo della previdenza privata in Italia è comunque quello di integrare la previdenza pubblica, alla quale resterà in ogni caso affidato, anche nei prossimi decenni, il ruolo centrale nel perseguimento della sicurezza economica della popolazione in età anziana.
3 2. La previdenza complementare dei dipendenti pubblici. Il percorso normativo. Il d. lgs. n. 124 del l993 ha esplicitamente previsto che anche i dipendenti pubblici siano destinatari della previdenza complementare. Difatti all articolo 2, comma 1, si dice che i destinatari delle forme pensionistiche complementari possono essere lavoratori dipendenti, sia privati che pubblici. Inoltre nell articolo 8, comma 4, dello stesso d.lgs. 124/93 è contenuto un altro riferimento alla previdenza complementare dei dipendenti pubblici, dove si afferma che nei casi di forme di previdenza pensionistica complementare di cui siano destinatari dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi ai fondi debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico. Proprio il profilo delle fonti di finanziamento evidenzia la differenza più rilevante tra la previdenza complementare dei dipendenti pubblici e quella dei dipendenti privati: il fatto che nel pubblico impiego, al momento dell entrata in vigore del d.lgs. 124/93, non esistesse il TFR, ma diverse indennità di buonuscita o di fine servizio, variamente denominate. Per questo motivo la costituzione dei fondi pensione nel pubblico impiego aveva il suo obbligato presupposto nella transizione dal regime di queste indennità al regime di trattamento di fine rapporto. Come è noto, questa transizione ha dato luogo ad un percorso giuridico-normativo molto complesso, i cui principali passaggi sono stati: 1. La legge 8 agosto 1995, n. 335, che all art. 2, commi da 5 a 8, ha stabilito l applicazione del t.f.r. anche ai pubblici dipendenti e la cessazione di tutti i trattamenti di fine servizio, comunque denominati. La norma rinviava in tale senso alla contrattazione collettiva di comparto e ad un D.P.C.M. La legge 335/95 ha introdotto la basilare distinzione tra lavoratori già in servizio (interessati alla transizione dalle vecchie indennità di buonuscita al TFR) e lavoratori assunti dopo 1 gennaio 1996, per i quali, invece, si prevedeva l automatica ed immediata applicazione del TFR. 2. La legge finanziaria per il 1998 (art. 59, c. 56, legge 449/97) ha successivamente introdotto, per i dipendenti già in servizio, la facoltà di optare per l applicazione
4 del TFR. Tale norma ha stabilito che, per tali dipendenti, per il passaggio al TFR è necessaria la contestuale iscrizione al fondo pensione. Si è quindi stabilito un principio generale: la scelta per il TFR è correlata alla scelta per la previdenza complementare. 3. L Accordo quadro nazionale del 29 luglio 1999 ha fissato la regolazione dei due istituti del TFR e della previdenza complementare. Tale accordo ha differito, rispetto a quanto previsto dalla legge 335/95, la data prevista per l applicazione automatica del TFR (non più al , ma alla data di entrata in vigore del DPCM). 4. Il DPCM 20 dicembre 1999 disciplina la trasformazione del trattamento di fine servizio vigente in trattamento di fine rapporto, così come previsto dall art del cod.civ., e stabilisce il finanziamento dei fondi pensione. I suoi contenuti possono essere così sintetizzati: a) Per i dipendenti assunti successivamente al 31/12/2000 si applica automaticamente la disciplina del TFR, così come regolato dall art del cod.civ.. I dipendenti neoassunti possono optare per la previdenza complementare in qualsiasi momento della loro vita lavorativa. b) Ai dipendenti in servizio al 31/12/2000 è attribuita la facoltà di opzione tra le precedenti indennità di buonuscita e il TFR (subordinato però alla iscrizione al fondo pensione). Al momento dell adesione al fondo sarà effettuato il calcolo, secondo la previgente disciplina, della prestazione maturata sino a quella data. c) Con il passaggio al TFR viene soppresso il contributo del 2,5% a carico del lavoratore per le precedenti indennità di fine servizio. Tuttavia il Dpcm prevede modifiche retributive e contributive secondo il principio dell invarianza della retribuzione netta. d) le quote di accantonamento annuale sono determinate applicando alla retribuzione utile l aliquota del 6,91%. e) L adesione al fondo pensione è volontaria, tuttavia per i dipendenti in servizio al 2000 il passaggio al Tfr è subordinato all adesione al fondo pensione, che dovrà essere esercitata entro una certa data (che, in seguito ad
