CRIOCONSERVAZIONE DI OOCITI: CONGELAMENTO LENTO E VITRIFICAZIONE

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1 1 CRIOCONSERVAZIONE DI OOCITI: CONGELAMENTO LENTO E VITRIFICAZIONE Introduzione La conservazione di gameti, embrioni e tessuti di natura gonadica ha progressivamente acquisito un ruolo sempre più ampio e importante nella procreazione medicalmente assistita (PMA). In particolare negli ultimi anni, i tentativi di conservare oociti maturi hanno rappresentato una risposta a diverse aspettative, quali quelle di limitare il numero di embrioni crioconservati, rendere più sicura la donazione di oociti, contenere l incidenza di gravidanze multiple e preservare la fertilità nelle donne a rischio di menopausa precoce. Allo stato attuale, l unica realistica opzione per la conservazione di oociti della specie umana - e di altre specie di mammifero - è la crioconservazione, modalità che consente la preservazione della vitalità cellulare per lunghi periodi attraverso il mantenimento alla temperatura dell azoto liquido(-196 C). Altre forme di conservazione, quali l ipotermia e la liofilizzazione, non sono ancora in grado di garantire la preservazione a lungo termine degli oociti, cellule particolarmente delicate e sensibili agli stress ambientali. La crioconservazione è applicabile attraverso due approcci, il congelamento lento e la vitrificazione, che si distinguono per il modo in cui il materiale biologico viene raffreddato dalla temperatura fisiologica a quella dell azoto liquido, ma che indifferentemente consentono la conservazione del protoplasma in uno stato fisico comparabile a quello vetroso. Il congelamento lento tende a prevenire la formazione di ghiaccio intracellulare, principale fonte di danno cellulare durante il processo di crioconservazione, attraverso una lenta deidratazione verificantesi durante uno lento e controllato abbassamento della temperatura. In tal modo, la cristallizzazione dell acqua avviene nell ambiente extracellulare, ma non si estende (o non dovrebbe estendersi) al compartimento extracellulare. La vitrificazione persegue invece l obiettivo di impedire la formazione di ghiaccio intracellulare attraverso un quasi istantaneo abbassamento della temperatura, facendo in modo che il tempo richiesto per la transizione termica non sia sufficiente affinché le molecole di acqua possano organizzarsi in un reticolo cristallino. In ambedue i casi, 1

2 sostanze esercitanti un effetto crioprotettivo (agenti crioprotettori, ACP) svolgono un ruolo essenziale principalmente attraverso un effetto deidratante e di interferenza con il processo di cristallizzazione. Il concetto della crioconservazione di oociti non è certamente innovativo. Già oltre un ventennio or sono, erano state riportate gravidanze ottenute con oociti crioconservati (1, 2). Tali tentativi ebbero però un carattere episodico, non avendo dimostrato che fosse possibile crioconservare gli oociti con la stessa efficienza con cui era già possibile conservare gli embrioni (3). A quell epoca, le difficoltà poste dalla crioconservazione di oociti non erano limitate alla specie umana. Nel 1977, Whittingham (4) aveva ottenuto ridotte percentuali di fecondazione in oociti di topo crioconservati. Nella stessa specie, ancora nel 1989 Carroll et al. (5) confermavano che la crioconservazione di oociti causasse una riduzione della percentuale di fecondazione, unitamente a importanti alterazioni (mancata estrusione del secondo globulo polare) del processo stesso di fecondazione. Emergeva così progressivamente la consapevolezza che in generale gli oociti fossero una specie cellulare scarsamente resistente alla crioconservazione. Le possibili ragioni della particolare sensibilità degli oociti alla crioconservazione furono a quel tempo comprese solo in parte, ma si consolidò l opinione che le grandi dimensioni cellulari, che limitano l effetto deidratante dei crioprotettori, e la elevata sensibilità del citoscheletro alle basse temperature (6) costituissero difficoltà quasi insormontabili. Pertanto, in assenza di risultati incoraggianti sia in campo clinico, sia in ambito sperimentale, la crioconservazione di oociti fu dimenticata per circa un decennio, anche per l elevata efficacia garantita della crioconservazione di embrioni e la scarsità di oociti umani da destinare alla ricerca. Nella seconda metà degli anni novanta si assistette ad un rinnovato interesse nella materia. Nel 1997 Porcu et al. (7) riportavano il positivo completamento di una gravidanza ottenuta da un oocita crioconservato e microiniettato. Tale risultato clinico aveva seguito di pochi anni importanti progressi in campo sperimentale. Nel 1993, Carroll et al. (8) avevano dimostrato che, attraverso opportune modifiche del protocollo di congelamento lento, fosse possibile ottenere in oociti di topo 2

3 crioconservati percentuali di fecondazione e sviluppo pre- e post-impianto indistinguibili da quelle normalmente ottenute con oociti freschi. In tal modo, veniva sfatato il pregiudizio che gli oociti di mammifero non fossero crioconservabili in maniera efficiente. È difficile pensare che ciò non possa aver incoraggiato nuovi studi nella specie umana, pur considerate ovvie differenze (prima fra tutte le dimensioni) esistenti tra oociti murini e umani. L atteggiamento rispetto alla crioconservazione di oociti cominciò a mutare, lentamente ma inesorabilmente. Tra la fine degli anni novanta e l inizio del successivo decennio, furono pubblicate diverse esperienze (9-11). Ancora una volta questi studi ebbero un carattere episodico, a causa di un inadeguato approccio metodologico degli scarsi risultati. Tuttavia essi hanno conferito alla materia un inerzia che dura tutt ora e che nel corso dell ultimo decennio ha portato al raggiungimento di risultati insperati, rendendo la crioconservazione di oociti una realtà clinica I crioprotettori Per crioconservare con successo cellule, tessuti e organi è essenziale applicare una forma di crioprotezione che impedisca la formazione di ghiaccio intracellulare e il manifestarsi di altri fenomeni indesiderati derivanti direttamente o indirettamente dalla formazione di ghiaccio. La crioprotezione può essere ottenuta attraverso l uso di agenti crioprotettori (ACP), Gli ACP esercitano effetti differenti e talvolta non del tutto compresi. In primo luogo essi deidratano la cellula, riducendo la massa d acqua che potrebbe trasformarsi in ghiaccio. Secondariamente, si sostituiscono all acqua intracellulare, facilitando la conversione del protoplasma in uno stato amorfo. Ad adeguate concentrazioni, gli ACP abbassano il punto di congelamento di una soluzione, stabilendo legami idrogeno con le molecole di acqua di una soluzione e interferendo con il processo di cristallizzazione. Ciò evidentemente riduce il rischio di formazione di cristalli di ghiaccio ad una determinata temperatura. Prevenendo la formazione di ghiaccio, gli ACP sono anche in grado di limitare l incremento della concentrazione salina di una 3

