Mobbing nel campo del pubblico impiego
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1 LexItalia.it Rivista internet di diritto pubblico Mobbing nel campo del pubblico impiego MARIA GENTILE, In assenza di un disegno persecutorio non può configurarsi una condotta di mobbing (note a margine di Cons. Stato, sez. VI, sent. 4 novembre 2014)*. MARIA GENTILE* In assenza di un disegno persecutorio non può configurarsi una condotta di mobbing (note a margine di Cons. Stato, sez. VI, sent. 4 novembre 2014, n. 5419) Il giudice amministrativo ribadisce l insussistenza del fenomeno del mobbing in una fattispecie in cui la valutazione complessiva dell insieme delle circostanze addotte, pur se idonea a palesare, singolarmente esaminate le sue componenti, elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro. La sentenza del Cons. Stato, sez. VI, sent. 4 novembre 2014 n. 5419, trae origine da una vicenda contenziosa concernente la richiesta di risarcimento danni da preteso mobbing e da asserito demansionamento, in conseguenza di affermate plurime azioni vessatorie e discriminatorie, che si sarebbero snodate in un largo arco temporale a danno di una docente universitaria avente la qualifica di professore associato. Il giudice di primo grado aveva negato l esistenza nella fattispecie di un sovrastante disegno persecutorio che collegasse i vari atti e comportamenti addotti, peraltro non provati in relazione al dilatato arco temporale assunto a riferimento (dal 1982 al 2007). Propone appello la ricorrente, riesponendo sostanzialmente le stesse doglianze svolte in ben 71 capitoli dinanzi al Tar ed adducendo che i primi giudici avrebbero escluso la sussistenza e la rilevanza del mobbing, trascurando la completa documentazione a sostegno della domanda, illogicamente negando l ammissione dei mezzi istruttori per prova testimoniale e consulenza tecnica d ufficio, con una pronuncia generica e tautologica, carente di indicazione sull iter logico-argomentativo seguito nell escludere la sussistenza del mobbing e il demansionamento. Il Consiglio di Stato, a sua volta, ha respinto il ricorso ribadendo a fondamento della sua decisione argomentazioni già svolte in precedenti occasioni. Lo stesso giudice, infatti, ha già più volte avuto modo di affermare che con il termine mobbing, in assenza di una definizione normativa, si intende normalmente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica [1]. 1 / 6
2 Ai fini della configurabilità della condotta lesiva di mobbing, da parte del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; e) dalla prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. La condotta di mobbing del datore di lavoro va esposta nei suoi elementi essenziali dal lavoratore, che non può limitarsi davanti al giudice a genericamente dolersi di esser vittima di un illecito, ovvero ad allegare l'esistenza di specifici atti illegittimi, ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice amministrativo, anche con i suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione, in quanto, la pur accertata esistenza di uno o più atti illegittimi adottati in danno di un lavoratore non consente di per sé di affermare l'esistenza di un'ipotesi di mobbing [2]. La ricorrenza di un'ipotesi di condotta mobbizzante deve essere esclusa quante volte la valutazione complessiva dell'insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare, singulatim, elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro [3]. E' in primo luogo necessaria, quindi, la prova dell'esistenza di un sovrastante disegno persecutorio, tale da piegare alla sue finalità i singoli atti cui viene riferito. Nel lavoro alle dipendenze degli enti pubblici per configurarsi una condotta di mobbing è necessario un disegno persecutorio tale da rendere tutti gli atti dell'amministrazione, compiuti in esecuzione di tale sovrastante disegno, non funzionali all'interesse generale a cui essi sono normalmente diretti [4]. Un atto illegittimo, o più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante, occorrendo la presenza di un complessivo disegno persecutorio qualificato da comportamenti materiali, ovvero da provvedimenti, contraddistinti da finalità di volontaria e organica vessazione nonché di discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa. Secondo il giudice amministrativo, dunque, per potersi configurare una fattispecie di mobbing sarebbe necessario riscontrare un elemento psicologico della condotta