5 accordo quadro del 18 dicembre 2001, è stata fissata al 31 dicembre 2005). f) La quota di Tfr destinata ai fondi pensione, come stabilito dall articolo 74 della legge 388/2000 (legge finanziaria per il 2001) non può superare, in fase di prima attuazione il 2% della retribuzione utile ai fini del Tfr per i lavoratori già in servizio; successivamente tale quota potrà essere definita dalle parti istitutive. Per i neoassunti, in caso di adesione alla previdenza complementare, tutto il Tfr sarà versato al fondo pensione. g) La parte virtuale è composta dalle quote del Tfr e, per i lavoratori già in servizio, da una quota aggiuntiva dello 1,5%. Alla cessazione del rapporto di lavoro l'inpdap conferirà al fondo pensione di riferimento il montante maturato, costituito dagli accantonamenti figurativi delle quote di trattamento di fine rapporto nonché di quelli relativi all'aliquota dell'1,5%, rivalutati sulla base della media dei rendimenti netti di un paniere di cinque fondi individuati con Decreto del Ministero del Tesoro (scelti tra quelli con maggior numero di aderenti). 3. L avvio dei fondi pensione dei dipendenti pubblici La Relazione finale (settembre 2001) della Commissione ministeriale istituita per la valutazione degli effetti della l. 335 del 1995 (c.d. Commissione Brambilla ), facendo il punto sullo situazione di sviluppo della previdenza complementare, ha sottolineato alcuni aspetti critici, che hanno finora ritardato l avvio dei fondi pensione per i dipendenti pubblici. La Commissione infatti, rilevando che i dipendenti pubblici rappresentano una realtà di circa 3,6 milioni di lavoratori, evidenzia che, per effetto del ritardo con cui si è realizzato il percorso delineato in precedenza di transizione dalle precedenti indennità di fine servizio al TFR, i fondi pensione dei dipendenti pubblici non sono ancora una realtà operativa. La stessa Commissione ha infatti ricordato che la legge 335/95 aveva previsto un rapido sviluppo delle adesioni nel settore pubblico, che avrebbe dovuto determinare un tasso di adesione del 50% della platea potenziale dei più giovani su un periodo di 4 anni. Secondo tali ipotesi, riviste all inizio del 2000 in sede di emanazione del decreto legislativo 47/2000 concernente il trattamento fiscale della previdenza complementare, il tasso di adesione
6 complessivo dei dipendenti pubblici si sarebbe dovuto attestare al 15% a fine 2001, e crescere rapidamente fino a raggiungere il 40% a fine Una analoga quota (pari al 40-45% da raggiungere nel giro di pochi anni) è stata prevista anche nell ambito della relazione tecnica sull ipotesi di accordo istitutivo del fondo pensione per i lavoratori della scuola. L esperienza europea del resto mostra che i dipendenti pubblici sono generalmente orientati ad aderire ai fondi pensione in misura superiore rispetto a quelli privati (nel Regno Unito, ad esempio, si verifica tra i dipendenti pubblici una percentuale di adesione del 70%, rispetto al 40% del settore privato). Pertanto sembrerebbe ragionevole ipotizzare che, nel momento in cui i fondi pensione dei dipendenti pubblici saranno operativi, essi dovrebbero rapidamente raccogliere un numero consistente di adesioni, consentendo il raggiungimento dei livelli ipotizzati dalla legge 335/95. Tuttavia si deve considerare che, nella situazione italiana, sono presenti alcune specificità, che potrebbero influenzare le adesioni dei dipendenti pubblici alle forme pensionistiche complementari. In particolare: a) l opzione per il TFR dei lavoratori in servizio al 2000: Appare evidente che, per il lavoratore del pubblico impiego, la scelta di aderire al fondo pensione implica (a differenza di quanto avviene per il dipendente privato) un altra necessaria opzione: quella della trasformazione della vecchia indennità di buonuscita o fine servizio in TFR. Quindi, se per il lavoratore privato la scelta da operare è tra il TFR e l adesione al fondo pensione, per il lavoratore pubblico tale scelta presenta ulteriori elementi di complessità, in presenza di un altro e diverso istituto : l indennità di fine servizio. Com è noto le indennità di fine servizio hanno natura previdenziale, prevedendo una contribuzione mensile a carico sia del datore di lavoro che del lavoratore, commisurata in misura percentuale sulla retribuzione. In particolare, va rilevato che le modalità di determinazione della misura delle indennità di fine servizio sono in molti casi più favorevoli rispetto al TFR, in quanto prevedono come base di calcolo l ultima retribuzione percepita in attività di servizio. Quindi il tasso di rendimento implicito dell indennità di buonuscita corrisponde alla