4 soluzione che si verifica durante il processo di congelamento. Alcuni ACP, classificati come permeanti o intracellulari, sono composti oligo-idrossilici di basso peso molecolare. Il glicerolo è stato il primo ACP ad essere applicato nella pratica sperimentale. Lovelock (12) scoprì che all aumentare della sua concentrazione in una soluzione acquosa si riduceva la formazione di ghiaccio ad una data temperatura durante il raffreddamento. Divenne poi chiaro che diversi altri soluti neutri potessero generare un azione crioprotettiva, dipendente dalla loro capacità di rimanere in soluzione a basse temperature, essere poco tossici e penetrare nell ambiente intracellulare attraversando la membrana esterna. Molte molecole hanno mostrato di possedere un azione crioprotettiva, tra cui, ethylene glycol (EG), acetamide ma soprattutto propandiolo (PrOH) e dimetilsolfossido (DMSO). Non tutti i crioprotettori hanno la stessa efficacia nei confronti di un determinato tipo cellulare. Ciò dipende in gran parte dalla capacità di queste molecole di attraversare la membrana cellulare (13). Se ciò accade con difficoltà o in maniera trascurabile, l interno della cellula andrà incontro ad una semplice deidratazione, l acqua intracellulare non sarà sostituita dal ACP e i soluti intracellulari subiranno una concentrazione, con possibili conseguenze per l equilibrio omeostatico della cellula. Inoltre, se la membrana cellulare è poco permeabile all ACP, la perdita di acqua sarà molto più veloce della penetrazione di ACP, generando un effetto di contrazione-espansione potenzialmente dannoso (14). Altri ACP sono poli-idrossilici, di più elevato peso molecolare e pertanto incapaci di attraversare la membrana cellulare, esercitando in tal modo solo un effetto deidratante senza sostituirsi all acqua intracellulare. Solitamente, non è possibile ottenere il desiderato grado di deidratazione in un singolo passaggio senza causare eccessivo stress alla cellula. È così prassi comune esporre la cellula a soluzioni contenenti ACP a concentrazioni progressivamente superiori in modo che le variazioni di volume non superino i livelli tollerati (15). Un altro importante fattore in grado di influenzare la cellula crioconservata è la tossicità intrinseca del ACP. L importanza relativa di questi fattori è diversa per ogni tipo cellulare e per ciascun ACP. Spesso l unica opzione per la individuazione di questo equilibrio è rappresentato da un approccio puramente empirico. 4

5 Principi generali del congelamento lento Prima del raffreddamento della cellula a temperature inferiori a 0 C, concentrazioni relativamente basse ( mol/l) di ACP possono essere utilizzate per deidratare l ambiente intracellulare e prevenire la formazione di ghiaccio intracellulare. Generalmente, questa fase iniziale di deidratazione implica l esposizione a un singolo ACP intracellulare, quale il PrOH, il DMSO o l EG. La presenza nel compartimento extracellulare di uno di questi ACP crea un gradiente osmotico che determina un estrazione di acqua dalla cellula. Essendo la permeabilità all acqua dell oolemma più elevata rispetto alla permeabilità a qualsiasi ACP intracellulare, inizialmente l efflusso di acqua non è bilanciato da un equivalente influsso di ACP. Ciò genera una rapida riduzione e un successivo più lento recupero del volume cellulare. Una seconda fase di deidratazione si verifica in seguito all esposizione ad una miscela contenente lo stesso ACP intracellulare e un ACP extracellulare, quest ultimo solitamente costituito dal saccarosio o un altro oligosaccaride. Queste condizioni ristabiliscono un disequilibrio osmotico che induce un ulteriore fase di deidratazione (15). Successivamente, per evitare un eccessivo shock termico, la cellula è raffreddata con relativa lentezza ( 2 C/min) a temperature al di sotto di 0 C. Raggiunta una temperatura compresa tra 6 C e 8 C (appena al di sotto del punto di congelamento della soluzione), viene indotta deliberatamente la nucleazione del ghiaccio toccando con un oggetto (quale una pinza) raffreddato precedentemente in azoto liquido il dispositivo (straw, vial o altro) in cui è contenuta la cellula. Si attendono poi alcuni minuti per permettere la dissipazione del calore latente rilasciato dal processo di nucleazione. La temperatura viene poi ulteriormente abbassata ( 0.3 C/min) in modo che l acqua extracellulare si trasformi lentamente in ghiaccio. Durante la conversione di acqua in ghiaccio, i soluti presenti nella soluzione tendono a concentrarsi selettivamente nella frazione di acqua ancora non congelata. Se non adeguatamente controllato, l aumento della concentrazione dei soluti, dettato cineticamente dalla velocità di raffreddamento, 5

