SED LEX. Dossier anno 3 n La responsabilità contrattuale del medico: riflessioni in tema di nesso causale

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1 SED LEX Dossier anno 3 n La responsabilità contrattuale del medico: riflessioni in tema di nesso causale Premessa...2 Il riparto dell'onere della prova...3 Il rapporto di causalità e le teorie interpretative elaborate in sede penale...6 La teoria condizionalistica o della "condicio sine qua non"...7 La teoria della causalità adeguata...8 La teoria della causalità umana...8 Le teorie più recenti...8 Il rapporto di causalità e le teorie interpretative civilistiche sulla responsabilità del medico...10 Sulla natura della responsabilità del medico...13 Sul riparto dell'onere della prova...14 Sul nesso causale...18 Dossier SED Lex anno 3, n.6, aprile 2012 Editore Zadig via Ampére59, Milano Direttore: Roberto Satolli segreteria@zadig.it Redazione: Nicoletta Scarpa tel.: fax: Autore dossier: Katia Scarpa

2 1. Premessa Una delle questione più dibattute sul tema della responsabilità medica è quella relativa alla natura (contrattuale o extracontrattuale) dell'obbligo di risarcire i danni sofferti dal paziente. L elaborazione giurisprudenziale di recente è giunta a ritenere che si tratti di responsabilità contrattuale, anche con riguardo al rapporto diretto con il medico operante in una struttura sanitaria pubblica. In passato, però, mentre appariva pacifico che la struttura sanitaria alla quale il paziente si rivolge dovesse rispondere a titolo contrattuale dei danni verificatisi in occasione del trattamento, dubbi si ponevano con riguardo al rapporto del paziente con il medico dipendente di una struttura sanitaria pubblica. Si era soliti distinguere, in particolare tre diversi profili di responsabilità contrattuale: quello della struttura privata con la quale il paziente abbia concluso un vero e proprio contratto; quello del presidio sanitario con il quale il paziente, al momento del ricovero, abbia concluso un contratto atipico, dal contenuto complesso, talvolta denominato contratto di spedalità; quello del medico, operante in via autonoma con proprio ambulatorio, con il quale il paziente abbia concluso uno specifico contratto di prestazione professionale. Incerto, invece, era il titolo in base al quale dovesse essere chiamato a rispondere dei danni, il medico dipendente da una struttura sanitaria pubblica, che non avesse direttamente stipulato un contratto con il paziente affidato alle sue cure. Secondo una linea di pensiero i danni causati nell ambito dell attività medica davano luogo a un concorso di responsabilità verso due soggetti distinti: la struttura rispondeva nei confronti del paziente a titolo contrattuale; il medico dipendente, invece, terzo rispetto al contratto concluso con l accettazione e il ricovero, rispondeva in via aquiliana per i pregiudizi causati nell espletamento delle cure. La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.598 ha ritenuto, invece, che <<L'obbligazione del medico dipendente per responsabilità professionale nei confronti del paziente si fonda sul " contatto sociale "caratterizzato dall'affidamento che il malato ripone in colui che esercita una professione protetta che ha per oggetto beni costituzionalmente tutelati. La natura contrattuale di tale obbligazione è individuata con riferimento non alla fonte ma al contenuto del rapporto. Dalla natura contrattuale della responsabilità del medico dipendente deriva che il regime della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli propri delle obbligazioni da contratto di prestazione d'opera professionale. Con particolare riguardo all'onere della prova, se l'intervento è di facile o "routinaria" esecuzione si applica il princi - pio della "res ipsa loquitur" e il medico, per andare esente da responsabilità, deve provare che l'insuccesso dell'operazione non è dipeso da un difetto di diligenza proprio>>. La giurisprudenza successiva alla menzionata pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n.598/1999, perciò, ha ritenuto che anche la responsabilità del medico dovesse ricondursi nell'alveo della responsabilità contrattuale, con rilevanti conseguenze in tema di riparto dell'onere della prova