7 dinamica individuale della retribuzione di ogni singolo lavoratore. Ne consegue che, in particolare per i lavoratori che possono vantare carriere brillanti, le vecchie indennità di fine servizio possono comunque mostrare una convenienza maggiore rispetto al nuovo istituto dei fondi pensione. Tale considerazione potrebbe quindi condizionare il livello di adesione dei lavoratori in servizio al 2000, inducendo i dipendenti che ritengono di poter contare, nel corso della loro carriera, sull aspettativa di sensibili progressi nel proprio inquadramento, a mantenere il vecchio istituto dell indennità di fine servizio (rinunciando quindi alla possibilità di aderire ai fondi pensione). Appare peraltro evidente che, per gli stessi motivi, i lavoratori che ritengono di non poter contare su sensibili miglioramenti nel corso della loro carriera, dovrebbero riscontrare una assoluta convenienza nell opzione per il TFR e nell adesione al fondo pensione. Tale convenienza è determinata da ben tre diversi fattori: a) la possibilità di usufruire del versamento del datore di lavoro (che, in fase di prima attuazione, è stato finora fissato all 1% della retribuzione); b) il riconoscimento di una maggiore contribuzione figurativa pari all 1,5% (di tale quota non beneficiano però i dipendenti degli enti pubblici non economici, degli enti di sperimentazione e ricerca e degli enti il cui personale non è iscritto alle gestioni dell INPDAP); c) le agevolazioni fiscali concesse sulla quota versata direttamente dal lavoratore. Alcune simulazioni effettuate al fine di verificare la convenienza dell opzione per il TFR mostrano ad esempio che nel comparto della scuola, sulla base della progressione delle retribuzioni prevista dai contratti vigenti, si dovrebbe verificare, per la grande maggioranza dei dipendenti in servizio, la convenienza per i lavoratori ad aderire alle forme pensionistiche complementari. b) gli incentivi previsti per l immediata adesione ai fondi pensione: Il DPCM del 2 marzo 2001 ha previsto che, per coloro che saranno associati ai fondi pensione nel corso del primo e del secondo anno di operatività degli stessi, verrà attribuito al fondo un ulteriore contributo aggiuntivo a valere sui fondi stanziati a carico dello Stato, in misura non superiore, rispettivamente, al contributo del datore di lavoro (per il primo anno) e
8 della metà dello stesso (per il secondo anno). Tale forma di incentivo, che non è prevista per i fondi pensione dei dipendenti privati, dovrebbe determinare una rapida crescita delle adesioni nei fondi pensione dei pubblici dipendenti, consentendo, già alla fine del secondo anno dalla data di avvio dei fondi, di raggiungere un elevato numero di iscritti 3. Il disegno di legge delega al Governo in materia previdenziale (A.C. 2145) e i fondi pensione dei dipendenti pubblici Come è noto, il disegno di legge delega al Governo in materia previdenziale attualmente all esame della Camera dei Deputati prevede alcune forme di incentivazione ai fondi pensione, tra cui vanno ricordate: 1) il conferimento del trattamento di fine rapporto maturando alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124; 2) l'individuazione di forme tacite di conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi istituiti in base ai contratti e accordi collettivi. Lo stesso disegno di legge prevede tuttavia che tali principi vadano applicati progressivamente ai lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni. E ovvio che l introduzione dei predetti principi potrebbe modificare radicalmente il quadro finora definito per quanto riguarda la previdenza complementare dei dipendenti pubblici. In particolare, vanno sottolineati i seguenti aspetti: a) i principi contenuti nel disegno di legge delega non dovrebbero modificare il quadro attuale, che prevede la natura virtuale del TFR dei dipendenti pubblici. Va infatti sottolineato che tale aspetto (di cui è evidente la peculiarità rispetto a quanto previsto per il mondo del lavoro privato) è reso necessario dagli elevatissimi costi per la finanza pubblica che sarebbero altrimenti determinati dalla transizione da un istituto previdenziale, fondato sul principio della ripartizione (l attuale indennità di buonuscita o fine servizio) ad una forma di salario differito (come il TFR). b) ferma restando la natura virtuale del TFR dei dipendenti pubblici, l esercizio della
9 delega potrebbe incentivare la scelta dei dipendenti pubblici a favore del TFR e dei fondi pensione. Qualora venisse attuata tale previsione, il quadro delle adesioni alla previdenza complementare finora ipotizzate dei pubblici dipendenti risulterebbe ovviamente modificato.
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