6 può influenzare la vitalità della cellula poiché alte concentrazioni saline esercitano un effetto destabilizzante sulle membrane e altre biomolecole. L entità del danno cellulare dipende dal tipo di soluti, dalla loro concentrazione e dal tempo di esposizione alle suddette condizioni. A parità di altri fattori, l effetto negativo dell aumento dei soluti (che si manifesta come ridotta sopravvivenza della cellula) potrebbe essere attenuato aumentando la velocità di raffreddamento e riducendo pertanto il tempo durante il quale si verifica la conversione del ghiaccio extracellulare in acqua. Sperimentalmente, ciò corrisponde al vero solo entro certi limiti, oltre i quali un ulteriore aumento della velocità di raffreddamento genera nuovamente una ridotta sopravvivenza cellulare. Questo andamento bifasico della sopravvivenza rispetto alla velocità di raffreddamento è un fenomeno che interessa tutte le cellule anche se la velocità ottimale di raffreddamento, quella cioè che corrisponde al valore massimo di sopravvivenza, è diversa per ciascun tipo cellulare. [Inserire Figura 1] La duplice valenza della velocità di raffreddamento sulla sopravvivenza cellulare è riconducibile ovviamente anche alla formazione di ghiaccio intracellulare. La velocità di raffreddamento regola il cambiamento dell aumento della concentrazione dei soluti che a sua volta determina la velocità di trasferimento dell acqua dall ambiente intracellulare a quello extracellulare. A patto che l acqua possa fuoriuscire dalla cellula con sufficiente velocità, il citoplasma non raggiunge la propria temperatura di congelamento e il ghiaccio si forma solo nel compartimento extracellulare. Al contrario, se la velocità di raffreddamento è eccessiva rispetto alla capacità dell oolemma di consentire la fuoriuscita di una sufficiente quantità di acqua, l ooplasma, non sufficientemente deidratato, raggiunge temperature inferiori a quelle del punto di congelamento (fenomeno noto come supercooling), essendo in tal modo esposto al rischio di formazione di ghiaccio intracellulare. La velocità di raffreddamento ideale per ottenere i valori massimi di sopravvivenza è data dal punto in cui si intersecano le curve che descrivono il danno derivante dall aumento dei soluti e la formazione di ghiaccio intracellulare. 6

7 A temperature comprese tra 30 e 40 C, quasi tutta l acqua extracellulare è stata convertita in ghiaccio e quasi tutta l acqua congelabile è stata estratta dalla cellula, mentre il sistema nel complesso raggiunge uno stato di matrice vetrosa costituito da ghiaccio e altri componenti estremamente viscosi. A tal punto, la temperatura della cellula può essere velocemente abbassata a quella dell azoto liquido, evitando la formazione di significative quantità di ghiaccio intracellulare. Dopo la conservazione in azoto liquido, lo scongelamento è effettuato secondo modalità che dipendono dalle condizioni di raffreddamento. Se la cellula è stata immersa in azoto liquido ad una temperatura relativamente elevata (da 20 C a 30 C), è possibile che piccoli nuclei di cristalli di ghiaccio intracellulare si siano formati in conseguenza di una incompleta deidratazione durante la conversione dell acqua extracellulare in ghiaccio. In tal caso, lo scongelamento dovrebbe avvenire velocemente per prevenire la crescita di questi cristalli di ghiaccio intracellulare in una misura in grado di causare danno all organizzazione e agli organelli della cellula. Al contrario, se la cellula viene posta in azoto liquido a partire da una temperatura più bassa di 40 C, lo scongelamento può essere condotto lentamente poiché è probabile che una più lunga fase di deidratazione durante il congelamento abbia determinato una completa estrazione dell acqua congelabile dall ambiente intracellulare. Dopo aver effettuato lo scongelamento, la reidratazione della cellula è ottenuto tramite l esposizione a concentrazioni decrescenti dell ACP intracellulare usato per il congelamento. Le soluzioni di reidratazione contengono anche di solito concentrazioni fisse o decrescenti di un ACP extracellulare, quali il saccarosio o altri zuccheri, svolgenti un azione di controllo del flusso netto di acqua che penetra nella cellula per diluire l ACP intracellulare. Completata la reidratazione, l oocita è posto in coltura in attesa del momento dell inseminazione Principi generali della vitrificazione Negli ultimi anni la vitrificazione è si affermata come approccio alternativo per la crioconservazione, sollevando notevole interesse soprattutto per le indicazioni di trattamento di PMA contemplanti la conservazione di embrioni e oociti. La vitrificazione consiste nella 7

8 crioconservazione del materiale biologico in uno stato solido amorfo privo di una struttura cristallina. L assenza di processi di cristallizzazione durante la conservazione a bassa temperatura costituisce un elemento chiave, poiché si ritiene che i cristalli di ghiaccio siano la causa principale della perdita di vitalità del materiale biologico nel caso in cui sia crioconservato con approcci più tradizionali, quale il congelamento lento. La vitrificazione implica l impiego di condizioni chimicofisiche elevata tossicità e stress osmotico causati dalle soluzioni di conservazione potenzialmente nocive per il materiale biologico da crioconservare. Tossicità e stress osmotico derivano dall inclusione nelle soluzioni di vitrificazione di uno o più ACP, necessari per ottenere un effetto di deidratazione dell ambiente cellulare, aumentare la viscosità del sistema e, in ultima analisi, annullare la possibilità di formazione di cristalli di ghiaccio. La tossicità dipende dal tipo e concentrazione degli ACP e dalla specifica sensibilità del tipo cellulare. Oltre ad alte concentrazioni di crioprotettore, la vitrificazione richiede elevatissimi gradienti di raffreddamento per ridurre la temperatura del materiale biologico al di sotto della temperatura di cristallizzazione prima che possa iniziare la nucleazione del ghiaccio, e per creare le condizioni per una transizione della materia verso lo stato vetroso. Transizioni termiche sufficientemente elevate ( C/min) sono ottenibili esponendo, dopo la fase iniziale di deidratazione, il materiale biologico direttamente all azoto liquido. È inoltre indispensabile impiegare volumi minimi (0.2-1µl) di vitrificazione, per ridurre i tempi di dissipazione del calore del volume del materiale soggetto a vitrificazione nella fase di esposizione all azoto liquido. Successivamente alla fase di conservazione in azoto liquido, all occorrenza è evidentemente necessario ripristinare la temperatura fisiologica (warming) e reidratare la cellula, evitando che ciò causi un eccessivo stress osmotico. Per tale necessità si utilizzano soluzioni contenenti ACP extracellulari (saccarosio) a concentrazioni decrescenti. È anche indispensabile che il warming avvenga con estrema rapidità, per evitare che si verifichi il fenomeno di ri-cristallizzazione. Tutto ciò consente di ottenere elevate percentuali di sopravvivenza con una molteplicità di tipi cellulari. Si noti che la vitrificazione differisce dal rapid cooling, poiché quest ultimo comporta uno stato fisico della materia cristallino o paracristallino. 8