3 2. Il riparto dell'onere della prova Ricondotta nell'ambito contrattuale, la responsabilità del medico impone l'applicazione della regola dell onere probatorio tra le parti, per cui il paziente deve provare la fonte contrattuale del suo diritto, nonché dei danni subiti, e il medico convenuto, a fronte della semplice allegazione dell inadempimento, ha l'onere di dimostrare quei fatti che si rivelino idonei a integrare la prova liberatoria. Con la sentenza n.14405, al riguardo, il Supremo Collegio ha precisato che <<Il rapporto che si instaura tra paziente e medico della struttura ospedaliera, trova la sua fonte nel contatto sociale, pertan - to, il sanitario, per andare esente da responsabilità, dovrà fornire la prova del fatto dell'adempimento del - l'obbligo di protezione, dando la descrizione delle esatte modalità di intervento, nonché delle precise condizioni del paziente a partire dal momento in cui lo ha avuto in cura sino all'evento o, comunque, alle dimissioni>>. Nel medesimo senso si è espressa con la sentenza n.23562, con la quale ha affermato il principio per cui <<In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata dai genitori per ottenere il ristoro dei danni in conse - guenza della condotta colposa tenuta dai sanitari dell'ospedale civile in occasione del parto; condotta dalla quale erano derivati gravissimi danni al figlio minore)>>. E ancora, la Cassazione civile sez. III, con la recente sentenza n ha chiarito che << La responsabilità del medico e della struttura sanitaria ha natura contrattuale e la ripartizione dell'onere della prova prevede che il danneggiato debba provare il rapporto sanitario, la prestazione medica negligente e la lesione alla salute, restando a carico del medico inadempiente la prova di cause giustificative del proprio inadempimento o di elementi che interrompano il nesso causale tra negligenza e danno, secondo un criterio di causalità civilistico e probabilistico>>. In particolare, con la sentenza n.17694, la sezione VI della Cassazione civile ha espresso il convincimento per cui <<In caso di prestazione professionale medico-chirurgica di routine, spetta al professionista superare la presunzione che le complicanze siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto e imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento>>. E infatti, occorre ricordare che - secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato nella valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa rileva se la prestazione effettuata dal medico sia di facile e routinaria esecuzione ovvero implichi, secondo quanto previsto dall'art c.c., «la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà». Con la sentenza n.6141, la Suprema Corte ha precisato che un intervento viene considerato di facile e routinaria esecuzione quando «non richiede una particolare abilità, essendo sufficiente una preparazione professionale ordinaria, e il rischio di esito negativo o addirittura peggiorativo è minimo». In tali ipotesi, infatti, si ritiene che il risultato positivo derivi dall'opera prestata secondo un nesso di deriva - zione naturale, quando siano rispettate le leges artis che a quell'opera presiedono e non intervengano fattori imprevedibili e inevitabili che, rendendo impossibile il conseguimento del risultato, vanno a escludere la responsabilità del medico. Pertanto, quando il paziente abbia provato in giudizio che l'intervento subito e/o le successive prestazioni postoperatorie erano di facile esecuzione, di avere subito un peggioramento a seguito dell'intervento e/o delle prestazioni postoperatorie e che tale peggioramento è una conseguenza diretta dell'operato del medico, nel senso che le sue condizioni sono deteriori rispetto a quelle preesistenti, opera una presunzione della inadeguata o non diligente esecuzione della prestazione professionale, ovvero una presunzione di colpa lieve ai sensi dell'art c.c. e il medico sarà ritenuto responsabile delle conseguenze lesive del paziente, salvo che il medico dimostri che l'esito negativo dell'intervento sia stato causato dal sopravvenire di eventi imprevisti o imprevedibili o dalla persistenza di una particolare condizione fisica del paziente, non accertabile col criterio della ordinaria diligenza professionale. Qualora, invece, il risultato positivo richieda una particolare abilità e perciò implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (con un margine di rischio più elevato), una volta provata dal medico la difficoltà dell'intervento sarà il paziente a dover dimostrare le modalità di esecuzione dell'intervento nelle sue varie fasi

4 Sulla questione la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 09 novembre 2006 n ha espresso il convincimento per cui <<In tema di responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del professionista, restando a carico dell'obbligato l'onere di provare l'esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà rileva soltanto per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà. >>. Non diversamente, con la sentenza 24 maggio 2006 n.12362, i giudici di legittimità hanno ritenuto che <<...in tema di responsabilità professionale del medico-chirurgo, sussistendo un rapporto contrattuale (quand'anche fondato sul solo contatto sociale), in base alla regola di cui all'art cod. civ. il paziente ha l'onere di allegare l'inesattezza dell'inadempimento, non la colpa nè, tanto meno, la gravità di essa, dovendo il difetto di colpa o la non qualificabilità della stessa in termini di gravità (nel caso di cui all'art cod. civ.) essere allegate e provate dal medico (Cass n ).>> Più di recente, la Corte di Cassazione ha ribadito il medesimo principio con la sentenza n per cui <<L'esonero di responsabilità di cui all'art c.c.. non incide sui criteri di riparto dell'onere della prova; costituendo, invece, onere del medico, per evitare la condanna in sede risarcitoria, provare che l'insuccesso dell'intervento è dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà e tale prova va fornita dimostran - do di aver osservato nell'esecuzione della prestazione sanitaria la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione>> L'interpretazione più recente della giurisprudenza di legittimità, pertanto, conduce a concludere nel senso che una volta accertato il nesso eziologico tra l'evento dannoso e la prestazione sanitaria, quando l'intervento chirurgico da cui è derivato un danno non è di difficile esecuzione, l'aggravamento della situazione patologica del paziente o l'insorgenza di nuove patologie eziologicamente ricollegabili ad esso comportano, a norma dell'art.1218 c.c., una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione, spettando all'obbligato (e dunque al medico) fornire la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo idoneo e che quegli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile, eventualmente in dipendenza di una particolare condizione fisica del paziente, non accertabile e non evitabile con l'ordinaria diligenza professionale (così Cass n.3492). Diverso avviso, invece, aveva manifestato in precedenza, il Supremo Collegio, con la decisione n.1127 per cui <<Al fine di stabilire a chi compete l'onere della prova in tema di responsabilità per danni da intervento chirurgico occorre distinguere l'ipotesi in cui l'intervento operatorio sia di difficile esecuzione, da quello in cui l'intervento sia di facile o rutinaria esecuzione nel primo caso, una volta provato dal professionista che la prestazione implica problemi tecnici di particolare difficoltà, è il paziente che deve dimostrare, ai fini dell'accertamento della responsabilità del predetto, in modo preciso e specifico, le modalità - ritenute non idonee - di esecuzione dell'atto e delle prestazioni postoperatorie; nel secondo caso, provata dal paziente la non difficile esecuzione dell'intervento richiesto, incombe al professionista l'onere di di - mostrare - al fine di andare esente da responsabilità - che l'insuccesso dell'operazione non è dipeso dal difetto di propria diligenza o perizia>>. Di interesse, al riguardo è la recente sentenza del Tribunale di Modena, n.871, con la quale il Giudice di merito ha chiaramente affermato che <<Prendendo in considerazione le pronunce della Suprema Corte che hanno delineato i cardini ermeneutici della materia, le conseguenze sulla ricostruzione civilistica della responsabilità sanitaria possono essere così riassunte: a) sarà a carico del sanitario provare la correttezza del suo operato, secondo i criteri di diligenza, prudenza e perizia sopra evidenziati, anche negli interventi di difficile esecuzione (con la conseguenza che ove residui incertezza sul suo operato l'inadempimento risulterà accertato in base alla regola dell'onere probatorio) b) sarà a carico del paziente l'onere della prova del nesso causale, (con i criteri della probabilità logica), prova generalmente fornita per presunzioni e mediante prova di fatti secondari: quindi negli interventi di facile esecuzione la prova del fatto secondario (ad es. peggioramento dello stato di salute, esito infausto dell'operazione) potrà essere sufficiente per ritenersi provato il nesso casuale, negli interventi di alta specialità, invece, la prova dei fatti secondari non sarà sufficiente e sarà onere del paziente provare che nel caso concreto si è veri - ficata la regola astratta, che non vi sono causa alternativa e così dicendo, secondo una ricostruzione del nesso causale non probabilistica ma razionale e logica.>> Questione centrale, nell'ambito del più ampio tema del riparto dell'onere della prova della responsabilità medica, dunque, è quella del nesso causale e precisamente della prova che il danno sia conseguenza "immediata - 4 -

