LEZIONI MAGISTRALI Anno Accademico La diffusione delle piante transgeniche nel mondo

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1 LEZIONI MAGISTRALI Anno Accademico Prof. Enrico Porceddu Università degli Studi della Tuscia di Viterbo Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL Accademia nazionale dei Lincei La diffusione delle piante transgeniche nel mondo Giovedì 12 aprile 2012 ore 16:00 Palazzo Forte Via Donato Anzani Ariano Irpino (AV) DOCUMENTI DI APPROFONDIMENTO 1. Prodotti naturali e OGM 2. Biotecnologie e produzione agraria nei paesi in via di sviluppo 3. Organismi geneticamente modificati e Ambiente 1

2 Prodotti naturali e OGM Enrico Porceddu E necessario fare chiarezza su vizi e virtù dell ingegneria genetica, valutando aspetti spesso trascurati come il diritto del consumatore e il concetto di rischio Ad attirare l attenzione e determinare controversie nei dibattiti sulle biotecnologie è soprattutto l ingegneria genetica, ossia la modificazione dell informazione genetica di un organismo, introducendovi o inattivando qualche specifico gene con tecniche di biologia molecolare. Gli organismi che ne derivano sono noti come Organismo Geneticamente Modificati o più semplicemente OGM. In realtà le modificazioni genetiche non sono una novità; esse esistono da sempre e costituiscono la base dell evoluzione naturale. Le modificazioni dell informazione genetica determinano la variabilità su cui agisce la selezione, ossia l affermazione dei tipi più adatti, quelli che lasciano una discendenza più numerosa. Grazie alla selezione empirica operata dagli agricoltori si sono costituite le varietà locali e le nuove specie non presenti in natura. Il caso più noto è quello del frumento tenero, da pane, che originatosi oltre sei mila anni or sono nei campi di frumento duro, da pasta, fu notato da un qualche agricoltore, coltivato separatamente, dando l avvio ad una nuova specie. Più recente e curioso è il caso del Pinot che esiste nelle forme bianco, grigio e nero. Il miglioramento genetico convenzionale, attraverso l incrocio e la selezione, ha utilizzato ed utilizza la variabilità naturale, promuovendo nuove combinazioni di caratteri diversi. Esso ha anche promosso la formazione di nuova variabilità con mezzi fisici, come i raggi X, Gamma e ultravioletti, e con i composti chimici come la colchicina, il metansulfonato di etile, l acido nitroso, ecc Le tecniche molecolari usate per produrre gli OGM hanno il vantaggio di essere molto più precise e quindi di consentire interventi molto più mirati. Un vantaggio di non poco conto, che avrebbe dovuto consentire una rapida e produttiva diffusione della tecnica. Una varietà ad esempio di pomodoro, assolutamente pregevole per produzione, rapidezza, rapporto polpa/liquido, resistenza ai parassiti, ecc non si conserva a lungo, perché le pareti delle sue cellule, che conferiscono la consistenza, vengono rapidamente degradate da un enzima che, in quella particolare varietà, funziona più attivamente o più precocemente che in altre varietà. L ingegneria genetica consente di rallentare l azione dell enzima interessato, aumentando la conservabilità del prodotto. La situazione non è teorica perché esiste in Italia una molteplicità di varietà tipiche che, pregevoli per molti aspetti, hanno uno o pochi difetti; l ingegneria genetica molecolare permette di intervenire correggendo i difetti e di consentire agli agricoltori di continuare la coltivazione di questi tipi ed ai consumatori di godere del loro prodotto. In realtà l incauto entusiasmo di alcuni non bene informati delle problematiche dell agricoltura e di quella italiana in particolare, e desiderosi di mostrare le potenzialità della tecnica hanno finito per promuovere un ondata di preoccupazione sulla salute del consumatore e sugli equilibri ambientali, a cui si sono poi aggiunte quelle sulla brevettabilità della vita e sulla natura privatistica dei brevetti. In verità, per quanto riguarda il primo aspetto, la salubrità degli alimenti, le preoccupazioni traggono origine dai problemi sperimentati in precedenza con alimenti non OGM, come insorgenza di allergie, residui di fitofarmaci, contaminanti microbici e più recentemente con l encefalopatia spongiforme 2

3 bovina e la sua variante umana, più che da evidenze attribuibili agli OGM. I pochi esempi negativi noti, dagli allergenici della noce del Brasile alle solanina delle patate, erano più che scontati, perché era ben nota l allergenicità della prima per individui sensibili e la pericolosità delle solanine, che tuttavia vengono neutralizzate durante la cottura, e nessuno mangia patate crude. Gli OGM possono quindi essere pericolosi per la salute umana quanto i prodotti non OGM. La seconda preoccupazione riguarda invece la possibilità che gli OGM disturbino gli equilibri naturali. Essi sono prodotti «nuovi» che una volta inseriti in un ecosistema possono modificarlo e forse non nel modo desiderato, ipotizzando che si conosca quali siano le modificazioni positive e quelle negative. Le preoccupazioni si estendono anche all inquinamento genetico che potrebbe derivare dagli incroci tra OGM e specie selvatiche e spontanee. Come per i non OGM un punto di particolare discussione è se i saggi con risultato rassicurante condotti in fase di pre rilascio degli OGM siano sufficienti ed adeguati a garantire la salvaguardia dell ambiente o siano invece necessarie azioni di monitoraggio protratti nel tempo. Come si può ben comprendere, la cosa non è di facile realizzazione, specie quando si tratti di specie arboree a ciclo lungo. Salubrità alimentare e salvaguardia dell ambiente sono, tuttavia, due punti su cui si è incentrata l attenzione e di cui si occupano i mezzi di comunicazione. Su di essi si è anche soffermata l attenzione di molte accademie delle scienze di diverse nazioni del modo, che hanno preso posizione in proposito. In assenza di nuove evidenze sperimentali, dilungarsi su questi aspetti significherebbe ripetere argomentazioni già svolte. Vi sono invece alcuni altri temi, che non vengono quasi mai citati e su cui il pubblico non ha avuto molto modo di riflettere: quello dei «diritti del consumatore» e quello del «concetto di rischio», sui quali si soffermerà l attenzione in questo spazio. Diritti del consumatore Su questo tema è opportuno ricordare che il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali ritiene che al centro dei diritti umani vi sia quello di poter disporre di alimenti in quantità e qualità idonei a soddisfare le esigenze nutrizionali, liberi da composti nocivi e accettabili dal punto di vista culturale. Da questo diritto discendono: Il diritto di essere informati, in modo che ogni persona possa esercitare la sua autonomia di scelta. Il principio si applica ad esempio al dibattito sulla etichettatura dei prodotti alimentari, in modo che il consumatore sappia cosa sta acquistando e sta mangiando. In verità il diritto non riguarda solo gli OGM, bensì tutti i prodotti: quali siano i residui chimici o le tossine derivanti da funghi cresciuti senza alcun controllo, le quantità di proteine e di vitamine o di additivi, se i succhi di frutta contengano 100% o solo 8% di polpa ecc. Il diritto a partecipare alle decisioni, che a sua volta può implicare i diritti di eguaglianza, di affidabilità, di responsabilità, di procedimenti democratici comprensibili dalle masse, in modo che tutti possano avere un ruolo attivo, partecipare e scegliere il prodotto che meglio si adatta alle loro necessità e possibilità. Il diritto a soppesare i rischi contro i benefici. Nel formarsi un opinione sugli OGM, i consumatori, per poter esercitare i loro diritti, dovrebbero poter soppesare i potenziali benefici derivanti dalla nuova tecnologia contro gli eventuali rischi a cui vanno incontro o che si possono verificare. Gli oppositori dell uso degli OGM sostengono che nessuno degli attuali OGM presenta veri benefici per il consumatore, per cui si chiedono perché quest ultimo debba 3

