Claudio Arezzo di Trifiletti

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2 2 Tesi di laurea di La Magna Daniela Claudio Arezzo di Trifiletti Nel panorama dell Art Brut oggi Tra psicologia e verità. Anno Accademico 2006\2007 Relatore Calabresi Elio

3 3 Al mio migliore amico Vincenzo Matera. Grazie di essere stato il fratello che non ho mai avuto. Arrivederci.

4 4 Indice I. Narciso o l amore di se p. 6 II. Introduzione 9 II. 1. Brevi cenni sull idea del bello e del Brutto 11 III. Identità, Soggettività ed Oggettività 21 III. 1. Atto di espressione primaria e pensiero Freudiano 33 III. 2. L importanza del primordiale e pensiero Junghiano 45 IV. Art Brut: la nascita di un termine 50 IV. 1. Le creazioni della psiche di un bimbo 58 V. Il mondo interiore di un anima aperta: Claudio Arezzo di Trifiletti 65 V. 1. Un opera per la paca: Imprints New York 82

5 5 Conclusioni 89 Poche opere: Claudio Arezzo di Trifiletti Pittura 94 Imprints, New York 137 Pensieri disegnati 157 Installazioni 171 Bibliografia 180

6 6 I. Narciso o l amore di se Si tramanda che Narciso fosse di straordinaria bellezza e grazia, ma celasse grande superbia e noia intollerabile. Pertanto, amando solo se stesso e disprezzando gli altri, menò vita solitaria nelle selve tra le cacche con pochi compagni, per i quali rappresentava tutto. Lo seguiva ovunque la ninfa Eco. In questo ritmo di vita gli era fatale giungere ad una qualche limpida fonte, e sdraiarsi presso di essa durante la calura del mezzogiorno. Vedendo però riflessa la propria immagine nell acqua, rapito e attonito in contemplazione ed ammirazione di sé, in nessun modo poteva essere distratto da siffatta apparizione o sembianza; ma a forza di stare perpetuamente così si mutò nel fiore che porta il suo nome, che appare allo sbocciare della primavera ed è

7 7 caro agli déi inferi, a Plutone, a Proserpina e alle Eumenidi. La favola sembra rappresentare le qualità e le fortune di quelli che, o per la bellezza o per un altra dote da cui sono stati, senza nessun merito proprio, insigniti e onorati dalla natura, amano pazzamente se stessi e quasi si struggono. Con questo stato d animo è spesso congiunto il fatto che costoro non siano molto versati per la vita pubblica e le attività politiche, essendo necessario in questo genere di vita andare incontro a molte noncuranze e offese che possono turbare gli animi e abbatterli. Pertanto conducono vita solitaria, isolata, con una stretta cerchia di amici e per di più di quelli che sembrano maggiormente disposti ad ammirarli e ad esaltarli, a secondare le loro parole come fa la eco e a porgere termini ossequiosi. Depravati e gonfiati da questa consuetudine e attoniti per l ammirazione di se stessi, sono accecati da

8 8 un incredibile inerzia e pigrizia e privi di ogni alacre vigore. Con molta eleganza si prende il fiore primaverile a similitudine di caratteri di tal genere poiché tali indoli all inizio sbocciano e sono esaltate, ma col passare del tempo deludono e frustrano le speranze che in esse si sono riposte. Eguale ha anche il fatto che quel fiore è caro agli déi inferi giacchè uomini di tale indole riescono inutili a tutto. E qualunque cosa che non dà frutto, ma passa e scorre come la nave nel mare, soleva dagli antichi essere consacrata agli déi inferi 1. Interpretazione del mito di Narciso di Francis Bacon 1 Interpretazione del mito di Narciso di Francis Bacon, Scritti filosofici di Francesco Bacone, Il mito di Narciso, pp.453.

9 9 II. Introduzione Noi percepiamo certe Determinate cose e non Sappiamo dire esattamente Perché esse siano belle o Perché siano brutte. Questa Presenza simultanea, nella Realtà, del bello e del brutto resta un mistero, e non è strettamente necessario Fondare una filosofia che ne Spieghi l esistenza. L immagine può spiegare L esistenza di questo enigma Assai meglio delle parole, Come spesso si dice. Maurizio Ferraris 2 2 Maurizio Ferraris, nato a Torino il , dal 1995 è professore di Estetica alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'università di Torino.

10 10 Per risalire alla nascita di questi due termini, brutto e bello, si potrebbe analizzare tutta la storia del pensiero umano dall inizio dei tempi ad ora, ma probabilmente non si arriverebbe comunque a nessuna conclusione concreta, in quanto credo sia impossibile definire un qualcosa di assolutamente astratto e irreale. Non che non esistano cose belle o brutte, ma sicuramente per definirle si dovrebbe prendere in considerazione la mente di ogni singolo essere umano, fare una sorta di statistica e arrivare alla giusta conclusione in un clima di totale democrazia. Piuttosto cercherò di analizzare alcuni dei più significativi interventi che possono facilmente ricondurci al perché oggi il brutto riesce a diventare sublime e ad essere apprezzato più del bello. Ho pensato bene di iniziare questo trattato con il mito

11 11 di Narciso, interpretato dal filosofo Francesco Bacone, in quanto non trovo esempio più adeguato per introdurre il significato di ciò che il bello ha sempre rappresentato per noi occidentali fino ad un periodo ben preciso, fino a quando cioè, le porte verso altri mondi, culture e orizzonti non sono state spalancate da quegli individui che hanno segnato la storia dell arte e non solo. II.1. Brevi cenni sull idea del bello e del brutto Remo Bodei 3 sostiene che l Arte, anche quella cristiana, ha utilizzato il brutto da lungo tempo; si pensi all immagine stessa del Cristo rappresentato dalla Bibbia, ma soprattutto in Isaia, come un uomo non soltanto insignificante, perché non riconosciuto come 3 Remo Bodei; tratto dall articolo su estetica del brutto. Intervista di Silvia