9 In tempi moderni, Rapatz e Luyet (16) furono i primi a descrivere l uso della vitrificazione per la crioconservazione di un campione biologico (eritrociti). Negli anni ottanta, Rall e Fahy (17) diede ulteriore e decisiva inerzia alla vitrificazione dimostrando che la vitrificazione fosse possibile con relativamente ridotte concentrazioni di ACP. Ciò creò le condizioni per estendere l applicazione della vitrificazione alla crioconservazione di cellule con funzione riproduttiva. Di fatto, la vitrificazione di embrioni di topo nel 1985 segnò l inizio della storia della vitrificazione nell ambito della in vitro fertilization (IVF). I primi tentativi di vitrificazione erano condotti con soluzioni contenenti concentrazioni di ACP decisamente elevate e, pertanto, tossiche. Poiché la tossicità degli ACP è positivamente associata alla temperatura, i protocolli prevedevano che i campioni fossero esposti alle soluzioni di vitrificazione a temperature intorno a 4 C (18), prima di essere immersi direttamente in azoto liquido. In tal modo, l intera procedura risultava piuttosto lunga, considerato che la capacità degli ACP di penetrare nella cellula attraverso il plasmalemma è negativamente influenzata dalle basse temperature. Successivamente sono state individuate condizioni di esposizione agli ACP non richiedenti basse temperature e/o tempi eccessivamente lunghi, riducendo soprattutto la concentrazione degli ACP intracellulari e introducendo vari ACP extracellulari. Emerse anche il ruolo privilegiato dell ethylene glycol rivelatosi meno tossico di altri composto, come dimostrato da esperimenti compiuti con embrioni di topo (19), e pertanto divenuto elemento essenziale di gran parte delle miscele di vitrificazione. Nel complesso, una serie di progressi che hanno reso le miscele di vitrificazione meno tossiche consentono attualmente di equilibrare i campioni biologici a temperatura ambiente (come nel caso della specie umana) o a temperature fisiologiche (condizione particolarmente importante per le specie bovina e suina). Nonostante ciò, il processo di vitrificazione continua ad essere un elemento di rischio per gli oociti. Infatti, le pur ridotte concentrazioni di ACP intracellulari sortiscono un imponente effetto di stress osmotico, circostanza che può essere origine di danno dell architettura cellulare. In particolare, appare che embrioni e oociti non tollerino una diretta esposizione a soluzioni contenenti mol/l di ACP. Ciò impone l uso iniziale di soluzioni a ridotta concentrazione in modo da ottenere una preliminare 9

10 e controllata deidratazione e sostituzione dell acqua intracellulare, prima di esporre il materiale alla soluzione di vitrificazione vera e propria (20) Conservazione in azoto liquido Nella vitrificazione, l esigenza di ottenere un raffreddamento estremamente rapido, al fine di prevenire la formazione di cristalli di ghiaccio, viene generalmente soddisfatta esponendo il materiale biologico più o meno direttamente all azoto liquido. Inizialmente, la conservazione dei campioni prevedeva l impiego delle straws normalmente usate per il congelamento lento. Tuttavia, la costituzione fisica (elevato spessore della parete) e il volume (circa 250 µl) di questi contenitori consentiva soltanto l applicazione di gradienti di raffreddamento insufficienti (poche migliaia di gradi per min). Inoltre, la diretta immersione in azoto liquido spesso causava fratture o esplosione delle straws, a motivo delle repentine variazioni di volume. D altra parte, la misura di esporre le straws ai vapori di azoto prima della loro immersione in azoto liquido per ridurre il rischio di rottura della struttura si è rivelata inefficace, essendo la temperatura dei vapori di azoto alquanto variabile e il metodo conseguentemente non riproducibile. Negli ultimi anni sono stati provate varie soluzioni tecniche per ottenere i gradienti di raffreddamento richiesti dalla vitrificazione. In genere, ciò ha comportato l impiego di minimi volumi di soluzioni di congelamento (fino a frazioni di µl), unitamente a dispositivi di conservazione capaci di favorire la trasmissione di calore. A tale scopo, in differenti studi è stata verificata l efficacia di griglie per microscopia elettronica, open pulled straws (ossia straws di ridotto calibro), cryoloops, cryotops etc. (20). Tuttavia, non tutti tali dispositivi hanno mostrato compatibilità con le esigenze di sterilità imposte dalla pratica clinica e non sono stati pertanto adottati per le applicazioni di routine. Infatti, alcuni di questi contenitori non consentono di isolare ermeticamente il materiale vitrificato dall azoto delle criobanche durante la conservazione a lungo termine. Ciò genera un rischio di trasmissione di patogeni normalmente presenti nello stesso azoto liquido, che non può essere sterilizzato per un uso di laboratorio, o di cross-contaminazione tra campioni di pazienti con un diverso profilo sierologico. Nonostante allo 10

11 stato attuale non siano noti casi di contaminazione derivanti da oociti vitrificati, questo problema dovrà presto trovare una soluzione definitiva, soprattutto alla luce di direttive comunitarie di prossima implementazione.(21, 22) Esistono possibili alternative ai sistemi aperti. Per esempio, le cryotips consentono che l esposizione all azoto liquido sia diretta, ossia senza preventivo raffreddamento, ma non richiedono contatto diretto con l azoto. Esse possono anche essere saldate ermeticamente, costituendo in tal modo un sistema sicuro di contenimento. Rimane tuttavia da stabilire se le cryotips sia in grado di garantire risultati analoghi a quelli ottenuti con i sistemi chiusi L oocita L oocita maturo è una cellula alquanto particolare per dimensione, struttura e funzione. Da esso dipende in gran parte il destino dell embrione. È evidente pertanto che danni cellulari indotti dalla crioconservazione benché apparentemente minimi possono avere importanti conseguenze sella realizzazione del piano di sviluppo. Durante il processo di crioconservazione, vari fattori possono causare danno cellulare. Primo fra tutti è il ghiaccio intracellulare, ma considerevoli danni possono derivare anche dallo stress osmotico e dalla tossicità chimica riconducibile agli ACP. Molteplici caratteristiche dell oocita possono essere influenzate negativamente dalla crioconservazione (23). A titolo di esempio, a tal proposito saranno descritti il processo di attivazione e il fuso meiotico. Attivazione dell oocita Studi condotti alla fine degli anni ottanta indicano che l esposizione per 5 min a 27 C con PrOH ACP diffusamente impiegato per il congelamento lento sia causa di attivazione di oociti di topo (24). Ciò sconsiglierebbe l uso di questo ACP per la crioconservazione di oociti umani. In realtà, l evidenza riguardante la specie murina non è necessariamente applicabile ad altre specie. Infatti, gli oociti di topo, specialmente se utilizzati parecchie ore (15) dopo la somministrazione di hcg come nello studio sopra citato, sono particolarmente sensibili agli stimoli attivanti. È un fatto, che la 11

