IL BIOMONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DELL ARIA IN ITALIA

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1 IL BIOMONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DELL ARIA IN ITALIA Pier Luigi Nimis Dipartimento di Biologia, Università di Trieste, Via Giorgieri 10, Trieste. Riassunto Questo lavoro discute alcuni problemi terminologici e metodologici relativi all impiego di biomonitors di qualità dell aria, con riguardo ad esperienze italiane, e a metodi utilizzabili su larga scala. Le tecniche di biomonitoraggio, che non misurano nè l inquinamento nè la qualità dell aria, stimano l alterazione rispetto alla norma di componenti degli ecosistemi reattivi all inquinamento. Si suggerisce di abbandonare la tradizionale distinzione tra biomonitors attivi e passivi, in quanto impropria e fuorviante. Maggiore attenzione andrebbe rivolta alla variabilità dei dati, distinguendo il dato biologico dalla sua interpretazione in termini di alterazioni ambientali, con l elaborazione di scale di interpretazione diverse per diverse situazioni bioclimatiche e/o geolitologiche. Si propongono due indici sintetici per l uso congiunto di più biomonitors su vasta scala: un indice di alterazione e un indice di naturalità. Un esempio illustra l applicazione ad un caso concreto. Abstract This is a critical discussion of some main terminological and methodological problems related to the use of biomonitors of air quality, with emphasis on the Italian experience, and on methods which can be applied on a large scale. Biomonitoring techniques do not measure air pollution, nor air quality: they estimate the degree of alteration from normal conditions of pollution-reactive components of the ecosystems. The traditional distinction between active and passive biomonitors should be abandoned, being improper and deceiving. More attention should be devoted to data variability, and to the distinction between biological data and their interpretation in terms of environmental disturbance. Different scales of interpretation are necessary for different bioclimatical and geo-lithological situations. Two synthetic indices are proposed for the joint use of several biomonitors, an index of naturality and an index of environmental alteration. An example illustrates their application to a concrete case. Parole chiave: Bioindicatori, Bioaccumulatori, Biomonitoraggio, Inquinamento, Qualità dell Aria. Key words: Bioindicators, Bioaccumulators, Biomonitoring, Pollution, Air Quality. Introduzione L utilizzo di indicatori biologici per la valutazione della qualità ambientale è oggi molto diffuso. Negli ultimi dieci anni, anche in Italia, sono stati pubblicati numerosi studi, con lo sviluppo di tecniche originali, e/o l adattamento al territorio nazionale di tecniche elaborate all estero. Ciò permette già, in alcuni casi, di definire scale di interpretazione basate sull analisi statistica di grandi quantità di dati. Paradossalmente, questo è forse avvenuto proprio per la carenza di quella regolamentazione cui oggi si intende giustamente ovviare. L Italia dispone oggi di una solida base di esperienze, senza la quale la definizione di linee-guida valide per tutto il territorio nazionale sarebbe difficilmente proponibile. Questo articolo, largamente basato su ricerche da me condotte sui licheni, discute alcuni problemi nell applicazione di tecniche di biomonitoraggio in generale, con particolare riguardo a studi su vasta scala, potenzialmente estendibili a livello nazionale.