4 accettare i rischi. Uno slogan anzi recita: i vantaggi all agricoltore e i rischi al consumatore. Nessuno però si sofferma a svolgere qualche considerazione sul concetto di rischio e sulle sue implicazioni. Non manca neanche chi vorrebbe un rischio zero, mostrando uno spirito veramente poco realistico e su questa base rifiutano persino il dialogo. Diritto alla trasparenza. I consumatori hanno il diritto di essere informati sugli OGM in agricoltura e dei loro potenziali rischi. L analisi scientifica dei rischi (vedi più avanti) consente agli esperti di prendere decisioni che minimizzino la probabilità di pericolo, ma i consumatori hanno il diritto ad una trasparenza che protegga il loro diritto di esercitare quello che spesso viene definito «consenso informato». Uno dei mezzi per poter esercitare questi diritti è, come si è detto, l etichettatura dei prodotti, siano essi derivati o meno da OGM. Affidabilità. I consumatori hanno il diritto di esser coinvolti nei dibattiti a livello locale, nazionale e internazionale e nelle decisioni in merito. Attualmente vi sono ben pochi luoghi ove il pubblico possa discutere, in modo informato, la vasta gamma di aspetti legati agli OGM. Si tratta di una carenza che spesso determina confusione e spinge a confondere un aspetto con un altro; così ad esempio, nel dibattere di impatto ambientale viene fuori il problema dell etichettatura e viceversa. Un esigenza particolare è quella di includere i rappresentanti del settore privato nei dibattiti pubblici, spingendoli ad essere trasparenti e rendendo affidabili sia il settore privato che quello pubblico. Equità. Gli OGM attualmente in uso sono stati costituiti per ridurre i costi nelle aziende agricole e salvaguardare l ambiente nei paesi industrializzati. Nessuno oggi, in linea di principio, nega l importanza di assicurare l alimentazione di base a tutti. Le società, le comunità, gli individui si dichiarano tutti moralmente impegnati ad assicurare che la crescita economica non determini un allargamento del fossato che divide i molti paesi poveri dai pochi ricchi. Il problema è allora come lo sviluppo e l uso di OGM possano essere orientati verso un miglioramento della nutrizione e della salute dei consumatori poveri, specie quelli dei Paesi in Via di Sviluppo. Concetto di rischio Uno dei punti più discussi e controversi degli OGM riguarda il rischio per la salute del consumatore e la salvaguardia dell ambiente. Alcuni vorrebbero che il rischio fosse pari a zero, anche se sanno che questo è impossibile, perché in ogni attività umana vi è una dose di rischio, come hanno insegnato le vicende delle Torri Gemelle di New York e del Grattacielo Pirelli di Milano. Chi deve stabilire standard ricorre a metodologie scientifiche per valutare i rischi. L analisi scientifica del rischio è un processo che consta di tre parti: la valutazione, la gestione e la comunicazione del rischio. 1) Valutazione del rischio. Il rischio ha in se due elementi: Il pericolo o fattore intrinseco, ossia la causa che determina l evento avverso e specifica il danno che può verificarsi. Nel caso degli alimenti si tratta di fattori biologici, chimici e fisici, presenti nell alimento e che possono causare danno alla salute. La possibilità che l evento si verifichi. Così se si tratta di una sostanza chimica si ha il pericolo x la possibilità di esposizione, o, nei casi di pericolo derivante da cause biologiche, il danno x la probabilità di introduzione. La valutazione del rischio comporta, quindi: 4

5 L identificazione del pericolo; La caratterizzazione del pericolo; La valutazione dell esposizione; La caratterizzazione del rischio. Il pericolo e la possibilità che avvenga sono studiati per mezzo di modelli matematici costruiti per predire il rischio. La predizione viene verificata a posteriori, ad esempio con analisi statistiche. Le due componenti del rischio contengono una dose di incertezza ed è proprio questa ad essere oggetto di discussione. Vengono, ad esempio, sollevati dubbi sulla capacità delle metodologie di stima usate in casi analoghi, quali il verificarsi della presenza di residui di fitofarmaci negli alimenti o l introduzione di un agente patogeno, per predire la possibilità di danno causato dagli OGM. Ad essere oggetto di discussione è in particolare la componente intrinseca di pericolo del rischio. 2) Gestione del rischio ed analisi delle alternative. La gestione del rischio, che è cosa diversa dalla sua valutazione, consiste nella valutazione di interventi alternativi in consultazione con le parti interessate, tenendo presente la valutazione del rischio ed altri fattori rilevanti per la protezione della salute del consumatore o per la promozione di pratiche di mercato adeguate e, se necessario, individuando adeguate opzioni di prevenzione e controllo. Il rischio ambientale è probabilmente meno facile da quantificare di quello della salute; esso si riferisce inoltre ad un bene di tutti invece che dell individuo, come la salute. In entrambe i casi solo l esperienza può indicare se la valutazione e la gestione del rischio hanno avuto successo. Quando la valutazione del rischio riguarda i problemi ambientali s inizia descrivendo il problema e gli obiettivi da raggiungere con la soluzione. Viene quindi condotta un analisi delle alternative di soluzione, per cui anziché restringere le analisi si finisce per allargarle con nuove opzioni e combinazioni di opzioni. Quando vengono confrontati i benefici e gli inconvenienti di ogni soluzione dovrebbe essere assicurata la partecipazione più ampia possibile della società. 3) Comunicazione del rischio. La comunicazione del rischio è un processo interattivo di scambio di informazioni ed opinioni tra autorità, gestori del rischio, consumatori, industria, studiosi ed altre parti interessate, lungo tutto il processo di analisi. Lo scambio di informazioni deve riguardare i fattori legati al rischio e la percezione del rischio, ivi compresa la spiegazione dei risultati delle valutazioni e le ragioni alla base delle decisioni gestionali. Inutile dire che le informazioni sui rischi devono provenire da fonti credibili e affidabili. Conclusioni In conclusione il processo di sviluppo di una nuova tecnologia comporta sempre dubbi e paure. Domande del tipo: perché è nata questa tecnica, qual è il suo uso, chi decide cosa è utile non dovrebbero essere lasciate senza risposta. Le biotecnologie, se sviluppate in modo corretto ed utilizzate in modo appropriato, possono offrire nuove opportunità ed aprire nuove possibilità. Ma vi è necessità di informazione sui fatti, sulle potenzialità, sui rischi in modo che ognuno possa farsi la propria opinione, senza pretendere che ne vengano sposate a priori. 5

