LINEE GUIDA PER LA SICUREZZA STRADALE

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1 Assessorato ai Trasporti, Infrastrutture Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica LINEE GUIDA PER LA SICUREZZA STRADALE LINEA GUIDA 2 LA RETE STRADALE URBANA SEZIONE A QUADRO DI RIFERIMENTO PER I PIANI URBANI DELLA SICU- REZZA STRADALE a cura di Carlo Socco Ottobre 2009 Osservatorio Città Sostenibili Dipartimento Interateneo Territorio Politecnico e Università di Torino

2 Indice LINEA GUIDA 2. LA RETE STRADALE URBANA SEZIONE A. QUADRO DI RIFERIMENTO PER I PIANI URBANI DELLA SICUREZZA STRADALE PRESENTAZIONE 3 1. IL QUADRO PROGRAMMATICO Una nuova pianificazione della mobilità nel quadro della strategia tematica dell unione europea 4 sull ambiente urbano 1.2. Il sistema di pianificazione della mobilità urbana in italia Verso il piano urbano di mobilità sostenibile (pums) Il pums un piano strutturale e strategico Il piano della sicurezza stradale urbana nell ambito del pums 13 APPENDICE A. IL REGOLAMENTO VIARIO E IL PIANO DELLA SICUREZZA STRADALE URBANA IL QUADRO PROCEDURALE Il piano come processo educativo Il laboratorio di progettazione partecipata Le fasi della procedura Il progetto preliminare Il progetto definitivo L attuazione e la gestione IL QUADRO METODOLOGICO Lo schema strutturale: i contenuti del piano Lo schema metodologico: le fasi del piano La formazione del database georiferito L analisi dell incidentalità e l analisi della sicurezza Il piano attuativo per la sicurezza della rete delle strade di scorrimento Il piano attuativo della sicurezza della rete interna agli ambiti residenziali: i piani delle zone I target e il programma, gli indicatori e il monitoraggio 32 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 33 Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 2

3 PRESENTAZIONE La politica della sicurezza stradale si deve inquadrare in una più generale politica della mobilità urbana, senza la quale l azione di messa in sicurezza manca del necessario quadro di riferimento programmatico. Pertanto, non si possono definire correttamente i compiti dei piani di sicurezza delle strade urbane se non si definisce preliminarmente la struttura generale del piano della mobilità urbana. Purtroppo, su questo aspetto il quadro normativo italiano merita un profondo riesame alla luce dell esperienza, ormai più che ventennale, dei piani urbani del traffico e della pianificazione di settore, che intorno ad essi è attecchita in modo episodico e senza un disegno organico. In questa prima sezione si prende in esame il quadro programmatico della pianificazione della mobilità urbana in cui quella della sicurezza stradale dovrebbe operare. Si delinea il percorso procedurale della formazione del piano della sicurezza stradale e si traccia lo schema logico del metodo per la sua formazione Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 3

4 1. IL QUADRO PROGRAMMATICO 1.1. UNA NUOVA PIANIFICAZIONE DELLA MOBILITÀ NEL QUADRO DELLA STRATEGIA TEMATICA DELL UNIONE EUROPEA SULL AMBIENTE URBANO L Unione europea ha recentemente rilevato che l insuffi-ciente attenzione per le conseguenze ambientali delle decisioni adottate in diversi settori e l assenza di un effi-cace pianificazione volta ad assicurare una buona qualità dell ambiente urbano sono fra le cause principali dell at-tuale situazione di difficoltà delle aree urbane. A tale scopo, l Unione si è impegnata nell elaborazione di una specifica strategia sull ambiente urbano, individuata come parte delle sette strategie tematiche previste dal Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, intitolato Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta e istituito con la decisione 2002/1600/CE. L obiettivo di tale strategia è, in sintesi, quello di migliorare la qualità e le prestazioni ambientali delle aree urbane, in modo da assicurare agli abitanti delle città europee un ambiente di vita salubre, in un complessivo quadro di sostenibilità economica e sociale. Con la comunicazione n. 60 del 2004: Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Verso una strategia tematica sull ambiente urbano, la Commissione europea chiede agli Stati membri e al sistema dei governi locali di contribuire ad elaborare linee d azione comuni. Tra di esse quelle concernenti la politica dei trasporti costituisce uno dei principali pilastri della strategia comune europea in tema di sostenibilità urbana. I numerosi e gravi impatti sull ambiente, sulla salute umana e sull eco-nomia, provocati dall attuale sistema dei trasporti, sono noti non solo agli studiosi, ma agli stessi cittadini dell U-nione, i quali percepiscono il traffico come uno dei principali fattori che incidono negativamente sulla qualità della vita nelle aree urbane. Appare evidente la necessità di ripensare la mobilità urbana per ovviare a questi effetti negativi, garantendo, nel contempo, il mantenimento del potenziale di crescita economica: a tal fine, occorre delineare un quadro di riferimento a livello europeo per promuovere il trasporto urbano sostenibile. Accanto alle misure specifiche che, in base al principio di sussidiarietà, devono essere attuate a livello degli enti locali per conseguire questi obiettivi, l Unione europea ha individuato tre settori di intervento diretto nel campo dei trasporti urbani: il sostegno alla diversificazione dell ap-provvigionamento energetico, la promozione delle buone pratiche e il finanziamento di programmi di ricerca. Le buone pratiche sono diffuse nel territorio comunitario attraverso iniziative di vario tipo, quali ad esempio: Civitas ( una piattaforma lanciata nel 2002 per le città europee che scelgono di introdurre nelle loro politiche progetti innovativi per i trasporti urbani puliti; il programma esafety, relativo alla sicurezza stradale; il sito Internet Eltis ( un servizio informativo sul trasporto locale europeo; i progetti del Quarto, Quinto e Sesto programma quadro di ricerca; iniziative di sensibilizzazione e diffusione delle informazioni (la Giornata europea senza auto, la Settimana europea della mobilità, ecc.). Dal momento però che ai miglioramenti derivanti dalle iniziative attualmente in corso fa riscontro l aumento del traffico e della congestione nelle aree urbane, 1 appare evidente la necessità di adottare apposite misure per far fronte ai crescenti volumi di traffico, in aggiunta alle misure già in vigore ed eventualmente in deroga al principio di sussidiarietà. Secondo la comunicazione n. 60 del 2004, si rende necessario governare la mobilità urbana tramite la formazione di un piano di trasporto urbano sostenibile (SUTP - Sustainable Urban Transport Plan), il quale «dovrebbe interessare l intera area urbana e cercare di ridurre l impatto negativo dei trasporti, facendo fronte ai crescenti livelli di traffico e di congestione, e dovrebbe essere collegato con le strategie ed i piani regionali e nazionali. Il piano dovrebbe riguardare tutti i modi di trasporto e cercare di modificare l equilibrio a favore di modi di trasporto più efficienti, come il trasporto pubblico, la bicicletta e gli spostamenti a piedi. Uno degli o- 1. Secondo le stime, tra il 1995 e il 2030 il numero di chilometri percorsi nelle aree urbane dovrebbe aumentare del 40%; il parco di automobili aumenta in Europa di 3 milioni di vetture ogni anno e negli ultimi trent anni è praticamente triplicato. Inoltre, occorre considerare che nei Paesi dell allargamento è previsto un forte aumento dell uso dell automobile nei prossimi anni. Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 4