12 percentuale di attivazione, misurata come frequenza della formazione di un singolo pronucleo dopo diverse ore di coltura, in oociti umani crioconservati con protocolli includenti PrOH è minima e comunque non superiore a quella di oociti non trattati (25). Tuttavia, è da notare che la formazione del pronucleo femminile costituisce il compimento del processo di attivazione. Altri segni di attivazione, quale la ripresa della meiosi (metaphase II EXIT), non sono riscontrabili se non con tecniche di microscopia a fluorescenza normalmente non applicate nel laboratorio di PMA. Dati non pubblicati (Coticchio et al., dati non pubblicati) suggeriscono che una certa frazioni di oociti crioconservati con protocolli di congelamento lento basati sullo uso del PrOH siano interessati da fenomeni precoci di attivazione, consistenti in riarrangiamenti dei microtubuli e confinamento della cromatina in un involucro nucleare non visibile al microscopio ottico. [Inserire figura 2] L ipotesi che l esposizione al PrOH e altri ACP inneschi almeno le fasi iniziali del processo di attivazione emerge anche dall analisi dei granuli corticali (GC). In condizioni fisiologiche, successivamente alla penetrazione dello spermatozoo e alla conseguente attivazione, il contenuto enzimatico dei GC è rilasciato nello spazio perivitellino in modo da modificare la zona pellucida (ZP) e impedire il fenomeno della polispermia. Pertanto, il rilascio del contenuto dei granuli e la conseguente riduzione numerica di questi organelli nel distretto corticale rappresenta un segno cellulare precoce del processo di attivazione. Tramite tecniche di microscopia elettronica, è stato osservato che la crioconservazione determina effettivamente una parziale scomparsa dei GC. Ciò sembra accadere in associazione con una varietà di condizioni, piuttosto che essere dipendente da uno specifico protocollo (26-30). Alla luce di ciò, l uso della intracytoplasmic sperm injection (ICSI) come modalità di inseminazione degli oociti crioconservati sembra appropriato, anche se non è detto che un rilascio parziale non fisiologico dei GC impedisca del tutto la penetrazione della ZP da parte degli spermatozoi in condizioni di standard IVF. In effetti, da alcuni lavori risulta che oociti crioconservati siano stati fecondati senza far ricorso all ICSI (31, 32). A prescindere dai problemi inerenti la fecondazione, il rilascio dei GC per effetto della crioconservazione rappresenta 12

13 un evento di attivazione che potrebbe perturbare il meccanismo di segnalazione intracellulare basato sul calcio che, oltre a regolare la fecondazione, svolge un ruolo nel modulare il sviluppo pre- e postimpianto (33). Fuso meiotico Intrinseche proprietà dinamiche e strutturali rendono il fuso meiotico dell oocita particolarmente sensibile alla crioconservazione. Ciò implica un potenziale rischio di un incremento delle aneuploidie nei nati da oociti crioconservati. Vari studi, in verità, suggeriscono che l integrità del fuso meiotico è compatibile con alcuni metodi di crioconservazione (34-39), indipendentemente dall uso di un protocollo di congelamento lento o di vitrificazione. Tuttavia, è difficile trarre conclusioni di carattere generale, poiché anche variazioni relativamente minori di un protocollo, quali per esempio diverse condizioni di deidratazione (35, 40), o tipologia del dispositivo di conservazione (41), possono generare conseguenze imprevedibili sul processo di crioconservazione e pertanto sull organizzazione microtubulare. Ciò impone la necessità di valutare singolarmente ciascun protocollo, soprattutto quelli di recente sviluppo Protocolli e risultati del congelamento lento La insufficienza del metodo di crioconservazione convenzionale, concepito in origine per gli embrioni allo stadio di 2-4 cellule, fu indiscutibilmente provata dal gruppo di Borini et al. con uno studio pubblicato nel 2004 (42) e derivante da un esperienza iniziata fin dal Nel dettaglio, questo lavoro dimostrò che la crioconservazione eseguita secondo il metodo tradizionale incideva negativamente sia sulle percentuali di sopravvivenza, sia su quelle di fecondazione. Il maniera però inaspettata, dagli stessi dati emerse anche che, alle condizioni applicate, gli embrioni derivanti da oociti crioconservati avessero una relativamente elevata capacità di impianto, tanto da generare percentuali di gravidanza degne di un certo interesse. Lo studio, per quanto non risolutivo, ebbe il merito di dimostrare che la crioconservazione di oociti fosse un opzione di trattamento riproducibile in maniera sistematica, essendo stata applicata per la prima volta su un numero (68) piuttosto 13