2 Le tecniche di biomonitoraggio permettono di identificare lo stato di alcuni parametri ambientali sulla base degli effetti da essi indotti su organismi sensibili. Questi si manifestano a due livelli, che corrispondono a due categorie di tecniche: a) accumulo di sostanze: tecniche di bioaccumulo, che misurano le concentrazioni di sostanze in organismi in grado di assorbirle ed accumularle dall'ambiente; b) modificazioni morfologiche, fisiologiche o genetiche a livello di organismo, di popolazione o di comunità: tecniche di bioindicazione, che stimano gli effetti di variazioni ambientali su componenti sensibili degli ecosistemi. I bioindicatori devono essere sensibili ai fattori indagati, avere presenza diffusa, scarsa mobilità e lungo ciclo vitale, mentre i bioaccumulatori devono essere tolleranti alle sostanze considerate. Non vi sono differenze sostanziali tra tecniche di bioindicazione e di bioaccumulo, anche se le prime si basano su misure biologiche, le seconde su analisi chimiche: entrambe rientrano nella definizione del termine biomonitoraggio che viene qui proposta: analisi di componenti degli ecosistemi reattivi all inquinamento, per la stima di deviazioni da situazioni normali. E corrente una distinzione, terminologicamente infelice, tra biomonitors passivi, già presenti sul territorio, e quelli attivi, posizionati dall operatore. I poco eleganti termini attivo e passivo, impropri e fuorvianti, dovrebbero venire abbandonati (Nimis 1999b). Anche la frequente affermazione per cui il biomonitoraggio produce dati qualitativi, di qualità dell aria, piuttosto che dati quantitativi di inquinamento, non è corretta. I termini "qualità dell'aria" ed "inquinamento dell'aria", spesso utilizzati come sinonimi, coprono concetti diversi (Nimis 1990, 1991). L inquinamento, espresso in termini di concentrazioni misurate strumentalmente, è di facile definizione operazionale, ma il suo monitoraggio è difficile, per i seguenti motivi: a) le concentrazioni di inquinanti in atmosfera sono molto variabili nello spazio e nel tempo; il che implica studi condotti su base statistica, per lunghi periodi, e con dense reti di punti di misura; b) gli alti costi degli strumenti ne limitano fortemente il numero, per cui i dati strumentali hanno spesso una scarsa qualità statistica, nonostante l'apparente precisione delle singole misure; c) la strumentazione normalmente utilizzata rileva un numero esiguo di sostanze inquinanti. Il termine qualità dell aria si riferisce invece agli effetti dell inquinamento su diversi soggetti, tra cui l'uomo, altri animali, piante, o oggetti inorganici, come i monumenti in pietra; la sua definizione operazionale dovrebbe venire affidata ad indici numerici basati su un altissimo numero di parametri, il che è reso quasi impossibile dalle troppo scarse conoscenze su: a) effetti di singole sostanze inquinanti su uomo, animali, piante, b) effetti sinergici degli inquinanti su diversi organismi, c) trasferimento degli inquinanti negli ecosistemi, e dal il fatto che il danno provocato dagli inquinanti non sempre dipende da valori medi, ma anche da quelli massimi, o dalla durata dell'esposizione. Queste difficoltà hanno portato alla ricerca di indicatori della qualità dell'aria: parametri della più diversa natura che si suppongono correlati con la qualità dell'aria. In assenza di una definizione operazionale del termine qualità dell'aria, gli indicatori diventano il solo modo per definirla. Ciò comporta un ragionamento circolare ( la qualità dell aria è ciò che si misura attraverso gli indicatori di qualità dell aria ), inaccettabile dal punto di vista scientifico (Nimis 1991, 1999a,b). Le tecniche di biomonitoraggio producono dati biologici: misure di biodiversità, di variazioni nell assetto morfologico, fisiologico o genetico degli organismi, misure delle concentrazioni di sostanze negli organismi. Essi hanno un interesse intrinseco, indipendentemente dall eventuale correlazione con dati strumentali di inquinamento. Il biomonitoraggio non utilizza gli organismi come centraline, né fornisce stime di una non meglio definita qualità dell aria: esso misura deviazioni da condizioni normali di componenti degli ecosistemi reattivi all inquinamento, utili per stimare gli effetti combinati di più inquinanti sulla componente biotica. Il biomonitoraggio non è alternativo rispetto a quello strumentale, ma è un campo di ricerca autonomo nell ambito della Biologia, che può fornire informazioni importanti per il monitoraggio dell inquinamento, individuando possibili zone a rischio, ed ottimizzando la localizzazione degli strumenti di misura.

3 Limiti e vantaggi delle tecniche di biomonitoraggio Le tecniche di biomonitoraggio correntemente utilizzate permettono di valutare alterazioni ambientali dovute a tre classi principali di inquinanti: a) SO 2 e NO x (es: bioindicazione tramite licheni); b) metalli in traccia (la maggior parte delle tecniche di bioaccumulo); c) ozono (es: l uso del tabacco come bioindicatore). Il biomonitoraggio della radioattività ambientale, che si avvale di bioaccumulatori quali funghi, licheni e muschi, non viene considerato in questa sede, in quanto quasi tutti gli esempi italiani si riferiscono alla stima delle ricadute radioattive al suolo, e non alle concentrazioni di radionuclidi in atmosfera (v. Nimis 1996). Ogni tecnica presenta limiti e vantaggi specifici, che vanno attentamente considerati nella pianificazione di reti di monitoraggio biologico. I limiti più frequenti sono: a) Alcune tecniche (soprattutto quelle con biomonitors autoctoni) non sono applicabili ovunque; ad esempio, l uso di licheni come bioindicatori non è possibile in aree con scarsità di alberi adatti, quello dei licheni come bioaccumulatori non lo è in aree molto inquinate con scarsità di licheni idonei al campionamento; b) non vi è sempre una relazione univoca tra dati biologici e concentrazioni in atmosfera di specifici inquinanti, in primo luogo a causa degli effetti sinergici di più inquinanti e di altri fattori ecologici sugli organismi; c) non è sempre possibile elaborare un unica scala di interpretazione dei dati biologici in termini di inquinamento, valida per tutto il territorio nazionale; ad esempio, lo stesso valore di biodiversità lichenica indica diversi livelli di inquinamento nell Italia mediterranea ed in quella submediterranea, a causa dell influenza del clima sulla biodiversità; d) alcune tecniche presentano limiti evidenti ad un estremo della scala dei valori; ad esempio, quelle di bioindicazione tramite licheni non permettono di risolvere ulteriormente la suddivisione del territorio in fasce ad inquinamento crescente al di sotto della soglia di deserto lichenico (sparizione completa di tutte le specie); e) alcune tecniche non permettono di rilevare immediatamente fenomeni acuti di alterazione ambientale, in quanto la reazione degli organismi richiede un certo tempo per essere apprezzabile; in certi casi il monitoraggio temporale può venire effettuato soltanto a distanza di mesi, o di anni. I principali vantaggi sono: a) possibilità di ottenere rapidamente, a bassi costi, e con un alta densità di campionamento, una stima degli effetti biologici di più inquinanti su organismi reattivi, a diverse scale territoriali; b) individuazione rapida di aree con potenziale superamento dei limiti-soglia per alcuni importanti inquinanti primari (SO 2, NO x, ozono, metalli in traccia, etc.); c) valutazione dell efficacia di misure per la riduzione delle emissioni di inquinanti su lunghi periodi; d) individuazione di potenziali aree a rischio per la localizzazione ottimale degli strumenti di misura dell'inquinamento; e) individuazione di patterns di trasporto a lunga distanza e deposizione di inquinanti, e verifica dell affidabilità di modelli diffusionali, a diverse scale territoriali. Vantaggi e limiti di ogni tecnica vanno valutati di volta in volta rispetto agli obiettivi ed alla scale territoriali. Una volta chiariti i limiti, molte metodiche si rivelano di grande efficacia e predittività, comprovate da una ricchissima letteratura a livello internazionale. Variabilità dei dati