5 biettivi fondamentali è la creazione di un sistema di trasporti più efficiente dal punto di vista ambientale e posto a servizio di tutti i cittadini, che hanno un ruolo fondamentale da svolgere nelle loro decisioni quotidiane, come la scelta del modo di trasporto. Un elemento essenziale del piano sarebbe il collegamento con l assetto del territorio» (p. 19). Nel rapporto finale sulla pianificazione della mobilità 2 si sostiene quanto segue: - l istituzione dei SUTP dovrebbe contribuire a creare uguali condizioni di partenza per le città europee di medie-grandi dimensioni, in modo che la competitività tra le città non avvenga a discapito delle condizioni ambientali; - gli obiettivi ambientali, economici e sociali dovrebbero essere tutti rappresentati all interno dei piani; - i SUTP dovrebbero inserirsi all interno delle normative vigenti nei vari Stati, innovandole e sfruttando gli esempi di buone pratiche presenti; - i SUTP dovrebbero prendere in considerazione i costi e i benefici complessivi dei trasporti, internalizzando le esternalità troppo spesso trascurate nella pianificazione e nelle politiche attuali; - l approccio dei nuovi piani dovrebbe essere di tipo integrato, in senso sia orizzontale (integrazione tra il settore dei trasporti e quelli della pianificazione territoriale, degli usi dei suoli, dell ambiente, della sicurezza, dello sviluppo economico, ecc.), sia verticale (integrazione delle politiche di livello europeo, nazionale, regionale e locale), sia spaziale (integrazione fra le politiche di enti territoriali adiacenti); - è necessario che i piani si pongano traguardi concreti, realisticamente raggiungibili e valutabili tramite opportuni indicatori, evitando di esprimere gli obiettivi in termini generici e non verificabili; - i SUTP dovrebbero avere un approccio improntato alla flessibilità, in modo che, nella fase di implementazione delle misure, sia possibile attuare le necessarie modifiche e correzioni. Per quanto concerne l ambito territoriale, il piano dovrebbe occuparsi di una agglomerazione urbana, intesa come una porzione di territorio che abbia, di norma, una popolazione complessiva superiore ai abitanti e una densità tale da poter essere considerata come un area urbanizzata. È comunque previsto che i singoli Stati membri facciano riferimento ad entità urbane di dimensioni inferiori. Questa definizione dell ambito territoriale è importante, perché supera il concetto di città come entità amministrativa o come continuum costruito, per riferirsi a quello di sistema urbano, cioè di area di polarizzazione delle interazioni spaziali. Il secondo requisito, ritenuto indispensabile, consiste nella partecipazione pubblica e nella cooperazione degli attori nel processo di formazione e gestione del piano. La cooperazione tra gli attori deve obbligatoriamente riguardare almeno i seguenti livelli: - le agenzie che sviluppano le politiche a livello nazionale o regionale (con particolare riferimento alle politiche degli usi del suolo, della pianificazione territoriale, dell ambiente, dello sviluppo economico, delle opportunità sociali, della salute); - le autorità amministrative ai diversi livelli; - le società di costruzione e gestione del sistema dei trasporti; - gli enti che amministrano le zone confinanti con l area di azione stabilita per il piano. La struttura logica della procedura è schematizzata nella figura 1. Il SUTP dovrebbe essere composto di cinque parti, aventi un ordine logico e sequenziale ma con possibilità di retroazioni e di interazioni reciproche: - l analisi dello stato di fatto; - la descrizione di uno scenario a lungo termine, la definizione di obiettivi e traguardi; - la predisposizione del piano attuativo, delle politiche, delle misure e del budget; - l assegnazione delle responsabilità e la ripartizione delle risorse; - l organizzazione del monitoraggio e della valutazione del piano. Come punto di partenza per la stesura del SUTP, è necessario svolgere un indagine relativa allo stato di fatto, che metta in evidenza le caratteristiche della mobilità nell area considerata e i successi (o i fallimenti) dei piani precedenti. 2. European Commission (2004) Expert Working Group on Sustainable Urban Transport Plans. Final Report, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg. Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 5

6 È indispensabile che già in questa fase vengano individuati gli indicatori adatti a valutare lo stato di fatto e i prevedibili effetti del piano. L Unione europea dovrebbe enucleare un set di indicatori (ai quali verranno correlati i relativi traguardi minimi), che dovranno essere utilizzati obbligatoriamente dagli Stati membri, in modo che l andamento dei piani possa essere confrontato tra le diverse realtà europee. In seguito all analisi dello scenario iniziale, bisogna definire la strategia a lungo termine che il SUTP intende perseguire, stabilendo al contempo obiettivi e traguardi concreti e realistici. Figura 1. Schematizzazione del sistema di pianificazione del SUTP. Il principio di fondo al quale il piano si deve ispirare consiste nella sostenibilità del sistema dei trasporti urbani, secondo la definizione adottata dall Unione europea nel In particolare, il piano deve fare riferimento esplicito ad almeno cinque obiettivi specifici, così sintetizzabili: - assicurare l accessibilità offerta dal sistema dei trasporti a tutte le categorie di utenti (abitanti, pendolari, visitatori per motivi di turismo o di affari), in linea con gli obiettivi della sostenibilità; - ridurre gli impatti negativi del sistema dei trasporti, con riferimento alla salute umana e alla sicurezza dei cittadini; - contenere l inquinamento dell aria, le emissioni di rumore e di gas serra, il consumo di energia; - migliorare l efficienza del sistema di trasporto di persone e merci, prendendo in considerazione anche i costi esterni; - contribuire all innalzamento della qualità dell ambiente urbano. 3. La definizione afferma che «un sistema di mobilità sostenibile: - permette di far fronte alle necessità fondamentali di accessibilità e sviluppo dei singoli individui, delle aziende e delle società in modo compatibile con la salute dell uomo e dell ambiente, e promuove l equità all interno della generazione presente e fra diverse generazioni; - non è troppo oneroso, opera in modo efficiente, offre la scelta fra diversi mezzi di trasporto, e supporta un sistema economico vivace e lo sviluppo locale; - mantiene le emissioni e le scorie entro i limiti che il pianeta può assorbire, utilizza risorse rinnovabili nell ambito della generazione presente, impiega risorse non rinnovabili solo in misura uguale o inferiore al ritmo di sviluppo di risorse alternative rinnovabili, e minimizza l uso del suolo e l inquina-mento acustico» (European Union Transport Council, 2001). Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 6