12 12 figlio di Dio, ma anche brutto. Qualcosa di simile la si può carpire nell analogia deformitas cioè bruttezza, con dei formitas, forma di Dio, che viene intesa nel senso che Cristo è brutto. Il cristianesimo pone così una separazione tra l interno e l esterno, si può cioè essere brutti all esterno, ma bisogna riconoscere dietro questa bruttezza, la gloria di Cristo in ogni nostro simile. Il brutto è sempre stato considerato come l altra faccia della medaglia, il gemello cattivo del bello, non si è mai pensato che potesse avere un anima positiva; il brutto è per così dire lo spuntare del caos nell ordine, almeno fino alle idee rinascimentali. Se volessimo analizzare davvero questa parola, bello, cosa ne verrebbe fuori? Il bello è sicuramente qualcosa di gradevole alla vista, qualcosa che esteriormente si presenta degno di essere guardato con ammirazione e Calandrelli rilasciata alla DEAR di Roma il

13 13 perché no, anche imitato; ma tutt al più è ciò che rispecchia maggiormente i canoni imposti dal classicismo. Platone, ad esempio, guardava alla realtà come qualcosa suddivisibile in due categorie, la realtà vera e la realtà apparente 4 ; mentre Aristotele presta attenzione al mondo con un ottica unitaria, considera cioè, tutte le realtà e tutte le scienze su un piano di pari dignità 5. Faccio questi esempi perché deve essere ben 4 Riprendendo l'insegnamento di Socrate, Platone compie un duplice passo avanti. Estende l'ambito della sua ricerca all'insieme dei valori teorici e pratici che sono a fondamento delle diverse tecniche. Non si interroga solo sul bene, la pietà religiosa o la giustizia, ma anche sul bello, sull'utile, sul vero ecc. In secondo luogo, egli offre una risposta decisiva al problema dell'insegnabilità della virtù (aretè): questa può essere oggetto d'apprendimento se coincide con la vera scienza (epistème). L'uomo giusto è cultore della vera scienza e della verità di tutte le cose. L'errore contro cui Platone combatte, rappresentato dalla cultura sofista - consiste nel basare la conoscenza sulla sensazione -Teeteto - al contrario, solo l'anima, e non i sensi, può conoscere l'aspetto "vero" delle cose. Il modo in cui l'anima esprime la sua facoltà conoscitiva è la reminiscenza (anamnesis). Nella filosofia platonica, la reminiscenza è spec. la teoria per cui la conoscenza consiste nel ricordo delle idee contemplate dall'anima nell iperuranio prima di incarnarsi nel corpo]. La più compiuta teoria della conoscenza (teoria della linea) è quella esposta nel dialogo sulla La Repubblica. Solo la conoscenza intelligibile assicura un sapere vero e universale; affidarsi a immaginazione e credenza significa confondere la verità con la sua immagine. 5 La filosofia aristotelica coincide quasi totalmente con le certezze del senso comune. L'aver ribadito - anche in opposizione al suo maestro Platone - che l'unica realtà esistente è il mondo delle "sostanze", ossia degli enti singolari, riporta la filosofia alla prima evidenza del senso comune, dove la molteplicità e il divenire non sono più considerati delle "apparenze" da superare con una conoscenza più perfetta, ma delle verità da spiegare attraverso la dottrina dell'atto e della potenza. Anche l'antropologia aristotelica, ristabilendo l'unità sostanziale dell'uomo - in contrapposizione all'immagine platonica dell'anima

14 14 chiaro il mio concetto per cui tutto è soggettivo; figuriamoci il bello. Aristotele critica le idee platoniche che pongono l attenzione solo sulla causa formale 6, mentre il principio delle cose, secondo il primo, risiede nelle cose stesse nella loro forma interiore, cosa che si può chiaramente interpretare con l idea che il contenuto è spesso più importante della scatola in cui è stato posto. Secondo Iakov Levi 7 quella che, con il crollo del mondo antico sfocerà in Occidente, in scissione preesistente al corpo e desiderosa di liberarsi di esso - rispecchia e giustifica metafisicamente quella che è la seconda certezza del senso comune, ossia l'autocoscienza dell'io come sostanza alla quale fanno riferimento sia le facoltà spirituali che quelle corporali. Infine, anche l'etica aristotelica, imperniata sulla nozione di "virtù" e di "felicità" fa perno sulla terza e quarta certezza del senso comune, ossia sulla consapevolezza che ogni uomo ha delle proprie capacità di autodeterminarsi al bene, conosciute mediante la ragione e la comunicazione con gli altri uomini, soprattutto nell' ambito della vita civile. 6 La causa formale o forma è il fattore determinante, ciò che fa sì che la materia indeterminata assuma certi caratteri distintivi. Di questa causa si è occupato in particolare Platone, con la sua teoria delle idee. 7 Iakov Levi nasce a Milano nel 1947 ed emigra in Israele nel 1962, si laurea in Archeologia e storia del Medio Oriente Antico all'università di Tel Aviv, nel Negli ultimi anni è passato a psicostoria, il ramo che si occupa delle interpretazioni psicologiche di eventi storici ed attuali. Si occupa in particolare di analisi psicanalitica dei miti occidentali e biblici. «Es e Io nello specchio di Apollo e di Dioniso», in Teorie e Modelli, V , Pitagora, Bologna 2001;

15 15 assoluta tra bene e male, era cominciata molto tempo prima, come divergenza del concetto di sacro in due parametri opposti: brutto e bello. Quando le tribù superarono la crudezza del rito totemico e cominciarono a relegare sempre di più l immagine del capro alle province più lontane della psiche, l immagine del dio cominciò anche ad assumere una connotazione normativa: sempre sacro ma, per la prima volta, brutto. Così in Occidente nacque un concetto ed anche il suo opposto. Quando la società greca scelse la strada della civilizzazione, alle insegne dell immagine di Apollo e innescò un processo di rimozione del pasto totemico e del rito tribale, quello che lo rappresentava, il capro Dioniso, divenne indesiderato e quindi brutto, superato e ridicolo. Con il crollo del mondo antico il capro iniziò a rappresentare la bestia, il diabolico. Il suo opposto,

16 16 divenne positivo, desiderabile e quindi bello. Per i greci si tradusse in buono e in un nuovo concetto di divino, e come tale passò anche al cristianesimo. Nacque quindi, prima l idea del brutto e poi quella del bello. Il concetto che mi sta più a cuore è però quello di Eraclito che sosteneva che la guerra è la regina di tutte le cose, tutto si genera dalla discordia, dalla luce vengono le tenebre, dalla vita la morte e dal bene il male; non c è qualche cosa che nasce prima o dopo, sono conseguenze universali dell esistenza. Teoria che tuttora non credo possa essere smentita. Mentre quindi il bello poteva dare un certo tipo di certezza e di stabilità, il brutto, l imperfetto, veniva percepito come qualcosa di instabile, capace anche di creare insicurezza nell animo umano. Il problema di cosa fosse arte e cosa no, non si pose fino all' avvento del romanticismo. Fino a quel punto l'arte era