5 e diretta" della condotta negligente del medico o della struttura sanitaria e non sussistano, ex adversa, cause interruttive del nesso causale tra negligenza e danno che vadano a giustificare il comportamento del medico ovvero della struttura sanitaria. Di seguito, pertanto, - senza pretesa di esaustività - si esaminerà l'approdo giurisprudenziale in tema di nesso causale del medico e della struttura sanitaria

6 3. Il rapporto di causalità e le teorie interpretative elaborate in sede penale Secondo quanto dispone l art.1223 c.c. il danno è risarcibile solo qualora sia conseguenza "immediata e diretta" dell inadempimento o del ritardo. E infatti, la norma sopra menzionata espressamente dispone che <<Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta >>. La norma in parola, però, non appare sufficiente a individuare i principi a cui riferirsi nell'accertamento della responsabilità contrattuale di un sanitario. Occorre, al riguardo, ricordare in premessa che, secondo l'orientamento interpretativo allo stato prevalente, con tale disposizione il legislatore abbia presupposto già risolto il problema della responsabilità (art.1218 c.c.) volendo riferirsi soltanto al c.d. "danno risarcibile", e cioè alle sole conseguenze pregiudizievoli "imme - diate e dirette" derivanti dal comportamento negligente (e/o omissivo) del sanitario. Si afferma, infatti, che l'art.1223 c.c. debba essere posto in relazione con la disposizione contenuta nell'art.2043 c.c., la quale declina il concetto di danno sotto due diverse accezioni: (i) quella del danno "ingiusto" (che indica la lesione di un interesse meritevole di tutela per l'ordinamento giuridico) e (ii) quella del danno "risarcibile" (che si riferisce alle conseguenze economiche pregiudizievoli del fatto). Con riguardo al primo (evento lesivo), il nesso causale svolge la funzione di imputare al responsabile il fatto illecito (in questo caso si è soliti parlare di "causalità di fatto o naturale o materiale"); con riferimento al danno "risarcibile", il nesso di causalità svolge, invece, la funzione di misura del danno cagionato (e in tal caso si è soliti parlare di "causalità giuridica"). A favore di detta scomposizione si è orientata in modo espresso la giurisprudenza di legittimità a far data dalla storica sentenza sul caso Meroni (n. 174/1971), nella quale si legge: "è noto che, in tema di responsabilità civile, il problema della causalità si presenta sotto un duplice aspetto: il primo, che attiene al nesso causale fra la condotta del soggetto agente, a lui imputabile a titolo di dolo o di colpa, e l'evento ( ); il secondo che, presupponendo integro in tutti i suoi aspetti lo schema ora delineato (condotta - nesso causale - evento), attiene alla derivazione causale del danno, di cui si pretende il risarcimento, dall'evento e che è considerato e disciplinato dall'art. 1223". Per l accertamento del ne ss o d i c a us a lità c. d. giur id ic a tra evento lesivo e danni conseguenti, dunque, risulta pressoché pacifico in giurisprudenza e in dottrina il principio per cui occorre far riferimento, ai sensi dell art.1223 c.c., al criterio della c.d. regolarità causale, alla stregua del quale sono risarcibili i danni immediati e diretti in quanto siano normale conseguenza dell evento lesivo, secondo l id quod plerumque accidit o secondo la comune esperienza. Questioni interpretative irrisolte, invece, si pongono con riguardo all'accertamento del ne ss o d i ca us a lità ma - te r ia le tra un fatto e un evento di danno. L'art c.c., infatti, non chiarisce se - nell'ambito dell'indagine volta a giudicare l'eventuale esistenza della responsabilità del medico per potersi ravvisare la sussistenza del nesso di causalità fra condotta omissiva ed evento occorra provare che, con il comportamento dovuto e omesso, l'evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità vicino alla certezza, ovvero siano sufficienti, a tal fine, soltanto serie e ap - prezzabili probabilità di successo della condotta che avrebbe potuto impedire l'evento. Si registra, d'altra parte, una continua oscillazione di vedute. Da una parte, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.581 ha affermato che «Il nesso di causalità è regolato, anche in materia civile, dall'applicazione dei principi generali che regolano la causalità di fatto, delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e temperati dalla regolarità causale». E allora (come si approfondirà tra breve) sembrerebbe doversi concludere che - nell'accertamento dell'esistenza del nesso causale - per aversi la responsabilità del medico debba seguirsi la regola, vigente nell'ambito del diritto penale, della necessità di accertare che il comportamento omesso avrebbe impedito l'evento dannoso, con un grado di probabilità <<prossimo alla certezza>> e cioè ritenere, nell'ambito di una pluralità di casi la percentuale <<quasi prossima a cento>>. Con la sentenza n.22837, infatti, la sezione III del Supremo Collegio ha affermato il principio per cui <<In tema di responsabilità del medico da nascita indesiderata, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità tra l'omessa rilevazione e comunicazione della malformazione del feto e il mancato esercizio, da parte della madre, della facoltà di ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza, è sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa di quella facoltà se fosse stata informata della grave malformazione del feto, essendo in ciò implicita la ricorrenza delle condizioni di legge per farvi ricorso, tra le quali (dopo il novantesimo giorno di gestazione) v'è il pericolo per la salute fisica o psichica derivante dal trauma connes