6 Gli esperti hanno l obbligo morale di spiegare queste cose in modo che possano essere comprese anche dall uomo della strada e chi di dovere ha l obbligo di fornire le occasioni per questi scambi di informazioni. prof. Enrico Porceddu Ordinario di genetica agraria Università degli Studi della Tuscia (VT) Esempi di OGM in uso OGM carattere Fonte Scopo Beneficiari modificato del gene Mais Resistenza Bacillus Riduzione Agricoltori e Insetti thuringiensis danni consumatori Cotone Resistenza Bacillus Riduzione Agricoltori Insetti thuringiensis danni Soia Tolleranza Streptomyces ssp. Controllo Agricoltori Erbicidi malerbe Escherichia Prod, chimosina Vacche uso in Industria trasform coli e rennina caseificio consumatori Garofani colore Fresia Colore Fiorai e dei fiori consumatori Esempi di OGM in fase di saggio OGM carattere Fonte Scopo Beneficiari modificato del gene Vite resistenza Bt controllo agricoltori Insetti insetti Pioppo tolleranza Streptomyces controllo Forestali Erbicidi malerbe Pioppo % Silenziamento trasformaz. Forestali Lignina legname ind. legno Eucalipto Composiz. Pino trasformaz. Forestali Lignina legname ind. legno Riso Beta Narciso micronutrienti Consumatori Carotene Erwinia 6

7 Esempi di colture che hanno varietà tipiche in pericolo o con forte riduzione di superficie colturale a causa di agenti nocivi COLTURE Pomodoro Patata Peperone Melanzana Broccolo Cipolla Carciofo Melone Zucchino Lattuga Melo Pesco Albicocco Pero Vite Olivo AGENTI NOCIVI Virus, batteri Virus, funghi, insetti Insetti Insetti, funghi, nematodi Insetti Funghi Insetti, funghi, virus Virus Virus Funghi, nematodi Insetti Virus, funghi Virus Batteri Virus, micoplasmi Batteri, funghi, insetti 7

8 Biotecnologie e produzione agraria nei paesi in via di sviluppo E. Porceddu Università degli Studi della Tuscia, Viterbo Le biotecnologie, ed in particolare l'ingegneria genetica molecolare, applicate alle piante coltivate sono diventate materia di contendere non solo per quanto riguarda la loro utilizzazione nei PI ma anche nei PVS: secondo i sostenitori esse sarebbero essenziali per affrontare i problemi della sicurezza alimentare e della malnutrizione nei paesi in via di sviluppo; per gli oppositori esse potrebbero essere causa di disastri ambientali, di un aggravarsi delle situazioni di povertà e fame. Ognuno elabora idee e proposizioni, ma i dati oggettivi sono ancora limitati ed i fattori in gioco sono tanti per cui la questione è difficile da dirimere e bisogna procedere traendo esempi da situazioni analoghe. Anzitutto è da ricordare che le biotecnologie non consistono solo nell'ingegneria genetica molecolare, anche a considerare solo quelle più recenti. Lo stesso termine biotecnologie fu coniato in Ungheria nel 1917 per indicare la produzione di mangimi mediante la trasformazione di residui della lavorazione delle barbabietole ad opera di microrganismi. Ed infatti la Convenzione sulla diversità biologica, all'art. 2, definisce le biotecnologie come "qualsiasi applicazione tecnologica che utilizzi sistemi biologici, organismi viventi o loro derivati per produrre o modificare prodotti o processi per uso specifico. Così definite, le biotecnologie comprendono le fermentazioni per la produzione del vino, della birra, del pane, del formaggio, e come tali si perdono nella notte dei tempi. Volendo però riferirsi a quelle moderne si può ricordare che il protocollo di Cartagena definisce le biotecnologie come "tecniche in vitro degli acidi nucleici, ivi compreso il DNA ricombinante, l'inserimento diretto di acidi nucleici nelle cellule e negli organismi" e " fusione di cellule oltre la famiglia tassonomica, in modo da superare le barriere fisiologiche e riproduttive naturali e che non sono utilizzate nel miglioramento genetico tradizionale". Il Glossario della FAO definisce le biotecnologie come una gamma di tecniche molecolari con modificazione e trasferimento di geni, DNA typing e clonazione di piante e di animali". Anche cos' definite le biotecnologie hanno applicazioni vaste e non sempre note al pubblico come la produzione di medicinali, ad es. insulina, la produzione di caglio per la caseificazione, ecc. Nell'ambito della coltivazione delle piante agrarie esse comprendono una vasta gamma di tecniche sviluppate negli ultimi 100 anni, come la genomica, la bioinformatica, la selezione assistita da marcatori, le colture di cellule e di tessuto, la micropropagazione, la clonazione, il ricupero e coltivazione di embrioni, ecc. Tuttavia le modificazioni genetiche delle piante coltivate condotte con metodi molecolari sono quelle che suscitano le maggiori critiche, ma che possono influenzare l'agricoltura anche dei paesi in via di sviluppo, quelle su cui ferve il dibattito. Non è fuori luogo quindi un'analisi critica delle evidenze scientifiche ed economiche sulle potenzialità delle biotecnologie agricole nel soddisfare le esigenze dei poveri del terzo mondo. Per mettere questi problemi nella giusta ottica, è opportuno ricordare che l'agricoltura del secolo appena iniziato deve affrontare sfide senza precedenti: fornire alimenti ed altri beni di primaria 8

9 importanza, come ad esempio il vestiario, oltre che alla popolazione attuale, anche agli ulteriori 2 miliardi di persone che saranno presenti fra un quarto di secolo e ottenere questo utilizzando risorse naturali sempre più fragili. Le terre coltivabili con elevata capacità produttiva sono infatti poche (tab )e dislocate in Africa ed America latina, aree lontane da quelle in cui esiste la maggior pressione della popolazione umana. La coltivazione di queste terre d'altra parte comporterebbe la ulteriore distruzione di biodiversità e non potrebbe avvenire senza l'ausilio massiccio di mezzi tecnici. E' altresì noto che già oggi oltre 800 milioni di persone, che vivono per la maggior parte nelle aree rurali dei paesi poveri, sono denutrite croniche (tab. ) e miliardi di persone sono affette da carenze di micronutrienti, una forma insidiosa di malnutrizione causata dalla qualità scadente e dalla monotonia degli alimenti consumati. Allo stesso tempo, una popolazione in rapida urbanizzazione (Tab ) chiede una gamma più ampia e diversificata di alimenti di qualità, in cui l'aspetto qualità non riguarda solo la derrata agricola, l'alimento, ma anche il modo con cui essa viene prodotta. L'innovazione tecnologica, costituita da varietà più produttive e dai mezzi tecnici necessari affinché esse potessero esplicare le loro potenzialità e nota come rivoluzione verde, ha determinato enormi vantaggi ad intere popolazioni, attraverso un'aumentata efficienza degli investimenti in termini di lavoro, finanziamenti e terreno, più alti redditi, più bassi prezzi degli alimenti. Il circolo virtuoso dell'innalzamento della produttività, miglioramento degli standard di vita e crescita economica sostenibile ha consentito a milioni di persone di uscire dalla condizione di povertà e si ritiene che abbia evitato la messa in coltivazione di oltre 300 milioni di ha di foreste e praterie ricche di biodiversità e che svolgono un ruolo importante negli equilibri del pianeta.. Il maggiore impatto della rivoluzione verde fu determinato alla fine degli anni sessanta da miglioramento genetico, che inizialmente fu focalizzato sull'innalzamento della produzione dei più importanti cereali, frumento riso e mais. La loro resa aumentò di circa 100 chilogrammi ad ettaro all'anno (Pingali e Rajaram, 1999). Venne poi la volta delle varietà resistenti ad una vasta gamma di insetti e malattie, che tollerano gli stress abiotici, che richiedono meno tempo per completare il ciclo produttivo, che hanno miglior sapore e qualità nutrizionali. Colture come sorgo, miglio, orzo, manioca, leguminose da granella non ebbero molta attenzione almeno fino all'inizio agli anni '80, quando iniziarono a comparire nuove varietà anche per queste specie (Evenston e Golin, 2003). Molto del merito di questo progresso è dovuto all'attività degli istituti facenti capo al Gruppo Consultivo per la Ricerca Agricola Internazionale (CGIAR) la cui attività principale consisteva allora nel fornire materiale migliorato geneticamente, alle istituzioni di ricerca nazionali.. Le varietà basate su questo germoplasma erano 9% all'inizio degli anni 70, ma divennero 29% nel 1980,46% nel 1990 e 65% nel La produzione per unità di superficie del frumento aumentò in quarant'anni di 208%, quella del riso di 109%, quella del mais di 157%, quella della patata di 78%eè quella della manioca del 36% (FAO, 2003). Il ritorno degli rivestimenti era intorno a 40 50%. Circa 35% delle varietà messe in commercio, comprese quelle di PI, derivavano direttamente e 22% indirettamente dal materiale degli Istituti del CGIAR. L'uso di queste varietà stimolò e offrì i mezzi economici per l'adozione di altre tecnologie, per aumentare la produzione e per migliorare gli standard di vita delle popolazioni. Ma non tutte le persone e non tutte le aree della terra hanno potuto beneficiare di questa 9