4 L alta variabilità dei fenomeni biologici è la causa principale delle difficoltà incontrate in Ecologia nel formulare previsioni affidabili. Il trattamento matematico della complessità non sempre consente stretti limiti di confidenza nella formulazione di modelli predittivi. Il trattamento matematico dell incertezza è un punto fondamentale nelle scienze ambientali, e - contrariamente a quanto avviene correntemente - l incertezza, ovunque presente, dovrebbe venire resa esplicita ed incorporata nei modelli finali. La qualità dei dati, fondamentale negli studi di biomonitoraggio, varia in dipendenza di: a) variabilità del fenomeno, dovuta principalmente all interazione di numerosi fattori a livello di organismo e/o di ecosistema. Secondo Bargagli (1999) la mancanza di rigorosi protocolli di campionamento può indurre ad errori anche del 1000%; b) errore di misura; l errore strumentale (p.es. nelle tecniche di bioaccumulo) è in genere trascurabile rispetto a quello dovuto all influenza degli operatori (p.es. in molti studi di bioindicazione); l intercalibrazione tra operatori è fondamentale in molte tecniche, soprattutto di bioindicazione, che prevedono la determinazione in campo di numerose specie; l errore di misura è inversamente proporzionale al numero di fattori considerati nello stabilire i protocolli di campionamento. c) densità di campionamento, con influenza diversa sulla qualità del dato a seconda della variabilità del fenomeno e delle caratteristiche dell area di studio. Uno dei principali criteri per accettare o meno l utilizzo generalizzato di una data tecnica è l esistenza di studi di base sulla variabilità dei dati, e sui principali fattori che la influenzano. Paradossalmente, non solo in Italia, studi del genere sono piuttosto rari, il che comporta problemi nell interpretazione dei risultati. In alcuni casi, però, importanti studi di base hanno proposto protocolli di campionamento tali da ridurre notevolmente la variabilità dei dati. In altri casi si preferisce ridurre l effetto di fattori ecologici diversi dall inquinamento utilizzando organismi coltivati in condizioni standard, come nel caso del tabacco per il monitoraggio dell ozono, o quello delle colture di Lolium per studi di bioaccumulo. In ogni caso, sarebbe utopico attendersi dati biologici con una variabilità comparabile agli errori strumentali delle misure chimiche e fisiche. L alta densità di campionamento può però compensare ampiamente l alta variabilità dei dati. Nelle reti di rilevamento strumentale la precisione della singola misura viene troppo spesso mistificata per una precisa stima del fenomeno. La variabilità dei dati andrebbe anche considerata in sede di presentazione dei risultati: un esempio è dato dalle linee-guida proposte per l uso di licheni come bioindicatori in questo volume (Nimis 1999a), in cui si suggerisce di suddividere il territorio in fasce con ampiezza calcolata sulla deviazione standard media dei dati. La Fig. 1(a,b) mostra due carte della biodiversità lichenica in una zona della bassa pianura friulana (Nimis, ined.): la prima carta (Fig. 1a) suddivide l area in fasce secondo una scala largamente adottata a livello nazionale. Nella seconda (Fig. 1b), l ampiezza delle fasce è basata sulla deviazione standard media dei dati, seguendo la formula proposta da Wirth (1995) e riportata da Nimis (1999a). Le due carte rappresentano lo stesso fenomeno: la prima, più dettagliata ma meno affidabile, evidenzia meglio i patterns spaziali, e può servire da base per pianificare un campionamento più denso in certe porzioni dell area di studio. La seconda è fondamentale per il committente, soprattutto se i risultati sono utilizzati a fini di pianificazione ambientale: nella suddivisione del territorio, per quanto meno dettagliata, l ampiezza delle fasce è tale che fasce non contigue sono significativamente differenti. Strategie di campionamento Le indagini di biomonitoraggio hanno diversi obiettivi, e quindi diverse scale territoriali: sono possibili studi su ampia scala, studi di gradiente a distanze crescenti da una presunta fonte emittente, studi before-after. Obiettivi, scale territoriali e strategie di campionamento sono interrelati, e non ha senso specificare rigidamente un unica strategia valida per tutti i casi. Per un adeguato trattamento statistico dei dati, per facilitare il confronto tra studi diversi, e per ridurre la