17 17 finalizzata ad esprimere la bellezza in modo oggettivo e quindi, in qualche modo, era possibile porre dei criteri di scelta e definire una scala di valori estetici che consentissero di giudicare un'opera. L'immagine pittorica era di tipo naturalistico, cioè doveva riprodurre fedelmente la realtà, rispettando gli stessi meccanismi della visione ottica umana 8. Questo obiettivo era stato raggiunto con il Rinascimento italiano che aveva fornito gli strumenti razionali e tecnici del controllo dell'immagine naturalistica: il chiaroscuro per i volumi, la prospettiva per lo spazio. Il tutto era finalizzato a rispettare il principio della verosimiglianza, attraverso la fedeltà plastica e coloristica. Questi principi, dal Rinascimento in poi, sono divenuti 8 Il complesso meccanismo della visione umana è suddivisibile in tre parti: un sistema ottico che forma e proietta le immagini su una superficie sensibile, l occhio; una superficie sensibile che raccoglie le immagini e le trasmette, la retina; un elaboratore dei dati raccolti da quest'ultima che li elabora, li vaglia e "forma" l'immagine definitiva: la visione umana, il cervello.

18 18 legge fondamentale del fare pittorico, istituendo quella prassi che, con termine corrente, viene definita «accademica». Ciò non vuole assolutamente dire che non ci fosse un intervento soggettivo dell'artista, ma questo si poteva estrinsecare solamente nell'ambito di certi soggetti (scene religiose o militari, ritratti e bei paesaggi) e con una certa tecnica che poteva sì variare da un pittore all'altro ma restava sempre soggetta alle leggi della accademia. Con il Romanticismo, l'arte diventa invece soggettiva e l'epicentro diventa l'uomo, con i suoi sentimenti e le sue emozioni. Fu Hegel soprattutto a teorizzare questa distinzione profonda tra Arte Antica (oggettiva) e Arte Moderna (soggettiva) 9. 9 Si giunge a comprendere il fatto che solamente con l'età moderna, e con la sua peculiare forma di libertà, è possibile uscire da quello stesso conflitto tragico che aveva dominato la situazione etica del mondo antico, e che il lungo periodo della riflessione dello spirito, del quale la libertà soggettiva era stata la figura paradigmatica, non aveva potuto risanare. Al contrario, il

19 19 Nell'arte moderna quindi i valori estetici tradizionali, il "bello" e il "vero" perdono significato. La percezione individuale cambia da artista ad artista, non esistono più canoni e l'arte viene svincolata dal reale. Cade la bella forma, e i primi movimenti dell'avanguardia nel '900 propongono rappresentazioni della realtà in forma "brutta", distorta e spesso angosciosa (Espressionisti). Ma questi, pur non rappresentandolo "bello", si confrontano con il mondo reale. Con l'avvento della pittura astratta e del Dadaismo, l'arte va verso la negazione di se stessa. Il movimento Dada è un movimento distruttivo che nega la possibilità stessa di fare arte e da quella rivoluzione si andrà sempre più verso il non-sense e l'informale che mondo moderno si è fatto portatore di una forma di pensiero adeguato ad effettuare la conciliazione, la quale sul piano della realtà etica ha trovato espressione attraverso la figura della libertà sostanziale, come noto, unione della libertà oggettiva antica e della libertà soggettiva cristiana e moderna. In questo senso, agli occhi di Hegel il mondo antico era destinato a perire.

20 20 sfocerà nell'action Painting di Jackson Pollock, cioè nell'indifferenza assoluta nei riguardi del contenuto dell'opera d'arte per privilegiare invece il solo atto creativo. La svolta di negazione dell arte oggi, nei confronti di ciò che era il bello, è quindi da riportare allo stesso stato di natura di cui parlava Rousseau 10 ; l uomo vede, incamera e poi butta fuori quello che ha dentro in uno stile non conforme al mondo che lo circonda, pur parlandone apertamente, perché stanco. Oltretutto se si pensa a quale bello oggi viene osannato (la bellezza del corpo estetico) anche se privo di contenuti, è praticamente ovvio che gli artisti, gente che pone sempre in primo piano la cultura e l importanza della mente, vadano verso altri orizzonti, cercando di esorcizzare l idea di un bello senza altre sfumature. 10 J. J. Rousseau nasce a Ginevra nel Alla società corrotta oppone il Contratto Sociale (1762), con il quale intende rovesciare i pensieri politici: "(..) trovare un modulo d'associazione che difenda e protegga con tutta la forza possibile la persona ed i beni di ogni socio, e per la quale ciascuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che soltanto a se stesso e resti così libero come prima".

21 21 Questi hanno oggi lo sguardo volto verso una più felice regressione paragonabile quasi a quella del grembo materno. In un mondo tutto proteso in avanti verso un progresso che spesso fa solo male, gli artisti si trasformano in folli, rendendosi conto di essere liberi solo di seguire un unico punto fisso in netta contrapposizione con la società che li circonda e con uno stile assolutamente personale. III. Identità, Soggettività ed Oggettività. Il bello e il brutto, come concetti assoluti, sono istinti innati nel nostro DNA, nasciamo e cresciamo con dei gusti predefiniti, come nasciamo con l istinto del bene e del male, o con quello della vita e della morte; questi istinti diventano gusti, certezze, formando poi il carattere di un individuo. Sono elementi che vengono

22 22 modificati con l esperienza e col trascorrere della vita in una determinata condizione sociale. Capita spesso, infatti, che frequentando una persona alla quale piace un determinato genere musicale questo poi viene apprezzato anche da noi, poiché inconsciamente ci omologhiamo al contesto che ci circonda. Prendiamo come esempio Giotto per sottolineare la forza che hanno avuto alcuni individui, modificando per sempre il percorso storico e artistico se non anche quello del pensiero, nella lucida capacità di seguire i migliori consigli di chi è venuto prima di loro per poi metterli in atto in un qualcosa di più completo. «Giotto rimutò l'arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l'arte più compiuta che avesse mai più nessuno» 11, rifiutando quindi la tradizione bizantina per adottare un linguaggio moderno fondato sulla cultura latina. Per Filippo 11 Il libro dell'arte 1370.