7 Il SUTP dovrebbe coprire un arco temporale di dieci anni, ma è opportuno che le azioni e gli aspetti economici siano periodicamente rivisti, annualmente o ogni due anni. Si pone un unico vincolo di obbligatorietà, relativo a uno dei principi generali, che viene considerato indispensabile per tutti i SUTP: il raggiungimento di una completa integrazione tra la pianificazione dei trasporti e gli altri settori della pianificazione correlati, soprattutto quelli degli usi del suolo e dello sviluppo del territorio. La fase dell attuazione delle misure del piano deve essere accompagnata da una costante azione di monitoraggio e valutazione dei risultati acquisiti. È nel quadro di questa più generale pianificazione della mobilità urbana che si deve inserire la politica della sicurezza stradale nelle città IL SISTEMA DI PIANIFICAZIONE DELLA MOBILITÀ URBANA IN ITALIA Non è questa la sede per un analisi complessiva del sistema di pianificazione della mobilità urbana in Italia; tuttavia, è opportuno svolgere un sintetico esame del medesimo alla luce di quanto emerge dalla strategia comune europea, brevemente tratteggiata nel paragrafo precedente. Si può cominciare questo esame a partire dall elenco degli strumenti di piano che le leggi e le norme italiane prevedono in materia: - piano urbano del traffico (PUT): un piano di gestione di brevissimo periodo (due anni), obbligatorio per i comuni con più di abitanti o interessati da particolari flussi turistici o da fenomeni di pendolarismo (il cui elenco è redatto dalle Regioni). Istituito sebbene come strumento non obbligatorio con la circolare del Ministero dei lavori pubblici 8 agosto 1986, n. 2575, è divenuto obbligatorio nel 1992, con l approvazione del Nuovo codice della strada; 4 - piano urbano della mobilità (PUM): un piano strutturale di medio-lungo periodo (dieci anni), per i comuni o le aggregazioni di comuni con più di abitanti, istituito senza obbligatorietà dalla legge 24 novembre 2000, n. 340; - piano dei trasporti: anch esso proiettato sul decennio, si riferisce ad un area comprensoriale relativa al bacino di traffico ed è stato istituito con la stessa circolare istitutiva del PUT, cioè la n del L unico piano, che è stato effettivamente sperimentato in forma diffusa, è il PUT, per l ovvia ragione che è stato l unico strumento reso obbligatorio per legge: il piano dei trasporti, infatti, non è stato ripreso da norme successive, mentre il PUM è stato analizzato nel secondo piano generale dei trasporti e della logistica, adottato nel 2001, che ha indicato che i soggetti beneficiari dei finanziamenti previsti dalla legge 340/2000 sono tenuti alla redazione dei PUM; l affermazione non ha comunque carattere di vincolo, non essendo contenuta in un testo di legge. Il PUT è disciplinato dalle Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico, pubblicate sulla G.U. del 24 giugno Le direttive affermano che «il PUT deve essere inteso come piano di immediata realizzabilità, con l obiettivo di contenere al massimo mediante interventi di modesto onere economico le criticità della circolazione» (p. 9). Gli interventi di più ampio respiro, che devono necessariamente coinvolgere il potenziamento dell offerta di infrastrutture e dei servizi del trasporto pubblico, costituiscono l oggetto non del PUT ma del piano dei trasporti, che è di durata decennale. Le direttive, infatti, dichiarano che «il PUT costituisce in definitiva lo strumento tecnico-amministrativo di breve periodo, che mediante successivi aggiornamenti (piano-processo) rappresenta le fasi attuative di un disegno strategico di lungo periodo espresso dal Piano dei trasporti, da elaborare in genere a scala comprensoriale (bacino di traffico) e con riferimento anche a tutte le altre modalità di trasporto non stradale» (pp. 9-10). Si sottolinea che il PUT, in ogni caso, deve essere redatto da parte dei comuni per i quali è obbligatorio anche nelle more della redazione degli altri piani, compreso il piano dei trasporti. Va inoltre aggiunto che il PUT si articola secondo tre distinti livelli: 4. Il Nuovo codice della strada è stato approvato con il d.lgs. 285/1992 ed è stato modificato più volte, con decreti successivi; l art. 36 del codice ha reso obbligatori i piani urbani del traffico. Il Nuovo codice della strada è accompagnato dal Regolamento di esecuzione e di attuazione, contenuto nel d.p.r. 495/ La circolare del Ministero dei lavori pubblici 2575/1986 distingueva le competenze del PUT e del piano dei trasporti, affermando che al PUT spettano «programmi di intervento immediato, od a breve termine, che non comportino sensibili impegni finanziari e che utilizzano al massimo le risorse tecniche e strutturali disponibili anche ai fini della tutela ambientale», mentre al piano dei trasporti competono «programmi di intervento strutturale che comportino modificazioni al tessuto infrastrutturale ed urbanistico ed alla gestione dei trasporti». Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 7

8 - un livello generale, costituito dal piano generale del traffico urbano (PGTU), che può anche essere e- steso ad un consorzio di comuni e deve essere redatto in una scala compresa tra 1: e 1:5.000; - un livello particolareggiato, costituito dai piani particolareggiati del traffico urbano (PPTU), «intesi quali progetti di massima per l attuazione del PGTU, relativi ad ambiti territoriali più ristretti di quelli dell intero centro abitato, quali a seconda delle dimensioni del centro medesimo le circoscrizioni, i settori urbani, i quartieri o le singole zone urbane (anche come fascia di influenza dei singoli itinerari di viabilità principale), e da elaborare secondo l ordine previsto nell anzidetto programma generale di esecuzione del PGTU» (p. 27); - un livello esecutivo, costituito dai piani esecutivi del traffico urbano (PETU), «intesi quali progetti esecutivi dei Piani particolareggiati del traffico urbano. La progettazione esecutiva riguarda, di volta in volta, l intero complesso degli interventi di un singolo Piano particolareggiato, ovvero singoli lotti funzionali [ ]. Detti Piani esecutivi definiscono completamente gli interventi proposti nei rispettivi Piani particolareggiati, quali ad esempio le sistemazioni delle sedi viarie, la canalizzazione delle intersezioni, gli interventi di protezione delle corsie e delle sedi riservate e le indicazioni finali della segnaletica stradale (orizzontale, verticale e luminosa), e li integrano in particolare per quanto attiene le modalità di gestione del PUT (in termini di verifiche ed aggiornamenti necessari)» (p. 29). Un piano, certamente complesso, come il PUT (costituito dal PGTU, dai PPTU e dai PETU) richiede tempi non brevi per la sua elaborazione ed approvazione, specie se è formato tramite una procedura aperta alla partecipazione pubblica: in un ipotesi realistica peraltro confermata dall esperienza il tempo per la sua formazione non è molto dissimile dal suo periodo di validità, se non addirittura più lungo. Sorge inoltre l interrogativo su come sia possibile formare un piano di così breve periodo senza avere a monte un piano di più lungo respiro, quale il piano dei trasporti, che non ha trovato la benché minima applicazione. Vi sono, dunque, evidenti incongruenze nel modo stesso in cui il PUT è stato concepito: esso è uno strumento in palese dissonanza con i principi teorici basilari di una buona pratica di pianificazione, ormai ampiamente acquisiti in ambito disciplinare. Nonostante il fatto che questo piano abbia evidenti difetti strutturali, esso è stato preso a riferimento per l istituzione di una serie di piani di settore, quali: - il piano della sicurezza stradale urbana, previsto dal piano nazionale della sicurezza stradale e disciplinato dalle linee guida prodotte nel 2001 dall Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, per conto del Ministero dei lavori pubblici; - il piano della rete ciclabile, istituito con la legge 19 ottobre 1998, n. 366 e normato dal regolamento contenuto nel D.M. 557/1999; - il piano urbano di fluidificazione del traffico, istituito dal terzo piano energetico nazionale, approvato il 10 agosto 1988 e disciplinato dalla circolare 28 maggio 1991, n Indirizzi attuativi per la fluidificazione del traffico urbano, anche ai fini del risparmio energetico ; - il programma urbano dei parcheggi, istituito con la legge 24 marzo 1989, n Come si vede, ai PPTU e ai PETU vengono ad aggiungersi i piani di settore relativi ai temi della sicurezza, della fluidificazione del traffico, della ciclabilità e dei parcheggi. Sfuggono le ragioni per cui non si siano previsti piani di settore relativi, ad esempio, alla rete infrastrutturale, al trasporto pubblico, al traffico privato, al diritto all accessibilità. Si aggiunga inoltre che, essendo questi piani connessi con il PUT, richiederebbero revisioni biennali in occasione del rifacimento del PUT stesso, anche se la circolare 28 maggio 1991, n prevede che il piano urbano di fluidificazione del traffico sia rivisto ogni cinque anni, sancendo in tal modo uno sganciamento procedurale di questo piano di settore dal PUT, il quale invece ha cadenze di revisione biennali. Ma è il concetto stesso di piano di settore che va rimesso in discussione. Se il PUT venisse suddiviso in piani di settore per tutti i settori rilevanti, verrebbe svuotato proprio di quei contenuti operativi su cui insiste la legge (interventi immediati, a breve termine, ecc.). I piani di settore dovrebbero essere concepiti come piani esecutivi di un piano strutturale e strategico di lungo respiro. Questa mancanza di visione strategica e di lungo respiro, questa pletora di piani, questa inutile settorializzazione di un piano che dovrebbe mantenere, proprio per la sua operatività di breve periodo, una sua interna coesione di sistema, questa confusione di procedure, tutto questo non fa che peggiorare il già improprio quadro degli strumenti di pianificazione del traffico urbano. È sorprendente come, su una materia di importanza cruciale come il traffico urbano, il legislatore abbia, nel corso degli anni, costruito un apparato di pianificazione di questa natura, senza, peraltro, preoccuparsi di verificarne l efficacia. Purtroppo, infatti, non si dispone di una valutazione nazionale o regionale dell efficacia del PUT, nonostante siano ormai trascorsi quasi venti anni dalla sua istituzione. Vi sono però i dati della situazione del traffico nel- Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 8