7 so all'acquisizione della notizia, a norma dell'art. 6 lett. b) l. n. 194 del 1978; l'esigenza di prova al riguardo sorge solo quando il fatto sia contestato dalla controparte, nel qual caso si deve stabilire - in base al criterio (integrabile da dati di comune esperienza evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali) del "più probabile che non" e con valutazione correlata all'epoca della gravidanza - se, a seguito dell'informazione che il medico omise di dare per fatto a esso imputabile, sarebbe insorto uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna>>. D'altra parte, però, con la menzionata sentenza n il Supremo Collegio ha ritenuto che il medico inadempiente per essere esonerato da responsabilità ha l'onere di provare l'esistenza di elementi interruttivi del nesso causale, <<secondo un criterio di causalità civilistico e probabilistico.>> e, perciò, per la responsabilità del medico, sembrerebbero sufficienti «serie e apprezzabili probabilità di successo» per l'azione impeditiva dell'evento. Secondo tale indirizzo interpretantivo, dunque, quand'anche il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta (e perciò in presenza di margini di relatività), la responsabilità del medico dovrebbe essere comunque affermata. Nell'ambito di tale orientamento interpretativo, vi è, poi, chi riconduce la verifica del grado di probabilità che l'azione omissiva del medico avrebbe evitato l'evento dannoso al criterio della c.d. probabilità scientifica. Ed allora, ai fini dell'accertamento della causalità, si ritiene doversi verificare se esista una legge scientifica in base alla quale un dato evento è conseguenza di un determinato antecedente per cui - indipendentemente dal grado di percentuale probabilistica di tale evenienza doversi concludere nel senso della responsabilità del medico che non abbia posto in essere tutti quegli accorgimenti diagnostici necessari a prevenire le conseguente dannose sofferte dal paziente. Sotto questo aspetto, è di interesse la sentenza n la sezione VI della Cassazione civile per cui <<In caso di prestazione professionale medico-chirurgica di routine, spetta al professionista superare la presunzione che le complicanze siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto e imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento>>. In sede di elaborazione dottrinaria, peraltro, le teorie che hanno cercato di chiarire il concetto di casualità fissato dal legislatore si sono moltiplicate nel tempo. Senza pretesa di esaustività, ma soltanto per agevolare lo studio del pensiero a cui è approdata la giurispru - denza più recente, di seguito merita ricordare le teorie più note. La teoria condizionalistica o della "condicio sine qua non" In base alla c.d. TEORIA DELLA CONDICIO SINE QUA NON, deve considerarsi causa ogni singola condizione dell evento dannoso, ogni antecedente senza il quale l evento non sarebbe venuto in essere. Tale teoria parte dalla considerazione che ogni evento è prodotto da una serie di condizioni antecedenti non distinguibili tra loro per efficacia causale e, perciò, considerate tutte equivalenti ai fini del realizzarsi dell evento stesso; affinché, dunque, la condotta umana possa essere considerata causa dell evento basta che costituisca una delle condizioni antecedenti che concorrono al suo realizzarsi. Secondo tale tesi interpretativa, dunque, per aversi rapporto di casualità sarebbe sufficiente che il medico abbia realizzato una qualsiasi delle condizioni per cui si è verificato l evento dannoso, con il limite di portare a una eccessiva estensione la responsabilità. E infatti considerando equivalenti tutte le condizioni che concorrono alla produzione di un evento dannoso, si arriva a considerare rilevanti anche gli antecedenti più remoti, fino a giustificare conclusioni paradossali. In concreto, dunque, in sede di accertamento della responsabilità, il meccanismo logico per individuare quando un evento possa ritenersi causato da una certa condotta è rappresentato dal c.d. giudizio controfattuale (o contrario ai fatti), basato su una valutazione ex post (cioè dopo la produzione dell evento) e in concreto della eziogenesi dell evento. Detto giudizio si sostanzia in un procedimento di ideale eliminazione mentale del fattore (condotta umana) dato per condizionante, per verificare se senza questo l evento si sarebbe ugualmente prodotto. Sbocco naturale di tale giudizio è, dunque, la doppia formula (positiva e negativa), secondo la quale: la condotta umana è causa dell evento se senza di essa l evento non si sarebbe verificato (formula positiva), mentre non può ritenersi da essa causato quando, senza di essa, l evento si sarebbe verificato ugualmente (formula negativa)