10 rivoluzione. Molte persone e molte aree del pianeta sono rimaste intrappolate in un'agricoltura di sussistenza. Molte specie di piante coltivate come la manioca, la vigna, il sorgo il teff, l'ensete, l'igname che pure costituiscono la base alimentare di dei più poveri del pianeta non hanno beneficiato delle ricerche che hanno promosso la rivoluzione verde. L'interrogativo riguarda se le biotecnologie possano determinare il perseguimento dell'obiettivo di promuovere un miglioramento nelle condizioni di vita di quanti non sono finora riusciti ad ottenerlo. Le biotecnologie possono in teoria contribuire a raggiungere questi obiettivi. Con la genomica vengono studiati la struttura dei genomi ed i meccanismi genetici alla base del caratteri di importanza economica, fornendo quindi informazioni sull'identità, la localizzazione e l'impatto dei geni che influenzano tali caratteri, la conoscenza delle proteine da essi codificate e le loro funzioni nei sistemi biologici (bioinformatica). I marcatori molecolari, ossia sequenze di DNA ben identificabili, presenti in posizioni specifiche del genoma e associati con caratteri particolari o geni, consentono di studiare l'entità e l'organizzazione della variabilità genetica tra ed entro le popolazioni e sono particolarmente utili quando si seleziona per caratteri controllati da molti geni, tali come la produzione, la qualità, la resistenza a malattie e a fattori ambientali, e nell'identificazione di genotipi. Le colture di cellule e di tessuto e la micropropagazione possono essere utilizzati per conservare moltiplicare genotipi con particolari caratteristiche, per risanare piante da malattie e moltiplicarle sulla scala, per la selezione in vitro di milioni di individui senza dover ricorrere a vaste superfici di terreno, come si usa fare nella selezione per la tolleranza a sali, basse temperature, metalli, ecc. L'ingegneria genetica molecolare, con l'inserimento di una sequenza di DNA di un individuo in un altro con il quale non è compatibile, ottenendo piante transgeniche. Utilizzando questi metodi sono state prodotte piante resistenti a insetti ed erbicidi, che forniscono alimenti particolari, come ad esempio il riso ricco in beta carotene, precursore della vitamina A. Ma le biotecnologie si stanno rivelando utili anche per lo sviluppo di vaccini vegetali, per identificare agenti patogeni, per monitorare l'impatto dei programmi di controllo, ecc. Esse consentono cioè di superare molti degli ostacoli che si frappongono ad ulteriori incrementi produttivi, specie quelli più difficili da trattare o impossibili da affrontare con il miglioramento genetico convenzionale, abbreviando i tempi dei programmi di costituzione varietale, consentendo la conservazione in uso di varietà tradizionali che possono essere modificate per uno o pochi caratteri, fornire agli agricoltori materiale vegetale esente da malattie, costituire varietà resistenti ad agenti patogeni ed insetti, sostituire i presidi fitosanitari potenzialmente inquinanti dell'ambiente e pericolosi per la vita umana, fornire mezzi diagnostici, migliorare la qualità nutrizionale degli alimenti base di molte popolazioni, fornire nuovi prodotti di uso sanitario ed industriale. Ma la rivoluzione genica si muove lungo un paradigma diverso dalla rivoluzione verde. Quest'ultima era stata costruita con finanziamenti pubblici, i suoi prodotti erano beni pubblici, in grado quindi di generare benefici alla società al di là della convenienza di chi li aveva generati. Essi erano disponibili per tutti e l'utilizzazione da parte di uno non impediva ad altri di goderne. Un insieme di caratteristiche che avrebbero impedito al privato di catturare pienamente i benefici della 10

11 ricerca su cui aveva investito. Ed infatti gli investimenti del settore privato negli anni erano limitati, specie nei PVS. Questa situazione è cambiata quando nei paesi industrializzati è stata possibile la protezione, come opera d'ingegno, dei geni costruiti sperimentalmente e le piante modificati geneticamente. Queste protezioni sono state rafforzate nel 1995 con l'accordo sul commercio dei diritti della proprietà intellettuale (TRIPS =Trade related aspects of Intellectual property Rights) del WTO (World Trade Organization), che impegna i propri membri a fornire protezione brevettuale per le invenzioni biotecnologiche sia di prodotto che di processo e alle varietà vegetali sia con brevetti che con sistemi sui generis. Queste protezioni hanno fornito ai privati gli incentivi ad investire nelle biotecnologie agricole. Le compagnie agrochimiche che vedevano ridursi il mercato dei fitofarmaci e che cercavano nuovi prodotti hanno subito colto l'occasione (Conway, 2000). Utilizzando i risultati delle ricerche scientifiche di base ottenuti dal settore pubblico e acquisendo compagnie cementiere sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo esse hanno costituito sistemi in grado di governare lo sviluppo e la commercializzazione delle varietà (Pingali e Traxler, 2002); esse hanno combinato conoscenza e tecnologie di larga diffusione, tipico delle transnazionali, con la specificità delle varietà per un particolare ambiente, tipico delle ditte sementiere. La dimensione degli investimenti è stata senza precedenti. Le dieci più importanti industrie spendono circa 3 miliardi di $ all'anno, quando l'intero sistema CGIAR, che ha promosso la rivoluzione verde, ha un bilancio di meno di 400 milioni di $ e tutti i programmi di ricerca agricola di importanti paesi in via di sviluppo, come Brasile Cina e India, non superano i 500 milioni di $ (Byerle e Fischer,2002). Molto differenti sono anche gli investimenti dei paesi industrializzati rispetto a quelli dei paesi in via di sviluppo. Il settore pubblico dei paesi industrializzati spende quattro volte quello complessivo dei paesi in via di sviluppo. Pochi paesi in via di sviluppo hanno le risorse per creare fonti indipendenti di innovazione biotecnologica (Byerle e Fischer,2002 Tabella 3 pag. 33) Grazie a quest'impegno, il settore privato ha praticamente sviluppato tutte le colture transgeniche attualmente in commercio, con l'eccezione di quelle della Cina, come si vedrà in seguito. Dal 1987, quando furono autorizzate le prime prove, fino a 2002 sono state condotte oltre prove su 81 varietà transgeniche di specie coltivate, ma solo 15% di esse hanno avuto luogo nei paesi in via di sviluppo o in paesi del in transizione. Esiste il pericolo che molti paesi in via di sviluppo possano non essere, ancora una volta, esclusi dai vantaggi che le innovazioni possono determinare. Anzitutto le colture predominanti in molti di questi paesi sono oggetto di ricerche limitate; anche le prove di frumento e riso sono aumentate soltanto negli ultimi anni, la manioca transgenica è andata in prova nel 2000 e banane, patate dolci, lenticchie e lupini sono state appena autorizzate nel Inoltre, due terzi delle prove nei paesi industrializzati e tre quarti di quelle dei paesi in via di sviluppo riguardano due caratteri: resistenza agli insetti e tolleranza agli erbicidi o la combinazione dei due (figura 2 3). Mentre il primo carattere è di importanza per i paesi in via di sviluppo, il secondo può esserlo meno in paesi che hanno 40% della popolazione che lavora in agricoltura. Al contrario caratteri economici di importanza per i PVS e gli ambienti marginali, tali come produzione totale, resistenza a stress abiotici, in particolare siccità e salinità, sono oggetto di un numero limitato di prove nei paesi industrializzati e meno ancora nei paesi in via di sviluppo. Le colture transgeniche hanno interessato totale di 81 milioni di ettari distribuiti 17 paesi nel