9 le città italiane, che tracciano un quadro da cui si evince come la congestione sia cresciuta, l inquinamento atmosferico ed acustico superi ampiamente i valori di ammissibilità, l incidentalità continui ad essere elevata, il trasporto pubblico non riesca ad essere competitivo con quello privato. Si aggiunga che, con il decreto ministeriale relativo alla Mobilità sostenibile nelle aree urbane 6, si è stabilito che: I sindaci dei comuni di cui all'allegato III del decreto del Ministro dell'ambiente del 25 novembre 1994, e tutti gli altri comuni compresi nelle zone a rischio di inquinamento atmosferico individuate dalle regioni ai sensi degli articoli 3 e 9 dei decreti del Ministro dell'ambiente del 20 maggio 1991, adottano le misure adeguate, ai sensi delle leggi sanitarie, per la prevenzione e la riduzione delle emissioni inquinanti, qualora sia accertato o prevedibile il superamento dei limiti e degli obiettivi di qualità dell'aria stabiliti dai decreti ministeriali 25 novembre 1994 e 16 maggio (art. 2). C è da chiedersi come i target posti da questo decreto possano essere conseguiti senza una strategia complessiva di mobilità urbana sostenibile di cui il PUT, per sua natura, non può però farsi carico, essendo solo uno strumento per interventi immediati relativi al solo traffico. Come si vede, l esigenza di un piano di mobilità urbana sostenibile, con visione strategica e strutturale di lungo periodo, è quanto mai urgente. Lo stesso piano nazionale della sicurezza stradale ha osservato che, sotto il profilo della sicurezza, «i Piani Urbani del Traffico non sono riusciti almeno sino ad ora a determinare una netta inversione delle tendenze in corso, vuoi perché attuati in modo del tutto parziale o non attuati affatto, vuoi perché nella generalità dei casi i PUT risultano scarsamente attenti ai problemi della sicurezza stradale» (p. 42). Questa esperienza dei PUT andrebbe chiusa, riconoscendone il sostanziale fallimento e indagandone seriamente le ragioni per porvi rimedio. Qui si può accennare a quelli che appaiono i limiti più evidenti, almeno dal punto di vista formale: - un piano di soli due anni non può essere definito in senso proprio un piano, specie se deve affrontare un complesso problema strutturale e strategico, la cui soluzione richiede tempi lunghi; - la sua dichiarata operatività sui temi della gestione di interventi di modesta entità non consente di programmare le necessarie strategie; - la sua macchinosità (articolazione in tre distinti livelli) e il suo costo di gestione (ogni due anni dovrebbe essere rifatto: disposizione sistematicamente disattesa dai Comuni) ne fanno uno strumento inapplicabile nella realtà amministrativa; - la pletora di strumenti di piano settoriali, che si sono aggiunti nel corso del tempo e che dovrebbero occuparsi di temi che sono centrali nello stesso PUT (il caso più assurdo è costituito dal piano di fluidificazione del traffico) finiscono per svuotare il PUT dei suoi compiti fondamentali; - la confusione dei rapporti tra PUT e PUM denota una falla nel quadro normativo. 7 Insomma, il PUT è uno strumento concepito male su cui si è continuato ad aggiungere, in modo occasionale e con visioni settoriali ed episodiche, altri strumenti di piano anch essi discutibili. Uno strumento che, visti anche i risultati, ha costituito un errore tanto più grave se si pensa che è stato l inizio della pianificazione del traffico urbano e che, per circa venti anni, è stato l unico strumento di pianificazione di scala comunale. La soluzione di questo problema non sta nella individuazione dei PUT di seconda generazione (come sembra peraltro auspicare lo stesso piano nazionale della sicurezza stradale), ma nel deciso abbandono dei PUT e nella loro sostituzione con i piani urbani di mobilità sostenibile secondo quanto suggerito degli esperti europei VERSO IL PIANO URBANO DI MOBILITÀ SOSTENIBILE (PUMS) Uno strumento che pare essere più coerente con la linea elaborata a livello europeo è il PUM, per il quale però non è previsto l obbligo e non si dispone di una adeguata normativa tecnica (Box 1). Ma è appunto su di esso che occorre puntare per muoversi nel quadro della strategia comune europea. 6. D.M. 27 marzo 1998 del Ministero dell'ambiente, GU n. 179 del I rapporti tra PUM e PUT sono piuttosto confusi. Un primo problema riguarda i Comuni aventi popolazione compresa tra e abitanti. Essi infatti dovrebbero, per legge, elaborare il PUT (che è un piano di gestione, di breve periodo), in assenza del piano strutturale di riferimento, cioè del PUM. Un altro problema riguarda i Comuni aventi popolazione superiore a abitanti, che sarebbero obbligati ad adottare entrambi i piani dei trasporti (PUM e PUT). Infine, un problema riguarda i Comuni aventi popolazione inferiore a abitanti: si delinea qui un contesto in cui tali Comuni non sono tenuti per legge a redigere alcuno strumento di governo della mobilità (essendo dotati, invece, di uno strumento urbanistico obbligatorio, quale il piano regolatore generale comunale). Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 9