5 soggettività dell operatore, è consigliabile - ove possibile - un campionamento sistematico, basato su una suddivisione del territorio in Unità Geografiche Operazionali (OGUs), meglio se già utilizzate a scala nazionale e/o internazionale. Una troppo rigida applicazione di questi standards, sviluppati in discipline meno complesse della biologia ambientale, rischia però di tradursi in errori ben maggiori di quelli dovuti alla soggettività dell operatore. Un esempio: in questo volume Nimis (1999a), dopo aver introdotto un criterio apparentemente automatico nella selezione degli alberi da sottoporre a rilevamento della biodiversità lichenica, consiglia di selezionare gli alberi con il maggior numero di specie di licheni con maggiore copertura, introducendo un elemento di soggettività nella scelta dell albero. Le evidenti differenze nella copertura lichenica tra alberi contigui dello stesso viale sono ben note a qualsiasi operatore: su alcuni alberi particolarmente poveri di licheni si notano spesso delle puntine più o meno arrugginite: sono quelli su cui più spesso vengono affissi dei manifesti. In casi del genere, tutt altro che rari, il buon senso consiglierebbe di lasciare all operatore un sia pur minimo grado di soggettività. Problemi del genere vanno risolti attraverso adeguati corsi di formazione, corredati da tests di intercalibrazione tra operatori diversi. Per obiettivi o per situazioni territoriali particolari non vanno esclusi altri tipi di campionamento (lungo transetti per studi di gradiente, campionamento preferenziale, etc.). In particolare, un campionamento preferenziale spesso ingiustamente discriminato - può risultare adeguato: a) quando l obiettivo si limita alla descrizione della situazione in un singolo punto, b) quando l'obiettivo richiede un'alta densità di campionamento in un area con generale scarsità di biomonitors autoctoni (il che necessita un accurata ed esaustiva esplorazione del territorio); c) quando l obiettivo è la comparazione di una serie di siti a rischio precedentemente individuati sulla base di altre informazioni; d) quando l obiettivo è il ri-campionamento di un area originariamente campionata in modo preferenziale, per evidenziare eventuali variazioni temporali. In questi casi, tuttavia, l'analisi statistica dei dati, ed il confronto con quelli di altri studi, possono divenire problematici. Non esiste un metodo per stimare una densità di campionamento ottimale, valida per tutte le aree e per tutti gli obiettivi. Per stabilire la densità di campionamento vanno considerati questi fattori principali: a) risorse disponibili (massimo numero possibile di punti-stazione), b) caratteristiche geomorfologico-orografiche e climatiche dell area di studio, c) disponibilità e distribuzione spaziale di biomonitors autoctoni, d) informazioni sulle principali fonti di emissione, e sui tassi di dispersione degli specifici inquinanti nell ambiente. La densità dei punti-misura può variare nell ambito della stessa area, e una densità maggiore può essere opportuna in aree geomorfologicamente corrugate, o in parti del territorio con la maggior variazione geografica dei dati. In questi casi si consiglia: a) un campionamento sistematico in una prima fase, b) l elaborazione dei dati relativi a questo campionamento, c) un ulteriore campionamento su scala più ridotta, nelle aree con la maggiore variazione geografica dei dati. Gli studi di biomonitoraggio permettono densità di campionamento molto maggiori che le reti di rilevamento strumentale. In molti studi di bioindicazione con organismi sensibili a sostanze che hanno ampi patterns di diffusione atmosferica, una densità relativamente bassa può essere accettabile. In studi di bioaccumulo, invece, vanno considerati i possibili tassi di dispersione di specifici metalli a partire da presumibili fonti inquinanti. I patterns di diffusione e trasporto in atmosfera della maggior parte dei metalli di origine antropica dipendono dalle dimensioni del particellato e dall altezza dal suolo delle fonti, e spesso si esauriscono su aree ristrette: una scarsa densità di punti di misura può facilmente rivelarsi inadeguata. Ciò riguarda anche gli algoritmi per