23 23 Villani, nel libro che scrisse in lode di Firenze ( ), Giotto è diventato uguale per fama ai pittori antichi e anche superiore, affermandone il valore assoluto e determinandone il carattere, che è significato dalla sua cultura storica e dal suo desiderio di gloria: segni evidenti della sua modernità. È da tutti accettato che Giotto fu discepolo di Cimabue e in poco tempo non solo eguagliò lo stile del maestro, ma lo superò allontanandosi dai modi ieratici e statici della pittura precedente per ritrarre le figure con più naturalezza e gentilezza. Fu Lorenzo Ghiberti nel Commentario secondo a scrivere infatti che egli «lasciò la rozzezza de' Greci... arrecò l'arte naturale e la gentilezza con essa, non uscendo dalle misure». Abbandonò quindi la rigidità d'espressione dell'arte bizantina proponendo una novità che non esce però da un senso di misura morale, che non lascia cioè esasperare i sentimenti. La sua naturalezza non significa osservazione diretta

24 24 del vero; essa «è recuperata dall'antico attraverso il processo intellettuale del pensiero storico». La lezione non propone quindi modelli da seguire, ma è esperienza storica da rivivere nel presente. Nonostante la coscienza di un'arte nuova, E. H. Gombrich 12 fa rilevare che Giotto nei suoi metodi è molto debitore dei maestri bizantini, e nelle finalità e negli orientamenti della sua arte deve molto anche agli scultori delle cattedrali del Nord, cioè la sua novità è pur sempre inserita in un divenire storico. L identità personale in questi casi rappresenta ciò che di più prezioso un uomo possa avere. Essa indica la capacità degli individui di aver coscienza di permeare se stessi attraverso il tempo e attraverso tutte le fratture dell esperienza. È stato Locke 13, nel saggio sull intelligenza umana, a 12 Secondo Ernst Gombrich, "gli egizi disegnavano ciò che sapevano, i greci ciò che vedevano, nel medioevo l'artista impara a esprimere nella sua opera ciò che sente". 13 John Locke, Saggio sull'intelligenza umana (libro II, cap. I, 10-11, 19; cap. 27, 1, 7-12, 17-20), traduzione di Camillo Pellizzirivista da

25 25 parlare per la prima volta di identità personale. Questo avviene in un periodo in cui era in crisi la veccia idea di anima, metafisica e religiosa, intesa come sostrato unitario ed indivisibile che permette la permanenza delle nostre esperienze. Locke credeva che l identità fosse una conquista, un lavoro. Secondo lui molte volte le nostre idee muoiono, rischiando di dissolversi per sempre nel nulla se non le rinfreschiamo, non le ripitturiamo continuamente. L identità quindi non poggia su niente, ma si prolunga nel tempo legata alla continuità della memoria; se io sento di essere la stessa persona che ha avuto i vissuti di Socrate, e se li ricorda, allora io sono Socrate, mentre se non ricordo di essere la stessa persona precedente io non sono lo stesso. Questo elemento di fragilità si accentua in Hume 14 per G. Farina; prefazione di Armando Carlini, in appendice: Il primo abbozzo del Saggio, a cura di Vittorio Sainati, Roma-Bari, Laterza, 1988, vol. I, pp ; pp ; pp ; pp ; pp Nella quarta parte del I libro del suo Trattato sulla natura umana, Hume rileva che molti pensatori sono convinti dell'esistenza dell'io, inteso come unico, semplice, ininterrotto ed invariabile: "Ci sono alcuni filosofi i quali credono che noi siamo in ogni istante intimamente coscienti di ciò che

26 26 il quale la memoria diventa qualche cosa che anche nelle persone normali è piena di buchi, priva di continuità. Allora per lui l identità è legata ad un fascio di percezioni attuali. Io sento caldo, sento freddo, mi passa per la mente questo pensiero, ma se cerco di afferrare quello che è l Io vi trovo soltanto il vuoto. L identità diventa quindi qualcosa di fittizio, cioè qualcosa di costruito. In realtà a mio parere il concetto d identità è da ricercare nell innata natura umana, legato all intelligenza, capace di mutare col tempo. Io sono così per questo motivo, tu sei diverso da me per svariate circostanze che ti hanno portato a diventarlo quindi ad esserlo. Tutti possediamo una nostra identità e chi è troppo simile a qualcun altro, nasconde la sua chiamiamo il nostro io: che noi sentiamo la sua esistenza e la continuità della sua esistenza; e che siamo certi, con un'evidenza che supera ogni dimostrazione, della sua perfetta identità e semplicità". Secondo Hume, questa convinzione, in noi tanto radicata, è tuttavia smentita dall'esperienza. Se abbiamo l'idea di un "io" unico, semplice, invariabile ed ininterrotto, l'impressione da cui quest'idea deriva deve essere altrettanto unica, semplice, invariabile ed ininterrotta; eppure, l'esperienza ci suggerisce che tutte le nostre impressioni, cioè passioni, emozioni, sentimenti, sensazioni, si susseguono rapidamente, cambiano, si alternano, non esistono mai tutte insieme. Quindi, come scrive Hume, "non può essere dunque da nessuna di

27 27 identità per qualche recondita ragione: vuoi per paura o per insicurezza, ma la camuffa e la soffoca. Oggi vediamo persone tutte uguali, non perché stiamo perdendo le nostre identità o le nostre radici, ma perché ciò che ci circonda, tra TV e pubblicità, tra società e stile di vita, riesce spesso a surclassare determinati individui deboli che non riescono più a far uscire dalle loro viscere un pensiero originale. Quando si parla del rapporto tra corpo e mente e della separazione tra i due ambiti, riemerge frequentemente "l'errore" di Cartesio nell'aver creato il dualismo 15 tra la "res cogitans" e la "res extensa", ovvero la mente intesa queste impressioni, né da alcun'altra, che l'idea dell'io è derivata: per conseguenza, non esiste tale idea". 15 Per dualismo s'intende una teoria del rapporto mente-corpo secondo cui la mente ed il corpo devono essere considerate entità diverse nella loro essenza, nei modi d'azione, nelle leggi cui sottostanno, nel tipo di causazione e nel modo in cui devono essere studiate. Un dualismo di questo tipo viene chiamato dualismo delle sostanze in quanto, appunto, parla di mente e corpo come di due sostanze a sé stanti. Il padre fondatore di tale concezione è René Descartes, il quale è nello stesso tempo l'esempio più illustre di un filosofo che basa tutto il suo pensiero su quest'idea. In Cartesio res cogitans (mente, sostanza pensante) e res extensa (materia fisica) hanno tutte le caratteristiche di eterogeneità sopra riportate e sono tra loro in comunicazione in una parte speciale del nostro corpo, la cosiddetta ghiandola pineale, nella quale avviene quindi il misterioso scambio e la combinazione d'informazioni che conduce al comportamento dell'individuo.