10 Nel definire in modo appropriato il PUM, occorrerebbe cercare di recuperare alcuni elementi importanti del piano dei trasporti, al quale, peraltro, non è mai stato dato un concreto seguito. Questo piano è stato l unico per il quale si è fatto esplicito riferimento al bacino di traffico, inteso come lo spazio più appropriato per una pianificazione di sistema della mobilità urbana. Questo concetto è d importanza cruciale, anche se la circolare e le direttive in materia non forniscono i criteri per una sua più puntuale specificazione. Generalmente il bacino di traffico viene definito in base alla pendolarità sistematica per motivi di lavoro. Questa definizione non ha una rilevanza solo per la tematica della mobilità, ma, più in generale, essa consente di delimitare spazialmente un sistema urbano, il quale può appunto essere definito come quell area in cui chi risiede trova i posti di lavoro e i servizi di rango urbano. L area di pendolarità sistematica per motivi di lavoro comprende in sé il bacino di accessibilità ai servizi di rango urbano. Questo fatto la rende appunto un area dove si può analizzare il sistema delle interdipendenze sia localizzative sia di interazione spaziale tra gli usi del suolo residenziali, produttivi e di servizio alla popolazione. È dunque a livello dell area di pendolarità sistematica che il piano di uso dei suoli e il piano dei trasporti possono verificare le loro reciproche interdipendenze e coerenze. Quest area, ovviamente, presenta confini sfumati e gradi di apertura più o meno accentuati; talvolta è caratterizzata da una struttura multipolare, non priva di una interna gerarchia. Essa costituisce un ambito interessante anche per la pianificazione territoriale di area vasta, perché è a questo livello che si possono stabilire forti interdipendenze tra la localizzazione delle residenze, dei servizi alla popolazione e delle attività produttive, da un lato, e la struttura delle interazioni spaziali della domanda di mobilità delle persone, dall altro lato. Impostato in questa prospettiva, il problema di definire l ambito territoriale di riferimento di questa forma di pianificazione strutturale della mobilità urbana, non richiederebbe di fissare soglie dimensionali, poiché si verrebbe a configurare una situazione in cui tutto il territorio sarebbe suddiviso secondo bacini di traffico, ciascuno dei quali dovrebbe essere oggetto di un piano urbano di mobilità sostenibile, almeno nella sua versione di piano direttore di area vasta. Questo auspicabile sistema di pianificazione in materia di mobilità e di trasporti dovrebbe presentare una configurazione di questo tipo: - la ripartizione del territorio secondo ambiti di bacino di traffico dovrebbe essere di competenza del piano regionale dei trasporti (PRT); - il PRT si dovrebbe articolare secondo piani urbani direttori di mobilità sostenibile, relativi a bacini di traffico, che sono entità sovracomunali; - a loro volta, tali piani dovrebbero essere implementati mediante piani attuativi di mobilità urbana che diventano esecutivi mediante progetti, la cui formazione e gestione può essere affidata, a seconda dei casi, a province, comuni, agenzie o enti operativi. 8 I piani urbani di mobilità sostenibile dovrebbero essere strettamente integrati, da un lato, con i piani territoriali di coordinamento provinciali e, dall altro lato, con i piani strutturali urbanistici di scala comunale: 9 è appunto nel coordinamento con questi due tipi di piano che si deve verificare la congruenza tra la pianificazione degli usi del suolo e la pianificazione dei trasporti. Ciò suggerisce anche di conferire al piano urbano di mobilità sostenibile (PUMS) una dimensione transcalare in grado di raccordare la pianificazione di area vasta, quale tipicamente è quella provinciale, con la pianificazione urbanistica dei comuni. Ma vediamo più in dettaglio il PUMS e come in esso trovi collocazione il piano della sicurezza stradale urbana. BOX 1. IL PIANO URBANO DELLA MOBILITÀ SECONDO LE LINEE GUIDA MINISTERIALI Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato una sintetica linea guida per i Piani Urbani della Mobilità (PUM), i quali sono da intendersi quali progetti del sistema della mobilità, comprendenti un insieme organico di interventi materiali e immateriali diretti al raggiungimento di determinate finalità che vengono così elencate: - soddisfare i fabbisogni di mobilità della popolazione; 8. Per inciso, si può aggiungere che, in questo quadro, appaiono del tutto superflui i piani del traffico per la viabilità e- xtraurbana, istituiti dal Nuovo codice della strada (art. 36) e affidati alle amministrazioni provinciali; infatti i compiti settoriali affidati a tali piani sarebbero compresi nel piano urbano di mobilità sostenibile. 9. Si osserva, invece, che allo stato attuale l integrazione fra i PUT e i PRG non è perseguibile, perché i due strumenti di pianificazione sono organizzati in modo differente: la redazione dei PRG è obbligatoria per tutto il territorio nazionale, mentre i PUT devono essere elaborati solo dai comuni con popolazione superiore ai abitanti; il PRG è articolato in due livelli, il PUT in tre; il PRG ha durata illimitata (con periodiche revisioni), il PUT ha durata biennale (prolungabile a cinque anni in via eccezionale solo per i grandi comuni). Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 10

11 - abbattere i livelli di inquinamento atmosferico ed acustico nel rispetto degli accordi internazionali e delle normative comunitarie e nazionali in materia di abbattimento di emissioni inquinanti; - ridurre i consumi energetici; - aumentare i livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale; - minimizzare l uso individuale dell automobile privata e moderare il traffico; - incrementare la capacità di trasporto; - aumentare la percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi, anche con soluzioni di car pooling, car sharing, taxi collettivi, ecc.; - ridurre i fenomeni di congestione nelle aree urbane caratterizzate da una elevata densità di traffico, mediante l individuazione di soluzioni integrate del sistema di trasporti e delle infrastrutture in grado di favorire un migliore assetto del territorio e dei sistemi urbani; - favorire l uso di mezzi alternativi di trasporto con impatto ambientale più ridotto possibile. Per ciascuno degli obiettivi generali del Piano, le linee guida suggeriscono di utilizzare i seguenti indicatori di raggiungimento dei risultati: - accessibilità (Obiettivo: soddisfacimento del fabbisogno di mobilità); - quantità di inquinanti atmosferici emessi (Obiettivo: abbattimento dei livelli di inquinamento atmosferico); - livello medio di pressione sonora (Obiettivo: abbattimento dei livelli di inquinamento acustico); - quantità di tonnellate equivalenti di petrolio consumate (Obiettivo: riduzione dei consumi energetici); - numero annuo di incidenti, di morti e di feriti (Obiettivo: aumento dei livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale); - unità di riferimento/km offerti (Obiettivo: incremento della capacità di trasporto); - quota modale del trasporto collettivo, includente anche quella relativa al trasporto di cittadini con soluzioni di car pooling e car sharing (Obiettivo: aumento della percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi); - grado medio di saturazione (Obiettivo: riduzione dei fenomeni di congestione nelle aree urbane); - velocità commerciale media, coefficiente di riempimento medio e frequenza media dei servizi di trasporto collettivo (Obiettivo: miglioramento della qualità dei servizi offerti) IL PUMS UN PIANO STRUTTURALE E STRATEGICO Il PUMS è un piano strutturale e strategico di lungo periodo (proiettato almeno su un arco di dieci anni). Esso individua i problemi di fondo insiti nell esigenza di rendere più sostenibile la mobilità, garantendo alti livelli di accessibilità. Identifica le linee strategiche basilari, o linee di indirizzo della politica di mobilità urbana sostenibile. Definisce i contenuti delle linee di indirizzo, individuando le azioni da porre in essere. Fissa i traguardi che esse devono conseguire. Getta le basi del sistema di monitoraggio identificando gli indicatori per la valutazione delle prestazioni del piano. Il PUMS non è immediatamente esecutivo. Esso, infatti, affida l esecuzione delle misure operative a piani e programmi attuativi di breve periodo. I piani attuativi sono costituiti da programmi triennali, legati alla programmazione di bilancio dell amministrazione comunale, che si attuano tramite programmi di spesa annuali. I piani attuativi vanno considerati, a tutti gli effetti, come parte integrante del PUMS, poiché ne costituiscono la sua parte esecutiva di breve periodo. Questa impostazione è coerente con la concezione del PUMS come piano strutturale e strategico (o piano direttore). Infatti, un piano di questa natura deve affrontare le questioni di fondo, deve farsi portatore della visione di sistema e degli scenari del suo cambiamento e deve mantenere la sua validità sul periodo lungo. Esso diventerebbe uno strumento eccessivamente complesso e pesante se dovesse farsi carico anche delle più minute misure operative che l attuazione della sua strategia richiede. Per assicurare la piena copertura di tutte le problematiche settoriali rilevanti del PUMS dovrebbero darsi, in linea di massima, i seguenti piani di settore: - Piano della rete infrastrutturale; - Piano del trasporto pubblico; - Piano del traffico privato e della logistica urbana; - Piano del sistema della ciclabilità; - Piano della sicurezza stradale; - Piano per l accessibilità dei soggetti diversamente abili; - Piano per la diffusione delle tecnologie telematiche. Ciò che si può osservare è che tra i piani di settore esistono evidenti interdipendenze. Ad esempio: gli interventi sul traffico privato possono avere effetti sul trasporto pubblico e viceversa. Altrettanto si può dire con Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 11