non semplicemente colposo, ma doloso, sia pure nella forma del dolo generico. Occorre rilevare al riguardo che ciò che caratterizza il fenomeno del mobbing rispetto ad altre figure di illeciti è la sua capacità di unificare in una fattispecie unitaria una pluralità di azioni, atti, comportamenti, alcuni dei quali, in sé considerati, potrebbero essere neutri, ma il cui reale fine dannoso e illecito si apprezza soltanto se i medesimi sono letti in unione con altri ed in un ottica finalistica complessiva. Una parte della giurisprudenza ordinaria [5] ha perciò affermato che il mobbing realizzi una fattispecie dolosa; senonché la configurazione di un dolo specifico del datore di lavoro appare una ricostruzione fuorviante [6] poiché rischia di restringere eccessivamente l ambito di operatività del mobbing e della tutela accordabile richiedendo una difficoltosa verifica dell intenzione dell agente. Perché possa configurarsi il fenomeno del mobbing è sufficiente che la sequenza di atti e comportamenti posti in essere assuma una valenza persecutoria e risulti implicito il perseguimento di una finalità illecita. In definitiva, il motivo discriminatorio o vessatorio non consisterebbe nell intento personale o psicologico o nell aspetto soggettivo della condotta, ma nella finalità illecita, apprezzabile dal giudice in ragione dell attitudine della condotta a pregiudicare il lavoratore, che può essere accertata avuto riguardo alle circostanze di fatto e 2 / 6
3 specificamente alle caratteristiche oggettive della condotta e al suo permanere nel tempo [7]. I giudici della Corte di Cassazione dopo aver affermato che ha natura contrattuale la responsabilità del datore di lavoro nelle fattispecie di mobbing, nelle quali viene in rilievo la violazione dell obbligo di sicurezza di cui all art c.c., il quale impone al datore di lavoro l adozione delle misure che secondo la particolarità del lavoro, l esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro [8], hanno già da tempo chiarito che il mobbing si realizza in presenza di una condotta sistematica e protratta nel tempo che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione all integrità fisica e alla personalità morale del prestatore di lavoro, garantite dall art c. c. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi considerando l idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato [9]. Anche la più recente giurisprudenza di merito ha riconosciuto che per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica [10]. Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato sembra non discostarsi da tali approdi, poiché nel respingere l appello proposto afferma che la sentenza impugnata ha motivatamente escluso l esistenza di atti a contenuto vessatorio, rilevando che i fatti denunciati - molti dei quali comunque irrilevanti o rimasti indimostrati oppure non opposti ovvero prescritti [11] - avevano assunto solo nella percezione soggettiva della ricorrente una valenza lesiva della sua personalità; in ogni caso, non erano emersi elementi idonei ad avvalorare la tesi di un intento vessatorio. Né, osserva il giudice, può configurarsi, come denunciato dal ricorrente, l omesso o insufficiente esame di fatti decisivi poichè per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità logica tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla vertenza, sì da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una decisione diversa. Nella specie non viene fornito alcun elemento che dia prova dell esistenza di dati asseritamente trascurati dal giudice di prime cure, determinanti ai fini del decidere. Con riferimento poi al preteso risarcimento dei danni discendenti dall illecito demansionamento e dal mobbing, il giudice ribadisce la regola della pregiudizialità amministrativa per la quale tale domanda non può essere accolta qualora il lavoratore non abbia tempestivamente impugnato i provvedimenti organizzativi, adottati dall amministrazione nell ambito della sua attività gestionale, da cui è derivata l asserita modifica peggiorativa del rapporto lavorativo. Lo stesso giudice aveva chiarito che, al fine di ottenere il risarcimento dei danni discendenti dall'asserito demansionamento del dipendente in conseguenza dell'adozione di atti autoritativi, esprimenti le scelte discrezionali (tecnico-amministrative) degli organi preposti alla cura di rilevanti interessi pubblici, si deve ritenere che detti provvedimenti debbano essere tempestivamente impugnati ed annullati [12]. La domanda di risarcimento dei danni discendenti da illecito demansionamento e mobbing non potrebbe perciò essere accolta qualora il lavoratore non abbia tempestivamente impugnato i provvedimenti organizzativi, adottati dall'amministrazione nell'ambito della sua attività gestionale, da cui è derivata l'asserita modifica in peius del rapporto lavorativo. 3 / 6