28 28 come ragione contrapposta al corpo con il suo bagaglio di emozioni. Indubbiamente, anche in quegli anni era possibile una visione meno netta tra l'oggettività e la soggettività se Bacone poteva ipotizzare l'intrinseca ambiguità della realtà e la funzione centrale dell'osservatore, che infierisce sempre ed inevitabilmente nella percezione e nella rappresentazione dell'oggetto osservato 16. Ma in fondo il metodo di Cartesio ha prevalso, coerentemente con quanto si era già delineato a partire dal Rinascimento anche nella concezione della medicina. Questa separazione è stata anche l'avvio di un processo vitale. Infatti, nello sviluppo della storia del pensiero e delle teorie scientifiche il bisogno di differenziare le 16 Sir Francis Bacon è il filosofo della rivoluzione industriale che ha incentrato la sua riflessione nella ricerca di un metodo di conoscenza della natura che possiamo definire scientifico, nel senso che vuole essere ripetibile, parte dall'osservazione della natura e come la scienza è volto al suo dominio per ricavarne applicazioni utili per il genere umano come erano quelle dell'età industriale.riprendendo le idee dei pensatori del 400 italiano (fra i quali Leonardo Da Vinci), Francis Bacon teorizza che l'osservazione della natura deve essere praticata compilando una "tabula presentiae" e una "tabula absentiae" in cui si mettono per iscritto i dati di temperatura, oggetti anche nel dettaglio di sostanze chimiche e altri fattori ambientali presenti e assenti

29 29 competenze e di definire i confini delle diverse conoscenze ha consentito la strutturazione di ambiti di appartenenza più circoscritti e la costruzione di codici a consensualità limitata sempre più specifici per ogni disciplina. Questo processo ha radici antiche: sembra che la cultura occidentale sia segnata sin dall'origine dal concetto di separazione. Separazione che, come scrive Cacciari: "la Grecia, prima radice dell'europa, effettuò da quell' indistinto che era l'asia che sull' Europa distendeva il suo senza confine... Fu il trauma della separazione e la riflessione conseguente a far apparire in tutta la sua drammaticità la differenza tra l'uno indistinto e l' Uno che compone il molteplice" 17. Analogo processo avviene anche nello sviluppo psicologico di ogni essere umano, in cui la separazione da una "massa indistinta" rappresenta la prima tappa in un dato momento in cui si è ottenuto un fenomeno di cui si cerca di scoprire i fattori favorevoli e poi la causa determinante. 17 Massimo Cacciari è nato a Venezia nel 1944, si è laureato in Filosofia a Padova nel 1967.

30 30 del percorso evolutivo verso la differenziazione ed è quindi la premessa per consentire l'individuazione e la strutturazione di un'identità autonoma. Questo anello originario di congiunzione tra linguaggio del corpo e processualità della mente, può essere rappresentato dal concetto di soggettività e dal valore centrale del vissuto soggettivo. La centralità del soggetto è intesa, come scrive Sergio Moravia 18, nel senso dell'individuo presente nel mondo come persona consapevole che vive un contesto di relazioni multiple, con tanti altri soggetti, all'interno di una dimensione spaziale e di una genealogia storica.... Nessun uomo è veramente autoreferenziale, tutto è intersoggettivo.... La realtà dell'anima è una relazione, dove identità e alterità, 18 Sergio Moravia è professore di Storia della filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell Università di Firenze. Studioso dell illuminismo francese e del pensiero del Novecento (con particolare riguardo alla filosofia della mente e all esistenzialismo), con le sue ricerche interdisciplinari ha contribuito ad elaborare una feconda intersezione tra pensiero filosofico e scienze umane. Moravia S., L'enigma della mente. Bari: Laterza, 1996Moravia S., L'enigma dell'esistenza. Milano: Feltrinelli, Il termine autoreferenziale viene usato, sia in logica che in linguistica, per indicare un enunciato o atto verbale, che fa riferimento a sé stesso. 2 alterità sf. [sec. XVI; dal lat. tardo alteritas-ātis, differenza]. Nella filosofia classica e medievale il concetto di alterità è usato in opposizione a quello di unità ed è sinonimo o quasi di diverso e di molteplice.

31 31 reciprocamente necessarie, si riconoscono separandosi e confliggendosi. Il costrutto complesso, il parametro forte che segna l'identità è il contesto alla luce della temporalità della storia individuale: il soggetto vive con modalità di autorappresentare e autointerpretare la rete delle sue relazioni nelle quali attua il suo percorso, per cui la sua identità è un intreccio inscindibile della sua realtà biologica, della trama delle relazioni interpersonali esperite, del percorso storico della sua presenza nel mondo. In una moltitudine, scompaiono le acquisizioni individuali e la personalità propria di ciascuno. L eterogeneo si fonde all omogeneo, sostiene Gustave Le Bon in Psicologia delle folle. Molte delle difficoltà che si incontrano nella costruzione dei nostri modelli di riferimento dipendono dalle vecchie diatribe che contrappongono soggettività ed oggettività, ma più in particolare da una interpretazione molto restrittiva del termine oggettività.