12 riferimento agli interventi sul sistema della ciclabilità nei confronti del traffico privato e del trasporto pubblico. E così via per tutti gli altri piani. Spetta al PUMS il compito di offrire la sede dove queste interdipendenze si risolvono coerentemente tramite una continua azione di coordinamento. Il PUMS è la sede dove si compiono le scelte di priorità e di allocazione delle risorse da destinare ai vari piani di settore. La relazione del PUMS termina con un capitolo dedicato alle priorità e ai programmi di attuazione. Questo capitolo deve essere aggiornato periodicamente. L aggiornamento scaturisce dal lavoro di monitoraggio, che dovrebbe portare a valutazioni almeno triennali con il relativo rapporto di valutazione e revisione. La revisione triennale ha anche il compito di riassestare il PUMS stesso sulle scelte di fondo, cioè quelle di lungo periodo. Al PUMS fanno capo le funzioni che sono essenziali nella governance del piano: - Scelte strategiche e interventi strutturali; - Fissazione dei target e delle priorità dei piani esecutivi; - Monitoraggio e valutazione; - Trasferimento delle lezioni apprese dalle migliori pratiche; - Comunicazione, partecipazione, educazione. Il PUMS dovrebbe avere l effetto di imprimere un assetto più razionale al sistema di funzioni e di strumenti che concorrono al governo della mobilità, conferendo una maggiore organicità e completezza, basata sul seguente modello: al centro vi è il piano strutturale e strategico (di durata almeno decennale); ad esso fanno capo i piani di settore che, con i loro piani attuativi, danno operatività al PUMS; il piano strutturale e strategico ne tiene il coordinamento, ne stimola ed eventualmente reindirizza l azio-ne, ne valuta l efficienza e l efficacia, li immette nel sistema della comunicazione, della partecipazione e dell inno-vazione (figura 2). La finalità deve essere quella del perseguimento della sostenibilità economica, sociale e ambientale, per la quale bisogna definire appositi indicatori. La pianificazione della sicurezza stradale dovrebbe dunque inserirsi nel quadro strutturale e strategico del PUMS. Essa ha nel PUMS una specifica linea guida (o piano direttore) che fissa gli indirizzi, le linee d azione, le misure e i relativi traguardi di medio e lungo periodo. Ma essa si esprime operativamente con il piano attuativo della sicurezza stradale cui spetta di dare il contenuto di operatività sul breve periodo. Pur con qualche problema, che vedremo nel paragrafo successivo, questa impostazione può essere fatta rientrare nelle norme in vigore in materia di pianificazione della sicurezza stradale urbana. Figura 2. Lo schema logico del PUMS: articolazione secondo piani di settore e secondo funzioni. Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 12

13 1.5. IL PIANO DELLA SICUREZZA STRADALE URBANA NELL AMBITO DEL PUMS Nel 2001 l Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, per conto del Ministero dei Lavori Pubblici, ha prodotto le Linee guida per la redazione dei piani della sicurezza stradale urbana (PSSU). In esse si afferma che i PSSU devono costituire parte integrante del piano urbano del traffico (PUT) e definire e coordinare gli interventi per la sicurezza stradale al livello locale. Le linee guida individuano quattro linee strategiche per la riduzione dell incidentalità: - la riduzione dell esposizione al rischio, diminuendo il numero di veicoli-km percorsi dagli utenti della strada; 10 - la riduzione del rischio di incidenti, intervenendo sui fattori di incidentalità relativi al comportamento degli utenti ed all ambiente stradale; - la protezione dell utenza debole, con azioni specifiche; - l attenuazione delle conseguenze degli incidenti, intervenendo sull uso dei dispositivi di sicurezza (cinture e casco) e con servizi di soccorso. Per la realizzazione di tali linee strategiche, vengono definite cinque classi di intervento (intese come raggruppamenti di azioni considerate di tipo simile): - educazione; - controllo; - ingegneria: gestione del traffico e della mobilità; - ingegneria: adeguamento delle infrastrutture; - servizi medici di emergenza. Ogni classe di intervento è poi suddivisa in sottoclassi (generi specifici di provvedimenti finalizzati al perseguimento degli obiettivi quantitativi) che, a loro volta, si concretizzano attraverso una o più componenti. Gli interventi compresi nelle due classi di intervento ingegneria vengono analizzati in dettaglio in un apposita appendice delle linee guida, distinguendo il caso delle aree urbane di dimensioni medio-grandi da quello delle aree urbane di piccole dimensioni, in quanto alcune problematiche connesse all incidentalità risultano diverse nei due casi. In particolare, la classe di intervento ingegneria: gestione del traffico e della mobilità, nel caso delle aree urbane di medie e grandi dimensioni, è suddivisa in quattro sottoclassi: - potenziamento del trasporto collettivo e controllo della domanda; - gerarchizzazione funzionale dei rami della rete stradale; - riorganizzazione della circolazione stradale; - moderazione del traffico. 11 Nel caso delle aree urbane di piccole dimensioni, viene invece individuata un unica sottoclasse, relativa alla gerarchizzazione funzionale della rete stradale. Per quanto riguarda la classe di intervento ingegneria: adeguamento delle infrastrutture, essa è suddivisa, per tutte le aree urbane, in quattro sottoclassi: - adeguamento delle caratteristiche geometriche e funzionali dei tronchi stradali e dei relativi impianti; - adeguamento delle caratteristiche geometriche e funzionali delle intersezioni e dei relativi impianti; - gestione della velocità; - protezione degli utenti deboli. Nelle linee guida si sostiene che questi interventi devono essere programmati attraverso i piani provinciali della sicurezza (che devono essere integrati all interno dei piani del traffico della viabilità extraurbana 12 ) e, a 10. Non si può evitare di osservare come questa prima linea strategica non possa essere caricata su un piano di settore come quello della sicurezza stradale, ma debba far parte della più generale pianificazione della mobilità urbana. 11. Anche in questo caso, non si può evitare di osservare come queste sottoclassi siano impropriamente attribuite al piano di settore della sicurezza stradale: esse debbono far parte della pianificazione generale propria del piano urbano della mobilità. 12. I piani del traffico per la viabilità extraurbana (PTVE) sono stati istituiti dal Nuovo codice della strada (art. 36), con la seguente formulazione: «le province provvedono all adozione di piani del traffico per la viabilità extraurbana d intesa con gli altri enti proprietari delle strade interessate» (comma 3). Le Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei pia- Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 13