14 cospicuo di pazienti. Nel frattempo, la consapevolezza della necessità di nuovi protocolli di crioconservazione aveva stimolato nuovi studi di base. Nel 2001 (43), era stata pubblicata l importante osservazione secondo la quale nell uomo la sopravvivenza oocitaria postscongelamento potesse essere considerevolmente aumentata (dal 35-40% al 70-75%) elevando la concentrazione del crioprotettore saccarosio nella miscela di crioconservazione. Nella specie murina, si era anche osservato che sostituendo il sodio con la colina (uno ione di pari carica elettrica rispetto al sodio, ma presumibilmente meno tossico), fosse possibile aumentare drasticamente le percentuali di sopravvivenza e fecondazione, insieme alla capacità di sviluppo pre- e post-impianto (44). Questi progressi stimolarono ulteriori studi clinici (45, 46) che suggerirono la possibilità di migliorare la resa della crioconservazione oocitaria in termini di sopravvivenza, capacità di fecondazione e sviluppo. Tuttavia, queste osservazioni di carattere clinico non potevano essere ritenute in alcun modo conclusive, essendo state compiute su pochissime pazienti (meno di 15-20). L interesse per la crioconservazione di oociti era in ogni caso in crescita. Nel 2005, Chen et al. (47) pubblicarono un articolo basato sull esito di venti cicli di congelamento-scongelamento eseguiti con il metodo descritto da Fabbri et al. alcuni anni prima (43). I risultati furono interessanti, consistendo in elevate percentuali di sopravvivenza (75%), fecondazione (67%) e impianto (11%). Inoltre, da un calcolo effettuato dagli autori, emerse che per ogni 100 oociti scongelati fosse possibile ottenere circa cinque impianti. È questo un dato concettualmente di importante rilievo, considerato che, nel caso degli embrioni congelati, da 100 oociti freschi di norma si ottengono circa 5 impianti (48). Tuttavia, questi dati non furono confermati da un altro studi (25) generato con lo stesso metodo di crioconservazione in 201 cicli di scongelamento. Infatti, se da un lato era confermata la possibilità di ottenere alte percentuali di sopravvivenza (74%), fecondazione (76%) e divisione degli oociti fecondati (90%), viceversa rimanevano deludenti le percentuali di impianto (5%). Calcolando inoltre la percentuale di impianto rispetto a 100 oociti scongelati emerse un valore (2.6%) alquanto modesto. Ciò mise in discussione la riproducibilità dei dati di Chen et al (47). Inoltre, sono da ricordare studi pressoché concomitante di due gruppi italiani (49, 50) basato su un numero 14

15 altrettanto elevato di pazienti e soprattutto in perfetta coerenza con i risultati di Borini et al. (25). Il motivo per cui oociti che sopravvivono con alte percentuali al congelamento e sostengono il processo di fecondazione e divisione in maniera apparentemente normale non sono poi in grado di dar luogo ad una gravidanza evolutiva (25, 49-51) non è noto con certezza. Esiste però un ipotesi. Attraverso studi di microscopia elettronica è stato accertato che nonostante gli oociti sopravvivano apparentemente intatti alla crioconservazione, in realtà presentano importanti alterazioni dell organizzazione cellulare interna, consistenti in formazioni vacuolari di varia dimensione e localizzazione, non visibile attraverso la microscopia convenzionale usata di routine nel laboratorio di PMA (52). È difficile sostenere con certezza una relazione di causa-effetto tra lesioni cellulari e compromessa capacità di impianto, tuttavia l associazione è alquanto suggestiva. Nel 2007 è stato introdotto nella prassi clinica un protocollo di crioconservazione alternativo basato su concentrazioni differenziali di saccarosio al congelamento (0.2 mol/l) e allo scongelamento (0.3 mol/l), unitamente all adozione di specifici tempi di esposizione al saccarosio per ottenere un adeguata deidratazione (53). Il metodo è stato verificato su una prima serie, piuttosto numerosa di cicli di scongelamento (90). In termini di frequenze di sopravvivenza (76%), fecondazione (76%) e divisione (93%), gli oociti crioconservati con questo metodo hanno generato frequenze del tutto comparabili a quelle ottenute nello studio del 2006 di Borini et al. (25). Tuttavia, la capacità di impianto è apparsa alquanto migliorata, superando il 13%. È questo un consistente miglioramento che in principio consentirebbe di ottenere circa 6-7 impianti per 100 oociti scongelati, valore ben maggiore rispetto al % ottenibile con i precedenti protocolli (25, 42, 49-51). Altrettanto alte percentuali di impianto per oocita scongelato (6-8%) sono state riportate anche da Parmegiani et al. (54) e Ferraretti et al. (55). Questi autori inoltre hanno appurato come l esito di un ciclo di trattamento eseguito con oociti crioconservati possa positivamente dipendere dalla condizione di limitare il tempo intercorrente tra il pick up e il momento della crioconservazione a 2 ore (o 38 ore dalla somministrazione di hcg). Ciò suggerisce che l invecchiamento in vitro dell oocita, benché 15

16 circoscritto a pochissime ore, influisca in maniera particolarmente negativa sulla qualità degli oociti crioconservati Protocolli e risultati della vitrificazione L uso clinico della vitrificazione per la crioconservazione di oociti umani non ha avuto inizio prima della fine degli anni novanta. Sporadici tentativi sono stati condotti da Kuleshova (56) e Katayama (57). Nello stesso periodo Yoon et al. (58) hanno ottenuto un certo numero di gravidanze derivanti da oociti vitrificati, ma la proporzione tra embrioni impiantati ed oociti scongelati (1.7%) in realtà è stata deludente e comunque non superiore a quella dei tradizionali metodi di congelamento lento. Impiegando il cryotop come dispositivo di vitrificazione, Kyono et al. (59) hanno ottenuto una gravidanza evolutiva dopo il trasferimento di una singola blastocisti sviluppatasi da un oocita crioconservato. Più significativamente, con un metodo di vitrificazione di nuova concezione, Kuwayama et al. (60) hanno ottenuto elevatissime percentuali di sopravvivenza, fecondazione e sviluppo a blastocisti (91%, 90% e 62%, rispettivamente). Dopo il trasferimento di 29 embrioni, la percentuale di gravidanza è stata del 43%. Recentemente, l impiego del cryotop come dispositivo di crioconservazione è stato descritto nello studio di Lucena et al. (61), dando luogo a percentuali di sopravvivenza, fecondazione e gravidanza alquanto elevate (87%, 89% e 56%, rispettivamente). Se confermati i risultati di questi recenti studi segnerebbero un progresso fondamentale nella crioconservazione di oociti. Recentemente, sono stati condotti nuovi studi sulla vitrificazione di oociti. Complessivamente, la fecondazione media è compresa tra valori 70-80%. La capacità di divisione in seconda giornata varia tra il 65% e il 98% e la capacità di formare blastocisti tra il %. L impianto (6.4-61%) e gravidanza clinica ( %) variano altrettanto considerevolmente tra gli studi. L unico metodo per controllare tutte queste variabili è l utilizzo di sistemi di studio randomizzati con un disegno prospettico, possibilmente con pazienti paragonabili per tutti i fattori che possano influenzare l esito della metodica. Solo due studi fino ad oggi soddisfano pienamente questi criteri, 16