12 Figura 4 La distribuzione è diseguale: sei il paesi, quattro colture e due caratteri interessano il 99% delle piante transgeniche; due terzi di essa sono ancora negli Usa, anche se la percentuale tende a diminuire per effetto dell'aumento della superfici in Argentina Brasile Canada Cina e Sudafrica figure 5 7 pag Nei paesi in via di sviluppo le colture transgeniche sono diffuse ed in aumento in Argentina, Brasile, Cina, Paraguai, tutti con oltre 1 milione di ha coltivati. seguono altri paesi con superfici minori. Tabella Le colture più diffuse sono soia, mais, cotone e colza. I caratteri più diffusi sono resistenza agli insetti e tolleranza agli erbicidi. La soia tollerante agli erbicidi costituisce 55% della soia coltivata nel mondo e la colza tollerante è 16%, cotone e mais tolleranza fra agli erbicidi o resistenti agli insetti sono rispettivamente 21 e16%. Una delle lezioni della rivoluzione verde è che le tecnologie agricole possono essere trasferite internazionalmente, ma a recepirle e trarne utilità sono i paesi che hanno sistemi nazionali di ricerca agricola in grado di adattare il materiale importato alle situazioni locali e di superare paure, diffidenze ed altri ostacoli. Un primo ostacolo può derivare dal fatto che molti paesi non hanno regolamenti e capacità tecniche necessarie per valutare l'innocuità delle colture dal punto di vista ambientale e la salubrità dei loro prodotti e dirimere le controversie che possono sorgere. queste colture e i conflitti che possono sorgere intorno ad essi. Benché la comunità scientifica internazionale abbia ormai riconosciuto che gli alimenti che derivano dalle colture transgeniche attualmente sul mercato non pongono pericoli per la salute del consumatore bisogna riconoscere che future trasformazioni, come quelle per le resistenze ad insetti o quelle che comportano l'inserimento contemporaneo di più geni, potrebbero richiedere specifici e non consolidati procedimenti di analisi per i quali i PVS possono non essere preparati. Minore è il consenso scientifico sui rischi ambientali associati con le colture transgeniche, benché si vada consolidando l'idea che questi prodotti dovrebbero essere valutati contro i rischi associati o impliciti nelle agricolture tradizionali e convenzionali, molte delle quali sono lungi dall'essere esenti da problemi di sostenibilità. Cresce anche il consenso sulla necessità che le colture transgeniche vengano valutate caso per caso come già si fa per le sostanze farmaceutiche, prendendo in considerazione specifiche specie coltivate, particolari caratteri e sistemi agroecologici, come raccomanda anche lo studio condotto nel 2003 dalla Commissione nominata dall'accademia dei Lincei e dell'accademia delle Scienze. Poiché l'impatto ambientale delle colture transgeniche è stato oggetto di limitate valutazioni nelle regioni tropicali, sembra opportuno richiamare l'attenzione sulla necessità di condurre un serio impegno di ricerca in quest'ambito. Ma le difficoltà legate alla mancanza di regolamenti e di capacità di analisi e trasparenza nelle decisioni costituiscono una remora anche per il settore privato. L'immissione sul mercato di un prodotto transgenico può richiedere 10 milioni di $ solo per le indagini sulla salubrità alimentare e la sicurezza ambientale, secondo i protocolli in uso nei PI. L'investimento è giustificato se il risultato è scientificamente inoppugnabile e tale da superare la diffidenza del pubblico. Ma la necessità di dover ripetere in continuazione le indagini e senza garanzia che i risultati saranno rispettati scoraggia il privato, che esce dal mercato. I PVS che ne trarranno utilità saranno quindi quelli con sistemi di ricerca efficienti, credibili ed in grado di incorporare le innovazioni importate nel materiale vegetale adatto alle loro situazioni agroecologiche. La selezione è sempre seguita dalla produzione del materiale da consegnare agli 12