14 livello comunale, attraverso i piani della sicurezza stradale urbana (PSSU). I PSSU devono essere integrati all interno dei PUT: sono quindi vincolati alla loro redazione tutti i Comuni obbligati alla redazione del PUT. Le linee guida prevedono, inoltre, che i PSSU debbano essere organizzati secondo due livelli, direttore ed attuativo. In particolare, i piani direttori, a cadenza biennale, devono: - sulla base delle analisi aggregate dei dati di incidentalità, fissare gli obiettivi quantitativi da perseguire, definire le classi e sottoclassi di intervento prioritarie ed individuare i punti neri principali dell area in esame; - procedere alla stima degli effetti ed alla valutazione delle scelte compiute (quantificando, in maniera aggregata e parametrica, i costi di implementazione ed i benefici attesi); - regolare le modalità di coordinamento tra tutti i soggetti pubblici e/o istituzionali coinvolti nelle azioni individuate; - regolare le modalità di risoluzione di eventuali conflitti e/o sovrapposizioni di competenze; - fissare le modalità di monitoraggio degli effetti del piano. I piani attuativi, invece: - definiscono, a partire dalle sottoclassi di intervento individuate a livello direttore, gli interventi da implementare; - prevedono gli effetti degli interventi, considerandone le sinergie reciproche, in termini di benefici; - stimano dettagliatamente i costi d implementazione degli interventi; - definiscono le modalità di utilizzo/reperimento dei finanziamenti necessari all implementazione degli interventi; - definiscono il cronoprogramma di attuazione di tutti gli interventi individuati; - definiscono le modalità di monitoraggio dei risultati degli interventi. Il livello di pianificazione di tipo direttore «deve essere affrontato all interno dei Piani Generali del Traffico Urbano (PGTU), fissando gli obiettivi quantitativi, le sottoclassi di intervento per la sicurezza ritenute necessarie nelle classi di ingegneria, del controllo, del rispetto della normativa, della protezione delle utenze deboli e dei servizi di emergenza per tutta la rete stradale comunale. Tali piani trattano inoltre in apposito capitolo gli altri argomenti di cui alla descrizione generale dei Piani Direttori. Questa scelta è dettata dalla natura delle azioni di ingegneria e controllo che, in larga parte sono legate alla fruizione del sistema di circolazione e traffico urbano ed alla gestione stessa dello spazio stradale. Le interconnessioni ed i condizionamenti reciproci tra tali tipi di azioni e gli stessi tipi di azioni visti, con ottica coincidente o contraddittoria che sia, all interno della prassi consolidata dei PUT è dunque immediata. Non è possibile che due diverse ottiche di gestione del traffico e della circolazione possano suggerire soluzioni differenti e/o contrastanti ed è quindi necessario che tali potenziali contraddizioni siano risolte all interno d un documento unico di programmazione» (p. 26). Come si è già osservato, le linee guida specificano che la classe di intervento educazione deve essere considerata afferente ai piani provinciali direttori della sicurezza (PPDS); ciò non impedisce che lo stesso genere di interventi possa essere previsto anche a livello comunale: in tal caso, le modalità di coordinamento spettano comunque al livello provinciale. Il livello di pianificazione comunale di tipo attuativo deve invece essere compreso in un piano di settore del PUT. Tale piano deve progettare, nell ambito degli obiettivi e delle classi e sottoclassi individuate nel PGTU, «l implementazione degli interventi dei servizi di emergenza, di controllo del rispetto della normativa, di ingegneria (adeguamento delle infrastrutture e gestione del traffico), di protezione delle utenze deboli. [ ] Nel caso dei piani di livello attuativo non sembra necessario un meccanismo esplicito di reciproco coordinamento tra il livello territoriale provinciale e quello comunale. Tale congruenza, infatti è automaticamente determinata una volta che essa esista per i Piani di livello direttore, di cui i piani di livello operativo rappresentano la specificazione di dettaglio» (p. 27). Non si può evitare di osservare come l aggancio del PSSU al PUT porti nel PSSU tutti i limiti del PUT di cui si è detto nei paragrafi precedenti. Ciò che qui si suggerisce è di ancorare il PSSU al PUMS: la legge e le norme in vigore non lo prevedono ma neppure lo escludono. In questo modo, il piano direttore del PSSU diviene parte integrante del PUMS di cui deve condividere la visione di lungo periodo; mentre il piano attuativo delle linee guida coincide con il piano attuativo qui proposto a meno della durata, per la quale si suggerisce ni urbani del traffico del 1995 sottolineano che i PUT devono essere coordinati con i PTVE, «in modo tale da rendere integrate e reciprocamente congrue le azioni e gli interventi che ogni strumento si propone di attuare» (p. 6). Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 14

15 un periodo triennale (anziché biennale) con programmi esecutivi annuali, allo scopo di ancorare il piano attuativo alla più generale programmazione di bilancio (figura 3). Ma le linee guida ministeriali meritano altre osservazioni critiche, tra cui la più rilevante è l aver dimenticato che a monte del PSSU deve esservi una pianificazione strategica e strutturale in cui il PSSU si deve inserire, per cui bisogna distinguere tra compiti del piano generale e compiti del piano settoriale. Non si può attribuire al piano della sicurezza il compito di: potenziare il trasporto collettivo, controllare la domanda, definire la gerarchia funzionale della rete stradale, riorganizzare la circolazione stradale o, addirittura, ridurre i veicoli / Km percorsi. È pur vero che sono tutti fattori che incidono sull incidentalità, ma è ancor più vero che si tratta di a- spetti di sistema che non riguardano solo l incidentalità ma più in generale la sostenibilità economica, sociale e ambientale della mobilità e che dunque vanno affrontati a livello del piano generale. Occorre ancora aggiungere una considerazione di merito sul piano attuativo della sicurezza stradale urbana. Come si vedrà nel seguito, il problema della messa in sicurezza delle strade urbane si pone in modo diverso a seconda che si tratti delle strade di scorrimento, o della restante rete interna agli ambiti residenziali, per la quale si deve procedere tramite piani esecutivi di zone 30 relativi ai diversi ambiti. Il piano attuativo, dunque si sviluppa lungo questi due filoni, distinti ma coordinati (figura 4). Vi è infine un aspetto che merita di essere richiamato e che riguarda il regolamento viario, che, secondo le direttive del Ministero del Lavori Pubblici sulla redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico, dovrebbe accompagnare il PUT. Vi è, da parte di alcuni esperti, la propensione ad attribuire a questo strumento una grande importanza, anche in considerazione dei benefici che ne potrebbero derivare per la sicurezza stradale. L argomento tuttavia dovrebbe essere affrontato nel quadro generale della pianificazione della mobilità urbana, di cui si è sopra trattato, e bisognerebbe garantire che la regolamentazione, attivata dai vari Comuni, assicuri uniformità e qualità tecnica, senza le quali il regolamento viario rischia di ricalcare l esperienza dei regolamenti edilizi comunali (Appendice A). Figura 3. Livelli del piano della sicurezza stradale urbana. Figura 4. Struttura del piano attuativo della sicurezza stradale urbana. Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 15