17 includendo l analisi di oociti derivanti dalla stessa coorte oocitaria per ogni paziente. Il primo, in ordine cronologico, pubblicato da Cobo et al. (62) in cui è stato utilizzato il modello di ovodonazione per studiare il comportamento di oociti dopo vitrificazione. E il secondo di Rienzi e colleghi (63) in cui oociti della stessa paziente sono stati randomizzati dopo decumulazione per ricevere rispettivamente ICSI o crioconservazione mediante vitrificazione secondo il modello proposto da Kuwayama. Da quest ultimo studio è stato possibile concludere la non inferiorità degli oociti crioconservati mediante vitrificazione rispetto a quelli trattati in fresco relativamente al tasso di fertilizzazione. In questo studio inoltre la sopravvivenza oocitaria allo scongelamento è risultata essere del 96.7% e lo sviluppo embrionale è risultato statisticamente non significativo per tutti i parametri analizzati. L idea alla base di questo studio è stata quella di minimizzare lo stress aggiuntivo a cui generalmente sono esposti gli oociti selezionati per la crioconservazione. E plausibile pensare che, non solo il processo di crioconservazione in sé, ma anche l esposizione prolungata ad un ambiente di coltura sub-ottimale e l invecchiamento oocitario influiscano negativamente sulla competenza allo sviluppo, spiegando parzialmente la negatività dei risultati riportati ad oggi sul congelamento degli oociti. Per questi motivi la procedura di vitrificazione è stata effettuata nello studio immediatamente dopo la decumulazione sempre tra le ore dopo la somministrazione di hcg. Analogamente, l inseminazione degli oociti è stata sempre eseguita alla seconda ora dopo il riscaldamento, tempo considerato necessario per permettere all apparato citoplasmatico, in particolare al fuso meiotico, di ricostituirsi. A tal proposito è stato recentemente suggerito da Bromfield e colleghi (64) che il fuso meiotico viene completamente ripristinato già ad un ora dopo riscaldamento nella vitrificazione, suggerendo la possibilità di anticipare maggiormente il momento 435 dell inseminazione di oociti vitrificati (Bromfield et al., 2009). Inoltre per minimizzare l esposizione ad un ambiente di coltura sub ottimale, la decumulazione e la selezione degli oociti randomizzati al trattamento di crioconservazione è stata eseguita in una camera con controllo atmosferico e della temperatura (L-323, Ksystems). Grazie a questi accorgimenti, con l utilizzo di 17

18 oociti provenienti dalla stessa corte oocitaria i due gruppi differiscono unicamente per il processo di crioconservazione e 2 ore di coltura post riscaldamento, rendendo la comparazione oggettiva. In accordo, dall analisi dei risultati riferiti da Rienzi e colleghi lo sviluppo embrionale in seconda giornata non è risultato compromesso dalla procedura di vitrificazione e la qualità embrionale completamente sovrapponibile ai non trattati (score embrionale medio: Freschi e Vitrificati , P=0.68). Queste osservazioni sono poi state confermate dall analisi dei 445 promettenti risultati clinici delle gravidanze ottenute dagli oociti vitrificati: gli autori hanno ottenuto il 30% di gravidanza clinica evolutiva/a termine e il 17% di tasso di impianto evolutivo, risultati abbondantemente comparabili con i cicli in fresco di una popolazione infertile. In altri termini il tasso di impianto evolutivo per oocita vitrificato è risultato essere del 12,9% (16/124). Anche il follow-up ostetrico è fortemente limitato in letteratura, non solo dai numeri, ma anche dalla scarsità delle informazioni riferite dagli autori e, nuovamente, dall assenza di studi prospettici su ampia scala. Una recente meta-analisi della letteratura dal 1984 ad oggi, ha potuto identificare informazioni in merito solo per 148 bambini nati da congelamento lento e 221 da vitrificazione oocitaria (65). Per quanto riguarda la vitrificazione, dall analisi di questi dati non sono emerse differenze, anche in termini di malformazioni congenite (66), tuttavia i dati a disposizione sono ancora fortemente limitati per legittimare la sicurezza della metodica. Questo declama l urgente necessità di studi prospettici controllati di follow-up a lungo termine su bambini nati da oociti (come anche da embrioni) congelati in generale Gravidanze cumulative in cicli con oociti crioconservati L interpretazione dei risultati clinici della PMA non è semplice. Un numero di fattori, quali tipo di infertilità, età femminile, risposta ovarica alle gonadotropine, e strategie farmacologiche e di laboratorio, sono critici nel determinare l efficienza complessiva del trattamento di PMA. Inoltre le percentuali esprimenti l esito clinico non sono sempre descritte coerentemente e variano a seconda della definizione impiegata. Nonostante esista un consenso sul fatto che l obiettivo terapeutico 18