32 32 Essa viene concepita come applicabile solo nei casi di misurabilità o di deliberata riproducibilità di fenomeni di qualsiasi genere essi siano. Sembra che, facendo riferimento solo al campo dell esistenza e non a quello dei contenuti, si possano portare esempi di fenomeni oggettivamente percepibili da tutti, ma che non possono essere né definiti né misurati. Per fare un esempio, l'atto di essere coscienti è un fenomeno interiore che tutti possono percepire, ma che certamente non può essere misurato né definito. Non si tratta però di una semplice categoria astratta. Il contenuto dell'atto di essere cosciente è invece soggettivo. Se si accetta il punto di vista espresso, allora ne consegue che il mondo dell'oggettività si estende oltre ogni limite creando le premesse per una ricerca interiore nella quale non ci si deve più sentire limitati dalla solitudine della soggettività. L' arte rappresenta il momento dell'esaltazione del

33 33 soggetto, il sentimento come pura soggettività, che si potenzia in forma immediata, tramite la creazione libera dai vincoli della realtà. III. 1. L atto di espressione primario e il pensiero freudieno Arthur C. Danto 19, disse una volta che una bellezza di qualsiasi tipo si può trovare laddove meno la si aspetta. Non esiste solo una lettura dell'opera d'arte basata sul significato delle forme, ma anche sulla psicologia della forma e della percezione; ed ecco che l'arte si pone come materia che coinvolge il cervello, la mente, la psiche, la cultura dell'individuo, la sua vita, la sua 19 Arthur C. Danto nella "destituzione filosofica dell arte" ritiene che si possa distinguere un'opera d'arte da un oggetto qualsiasi (pur identico all'opera d'arte) mediante la sua possibile descrizione all'interno di un dato contesto. Non è un tipo di percezione diversa che caratterizza quindi l'oggetto estetico rispetto a un qualunque tipo di oggetto, ma il diverso contesto culturale. Seguendo il ragionamento di Arthur Danto, la "fontana" di Marcel Duchamp é un oggetto d'arte, anche se in altro contesto é un orinatoio. E' infatti l'artista, che invocando ragioni storiche, culturali ed

34 34 storia. Nella teoria del buon selvaggio, Rousseau suppone per primo che ogni uomo nasce buono e giusto, e se diventa ingiusto, la causa è da ricercare nella società, che ne corrompe l originario stato di natura, ovvero quella condizione propria dell uomo selvaggio che vive assecondando le sole leggi naturali. Il primitivismo viene quindi visto come sinonimo d impulso creativo, come punto d accesso alla nascita della forma stessa. Si riteneva che tale nascita avesse luogo, ad esempio, nella prima individuazione da parte dei bambini di figure chiuse e ripetibili all interno del caos generato dai loro scarabocchi o nell atto, simile, dei decoratori del paleolitico sulle pareti delle caverne o ancora, nel genio degli scultori tribali, nel trovare una scultura segnica originale per raffigurare il corpo umano nel suo processo generativo. intenzionali a trasformare un oggetto in arte.

35 35 Bataille 20 oppose a questo un primitivismo dalla natura violenta e distruttiva, un primitivismo figlio delle grotte, letto come nascita della forma ma anche come labirintica perdita di ogni distinzione, come morte della forma per come la vediamo, un arte non più in funzione di Narciso ma del Minotauro. Egli chiamò questo concetto alterazione, con cui intendeva sia la decomposizione, sia l assoluta alterità del sacro. Ma aggredire l unità del corpo umano in un atto di automutilazione era per Bataille, l atto di espressione primaria, non creazione di forma, ma la sua cancellazione in un unico gesto sacro e escatologico Georges Bataille La nozione di informe trova la sua prima formulazione teorica attorno agli anni 1930, quando Georges Bataille vi dedica una delle voci nella rivista d arte di cui è direttore, Documents. Bataille assume la direzione di una rivista che adotta un impostazione radicalmente diversa da quelle tradizionali e cioè di offrire un compendio di Archeologia, belle-arti, etnografia, varietà. L obiettivo polemico di Bataille è la categoria di forma, che egli intende destituire di ogni fondamento ontologico: la forma non è nelle cose ma è solo la veste artificiale che noi attribuiamo alla realtà, ritagliandola appunto in forme, definizioni, per potercene scambiare il senso, per poter comunicare. La sua irritazione è rivolta ad un orizzonte estetico tradizionale, accademico, tutto incentrato su norme tese a preservare e tramandare non soltanto un sistema rigido di forme, ma una versione idealizzata della forma stessa, ossia la bella /buona forma (le belle arti). Sulla rivista Documents compaiono, cosa inusitata per l epoca, contributi sulle carceri di Piranesi, emblema di una creazione basata sull entropia, sullo spreco, la decomposizione e lo scarto; sull alterazione grottesca che da Goya è passata nell 800 a Grandville. Tutto questo accanto agli esempi più rappresentativi della cosiddetta arte modernista. Documents 1929\

36 36 Gauguin è sicuramente il primitivo del primitivismo modernista 22 ; nell arte di questi popoli egli non trovava deformazione, ma una forza, una creatività, indipendenti e alternative. Era un solitario e insoddisfatto per natura. Inizia come impressionista, ma poi si allontana verso un disegno più semplice, verso una pittura con colori più accesi e verso spazi piatti. Odiava la civiltà a tal punto da definire se stesso un selvaggio, capace di trovare quella innocenza primordiale e pura, propria di questi popoli. Il suo atteggiamento antinaturalistico, il privilegiare la mente rispetto alla materia, determinò un generale rifiuto delle concezioni dell uomo basate su dati biologici e fu specialmente importante per la possibilità di un nuovo atteggiamento verso il primitivo. Lascio la Francia per creare un arte semplice, molto semplice per immergermi in una natura vergine, non vedere nessun 22 G. C. Argan

37 37 altro al di fuori dei selvaggi, vivere la loro vita, con nessun altro pensiero nella mente che quello di rendere, come farebbe un bambino, i concetti che si formano nel mio cervello, e realizzare ciò con i primitivi mezzi dell arte, i soli mezzi che siano validi e veri 23. Il primitivismo proclama quindi, la necessità di una liberazione dell uomo dalla società, intesa come costrizione innaturale della spontaneità e della libertà individuale, auspicando un ritorno alla genuinità perduta. La libertà è per ogni artista la prima condizione per esprimersi, e perciò si rivolge, alla ricerca delle originarie fonti ispirative, ai popoli primitivi, sia africani che oceanici, nei quali è rimasta intatta la struttura culturale primordiale e per i quali le tecniche esecutive sono rimaste incontaminate dal tecnicismo e dall' artificialità della civiltà moderna. 23 Intervista a Gauguin, Citata da Jules Hret, in Paul Gauguin Discussing His Paintings.