8 La teoria della causalità adeguata In base alla c.d. TEORIA DELLA CAUSALITA ADEGUATA il rapporto di causalità esiste quando un soggetto ha determinato l evento dannoso con un azione proporzionata, "adeguata" e cioè idonea a determinare l effetto in chiave di probabilità. Secondo tale teoria, causa dell evento non è una qualsiasi delle condizioni che costituiscono l antecedente necessario dell evento, bensì solo quella condizione che secondo l id quod plerumque accidit (cioè secondo comune esperienza) è la più idonea a produrlo. Il limite di tale linea interpretativa è di essere poco rigorosa ed esclusivamente empirica, perché riconduce la verifica della responsabilità dell agente a concetti generici e ambigui quale la comune esperienza e perché finisce con il considerare atipici quegli effetti di cui siano ancora ignoti ai più i meccanismi del processo di produzione. La teoria della causalità umana La TEORIA DELLA CASUALITA UMANA, partendo dalla considerazione che l uomo è un essere fornito di coscienza e volontà, ritiene che esista una sfera d azione che l uomo può dominare in virtù dei suoi poteri conoscitivi e volitivi e, conseguentemente, che solo i risultati che rientrano in questa sfera possono considerarsi causati dall uomo, perché se anche egli non li ha voluti, sarebbe stato, nella condizione di impedirli. Ciò che sfugge alla memoria dell uomo è solo l evento eccezionale, cioè quel fatto che non ha una probabilità minima, insignificante di verificarsi, che si verifica in casi rarissimi. Per l esistenza del rapporto di casualità, perciò, occorre: che il soggetto abbia posto in essere una condizione dell evento, e cioè un antecedente senza il quale l evento non si sarebbe verificato; che il verificarsi dell evento non dipenda dal concorso di fattori causali. Tale tesi interpretativa è stata seguita a lungo dalla giurisprudenza, ma è stata criticata da quella parte della dottrina che ha osservato che essa finisce col creare contaminazioni tra il nesso di casualità e l elemento soggettivo, finendo col confonderli. Le teorie più recenti Le teorie più recenti, riportandosi alla tesi della casualità umana, riconducono il rapporto casuale nell ambito delle LEGGI SCIENTIFICHE e ritengono che una condotta è causa di un evento dannoso quando sia condicio sine qua non per il prodursi dell evento, secondo la miglior scienza ed esperienza di un certo momento storico e l evento era prevedibile come conseguenza verosimile di essa, secondo la miglior scienza ed esperienza di un certo momento storico. L individuazione di una legge scientifica c.d. di copertina, quindi costituisce il presupposto per accertare se una condotta umana sia o meno causa di un evento dannoso. Si tratta di una legge scientifica che NON deve necessariamente essere UNIVERSALE e cioè dire che a una certa condotta consegua sempre e necessariamente un certo evento (con certezza), ma può trattarsi di una legge statistica, basata su un criterio di alto grado di probabilità che a una certa condotta segua un certo evento. Critiche a tali teorie sono state mosse da quanti ha rilevato che non sarebbe chiara la differenza tra fattori atipici ed eccezionali. La dottrina più recente, richiamandosi alla teoria della condicio sine qua non, ha osservato che la obiezione dell eccesiva estensione del concetto di causa non tiene conto della operatività del dolo e l ambito di rilevanza di tutti i possibili antecedenti del risultato lesivo (così Fiandaca Musco). Il rapporto di casualità deve intercorrere tra la condotta e l evento concreto e non in astratto e perciò, nel caso in cui in ipotesi si sarebbe potuta verificare un altra causa dell evento contemporanea alla condotta dell agente, occorre verificare in concreto quale sia il fattore causale che ha determinato le conseguenze dannose. Il procedimento di eliminazione mentale (per cui un azione è condicio sine qua non di un evento, se non può mentalmente essere eliminata senza che l evento stesso venga meno) non deve essere applicato in modo acritico e perciò deve ritenersi che nel caso di un evento prodotto dal concorso di più condizioni, venute in essere separatamente e indipendentemente, capaci di produrre ciascuna da sola l evento dannoso, hanno efficacia - 8 -