6 la formulazione di modelli spaziali. In Italia, a partire dal primo esempio da parte di Nimis et al. (1989), è frequente l utilizzo di programmi di cartografia computerizzata basati su tecniche di Kriging. Questi sono consigliabili solo quando giustificato dalla densità spaziale delle stazioni, dalla morfologia del territorio, e dalle ipotesi sui tassi di dispersione dei metalli dalle presunte fonti. In vaste aree geomorfologicalmente corrugate e con bassa intensità di campionamento l'uso acritico di tali programmi può portare a modelli inaffidabili, soprattutto se i metalli sono emessi in forma di particellato grossolano, con ambiti di ricaduta ristretti. In casi del genere è consigliabile una stima dell alterazione ambientale limitata ad ogni singolo punto-stazione, o quadrante. Scale di interpretazione Una volta stabiliti protocolli di campionamento tali da ridurre al minimo la variabilità dei dati, strategie di campionamento adeguate all obiettivo e alla scala territoriale, e metodi di elaborazione e presentazione adatti alla struttura dei dati, rimane il fondamentale problema dell interpretazione dei dati in termini di alterazioni ambientali. Per esprimere la deviazione da condizioni normali è indispensabile che queste vengano quantificate,e per questo si hanno tre strategie principali: a) confronto con condizioni controllate; possibile per alcuni bioindicatori alloctoni, ad es. con esperimenti di fumigazione che quantifichino la relazione tra concentrazioni di inquinanti e reazioni degli organismi (es: tabacco per il monitoraggio delle concentrazioni di ozono); b) confronto con dati di inquinamento, o con stime derivanti da modelli di diffusione. Questo approccio, il migliore per tutti i biomonitors autoctoni, è stato seguito in molti casi (ad es. per la bioindicazione tramite licheni). I dati strumentali, però, sono spesso scarsi o assenti, il che rende problematico qualsiasi confronto statistico. In Italia, sul piano geografico, i dati biologici sono oggi di gran lunga più numerosi di quelli strumentali. c) confronto interno all universo di dati biologici. Quest ultima strategia, spesso la solo possibile per biomonitors autoctoni causa la carenza di dati strumentali (tipico il caso di quelli relativi ai metalli), richiede un commento a parte. Vi sono, soprattutto per i bioaccumulatori, almeno tre approcci basati su confronti interni per stimare la magnitudo delle alterazioni ambientali in termini di deviazioni dalla norma: 1) Comparazione con i valori di background. Questi possono essere calcolati in diverso modo, ad esempio come media dei valori minimi in aree più vaste di qualla di studio. La magnitudo dell alterazione ambientale è espressa come rapporto tra il valore di una data stazione e quello di background. I valori di background, però, dipendono da fattori locali indipendenti dall inquinamento, quali la costituzione lito-pedologica del territorio. In aree con emissioni naturali di mercurio (come in certe parti della Toscana) i backgrounds locali sono molto più alti che altrove. Il confronto tra i massimi in Italia e quelli locali può ridurre il rischio di sovra- o sottostimare l alterazione di origine antropica. 2) Comparazione con il minimo nell area di studio. In questo caso il livello di alterazione ambientale è espresso come rapporto tra il dato di una stazione ed il minimo locale, con il vantaggio che molti fattori di disturbo locali (p. es. la litologia) risultano più omogenei, lo svantaggio di non evidenziare fenomeni di alterazione diffusi su tutta l'area. In assenza di valori di background affidabili e/o di misure strumentali, è comunque consigliabile situare alcune stazioni, anche al di fuori dell area di studio, in ambienti non interessati al tipo di inquinamento i cui effetti si intendono monitorare. 3) Il terzo approccio è possibile solo con un numero di misure tale da permettere analisi statistiche per individuare nella maniera più corretta i valori di background, e definire le classi di alterazione ambientale. Un esempio sono le scale relative alle concentrazioni di metalli nei licheni proposte da Nimis & Bargagli (1999), basate su centinaia di misure su tutto il territorio nazionale, nelle più diverse condizioni naturali e di disturbo antropico. Dal momento che i dati biologici variano in dipendenza di numerosi fattori, in primo luogo geolitologici (in molti studi di bioaccumulo), e bioclimatici (in molti studi di bioindicazione),