38 38 L artista primitivista asseconda la propria pulsione emotiva, per approdare ad una comunicazione immediata e sintetica, al di la delle convenzioni formali, non preoccupandosi di chi giudica le sue opere brutte. Oggi questo disinteresse a soddisfare i gusti della critica è ancora più forte, lo è stato per artisti come Manzoni 24 o Basquiat 25 e lo è adesso per giovani artisti emergenti come Claudio Arezzo di Trifiletti, in cui il tratto si perde nel colore, disegni infantili si alternano a simboli ragionati e il tutto prende forma dall individuoartista che si libera delle sue emozioni con semplici gesti, che però riescono a dare vita ad immagini forti e complesse, piene di vita interiore e di angoscia creativa, come lo sono i disegni dei bambini e quelli 24 Piero Manzoni (Soncino, Cremona, 13 luglio Milano, 6 febbraio 1963). 25 Jean Michel Basquiat, detto Samo. Artista di colore degli anni Ottanta che ha avuto in Andy Warhol uno dei suoi maggiori e conosciuti esponenti. Le sue origini sono afroispaniche ed ha vissuto una vita breve. Muore di overdose nel 1988 a soli 28 anni.

39 39 della gente per così dire insana di mente. Freud ha per primo cercato di determinare l arte tra due principi da lui concepiti come ubiqui, il principio di piacere e quello di realtà. Il primo è quella tendenza, presente nella psiche, che pretende il potere, che però è sempre tenuta a freno dal principio di realtà. Nasce così una frustrazione degli istinti nella psiche dell individuo. Sotto l influenza delle pulsioni di autoconservazione dell Io, il principio di piacere viene sostituito da quello di realtà, il quale, esige ed ottiene il rinvio del soddisfacimento sul lungo e tortuoso cammino che porta al piacere. Da questa collisione col mondo esterno, nell individuo nasce un dispiacere, che, se troppo forte, diventa causa di nevrosi. Per Freud infatti, ogni indebolimento dell Io rende possibile la nascita della malattia nevrotica. Un altro fattore importante da analizzare è certamente quello della

40 40 rimozione. Gli impulsi repressi, infatti, hanno bisogno di una compensazione, che trovano spesso nella fantasia, sia essa sessuale o di altra natura. Per Freud le fantasie infantili e quelle della pubertà sono la base per la conoscenza dell essere umano adulto. L artista è un individuo che volge le spalle alla realtà, in quanto non sa rassegnarsi all esigenza che essa pone di rinunciare al soddisfacimento degli impulsi. La sua fortuna sta proprio nelle sue doti, che gli danno l opportunità di esprimersi e di plasmare le proprie fantasie in una sorta di compensazione che gli permette quasi sempre di tornare alla realtà. L artista diventa tale, quindi, solo quando riesce a manifestare nella sua opera immagini comuni ad altri individui, solo cioè, se

41 41 anche lo spettatore prova la sua stessa insoddisfazione. Secondo Freud infatti, l artista è solo un nevrotico con una spiccata tendenza all introversione. Già Platone parlava dell artista come di un individuo che non produceva le sue opere solo grazie alla techne, ma cadendo in una divina follia, in uno strano stato di ebbrezza bacchina, che lo rapisce nell estasi 26. Alcuni studiosi sostengono infatti, che la malattia mentale sia in grado di favorire la creatività, osservando come, in taluni casi, produca associazioni di idee inusuali e fuori da ogni parametro di razionalità, permettendo all'artista di portare alla luce immagini del tutto originali altrimenti non concepibili, frutto di processi mentali anomali che si manifestano anche grazie all'allentamento dei freni inibitori indotti dalla malattia mentale stessa (effetto che viene a volte ricercato 26 Norbert Schneider, Storia dell Estetica, la concezione moderna dell arte: da Baumgarten a Schiller, da Wheel a Croce, da Heidegger a Derrida. Sigmund Freud, p

42 42 consapevolmente dall'artista con l'assunzione di alcol, droghe o allucinogeni). La disinibizione permette infatti di attuare legami e correlazioni tra idee anche lontane tra loro, rafforzando quindi la capacità creativa ed immaginifica del soggetto, stati mentali fuori dalla cosiddetta "norma" possono associare elementi che "normalmente" vengono tenuti separati e creare collegamenti secondo legami anomali che, proprio perchè tali, risultano innovativi ed originali: queste condizioni si verificano più facilmente negli individui schizofrenici. Ci troviamo davanti al binomio genio-follia; è possibile infatti, un legame tra i due termini, poichè nell'irrazionale, nell'inconscio, nell'anomalia sono insite potenzialità che possono avere fondamentali implicazioni nella ricerca e nell'espressione estetica, fino a costruire un ponte tra due mondi estranei l'uno all'altro, quello dei "normali" e quello dei "diversi",

43 43 riportandoci dall' ignoto frammenti di visioni altrimenti non raggiungibili se non sulle ali della follia. Spesso quindi, la relazione malattia-arte è qualcosa di inscindibile, qualcosa che ha dato vita ad opere deformi, all apparenza per nulla logiche, immagini piene di vita interiore, forti e talvolta deprimenti, che riescono senza troppa fatica a fare uscire fuori dall artista e dallo spettatore che le osserva, lo spleen,o male di vivere di cui ha parlato tanto Baudelaire e al quale non si riesce a dare una forma ben precisa perché solo nella mente e nell animo di chi lo sente. L arte, seguendo queste psicologie, a partire dagli anni trenta, diventa un mezzo di autopercezione. I surrealisti avevano aperto la strada prendendo spunto dai metodi della psicoanalisi (soprattutto quello della libera associazione) e formulando la tecnica

44 44 dell automatismo 27, secondo la quale, metaforicamente parlando, l artista operava alla cieca, sfruttando il caso e facendo di tutto per minimizzare l influenza del proprio Io. Le ingenuità dell arte dei bambini e degli psicotici, vennero considerate da molti tanto istruttive quanto le opere dei loro predecessori professionisti. Andrè Breton, nel 1927 scrisse: Freud ha mostrato che nelle profondità imperscrutabili prevale una totale assenza di contraddizione, una nuova mobilità dei blocchi emozionali causati dalla repressione, una dimensione senza tempo e una sostituzione della realtà eterna, il tutto soggetto al principio del solo piacere. L automatismo conduce diritto a questa zona. Per i pittori newyorchesi tutto ciò non fu sufficiente e, al posto di Freud, guardarono a C. G. Jung per il quale 27 Nel Manifesto di André Breton (1924), il Surrealismo viene così definito :" Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di qualsiasi preoccupazione estetica e morale. Il surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero."