13 agricoltori per la coltivazione ed un efficiente programma sementiero vivaistico è un altro dei requisiti assicurati da un sistema di ricerca efficiente. Questi ultimi sono anche in grado di contrattare con le multinazionali azioni congiunte, come dimostrano gli esempi di grandi paesi in via di sviluppo, fra cui Cina e Argentina, che sono stati oggetto di specifici studi. In Cina il cotone Bt è prodotto dalle compagnie sementiere Ji Dal e An Dai. La prima è una jointventure tra le americane Monsanto e Delta Pine Land (DPL) e la compagnia sementiera della provincia di Hebey, la seconda conta gli stessi partner americani e la compagnia sementiera della provincia di Anhui. Gli accordi prevedono che Monsanto fornisca la tecnologia BT, D&PL le varietà, mentre le ditte sementiere locali effettuano le prove varietali, la moltiplicazione del seme e la sua distribuzione agli agricoltori, che nel caso specifico hanno meno di 2 ha ad azienda ed un reddito annuo di 360 $. La coltivazione del cotone Bt interessa oltre 4 milioni di agricoltori, che complessivamente hanno oltre un terzo della superficie a cotone del paese. Nelle zone ove più intenso è l'attacco degli insetti le varietà Bt rappresentano % del materiale coltivato. Il cotone Bt produce oltre 500 kg/ha, pari circa 20%, in più delle varietà convenzionali, con un guadagno economico da parte degli agricoltori di circa 23%. Il costo del seme Bt è circa doppio di quello delle varietà convenzionali, ma la spesa per i fitofarmaci è inferiore del 67% ed i costi totali di produzione sono 16% più bassi di quelli delle coltivazioni convenzionali. I guadagni sono superiori di 470 $. L'uso dei fitofarmaci inferiore del 43,8 Kg/ha, per un totale di t nel 2001, che rappresenta circa 17 $ del totale dei fitofarmaci utilizzati in Cina. Poiché i fitofarmaci sono distribuiti con apparecchiature a spalla, sono diminuiti anche i casi di avvelenamento da 12 29% a 5 8%. Un altro aspetto interessante è che gli agricoltori con meno di 1 ha di terreno hanno guadagnato più del doppio rispetto agli agricoltori con aziende più grandi. Tab 8 In Argentina il cotone Bt è commercializzato dalla CDM Mandiyu srl, una joint venture delle due americane presenti in Cina e l'argentina Ciagro. Secondo la legge argentina gli agricoltori hanno il diritto di moltiplicare il proprio seme per una generazione, come in Italia. Tuttavia Mandiyu vieta agli agricoltori di coltivare il proprio seme obbligandoli a comprarlo ogni anno. La produzione del cotone Bt è superiore di oltre 530 Kg/ha, pari a 33%, di quello delle varietà convenzionali. I trattamenti con insetticidi sono diminuiti e la spesa per essi si è dimezzata. Il costo del seme è tuttavia sei volte quello del cotone convenzionale, per cui i costi complessivi di produzione sono più elevati del 35%. I guadagni netti sono più elevati, ma nettamente inferiori a quelli di altri paesi, ed il cotone Bt in Argentina è appena il 5% del cotone totale. Al contrario il seme di soia costa solo 30% in più e 99 della soia argentina è transgenica. Le produzioni non sono molto diverse da quelle tradizionali, ma i minori costi di produzione hanno convinto gli agricoltori della convenienza. Si stima che la soia transgenica abbia prodotto oltre 1,2 miliardi di $ di benefici economici in Argentina, con circa 4%, circa 4% del valore della soia coltivata nel mondo. A livello mondiale, i consumatori dovrebbero aver guadagnato, secondo questi calcoli, 452 milioni (53% dei benefici totali) come risultato dei più bassi costi di produzione. Le ditte sementiere avrebbero guadagnato 421 milioni (34%) ed i produttori più di 300 milioni, mentre i produttori dei paesi dove la tecnologia non è disponibile perdevano circa 291 milioni di $, come risultato di una diminuzione del prezzo sui mercati mondiali di circa 2% (4,06 $/t). Gli agricoltori avrebbero guadagnato complessivamente 158 milioni, 13%dei guadagni economici totali prodotti dalla tecnologia. In Africa occidentale il cotone Bt non è ancora coltivato, ma una simulazione condotta in Benin, Burchina Faso, Costa d'avorio, Mali e Senegal, ipotizzando un aumento di produzione ed un'adozione del 100% gli agricoltori dei cinque paesi dovrebbero guadagnare 205 milioni di netti, mentre 13

14 ipotizzando un aumento di produzione del 10% ed un'adozione del 30% i benefici sarebbero di 21 milioni di $. Tradotti a livello aziendale dati corrisponderebbero a guadagni dell'ordine del %. Significativamente queste colture producono derrate che sono acquisite dall'industria per la trasformazione. Diverso e più complicato può essere il discorso quando si tratta di colture le cui derrate sono commercializzate sul mercato locale. L'introduzione da parte dell'iita, che ogni anno distribuisce in Africa sub sahariana circa sei milioni di piantine di ensete risanate da virosi, di una nuova varietà non transgenica ma più produttiva ed esente da virus, ha determinato in una zona dell'uganda orientale una produzione di questa derrata di circa 10 volte. La produzione è andata per la maggior parte al macero, per la mancanza di mercato e di vie di comunicazione e mezzi di trasporto che la portassero su altri mercati. Le indicazioni che scaturiscono da questi ed altri esempi in letteratura potrebbero essere riassunti nei seguenti punti. Anzitutto che le coltivazioni transgeniche possono determinare guadagni per gli agricoltori, ma la loro adozione dipende dalla validità dei sistemi di ricerca agricola. L'introduzione dipende poi dall'esistenza di sistemi efficienti di biosicurezza, che diano affidamento alle ditte che hanno il possesso delle biotecnologie. Le quali catturano una parte del guadagno, ma non tutto. Egualmente importante è la parte destinata agli agricoltori ed al consumatore finale sotto forma di prezzi più bassi. Questo significa anche che benché l'industria abbia una posizione di monopolio, non può contare su profitti senza limiti, come insegna il caso del cotone in Argentina. Vi è poi da considera il fatto che in tutti i casi sono diminuite le quantità di fitofarmaci utilizzati e che è stato possibile adottare pratiche agronomiche meno aggressive. Infine, ma non meno importante, i piccoli agricoltori non hanno avuto difficoltà maggiori di quelli grandi nell'adottare le innovazioni e nel trarne utilità, se esistevano le condizioni di mercato. L'interrogativo iniziale se le biotecnologie siano in grado di portare benessere ai poveri agricoltori dei PVS dovrebbe quindi essere sostituito da quello più cocente di come questo potenziale scientifico possa esplicare la sua azione per collaborare a risolvere i problemi dell'agricoltura dei PVS. 14

15 Organismi geneticamente modificati e Ambiente * Gian Tommaso Scarascia Mugnozza 1, Enrico Porceddu 2 Introduzione La costituzione e l'uso in agricoltura di piante transgeniche è oggetto di discussione e critiche. Gli interrogativi che emergono sono di natura biologica (effetti sull'ambiente ed in particolare sulla biodiversità e quindi sulla sostenibilità agricola, sulla salute umana) e socio economica (proprietà intellettuale dei risultati delle ricerche; scelte del consumatore; economia d'uso; effetti sulle agricolture del Terzo mondo; modifiche delle catene alimentari umane). Gli aspetti relativi ai possibili effetti socio economici e sulla salute umana sono oggetto di presentazione da parte di altri relatori. L'attenzione verrà qui rivolta agli effetti degli ogm sull'ambiente vegetale, ed in particolare sulla biodiversità. L'interazione degli ogm con l'ambiente dove vengono coltivati e con gli ecosistemi limitrofi interessa quattro aspetti principali: flusso di ogm e/o dei geni da ogm; effetti degli ogm sugli organismi non bersaglio; flusso dei geni marcatori presenti negli ogm. Nei vegetali la biodiversità potrebbe essere compromessa da flusso genico che si può manifestare: a) per dispersione di semi di piante transgeniche nei terreni coltivati ed in quelli circostanti; b) per impollinazione di piante non ogm delle stesse specie agrarie di quelle gm, dotandole di caratteri non desiderati determinati dal transgene; c) fecondazione con polline gm di piante di specie affini a quelle coltivate, danneggiandone la biodiversità. In quest'ultimo caso gli ibridi interspecifici fertili che ne possono derivare, se dotati di vantaggio selettivo per aver acquisito p.e. resistenza ad erbicidi, ovvero a stress biotici e abiotici, potrebbero costituire nuove piante più adatte all'ambiente e quindi più competitive, invasive, rispetto alla flora preesistente. * Relazione presentata al seminario di studi "ogm: minaccia o speranza" organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Roma (10-11 novembre 2003). 1 Prof. emerito di genetica agraria. 2 Prof. Ordinario di genetica agraria, Università della Tuscia, Viterbo. 15