4 Il caso oggetto della pronuncia in esame concerne un dipendente in regime pubblicistico e, in tale ambito, la fattispecie del demansionamento si verifica a seguito dell'adozione di atti amministrativi organizzativi. Tali atti, comportando l'esercizio di discrezionalità tecnica da parte della P.A., devono ritenersi esercizio del potere discrezionale della medesima nelle scelte relative alla gestione dei propri uffici. Occorre, tuttavia, evidenziare che esiste anche un orientamento diverso del giudice amministrativo in base al quale, pur non negandosi in linea generale la validità della pregiudizialità, si ritiene che in caso di mobbing detta regola non possa ritenersi operante. Infatti in tale fattispecie ad essere leso non sarebbe un interesse legittimo ma un diritto fondamentale della persona e, cioè, il diritto al lavoro ed alla libera esplicazione della propria personalità anche nei luoghi di lavoro. L'esistenza ab origine di un diritto soggettivo esclude che possa discutersi di pregiudiziale amministrativa essendo ammissibile che la parte introduca direttamente un'azione di danni, sia davanti al giudice ordinario sia davanti al giudice amministrativo [13]. L'auspicato superamento della regola della pregiudizialità, è stato invocato più volte dalla Corte di Cassazione [14] e, d altronde, è stato osservato che ove tale regola si ritenesse applicabile in tutti i casi in cui si lamenti un illegittimo demansionamento la tutela del mobbing nel pubblico impiego non privatizzato ne risulterebbe "monca". Il mobbing per sua stessa natura si caratterizza, come già dianzi riportato, per una pluralità di condotte materiali o provvedimentali che, singolarmente considerate, possono anche essere legittime e, dunque, la vittima, al momento dell'adozione del primo degli atti organizzativi che importano un suo demansionamento, potrebbe non rendersi conto di essere mobbizzata, soprattutto se l'atto organizzativo in questione non sia rivolto esclusivamente ai suoi danni ma abbia una serie più ampia di destinatari. Sul punto è stata prospettata una soluzione [15] secondo la quale il fenomeno del mobbing sarebbe da ricomprendere, se riferito ad ipotesi di rapporto di lavoro alle dipendenze di enti pubblici, nell ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; il mobbing, infatti, lede un diritto fondamentale dell'individuo: il diritto al lavoro ed alla libera esplicazione della propria personalità anche nei luoghi di lavoro. Il giudice amministrativo è ritenuto competente essendo la materia del pubblico impiego non privatizzato devoluta alla sua giurisdizione esclusiva. La giurisdizione esclusiva in materia sarebbe del resto conforme a quanto dettato dalla Corte costituzionale sul riparto di giurisdizione, trattandosi di ipotesi in cui è palese l'esercizio di poteri autoritativi [16]. Nel caso di specie, tuttavia, l esclusione della configurabilità di un'ipotesi di mobbing è condivisibile alla luce della circostanza che non sembra emergere la prova di un intento persecutorio e, neppure, di una effettiva dequalificazione professionale del dipendente. L ultimo aspetto che la pronuncia del Consiglio di Stato prende in esame attiene alla denunciata natura ritorsiva dei provvedimenti dell amministrazione universitaria con i quali la ricorrente sarebbe stata demansionata e resa inattiva nella qualifica. Sul punto si richiama l orientamento della Corte di cassazione, in ordine a vicende concernenti l equivalenza delle mansioni di dipendenti pubblici privatizzati, in base al quale, in tema di provvedimento del datore di lavoro a carattere ritorsivo, l'onere della prova su tale natura dell'atto grava sul lavoratore, potendo esso essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia, il quale deve aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del provvedimento illegittimo [17]. 4 / 6