9 causale le condizioni dell evento che, cumulativamente considerate, ne costituiscono un presupposto necessario e che lo sarebbero alternativamente se l altra condizione mancasse (Fiandaca Musco)

10 4. Il rapporto di causalità e le teorie interpretative civilistiche sulla responsabilità del medico Come si è anticipato, nel tentativo di individuare una regola di accertamento del nesso di causalità materiale tra un fatto e un evento di danno, anche nell'ambito delle elaborazioni interpretative di diritto civile, si è soli - ti ricondurre il complesso tema del nesso causale alle soluzioni prospettate dai teorici di diritto penale. La questione, però, non è ancora risolta. Da una parte vi sono decisioni in cui il Supremo Collegio richiamando integralmente i principi di diritto pe - nale, ha ritenuto che, in sede di valutazione dell'esistenza del nesso causale, per aversi la responsabilità del medico debba seguirsi la regola della necessità di accertare che il comportamento omesso avrebbe impedito l'evento dannoso, con un grado di probabilità <<prossimo alla certezza>> e cioè ritenere nell'ambito di una pluralità di casi una percentuale <<quasi prossima a cento>>. Sotto questo aspetto vale segnalare la sentenza n.581 con la quale è stato espressamente enunciato il principio per cui «Il nesso di causalità è regolato, anche in materia civile, dall'applicazione dei principi generali che regolano la causalità di fatto, delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e temperati dalla regolarità causale». La teoria condizionalistica, così, dal diritto penale estende i suoi effetti nell'ambito del diritto civile per cui la responsabilità del medico dev'essere dichiarata ogni qualvolta, tra le serie causali possibili (ovvero non del tutto inverosimili) la condotta omissiva (ovvero negligente) del sanitario sia astrattamente idonea a produrre l'evento. Sulla base di tale principio, la Suprema Corte, in passato, ha ritenuto che <<La possibilità, pur rigorosamente prospettata sotto il profilo scientifico, che la morte della persona ricoverata presso una struttura sanitaria possa essere intervenuta per altre, ipotetiche cause patologiche, diverse da quelle diagnosticate e inadeguatamente trattate, che non sia stato tuttavia possibile accertare neppure dopo il decesso in ragione della difettosa tenuta della cartella clinica o della mancanza di adeguati riscontri diagnostici (anche autoptici), non vale a escludere la sussistenza di nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla>>. Ciò, perché <<In tema di nesso di causalità ex art c.c., tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un even - to dannoso non si sarebbe verificato debbono considerarsi sue cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima o in via indiretta e remota, salvo il temperamento di cui all'art. 41 comma 2 c.p., secondo cui la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento esclude il nesso eziologico fra questo e le altre cause antecedenti, facendole scadere al rango di mere occasioni; di guisa che, per escludere che un determinato fatto abbia concorso a cagionare un danno, non basta affermare che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in mancanza di quel fatto, ma occorre dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell'antecedente>>. Di conseguenza, perciò, ha ritenuto responsabile il medico, tenuto conto che la sua condotta omissiva e negligente (peraltro aggravata dall'aver tenuto la cartella clinica in modo incompleto) era astrattamente idonea a cagionare l'evento letale. E ciò, ancorché il danno avrebbe potuto verificarsi anche in assenza di quel fatto, poiché non era stato dimostrato che - avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, - il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell'antecedente (così Cassazione civile, sez. III, 13 settembre 2000, n ). In taluni casi, la giurisprudenza di legittimità ha fatto ricorso alla teoria della c.d. causalità adeguata e, così, con la decisione n.16123, la Suprema Corte ha ritenuto che <<In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli art. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - a una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio". Ne consegue, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, che, essendo quest'ultimo tenuto a espletare l'attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe im - pedito il verificarsi dell'evento stesso