19 finale della PMA sia la nascita di un bambino sano, i criteri che dovrebbero essere applicati per misurare tale risultato sono ancora materia di dibattito (67-69). Considerando gli aspetti negativi in termini di rischio chirurgico e di iperstimolazione ovarica, disagio, stress e costi economici, il ricorso alla stimolazione con gonadotropine dovrebbe essere limitato al minimo strettamente necessario, e il potenziale riproduttivo corrispondente agli oociti recuperati dovrebbe essere capitalizzato. Fino a tempi recenti, la crioconservazione allo stadio di oocita fecondato (ootide) o di embrione a vari stadi di sviluppo preimpianto erano le sole opzioni in grado di soddisfare le esigenze sopra descritte. È possibile congelare embrioni fin dal 1983 (3). Ciò nonostante, il suo contributo al successo della PMA è questione ancora controversa. Nel 1995, a tale scopo Jones e coll. (70) hanno proposto la definizione di gravidanza cumulativa intendendo come tale la percentuale di gravidanze derivanti da embrioni freschi e congelati rispetto al numero di cicli di stimolazione eseguiti. In uno studio del 2002, de Jong e coll. (71) hanno sostenuto che il valore aggiunto degli embrioni congelati contribuisce solo marginalmente (meno del 2%) alla percentuale di gravidanza cumulativa (43%) ottenuta dopo tre cicli di trattamento. In realtà, il dato di questi autori rimane alquanto isolato poiché molti altri studi testimoniano l importanza del contributo del congelamento di embrioni rispetto alla percentuale di gravidanza cumulativa. Per esempio, anche trasferendo un solo embrione fresco allo scopo di limitare l incidenza di gravidanze multiple, dopo i trasferimento di embrioni congelati la percentuale di gravidanza cumulativa può superare il 50% (72). Anche il contributo del congelamento allo stadio di ootide è stato ampiamente dimostrato in un studio di Damario e coll. (73). Purtroppo tali opzioni di crioconservazione non sono applicabili in Italia per effetto del sostanziale divieto imposto dalla legge 40/2004 di inseminare più di tre oociti per ciclo di stimolazione. Dall introduzione di questa normativa noi abbiamo adottato la crioconservazione di oociti come misura alternativa alla crioconservazione di embrioni, nel tentativo di offrire ai nostri pazienti migliori possibilità di successo per ciclo di trattamento. In merito a ciò, lo scorso anno (74) abbiamo pubblicato dei dati relativi a percentuali di gravidanza cumulative in cicli in cui erano stati impiegati solo tre oociti freschi, mentre i rimanenti erano stati 19

20 congelati. La percentuale ottenuta in tal caso fu del 47%. Tuttavia lo studio, includendo dati di un numero limitato di pazienti (80) non poteva essere ritenuto esaustivo. Più recentemente, abbiamo adottato la stessa strategia di trattamento per un numero molto più ampio di pazienti (749), circostanza che rende i relativi dati molto più significativi. In questi pazienti la percentuale di gravidanza ottenuta con oociti freschi è stata del 35%, risultato tutt altro che trascurabile considerate le note restrizioni imposte dalla legge. Successivamente allo scongelamento di più di 3200 oociti la percentuale di sopravvivenza è stata di circa il 70%. Le percentuali di fecondazione e divisione cellulare sono state del 76% e 91%, ossia indistinguibili da quelle ottenute normalmente con oociti freschi. La percentuale di impianto è stata dell 8%, valore inferiore a quella degli oociti freschi. Ciò suggerisce che ulteriori sforzi devono essere compiuti per rendere ancora più efficienti i metodi di crioconservazione. Tuttavia, bisogna notare che, entro i limiti consentiti dalle tecniche di laboratorio, in genere i migliori oociti sono impiegati per il trattamento fresco, mentre gli altri sono destinati al congelamento. Tale distinzione può in parte spiegare almeno in parte la differenza nella capacità di impianto tra oociti freschi e oociti congelati. La percentuale di gravidanza da oociti congelati è stata del 17%, con una incidenza di aborto entro i normali valori (21). La percentuale di gravidanza cumulativa (47%) ha confermato quella da noi riportata in un precedente studio (74) e soprattutto ha indicato che la crioconservazione di oociti aumenta significativamente le probabilità di successo calcolate per ciclo di stimolazione ovarica. Inoltre se si considerano gli oociti delle stesse pazienti ancora crioconservati e che potrebbero essere utilizzati in successivi cicli di scongelamento, la percentuale finale (teorica) di gravidanza potrebbe essere ben oltre il 50%. Siamo consapevoli che ulteriori sforzi sono richiesti per preservare ancora più efficacemente la capacità riproduttiva degli oociti crioconservati. I nostri dati più recenti confermano che ciò sia possibile (53). Ciò nonostante, siamo anche convinti che la crioconservazione di oociti offra già oggi una valida alternativa a più tradizionali forme di crioconservazione. Attualmente i nostri dati sulle gravidanze cumulative da oociti congelati sono paragonabili a quelli pubblicati da tempo sugli embrioni congelati (72) e forse complessivamente superiori a quelli derivanti dal congelamento allo 20

21 stadio di ootide. Alla luce di tali evidenze, gli specialisti di PMA dovrebbero forse guardare con maggiore fiducia al congelamento degli oociti. In particolare, i pazienti del nostro paese potrebbero beneficiare notevolmente della crioconservazione di oociti, evitando di subire il disagio finanziario, psicologico e pratico derivante dalla ricerca di un trattamento di PMA in paesi in cui è consentito il congelamento di embrioni Conclusioni Negli ultimi anni, progressi nel campo della criobiologia di base sono stati tradotti in metodologie di congelamento lento e di vitrificazione in grado di consentire la crioconservazione di oociti umani per scopi clinici. Un numero elevato di gravidanze è stato ottenute con il congelamento lento, essendo stato questo approccio impiegato nel corso di parecchi anni. Tuttavia, risultati particolarmente incoraggianti stanno generando una diffusione sempre più ampia della vitrificazione. Nel complesso, la crioconservazione di oociti è ormai diventata un opzione concreta di trattamento, anche se molte domande riguardanti l efficienza clinica e la qualità degli oociti crioconservati aspettano ancora una risposta Bibliografia 1. Al-Hasani S, Diedrich K, van der Ven H, Reinecke A, Hartje M, Krebs D. Cryopreservation of human oocytes. Human reproduction (Oxford, England) 1987;2: Chen C. Pregnancy after human oocyte cryopreservation. Lancet 1986;1: Trounson A, Mohr L. Human pregnancy following cryopreservation, thawing and transfer of an eight-cell embryo. Nature 1983;305: Whittingham DG. Fertilization in vitro and development to term of unfertilized mouse oocytes previously stored at degrees C. Journal of reproduction and fertility 1977;49: Carroll J, Warnes GM, Matthews CD. Increase in digyny explains polyploidy after in-vitro fertilization of frozen-thawed mouse oocytes. Journal of reproduction and fertility 1989;85:

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