5 Ne consegue che, in sede di giudizio di legittimità, il lavoratore che censuri la sentenza di primo grado per aver essa negato il carattere ritorsivo del provvedimento datoriale non può limitarsi a dedurre la mancata considerazione, da parte del giudice, di circostanze rilevanti in astratto ai fini della ritorsione, ma deve indicare in concreto specifici elementi idonei ad individuare la sussistenza di un rapporto di causalità tra le circostanze pretermesse e l asserito intento di rappresaglia. Nella specie tutto ciò non si è realizzato, essendosi, anzi, il ricorrente limitato a un generico accenno e rinvio agli atti introduttivi, rispetto ai quali e senza contrastare le difese avversarie, si afferma che le amministrazioni resistenti avrebbero dovuto provare il contrario. A conclusione dell analisi del recentissimo pronunciamento del giudice amministrativo, onde non deludere le aspettative di tutela risarcitoria delle vittime di comportamenti vessatori da parte del datore di lavoro e dei colleghi, è opportuno rammentare anche l orientamento della Corte di cassazione di recente ribadito in ordine alla possibilità che, laddove non possa ritenersi la sussistenza del fenomeno del mobbing, possa comunque rinvenirsi una forma di responsabilità del datore di lavoro. La Suprema Corte ha precisato che, nella ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi della configurabilità del mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati - esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri - pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati autonomamente vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro che possa essere chiamato a risponderne, ovviamente nei soli limiti dei danni a lui imputabili [18]. Proprio in considerazione della circostanza che nel nostro ordinamento giuridico non è prevista una definizione del fenomeno del mobbing, l assenza della caratteristiche di reiterazione, sistematicità ed intenzionalità delle condotte denunciate, in base alla quale deve essere esclusa la ricorrenza del mobbing, non esclude, tuttavia, che i fatti addotti dal lavoratore possano essere rilevanti per altro profilo, ai fini del risarcimento dei danni richiesto in relazione alla violazione degli obblighi gravanti sull imprenditore a norma dell art c. c. da accertare alla stregua delle regole stabilite dalla stessa norma per il relativo inadempimento contrattuale, regole che prescindono dalla necessaria presenza del dolo [19] (*) Professore della Scuola Nazionale dell Amministrazione. [1] Cons. St. sez. IV 6 agosto 2013, n. 4135, in Fisco on line, [2] Cons. St. sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1388, in italia.it, Massima redazionale, [3] Cons. Stato Sez. IV, , n. 14, in in Fisco on line, [4] Cons. St., sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3648, in Giur. It., 2012, 2, 369. [5] Cass. sez. lav. 21 aprile 2009, n. 9477, in Nuova Giur. Civ., 2009, 11, 1, [6] Piuttosto dovrebbe parlarsi di un dolo eventuale, con accettazione da parte del datore di lavoro della possibilità che si realizzi l evento dannoso in capo al dipendente. ZILLI Il Mobbing nel pubblico impiego contrattualizzato, in Resp. Civ e prev., 5, 2011, 997 ss. 5 / 6
6 Powered by TCPDF ( [7] Sulla discussione in ordine alla concezione che attribuisce rilevanza all elemento soggettivo rispetto alla tesi c.d. oggettiva cfr. GENTILE, IL MOBBING problemi e casi pratici nel lavoro pubblico, Cosa&Come, Milano, 2009, 72 ss. [8] Cass. civ. sez. lav, 25 maggio 2006, n , in CED Cassazione, 2006 (rv ); Cass. civ. ss.uu., 4 maggio 2004, n. 8438, in Riv. Critica Dir. Lav., 2004, 339. [9] Cass. sez. lav. 6 marzo 2006, n. 4774, in Arg. dir. lav. 6, 2006, [10] Trib. Arezzo 4 maggio 2012, ined. [11] A riguardo si osserva che in una vicenda di mobbing anche illeciti oramai prescritti possono acquisire rilievo e contribuire alla rilevazione dell esistenza del disegno vessatorio d insieme. [12] Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2008, n. 2515, in Giur. It., 2008, 10, 2336 [13] Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2008, n. 1739, in LexItalia.it, pag. [14] per tutte si veda Cass. civ. ss.uu., 7 gennaio, 2008, n. 35, Giur. It., 2008, 7, [15] PAVONI, Mobbing e pregiudizialità amministrativa, in Resp. civ. e prev. 2008, 9, [16] Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Giornale Dir. Amm., 2004, 9, [17] Cass. civ. sez. lav., 05 agosto 2010, n , in CED Cassazione, 2010, (rv ). [18] Cass., sez. lav. 5 novembre 2012, n , in Guida al dir. 2012, n. 48, 36 ss. [19] Cass. sez. lav. 20 maggio 2008, n , in Mass., / 6
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