11 Altra parte della giurisprudenza di legittimità tende a dissociare i criteri validi per la determinazione del nesso eziologico rispettivamente in sede penale e in sede civile e - rimarcando gli aspetti di distinzione tra processo penale e processo civile e tra funzioni ascrivibili ai due tipi di responsabilità, - ha formulato un ipotesi di ritorno all impiego di criteri probabilistici di grado anche non elevato, ma sufficienti a dimostrare l esi - stenza di serie e apprezzabili possibilità della condotta diligente, in ipotesi mancata, di evitare il prodursi dell evento lesivo. Al criterio della certezza degli effetti della condotta, perciò, è stato sostituito il criterio della sola mera probabilità. E così, con la sentenza n.22837, la sezione III del Supremo Collegio ha affermato il principio per cui <<In tema di responsabilità del medico da nascita indesiderata, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità tra l'omessa rilevazione e comunicazione della malformazione del feto e il mancato esercizio, da parte della madre, della facoltà di ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza, è sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa di quella facoltà se fosse stata informata della grave malformazione del feto, essendo in ciò implicita la ricorrenza delle condizioni di legge per farvi ricorso, tra le quali (dopo il novantesimo giorno di gestazione) v'è il pericolo per la salute fisica o psichica derivante dal trau - ma connesso all'acquisizione della notizia, a norma dell'art. 6 lett. b) l. n. 194 del 1978; l'esigenza di prova al riguardo sorge solo quando il fatto sia contestato dalla controparte, nel qual caso si deve stabilire - in base al criterio (integrabile da dati di comune esperienza evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali) del "più probabile che non" e con valutazione correlata all'epoca della gravidanza - se, a seguito dell'informazione che il medico omise di dare per fatto ad esso imputabile, sarebbe insorto uno stato depressivo su - scettibile di essere qualificato come grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.>> D'altra parte, però, con la menzionata sentenza n il Supremo Collegio ha ritenuto che il medico inadempiente ha l'onere di provare l'esistenza di elementi interruttivi del nesso causale, <<secondo un criterio di causalità civilistico e probabilistico.>> e, perciò, per aversi la responsabilità del medico, sembrerebbero sufficienti «serie ed apprezzabili probabilità di successo» per l'azione impeditiva dell'evento. Sotto quest'ultimo aspetto è di interesse la decisione della Suprema Corte di Cassazione civile sez. III, 29 marzo 2001 n.4609, con la quale è stato ritenuto che <<Nel caso di morte per arresto cardiaco di un bambino di tre mesi, provocato da una situazione di accentuata ed ingravescente ipossia, sussiste la colpa professionale dei medici per aver effettuato inutili tentativi d'intubazione laddove lo stato del paziente avrebbe imposto l'alternativo ricorso a tracheotomia ovvero a laringofissurazione, interventi di emergenza che sebbene accompagnati dalla possibile verificazione dell'evento letale sono tuttavia doverosi tutte le volte in cui sussista la certezza di un inevitabile esito infausto in loro assenza>>. Ed infatti <<Nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità del medico chirurgo per non aver eseguito un intervento operatorio ed avere, in ipotesi, così causato il decesso del paziente, al giudice di merito è demandato il compito di operare una rigorosa e motivata comparazione, ai fini della valutazione della condotta del medico stesso, tra le due possibili ipotesi, da formulare da parte di quest'ultimo, della certezza di un esito inevitabile in assenza dell'intervento di emergenza e della possibilità che l'evento letale comunque si verifichi a causa dell'intervento, posto che in tal caso l'intervento di emergenza, anche se ad altissimo rischio, è pur tuttavia doveroso.>. Da altri interpreti, infine, si è ritenuto di risolvere la questione dell'accertamento del nesso causale nella responsabilità civile del sanitario, ricorrendo alla c.d. tecnica della perdita della chance. In particolare, con riguardo alla c.d. causalità omissiva, si ritiene doversi far precedere l'accertamento dell'esistenza di una relazione di causa - effetto tra omissione e danno, dalla valutazione della possibile incidenza che l'azione omessa avrebbe avuto sull'evitabilità dell'evento. E così nel caso di omissione di diagnosi ovvero di ritardo nella terapia, si ritiene che il giudice di merito debba valutare l'evento conseguente (e cioè la morte, ovvero l'aggravarsi della patologia) in termini di <<perdita di chance>> di sopravvivenza o di miglior qualità della vita. Avendo riguardo, quindi, all'elaborazione interpretativa giuspenalistica della c.d. teoria dell'aumento del rischio, è stato ritenuto che quand'anche non sia certo che la condotta diligente avrebbe impedito il verificarsi dell'evento, è sufficiente che l'inosservanza della regola di condotta ha determinato un rilevante aumento del rischio di verificazione dell'evento medesimo. Sotto questo aspetto merita ricordare la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione sez.iii civ. del 04 marzo 2004 n.4400, a tenore della quale <<In una situazione in cui è certo che il medico ha dato alla patologia sottopostagli una risposta errata o in ogni caso inadeguata, è possibile affermare che, in presenza di fatto - ri di rischio, detta carenza, che integra l'inadempimento della prestazione sanitaria, aggrava la possibilità che l'esito negativo si produca. Non è possibile affermare che l'evento si sarebbe o meno verificato, ma si

12 può dire che il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle " chances ", che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta (segnatamente se si era portato in ambiente ospedaliero). La chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto, ma un'entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale. La domanda per perdita di " chances " è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato. Infatti, in questo secondo caso la stessa collocazione logico giuridica dell'accertamento probabilistico attiene alla fase di individuazione del nesso causale, mentre nell'altro caso attiene al momento della determinazione del danno, poiché le " chan - ces " diventano l'oggetto immediato della perdita e quindi il fondamento dell'obbligazione risarcitoria>>. In precedenza, con la sentenza 13 maggio 1982 n.3013, la sez. III della Corte di Cassazione aveva ritenuto che <<L'indagine sulla sussistenza del nesso di causalità fra un'affezione o lesione personale ed una terapia medica di un intervento chirurgico, al fine dell'eventuale responsabilità risarcitoria dell'autore di tale terapia o intervento, implica il necessario ausilio di nozioni di patologia medica e medicina legale, con la conseguenza che, non potendo queste fornire un grado di certezza assoluta sulla derivazione di un certo evento da un determinato antecedente, la ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie quando non risulti la preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori idonei a provocare l'evento medesimo>>. In particolare (come si è già anticipato), con la sentenza n la sezione VI della Cassazione civile ha espresso il convincimento per cui <<In caso di prestazione professionale medico-chirurgica di routine, spetta al professionista superare la presunzione che le complicanze siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento>>