7 quasiasi scala per interpretare i dati in termini di alterazioni ambientali è valida solo nelle condizioni in cui essa è stata elaborata. Ciò rende utopica l adozione scala unica per tutto il territorio nazionale: scale diverse vanno elaborate per situazioni diverse. Il dato biologico va quindi ben distinto dalla sua interpretazione in termini di alterazioni ambientali: le ricerche non dovrebbero limitarsi all uso acritico di tecniche e scale considerate ormai standard, ma dovrebbero concentrarsi sull affinamento di scale interpretative in diverse situazioni ambientali e per diversi tipi di alterazione antropogena. Un ruolo fondamentale - supportato finanziariamente dallo Stato - potrebbe venir giocato da Università ed altri centri di ricerca di base, che oggi si vedono sin troppo spesso costretti alla pura e semplice applicazione di tecniche routinarie a fini di autofinanziamento. La definizione del biomonitoraggio come stima delle deviazioni da condizioni normali richiede un maggiore sforzo di indagine in ecosistemi non disturbati, per quantificare livelli di naturalità in situazioni ambientali diverse. In Italia settentrionale, ad esempio, le misure di biodiversità delle comunità licheniche epifite sono state correlate con successo sia con livelli di inquinamento da anidride solforosa, che con stime del rischio-salute per certe patologie (Cislaghi & Nimis 1997). Per l Italia Mediterranea, ove l aridità estiva è un fattore limitante per molte specie, va elaborata una scala diversa. Problemi simili riguardano l utilizzo del tabacco come indicatore di ozono in diverse fasce altitudinali, o i bioaccumulatori di metalli in aree geolitologicamente diverse. In assenza di scale di interpretazione, molte tecniche di bioaccumulo si limitano ad evidenziare patterns geografici nelle concentrazioni di un dato metallo. Attraverso le scale di interpretazione si può invece stimare la magnitudo di eventuali deviazioni da situazioni normali. Entrambe le informazioni sono interessanti: la prima per evidenziare fenomeni diffusionali, la seconda per una valutazione in termini di qualità ambientale. Un esempio (da Nimis et al. 1999) è dato dalle due carte di Fig. 2(a,b): la Fig. 2a mostra la distribuzione dell Arsenico nei licheni in 155 stazioni della pianura friulana: la zonazione è, ottenuta dividendo in dieci parti uguali l intervallo tra il minimo ed il massimo locali, mostra chiari patterns geografici, centrati su diversi massimi (hot spots). Nella Fig. 2b, invece, la zonazione segue le sette classi di naturalità/alterazione della scala di intepretazione di Nimis & Bargagli (1999): i patterns geografici sono meno evidenti, ma gli hot spots della Fig. 2a non appaiono come siti di forte alterazione ambientale. Indici di naturalità e di alterazione Un monitoraggio della qualità dell aria esteso a tutto il territorio nazionale, e con una sola tecnica, sarebbe privo di senso, principalmente per il fatto che il termine qualità dell aria non è definibile operazionalmente. Se con tale termine si intende una stima degli effetti sinergici di più inquinanti su sistemi biologici, allora la tecnica che più si avvicina allo scopo è forse quella di bioindicazione tramite licheni. Questi organismi sono sensibili ad alcuni inquinanti primari gassosi fitotossici comunemente emessi da processi di combustione. I patterns geografici della biodiversità lichenica corrispondono spesso a patterns di trasporto e deposizione atmosferica di SO 2 e NO x, analoghi a quelli di altre sostanze gassose emesse dalle stesse fonti, e potenzialmente dannose alla salute umana, anche se non necessariamente ai licheni. L esempio della Regione Veneto (Cislaghi et al. 1996, Cislaghi & Nimis 1997) è emblematico: la biodiversità lichenica è inversamente correlata all incidenza del carcinoma polmonare nei maschi giovani nativi: i due bioindicatori (licheni e uomo) probabilmente reagiscono ad inquinanti diversi, ma con gli stessi patterns di trasporto e deposizione sul territorio. Tuttavia, i patterns individuati dalla biodiversità lichenica possono non coincidere con quelli di altri inquinanti verso cui questi organismi sono meno sensibili, come molti metalli in traccia. Ancora una volta il termine qualità dell aria mostra la sua ambiguità terminologica, dovuta ad una definizione di tipo tautologico. L uso congiunto di più indicatori risponde meglio alla concezione intuitiva del termine, in quanto permette di stimare gli effetti dell inquinamento su organismi diversi, sensibili a inquinanti diversi. Come pervenire ad una rappresentazione sintetica? E possibile raggruppare i diversi indici in un indice unico, espressione

8 di un parametro che si avvicini all accezione intuitiva del termine qualità dell aria? Procedure del genere sono correntemente impiegate in molti studi di impatto ambientale: diversi indici vengono riassunti in un unico valore, quasi sempre una media più o meno ponderata di quelli assunti dai singoli indici. Nel caso del biomonitoraggio, tuttavia, ciò non è consigliabile: lo stesso valore di qualità potrebbe risultare dalla media di situazioni diverse, nascondendo l emergenza di singoli fenomeni di deviazione dalla norma, potenzialmente indicativi di fenomeni di inquinamento. A mio parere, l ambiguo termine qualità dell aria dovrebbe essere definitivamente abbandonato dai biologi, a favore di espressioni concettualmente più chiare ed operazionalmente meglio definibili. Di seguito si propone un approccio alternativo, con un esempio. Esso è applicabile soltanto con tecniche corredate da scale di interpretazione che individuino un punto zero, corrispondente al condizioni normali per il fattore ed il biomonitor considerato. Esempi sono le scale in sette classi proposte per il bioaccumulo e la bioindicazione tramite licheni in questo volume (Nimis & Bargagli 1999, Nimis 1999a). I valori estremi di queste scale sono i più importanti a fini applicativi, rispettivamente per la conservazione ed il ripristino dell ambiente. Nello stesso sito si possono avere sia situazioni naturali per certi parametri, sia situazioni di forte alterazione per altri. La qualità del sito non può essere espressa da un singolo valore, che medi il numero di parametri normali e quelli fortemente alterati: un solo parametro fortemente deviante può indicare un rischio ambientale, anche se tutti gli altri rientrano nella norma, e ciò va reso esplicito in una rappresentazione sintetica della situazione. Un singolo indice di qualità è quindi insufficiente, e potenzialmente fuorviante. Di seguito si propongono due indici sintetici per la valutazione congiunta di più tecniche di biomonitoraggio (o - come nel caso del bioaccumulo - di dati relativi a più parametri ambientali). Essi riflettono, rispettivamente, il grado di naturalità e di alterazione ambientale. L esempio è tratto da uno studio delle concentrazioni di metalli nel lichene Xanthoria parietina nella bassa pianura friulana (Nimis et al. 1999). La matrice delle concentrazioni di 16 metalli nelle 155 stazioni è stata trasformata in una matrice in cui le concentrazioni sono sostituite dai valori delle sette classi di alterazione ambientale proposti da Nimis & Bargagli (1999). Su questa base viene costruita una matrice che riporta, per ogni stazione, il numero di metalli in ciascuna delle sette classi di naturalità/alterazione. Per ogni stazione si calcolano due indici: 1) L indice sintetico di naturalità (I.N.), che varia tra 0 e 10, si basa sui livelli di naturalità/alterazione della stazione i-esima riportati nella matrice stazioni x livelli di alterazione/naturalità, di dimensione m x n, sulla base della seguente formula:

9 I. N. = ( i) 5 per: n j= 1 (2 x ) 2 n ij 1 x ij 2 2) L indice sintetico di alterazione (I.A.), che assume valori compresi tra 0 e 10, si calcola sulla base della stessa matrice, con la seguente formula: I. A. ( i ) = 5 n j = 1 2 ( x n ij 6 ) per: 6 x 7 ij I due indici sono indipendenti: uno stesso punto-stazione può presentare valori relativamente elevati sia di naturalità che di alterazione. La definizione del grado di alterazione o di normalità può essere più o meno ristretta, a seconda degli obiettivi dello studio. Nell esempio si considerano solo le quattro classi estreme (1 e 2 per la naturalità, 6 e 7 per l alterazione), ma l indice può venire calcolato anche con le classi 1-4 per la naturalità e 4-7 per l alterazione. La rappresentazione cartografica dell indice I.N. è mostrata in Fig. 3a, quella dell indice I.A. in Fig.3b. Le due carte, che forniscono informazioni diverse per diversi obiettivi e diverse categorie di utenti, rappresentano esempi diversi della visualizzazione dei dati a fini applicativi. Ad esempio, la parte più meridonale dell area di studio (zona lagunare) presenta alti valori di naturalità (Fig.3a), ma anche fenomeni di alterazione (Fig.3b): essa si presta bene all'istituzione di un parco naturale, ma allora si dovrebbe tendere ad eliminare i livelli abnormi di alcuni metalli. Questi indici si possono calcolare non solo per più metalli con diverse scale di intepretazione, ma anche per biomonitors diversi. Verso delle linee-guida nazionali Questo volume propone delle linee-guida per diverse tecniche di biomonitoraggio. Esse sono state sottoposte ad un primo vaglio da parte della comunità scientifica nazionale: le osservazioni critiche sulle prime versioni, pervenute dal novembre 1998 alla fine di gennaio 1999, sono state

10 numerose, quasi sempre pertinenti, ed hanno portato a profonde modifiche delle versioni originali. Per la maggior parte si tratta di tecniche ampiamente utilizzate all estero: le linee-guida le adattano alle condizioni specifiche del territorio italiano, e a volte includono scale di interpretazione originali, basate sulle numerose esperienze sinora acquisite in Italia. L esistenza di scale di interpretazione affidabili è una conditio sine qua non per l adozione di una data tecnica su vasta scala, potenzialmente estendibile a territorio nazionale. Un punto più volte sottolineato nelle osservazioni critiche riguarda le sezioni delle linee-guida dedicate all elaborazione dei dati: gli algoritimi di calcolo e le metodiche di analisi dei dati, soprattuto per l analisi multivariata o i programmi di cartografia computerizzata, andrebbero specificati più rigidamente, per permettere a qualsiasi operatore di pervenire allo stesso risultato con gli stessi dati. Si tratta di un esigenza comprensibile per chi si occupa della semplice applicazione di metodiche imposte dall alto, che però, e volutamente, non è stata sempre seguita in questa sede. Non esistono algoritmi di calcolo e di modellizzazione migliori di altri: essi vanno accuratamente scelti dall operatore rispetto alle strutture dei dati, le situazioni locali, e gli obiettivi dello studio. L imposizione di modelli ed algoritmi rigidamente predeterminati non solo è nociva al progresso della ricerca, ma rischia di introdurre rilevanti distorsioni nell interpretazione dei risultati. L analisi dei dati non può venire banalizzata da generiche linee-guida di: gli operatori sono tenuti ad acquisire una specifica formazione in questo campo. L applicazione di una tecnica su larga scala necessita la definizione di procedure di qualità, comprendenti: a) manuali operativi standard, con procedure chiare, disegni ed esempi, b) definizione di obiettivi di qualità di misurazione e limiti di qualità dei dati, per definire il tasso di accettabilità o meno dei dati, stabilire fattori di correzione o ponderazione, c) training ed intercalibrazione, con istruzione comune ed esercizi paralleli di classificazione delle specie e di campionamento, d) controlli in parallelo, in cui un rilevatore indipendente opera parallelamente al rilevatore ufficiale per valutare la riproducibilità dei dati, e) audit in corrispondenza delle valutazioni parallele, f) analisi statistica delle risultanze, per documentare formalmente il livello qualitativo del lavoro. Inoltre, per le metodologie di acquisizione ed archiviazione dei dati, l identificazione ed il referenziamento geografico dei siti, sarebbe opportuno stabilire un sistema coerente di codifica, trasmissione dati, verifica della completezza delle osservazioni e delle basi di dati. Le linee-guida, e soprattutto le indispensabili scale di interpretazione, dovrebbero essere periodicamente riviste ed aggiornate seguendo gli sviluppi della ricerca di base e l accumularsi di nuovi dati relativi al territorio nazionale. Studi di base sulla variabilità dei dati possono migliorare le strategie di campionamento, e nuovi dati possono portare alla modifica delle scale, o all elaborazione di scale diverse, per diverse parti d Italia. Infine, le linee-guida qui proposte dovranno quanto prima integrarsi a livello europeo, confrontandosi criticamente con analoghe esperienze svolte in altri Paesi. Tutte queste attività, che rientrano nelle competenze dell Agenzia Nazionale Per l Ambiente (A.N.P.A.), sono indispensabili per assicurare uno sviluppo serio, integrato e duraturo delle tecniche di biomonitoraggio in Italia. Ringraziamenti Si ringraziano i Drr. M. Castello, M. Lupieri, N. Skert e M. Tretiach (Trieste) per l assistenza tecnica, il Prof. C. Cislaghi (Milano) per gli utili consigli. Questo lavoro è stato svolto nell ambito del progetto co-finanziato dal M.U.R.S.T. Crittogame come biomonitors in ecosistemi terrestri. Riferimenti bibliografici