45 45 l inconscio apriva la strada, non solo alle nevrosi individuali, ma anche agli archetipi universali dell esperienza umana. III. 2. L importanza del primordiale e il pensiero Junghiano L'elemento a cui Carl Gustav Jung ( ) riconosce una peculiare centralità è l'inconscio collettivo, l esistenza cioè di uno strato dell'inconscio più profondo di quello individuale, un repertorio di immagini antiche da sempre presenti nell'uomo, da lui definite archetipi. Questi sono infatti, sostanzialmente immutabili: Non dobbiamo dimenticare che dall'epoca in cui splendeva la cultura

46 46 greca sono passate solamente circa ottanta generazioni. E che cosa sono ottanta generazioni? Si riducono ad un lasso di tempo impercettibile se lo paragoniamo al periodo che ci separa dall'uomo di neandhertal o di Hedelberg 28. Per lui l inconscio è mitopoietico 29 e l arte primitiva una fonte vergine di simboli importanti per il mondo contemporaneo quanto lo erano stati per il passato preistorico. M. Rothko 30, nel 1943, disse che: il mito esprime per noi qualcosa che è reale ed esistente in noi stessi, così come fu per coloro che per primi si imbatterono nei simboli e nel dar loro la vita. 28 (C. G. Jung, Simboli della trasformazione, in Opere vol. V, Boringhieri, Torino 1970, pag ). 29 Mito-Poiesis. Attività spirituale creatrice di miti, che crea miti per natura. 30 Marcus Rothkowitz nasce a Dvinsk, in Russia, il 25 settembre All'inizio degli anni '40 lavora strettamente con Gottlieb, sviluppando uno stile pittorico dal contenuto mitologico, semplici figure senza rilievo, e linguaggio figurativo derivato dall'arte primitiva. Peggy Guggenheim gli allestisce una personale alla galleria Art of This Century di New York nel Il 25 febbraio 1970, dopo un periodo di lunga depressione, si uccide nel suo studio di New York tagliandosi le vene. L'anno successivo a Huston viene inaugurata la Rothko Chapel.

47 47 J. Pollock 31 si interessò a Jung già a partire dagli anni trenta. Per il giovane artista, la migliore arte occidentale era quella degli indiani d America, capaci di afferrare le immagini appropriate e per la loro immediata comprensione di ciò che è un soggetto pittorico. La causa maggiore della rottura tra Jung e Freud fu il rifiuto da parte di Jung del pansessualismo freudiano ossia il rifiuto della concezione per cui al centro del comportamento psichico degli esseri viventi vi è l'istinto sessuale. Nella concezione junghiana dell'uomo il tratto caratteristico più importante è la combinazione della casualità con la teleologia. Il comportamento dell'uomo non è condizionato soltanto dalla sua storia 31 J. Pollock era solito lavorare molto rapidamente, le tele diventarono superfici per la semplice registrazione del suo passaggio. Le tecniche tradizionali e i materiali per dipingere non erano abbastanza flessibili e sensibili per questo scopo, così ideò la sua famosa tecnica del dripping : la mia pittura non scaturisce dal cavalletto preferisco mettere le tele ancora da stendere sul muro rigido o sul pavimento. Mi trovo più a mio agio sul pavimento, poiché posso camminare attorno alla tela, lavorare sui quattro lati ed essere letteralmente dentro il quadro.

48 48 individuale e di membro della razza umana (casualità), ma anche dai suoi fini e dalle sue aspirazioni (teleologia). Sia il passato come realtà, sia il futuro come potenzialità, guidano il nostro comportamento presente. Jung sostiene che entrambi le posizioni sono necessarie in psicologia per giungere a capire perfettamente la personalità. Il presente, infatti, è determinato non solo dal passato, ma anche dal futuro. Un atteggiamento puramente casuale porta l'uomo alla disperazione perché lo rende prigioniero del passato. L'atteggiamento finalistico invece, dà all'uomo un senso di speranza e uno scopo per cui vivere. La sua concezione della personalità considera la direzione futura dell'individuo e nello stesso tempo è retrospettiva, nel senso che si rifà al passato. Jung vede

49 49 nella personalità dell'individuo il prodotto e la sintesi della sua storia ancestrale, ponendo l'accento sulle origini razziali dell'uomo. Ogni singolo individuo nasce già con molte predisposizioni trasmesse dai suoi antenati e queste lo guidano nella sua condotta. Quindi, esiste una personalità collettiva e razzialmente preformata che è modificata ed elaborata dalle esperienze che riceve. Carl Gustav Jung ha contribuito alla sostanziale trasformazione della nozione di realtà psichica, analizzando le diverse manifestazioni della cultura - dalla scienza all'arte, dalla filosofia alla religione - alla luce della teoria del simbolo. La psicologia analitica, affrancandosi dalla visione positivistica e riallacciandosi semmai alle radici filosofiche del romanticismo tedesco, concorre al mutamento che

50 50 caratterizza la cultura del Novecento. Nel saggio "Psicologia e poesia" 32 la creazione artistica viene vista come una delle migliori vie di accesso alla realtà psichica. Jung è ben consapevole del carattere di autonomia dell'opera d'arte rispetto al suo creatore; l opera va al di là dei problemi psicologici e dei conflitti personali dell'autore. L artista esprime così gli archetipi e l'inconscio collettivo trova una possibilità di espressione nel poeta-vate che riscopre immagini primordiali, ancestrali, ma riuscendo pur sempre a plasmarle in forme adeguate al momento storico in cui nasce l'opera. IV. Art brut: la nascita di un termine. Quando cominciò a fare pittura in termini professionali, solo a partire dal 42, Dubuffet scelse le 32 Jung C. G. Psicologia e poesia in "La dimensione poetica", Boringhieri,

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