13 Riferimenti giurisprudenziali Sulla natura della responsabilità del medico Corte di Cassazione sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it La responsabilità del medico e della struttura sanitaria ha natura contrattuale e la ripartizione dell'onere della prova prevede che il danneggiato debba provare il rapporto sanitario, la prestazione medica negli - gente e la lesione alla salute, restando a carico del medico inadempiente la prova di cause giustificative del proprio inadempimento o di elementi che interrompano il nesso causale tra negligenza e danno, secondo un criterio di causalità civilistico e probabilistico. Corte di Cassazione sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it Il rapporto che si instaura tra paziente e medico della struttura ospedaliera, trova la sua fonte nel contatto sociale, pertanto, il sanitario, per andare esente da responsabilità, dovrà fornire la prova del fatto dell'adempimento dell'obbligo di protezione, dando la descrizione delle esatte modalità di intervento, nonché delle precise condizioni del paziente a partire dal momento in cui lo ha avuto in cura sino all'evento o, comun - que, alle dimissioni. Corte di Cassazione sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it In tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute. Corte di Cassazione sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it La responsabilità professionale del medico - ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all'illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell'intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato - ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, a fronte dell'allegazione, da parte del paziente, dell'inadempimento dell'obbligo di informazione, è il medico gravato dell'onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione. Corte di Cassazione sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it Tra gli obblighi di protezione che assume il medico nei confronti del paziente, per effetto del "contatto so - ciale" tra il primo ed il secondo, non rientra quello di garantire un determinato risultato della prestazione sanitaria, a meno che il paziente - sul quale incombe il relativo onere - non dimostri l'espressa assunzione della garanzia del risultato da parte del medico. Corte di Cassazione sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it La responsabilità professionale del medico - ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all'illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell'intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato - ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, a fronte dell'allegazione, da parte del paziente, dell'inadempimento dell'obbligo di informazione, è il medico gravato dell'onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione. Corte di Cassazione sez. Unite n.9556 in banca dati DeJureGiuffre.it "Il complesso ed atipico rapporto che si instaura tra la casa di cura e il paziente (nella specie: una partoriente), anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo scelga al di fuori della struttura sanitaria il medico curante, non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera (somministrazione di vitto e alloggio), ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico non

14 ché nell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze; è perciò configurabile una responsabilità autonoma e diretta della casa di cura ove il danno subi - to dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico, a nulla rilevando che l'eventuale responsabilità concorrente del medico di fiducia del paziente medesimo sia ancora "sub iudice" in altro separato processo. (Nella specie l'inadempienza della casa di cura era consistita nell'insufficienza delle apparecchiature a disposizione per affrontare l'emergenza - sindrome asfittica del neonato - e nel ritardo, ad opera del personale ausiliario, nel trasferimento del neonato in un centro ospedaliero attrezzato)." Corte di Cassazione n.598 in banca dati DeJureGiuffre.it L'obbligazione del medico dipendente per responsabilità professionale nei confronti del paziente si fonda sul " contatto sociale " caratterizzato dall'affidamento che il malato ripone in colui che esercita una professione protetta che ha per oggetto beni costituzionalmente tutelati. La natura contrattuale di tale obbliga - zione è individuata con riferimento non alla fonte ma al contenuto del rapporto. Dalla natura contrattuale della responsabilità del medico dipendente deriva che il regime della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli propri delle obbligazioni da contratto di prestazione d'opera professionale. Con particolare riguardo all'onere della prova, se l'intervento è di facile o "routinaria" esecuzione si applica il principio della "res ipsa loquitur" ed il medico, per andare esente da responsabilità, deve provare che l'insuccesso dell'operazione non è dipeso da un difetto di diligenza proprio. Corte di Cassazione sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it Incombe sul paziente, che agisca in giudizio per ottenere l'affermazione di responsabilità del chirurgo estetico, l'onere della prova del mancato assolvimento del dovere di informazione da parte del professionista, ovvero che oggetto del contratto sia un determinato risultato. Sul riparto dell'onere della prova Corte di Cassazione sez. III 21 giugno 2012 n in banca dati DeJureGiuffre.it L'esonero di responsabilità di cui all'art cod. civ. non incide sui criteri di riparto dell'onere della prova; costituendo, invece, onere del medico, per evitare la condanna in sede risarcitoria, provare che l'insuccesso dell'intervento è dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà e tale prova va fornita dimostrando di aver osservato nell'esecuzione della prestazione sanitaria la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione (Cass. 8 ottobre 2008, n ).>> Corte di Cassazione n in banca dati DeJureGiuffre.it Il rapporto che si instaura tra paziente e medico della struttura ospedaliera, trova la sua fonte nel contatto sociale, pertanto, il sanitario, per andare esente da responsabilità, dovrà fornire la prova del fatto dell'adempimento dell'obbligo di protezione, dando la descrizione delle esatte modalità di intervento, nonché delle precise condizioni del paziente a partire dal momento in cui lo ha avuto in cura sino all'evento o, comun - que, alle dimissioni>>. Corte di Cassazione n in banca dati DeJureGiuffre.it In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie la Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata dai genitori per ottenere il ristoro dei danni in conseguenza della con - dotta colposa tenuta dai sanitari dell'ospedale civile in occasione del parto; condotta dalla quale erano de - rivati gravissimi danni al figlio minore). Cassazione civile sez. III n in banca dati DeJureGiuffre.it

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