11 Bargagli, R., The elemental composition of vegetation and the possible incidence of soil contamination of samples. - Sci. Total Environ., 176: Cislaghi C. & P.L. Nimis Lichens, air pollution and lung cancer. - Nature, 387: Cislaghi C., Braga M. & P.L. Nimis Methodological aspects of an ecological study on the association between two biological indicators. - Stat. Appl., 8, 1: Nimis P. L., Air Quality Indicators and Indices. The use of plants as bioindicators and biomonitors of air pollution. - In: A.G. Colombo & G. Premazzi (eds.): Proc. Workshop on Indicators and Indices, JRC Ispra. EUR EN, pp.: Nimis P. L., Data Quality in Environmental Sciences and the Biomonitoring of Air Pollution. Giorn. Bot. Ital., 125, 3: Nimis P.L Radiocesium in plants of forest ecosystems. - Studia Geobot., 15: Nimis P.L. 1999a - Linee-guida per la bioindicazione degli effetti dell inquinamento tramite la biodiversità dei licheni epifiti. - Atti del Workshop "Biomonitoraggio della qualità dell'aria sul territorio nazionale. Roma, novembre ANPA - Serie Atti, X/1999 (in stampa). Nimis P. L. 1999b - Forum-discussion: the future of Bioindication by lichens. - International Lichenological Newsletter, 32, 1 (in stampa). Nimis P.L. & R. Bargagli Linee-guida per l utilizzo di licheni epifiti come bioaccumulatori di metalli in traccia. - Atti del Workshop "Biomonitoraggio della qualità dell'aria sul territorio nazionale. Roma, novembre ANPA - Serie Atti, X/1999 (in stampa). Nimis P.L., Ciccarelli A., Lazzarin G., Bargagli R., Benedet A., Castello M., Gasparo D., Lausi D., Olivieri S. & M. Tretiach I licheni come bioindicatori di inquinamento atmosferico nell' area di Schio-Thiene-Breganze (VI). - Atti Mus. Civ. St. Nat. Verona, 16: Nimis P.L., Skert N. & M. Castello Biomonitoraggio di metalli in traccia tramite licheni in aree a rischio nel Friuli-Venezia Giulia. - Studia Geobot., 18 (in stampa). Wirth V Ermittlung und Beurteilung phytotoxischer Wirkungen von Immissionen mit Flechten. Flechtenkartierung zur Ermittlung des Luftgütewertes (LGW). - VDI-Richtlinien 3799 Blatt 1.

12 a Km b Fig. 1(a,b): suddivisione di un area della pianura friulana in fasce di biodiversità lichenica, basate su una scala nazionale (Fig.1a), e sulla deviazione standard media dei dati (Fig.1b). Per dettagli v. testo.

13 a b Fig. 2 (a.b): distribuzione delle concentrazioni di As nella pianura Friulana. In Fig.2a la scala, in ppm, è suddivisa in nove fasce uguali; la Fig. 2b mostra la distribuzione dei valori della scala di naturalità/alterazione. Per ulteriori dettagli v.testo.

14 a b Fig 3a,b- Carte dell indice sintetico di naturalità (I.N., Fig. 3a), e di quello di alterazione ambientale (I.A., Fig. 3b), basate sulle misure di 16 metalli in licheni epifiti nella pianura Friulana. Per ulteriori dettagli v.testo.

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