16 Il flusso genico Il flusso genico, cioè il trasferimento di DNA da una popolazione ad un'altra può avvenire in due: uno verticale e l altro orizzontale. Il flusso genico orizzontale consiste nel passaggio di informazione genetica tra specie fileticamente lontane: per esempio l'eventuale trasferimento di DNA, da residui vegetali in via di degradazione ad opera di nucleasi vegetali o microbiche, ) verso microrganismi del suolo, oppure scambio di materiale genetico tra batteri del terreno agricolo e popolazioni batteriche naturali (Sequi e Nannipieri, 2000). Così p.e. è noto che il 16% del genoma di E. coli deriva da trasferimento genico orizzontale relativamente recente (Ovreas et al., 1998), e che nuovi ceppi di microrganismi patogeni trovano origine in questo modo (Reid et al., 2000; Nuti et al., 2001). Analogamente è ormai comprovato che resistenze ad ampicillina, streptomicina, kanamicina, igromicina e cloroamfenicolo sono facilmente trasmesse tra batteri per via orizzontale e che la selezione esercitata dalla presenza dell'antibiotico è il fattore più importante per l'emergere e l'affermarsi dei tipi resistenti. Il pericolo nel caso delle piante GM consiste nella possibilità che sequenze di DNA transgenico, derivanti da loro parti vegetali in corso di degradazione, vengano acquisiti da batteri e diffuse nelle popolazioni batteriche. In questo contesto richiede attenzione l'eventualità che: a) transgeni (p.e. di piante resistenti a erbicidi) si trasferiscano a microrganismi del terreno, a batteri che interagiscono o vivono in simbiosi nei noduli delle radici o nella rizosfera di piante transgeniche; oppure che b) microrganismi geneticamente modificati si diffondano ed abbiano un impatto sull'ambiente. Sebbene sia ormai assodato da circa due decenni di ricerche UE che il flusso genico è spesso limitato a frammenti non funzionali di DNA e che la presenza di piante transgeniche non esercita un impatto negativo, se non in termini di frequenze relative, è necessario continuare le ricerche per pervenire ad una quantificazione dei fenomeni ed alla definizione di norme efficaci di biosicurezza. Intanto sulla scorta della conoscenza che la presenza dell'antibiotico costituisce un forte elemento di selezione, anche se non si capisce come la selezione naturale possa favorire i trasgeni presenti nell'ogm in assenza di antibiotici, la direttiva 18/ /CEE del Parlamento Europeo, abrogando la direttiva 90/220/CEE, vieta l'uso dei geni di resistenza agli antibiotici, utilizzati quali marcatori per la selezione delle cellule transgeniche, nel materiale per la coltivazione a scopo produttivo. 16

17 Il flusso genico verticale consiste nel trasferimento di geni tra specie vegetali; la sua entità varia in funzione della capacità di interfecondazione, di compatibilità sessuale della pianta con piante di altre specie e di sopravvivenza dell'ibrido interspecifico. Attraverso questo meccanismo è possibile che i transgeni di una pianta GM passino su altre piante della stessa specie o di specie strettamente affini. In realtà, il flusso genico tra piante coltivate (convenzionali o gm) e specie affini, selvatiche e/o infestanti, è inevitabile negli ambienti in cui esse vivono a contatto (simpatria) fra loro: in termini di storia naturale, l'ibridazione fra taxa più o meno affini è una delle modalità evolutive del regno vegetale, come testimoniano numerosi esempi. Flusso genico tra piante coltivate e piante selvatiche e/o spontanee è stato accertato in Medicago sativa (Jenczewski et al., 1999), tra barbabietola coltivata (Beta vulgaris) e bietole selvatiche (Bartsch et al. 1999; Arnaud et al., 2003), fra cotone coltivato (Gossypium hirsutum) e selvatico (G. barbadense) (Ellstrand et al. 1999), fra sorghi coltivati e selvatici (Renganayaki, 2000), fra riso coltivato e riso selvatico (Song et al., 2001 e 2002); in quest'ultimo caso è stata anzi rilevata competizione del polline di una specie verso quello dell'altra specie, con riduzione dell'ibridazione. Parimenti noti sono i flussi genici dalle specie selvatiche (T. dicoccoides, Aegilops spp.) verso i frumenti coltivati (farro, duro e tenero), ma generalmente l'ibrido è sterile; tuttavia, attraverso eventuali ma rarissimi reincroci spontanei, qualche seme si può formare. Ciò può avvenire anche tra frumenti transgenici (p.e. resistenti a erbicidi) e la selvatica Aegilops (Seefeldt et al., 1998; Morrison et al., 2002). Osservazioni dirette condotte su scala nazionale in UK (Scozia esclusa) su centinaia di km di campi lungo i corsi d'acqua, dove Brassica napus e B. rapa vivono in simpatria, e calcoli statistici, considerando l' impollinazione anemofila (anche se decrescente) fino a 3 km, hanno consentito a Wilkinson et al. (2003) di stimare una frequenza di ibridazione pari a 1,46% e la formazione, per anno, di ibridi infestanti i campi di colza intorno a piante nei dintorni dei corsi d'acqua e fino a piante in tutta l'area coltivata a colza in UK. Ancorché la ricerca non abbia approfondito e valutato l'adattabilità (fitness) degli ibridi, gli autori sostengono che questi dati possono essere considerati come il primo contributo metodologico per una efficace valutazione quantitativa, della formazione di ibridi, quindi anche di ibridi fra piante gm e piante selvatiche nonogm. 17

18 Non sorprende, quindi, come ha rilevato Ellstrand (1999), che 12 delle 13 piante agrarie più coltivate, eccetto l'arachide perché rigorosamente autofertile, possano ibridarsi con progenitori selvatici o con altre specie affini se presenti nell ambiente, attraverso il trasferimento di polline; evento osservato anche in altre 31 piante (fruttiferi, orticole, ecc.) coltivate in varie parti della Terra. I dati sperimentali indicano però che la sopravvivenza, fino alla produzione di semi, di ibridi tra specie coltivate e selvatiche è rara, generalmente in conseguenza di difetti nella fusione tra i nuclei delle cellule delle due specie. Ma non è, tuttavia, provato, né vi è ragione di ritenere che l'ibridazione naturale aumenti con la sostituzione di varietà convenzionali con varietà transgeniche (Amman, 2001). Ad ogni modo l'ibridazione può dar luogo ad infestanti. L'infestanza dipende da caratteri ben definiti: longevità dei semi; sviluppo vegetativo rapido; produzione di semi continua negli anni; autocompatibilità o impollinazione anemofila; forma dei semi adatti alla dispersione; vigorosa riproduzione vegetativa; capacità di competere per la luce. Migliaia di generazioni di coltivazione hanno fatto perdere alle piante coltivate le caratteristiche di infestanza tipiche delle malerbe (Harlan J.R., 1992) e degli invasori vegetali. Per dar luogo a successive generazioni, ossia sopravvivere, fiorire e maturare semi, esse devono fare affidamento sulle cure colturali, che le proteggono dalla competizione delle piante infestanti; né è pensabile che l'inserimento di uno o pochi geni consenta loro di ripristinare quei caratteri che hanno perso nel processo di domesticazione. Ed è noto che le piante coltivate non sono invasive, anche se possono generare infestanti ibridandosi con specie selvatiche. Ma non risultano dati, scientificamente accertati, che dimostrino che una varietà gm abbia un livello di infestanza del sistema agricolo o degli habitat limitrofi superiore a quello della sua versione nongm; e non si ha ragione di credere che il polline transgenico sia più efficiente di quello normale nella fecondazione e produzione di seme, cioè che l'ibridazione aumenti a seguito della sostituzione delle varietà convenzionali con quelle transgeniche (Amman et al., 2001), e che la discendenza abbia un miglior adattamento se il genitore coltivato è pianta gm. Differenze in invasività tra piante gm (per tolleranza a erbicidi) e non gm non sono state rilevate per mais, bietole e patata (Conner A.J., 2003). In realtà, lo sviluppo di resistenza agli erbicidi non è certo un fenomeno nuovo ed gestito con successo ormai da decenni dagli agricoltori. 18

19 Flusso genico tra piante GM e non GM e rischio ambientale Casi di flusso genico tra piante gm e non gm si verificano quando il transgene viene trasmesso, per impollinazione, a varietà convenzionali della stessa specie 3, oppure ai parenti selvatici della specie coltivata. Prima di riportare e commentare alcuni esempi di trasferimento di transgeni, sembra opportuno precisare che ai fini della valutazione degli effetti del flusso genico nell'inquinamento da transgeni del patrimonio genetico di piante coltivate o di varietà locali e primitive o di specie selvatiche il rilevamento della formazione di pochi semi per impollinazione con polline transgenico è fenomeno diverso dalla "introgressione", cioè della permanente incorporazione di geni, a seguito di una serie di generazioni, nel genoma di una pianta, con evidente influenza sulle caratteristiche ereditarie e sull'evoluzione della specie (Rieseberg et al., 1993). Ad oggi non si ha evidenza di introgressione da piante coltivate a piante selvatiche in soia, orzo, miglio, fagiolo, patata (Stewart et al., 2003). Inoltre, i medesimi autori fanno notare che i rischi da flusso genico o da introgressione andrebbero valutati non soltanto in funzione della persistenza nel corso di successive discendenze, ma anche delle caratteristiche, fisiologiche, attitudinali, agronomiche, modificate dal transgene nella piante recipiente (Stewart C.N. et al., 2003). Ed aggiungono che molte varietà coltivate di specie agrarie possono essere state migliorate per incorporazione, mediante incroci sperimentali, di alleli e occasionalmente di nuovi geni, da altre piante, anche di specie affini. Casi di trasferimento di transgeni da mais gm su varietà locali di mais sono stati denunciati sulla rivista Nature da Quist e Chapela (2001, 2002), ma il procedimento di rilevazione fu ritenuto non affidabile (Christou, 2002; Kaplinsky et al, 2002; Metz e Futterer, 2002); in assenza di prove più affidabili, ivi compresa la coltivazione della discendenza, la rivista, in un editoriale, riassunse la storia, le posizioni dei diversi scienziati e decise di lasciare ai lettori il giudizio sulla vicenda (Nature, 2002). Le analisi condotte durante il dibattito rivelarono che in Messico, centro di diversificazione della specie con Nicaragua e Guatemala, le varietà locali e lo stesso teosinte, il progenitore selvatico del mais coltivato, sono andate incontro a flusso genico da parte dei mais ibridi, che in quel paese rappresentano il 30% dei mais coltivati, minacciando di compromettere così l'originale variabilità di quel materiale. 3 Da una recentissima (febbraio 2004) analisi, commissionata dalla Union of Concerned Scientists (USA) e pubblicata sul Washington Post, risulta che 2/3 dei 36 lotti di semi di varietà convenzionali esaminati presentano tracce di DNA di transgeni, in massima parte dalla normativa vigente autorizzati per il consumo alimentare. 19

20 Tuttavia, il flusso genico tra mais transgenici e varietà locali è confermato da altri ricercatori (Metz, 2002; Milius., 2003)????. In Europa non esiste il teosinte e le vecchie varietà sono state ormai sostituite da quelle migliorate, per cui il flusso genico è ristretto alle varietà coltivate, e quindi anche tra mais coltivati e mais transgenici. Una distanza di 200 metri tra campi di mais di 2 ettari ed oltre garantisce la purezza del 99% del seme, che arriva al 99,5% con distanze di 300 metri (Ingram, 2000). E' noto che piante di recente domesticazione, come girasole, colza, foraggere ecc., possono possedere un certo grado di infestanza. Ricerche condotte su girasole sono particolarmente illuminanti in proposito. In Texas l'esame di 115 piante di girasole selvatico vicine a coltivazioni di girasole (Linder et al., 1998) ha indicato che il materiale selvatico presentava almeno un marcatore genetico caratteristico delle varietà coltivate. Incroci sperimentali tra girasoli coltivati, ingegnerizzati per il gene Bt, e specie selvatiche, hanno dato progenie che, lasciate incrociare in serra con girasoli selvatici, hanno dato piante che conservavano il gene Bt attivo ed erano in grado di ridurre il numero di insetti parassiti, consentendo una maggior produzione di seme (Snow et al., 1997). Successivi studi sulle conseguenze dell'introgressione di transgeni per resistenza a malattie in girasoli selvatici dimostravano tuttavia che non ne era stata aumentata l'adattabilità (fitness) (Burke et al., 2003). Ampie informazioni sono ricavabili dalle numerose e poliennali osservazioni condotte, soprattutto in USA e UK, su colza, pianta adatta a vivere in ambienti disturbati e producente semi di facile disseminazione e con un certo grado di dormienza, e su ibridazioni tra colza (Brassica napus) e la specie selvatica affine (Brassica rapa). Ibridi sperimentali tra varietà convenzionali di colza e la specie selvatica affine avevano una minor capacità competitiva delle specie selvatiche, e la loro presenza incideva. sulla produzione di un campo di frumento molto meno di quanto non facessero le piante della specie infestante (Stewart et al., 1998). Warwick (1999) ha documentato in Canada il primo caso di ibrido fra varietà commerciale di colza resistente a erbicidi e Brassica rapa, e successivamente (Warwich et al., 2003) ha calcolato intorno allo 0,4% la frequenza di flusso genico tra Brassica napus e Brassica rapa. In Canada, dove il 70% della colza è transgenica per resistenza a erbicidi, è stato osservato: che il transgene per la resistenza a erbicida si trasmetteva da colza ogm ad altra varietà commerciale e da questa ancora ad altre, e che le piante ibride presentavano la resistenza. Pertanto, la loro ricomparsa come piante spontanee, ma erbicido resistenti, nel corso delle rotazioni p.e. con graminacee, può rendere inefficaci i normali trattamenti di diserbo. Tuttavia Burke e Rieseberg (2001) ritengono che l'entità del flusso genico in colza non sia preminente: il transgene si diffonde se conferisce all'ibrido buoni livelli di fertilità e disseminazione. Downey (1999) e Pekrun (1998) hanno individuato progenie spontanee da incrocio con varietà ogm (resistente a tre erbicidi contemporaneamente) nei campi coltivati e lungo le strade poderali in Canada, anche per successive generazioni. Il confronto, condotto in UK, tra varietà convenzionali e varietà ogm (dotate di resistenza a erbicidi e insetti) di colza, mais, bietola, patata, non ha rilevato differenze significative in sopravvivenza fra le varietà gm e non ogm (Crawley et al., 2001). Non si può però escludere che altri costrutti transgenici (p.e. ogm tolleranti all'aridità) avrebbero potuto dare risultati differenti. 20

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