16 APPENDICE A. IL REGOLAMENTO VIARIO E IL PIANO DELLA SICUREZZA STRADALE URBANA Le direttive che il Ministero del Lavori Pubblici ha emanato per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico prevedono che i piani urbani del traffico siano accompagnati da un regolamento viario che determina le caratteristiche geometriche e di traffico e la disciplina d'uso di ogni tipo di strada. Nella misura in cui si procede alla formazione del piano della sicurezza stradale urbana, è utile pensare ad un regolamento viario? Più in generale: è utile un regolamento viario? Analizzando quanto specificato dalle direttive (Box 2) se ne possono ricavare alcune considerazioni sulla utilità di tale strumento in generale e più in particolare ai fini della sicurezza stradale. Il regolamento viario è un manuale tecnico avente valore normativo, che prescrive le caratteristiche di traffico, di geometria e d uso di tutti i tipi di strada di un comune. Ovviamente, come tutti i regolamenti deve recepire le norme già operanti nel quadro giuridico che riguarda la materia. Il regolamento viario è redatto dal comune e vige solo nell ambito territoriale di competenza. Dobbiamo quindi presupporre che il regolamento ha la funzione di disciplinare solo quelle caratteristiche della viabilità urbana e del suo uso che sono specifiche di un dato comune, poiché, per quanto concerne le norme che devono valere per tutti i comuni, valgono le leggi nazionali, che il punto 1.2 dell allegato alle direttive puntualmente richiama. Esaminando i contenuti della normativa nazionale, c è da chiedersi quali margini di ulteriore normazione rimangano al regolamento viario in materia di: componenti di traffico ammesse, caratteristiche geometriche della sezione trasversale, caratteristiche geometriche di tracciato, organizzazione delle intersezioni stradali, dimensioni delle fasce di sosta laterale, discipline delle altre occupazioni delle sedi stradali. Le norme nazionali sono già così dettagliatamente definite che un regolamento viario non può fare altro che recepirle integralmente senza ulteriori margini di specificazione. D altra parte non potrebbe essere altrimenti a meno di ammettere standard tecnici diversi da comune a comune. Tanto meno si può pensare che il regolamento viario abbia il compito di colmare vuoti normativi nazionali in materia di standard tecnici della viabilità urbana: se così fosse, bisognerebbe rimediare a queste falle modificando la normativa nazionale e non agendo tramite regolamenti comunali. BOX 2. CLASSIFICA DELLE STRADE E REGOLAMENTO VIARIO - PUNTO 1.2 DELL ALLEGATO ALLE DIRETTIVE PER LA REDAZIONE, ADOZIONE ED ATTUAZIONE DEI PIANI URBANI DEL TRAFFICO Al fine di assolvere adeguatamente la funzione preminente che ciascun elemento viario deve svolgere all'interno della rete stradale urbana e -quindi- al fine di assicurare un omogeneo grado di sicurezza e di regolarità d'uso delle stesse infrastrutture stradali, la classifica funzionale delle strade deve essere integrata da un apposito regolamento viario che determina le caratteristiche geometriche e di traffico e la disciplina d'uso di ogni tipo di strada. Tale regolamento è da elaborare - in attesa dell'emanazione delle specifiche direttive ministeriali, ma comunque tenuto già conto delle definizioni costruttive dei diversi tipi di strade, di cui all'articolo 2, comma 3, del nuovo Cds e delle norme previste dal Regolamento di esecuzione del medesimo - sulla base delle indicazioni fornite dalle altre normative vigenti (in particolare del Consiglio nazionale delle ricerche), da utilizzare in forma aggiornata tenuto conto di quanto prescritto nel nuovo Cds e nel Regolamento anzidetti. Dette normative riguardano: le "Norme sulle caratteristiche geometriche e di traffico delle strade urbane" - C.N.R., B.U. n. 60 / 1978; le "Norme sulle caratteristiche geometriche e di traffico delle intersezioni urbane" - C.N.R., B.U. n. 90 / 1983; le "Disposizioni in materia di parcheggi e programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate" - legge n. 122/1989 e successive istruzioni; gli "Indirizzi attuativi per la fluidificazione del traffico urbano ai fini del risparmio energetico" - circolare del Ministro delle aree urbane n. 1196/1991; le "Norme sull'arredo funzionale delle strade urbane" - C.N.R., B.U. n. 150 /1992; i "Principali criteri e standard progettuali delle piste ciclabili" parte II della circolare del Ministro delle aree urbane n. 432/1993. Il regolamento viario determina, in particolare, specifici standard tecnici per ogni tipo di strada, in merito a: - le componenti di traffico ammesse e, quindi, il tipo di loro regolazione, quale marciapiedi protetti, corsie riservate per i mezzi pubblici collettivi, piste ciclabili, divieti di sosta, ecc. ; - le caratteristiche geometriche della sezione trasversale, quali larghezza e numero minimo di corsie, presenza o meno dello spartitraffico centrale, larghezza minima delle banchine, dei marciapiedi ed, in generale, delle fasce di pertinenza, ecc. (già in parte evidenziate dal citato articolo 2, comma 3, del nuovo Cds) ; - le caratteristiche geometriche di tracciato in relazione alla velocità minima di progetto, quali pendenza massima trasversale in curva, raggi minimi planimetrici ed altimetrici, pendenza longitudinale massima, ecc.; Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 16

17 - l'organizzazione delle intersezioni stradali, anche con riferimento a punti singolari di intersecazione delle traiettorie veicolari e pedonali, quali tipo di intersezioni e loro distanza, regolazione delle svolte a sinistra, dimensionamento e frequenza dei passi carrabili, tipi e distanze degli attraversamenti pedonali, dimensionamento delle piazzole di fermata dei mezzi pubblici collettivi e per il carico o lo scarico delle merci, ecc. ; - le dimensioni delle fasce di sosta laterale, ove consentita, comprensive delle file di sosta e delle rispettive corsie di manovra, in funzione dell'angolo di parcheggio e del tipo di veicoli ammessi in sosta (standard da adottare anche per specifiche aree di sosta fuori delle sedi stradali); - le discipline delle altre occupazioni delle sedi stradali, distinte in relazione al carattere permanente o temporaneo che esse presentano, nonché le modalità di coordinamento degli interventi connessi ad occupazioni contemporanee di sedi stradali ricadenti nella medesima zona urbana o direttrice viaria. Le occupazioni permanenti in particolare riguardano installazioni pubblicitarie, chioschi, edicole, cabine, sistemazioni a verde, punti di vendita per il commercio ambulante, mercati fissi, distributori di carburante, tavolini, ombrelloni e fioriere; le occupazioni temporanee in particolare riguardano carico e scarico delle merci, raccolta dei rifiuti urbani, pulizia delle strade, fiere, mercati settimanali, giostre stagionali, riunioni assembleari, cortei, manifestazioni sportive e lavori di manutenzione delle pavimentazioni stradali, di segnaletica stradale e dei sottoservizi e sopraservizi (con specifiche regole di coordinamento dei lavori stradali tra aziende e comune, riferite anche alla possibile esecuzione dei lavori su più turni delle ventiquattro ore giornaliere). In generale, il regolamento viario, in quanto a valori degli standard geometrici previsti, è da considerarsi cogente per le strade di nuova realizzazione ed è da considerarsi come obiettivo da raggiungere per le strade esistenti laddove siano presenti vincoli strutturali immediatamente non eliminabili. Anche in quest'ultimo caso sono comunque da rispettare appieno le funzioni di traffico previste per le singole strade e tra queste, in particolare, quelle espresse attraverso l'identificazione delle componenti di traffico ammesse su ciascun tipo di strada. In sostanza, ciò di cui c è bisogno è di una normativa nazionale esauriente e valida per tutti i comuni e di piani comunali che la sappiano applicare nello specifico e nel particolare della propria rete viaria. La messa in sicurezza delle strade non passa attraverso un ulteriore regolamento comunale da aggiungere a buone linee guida, manuali e direttive tecniche nazionali; bensì si deve concretare nel sapiente disegno tecnico dei piani attuativi e dei progetti per la messa in sicurezza della viabilità urbana. È difficile, nel Paese della pletora di leggi, norme e regolamenti avvertire il bisogno di ulteriori regolamenti, per di più diversi da comune a comune, redatti da tecnici locali, spesso di non eccelsa preparazione tecnica. Basterebbe valutare la qualità dei regolamenti edilizi comunali per prevedere quale potrebbe essere il triste destino del regolamento viario. Per fare un piano esecutivo di zona 30 non c è bisogno di un regolamento viario, ma di un buon manuale tecnico per la progettazione sistemica delle misure di moderazione del traffico, e questo manuale non può essere un prodotto variabile da comune a comune. Per la messa in sicurezza della rete delle strade di scorrimento non c è bisogno di un regolamento viario, ma di un manuale che sappia indirizzare il progettista nella scelta delle migliori soluzioni tecniche da adottare per ogni tipo di intersezione e di tronco tenendo conto della coerenza complessiva della strada. Più che di regolamenti c è bisogno di buoni progetti. Ciononostante, considerando la complessità della normativa che disciplina la materia, un regolamento comunale che la sintetizzi e la presenti in forma più maneggevole per un agevole gestione amministrativa a livello comunale può avere la sua utilità pratica. Ma questa sintesi è un compito che sarebbe bene affidare ad un gruppo di esperti nazionali con l obiettivo di formulare un regolamento-tipo uguale per tutti i comuni, tranne per quelle parti che sono specifiche della situazione comunale, le quali comunque devono sempre essere ricondotte entro le regole generali delle normative nazionali. Sarebbe auspicabile che si pervenisse ad un regolamento viario tipo a livello nazionale o, perlomeno, regionale. In questa sede, ci limitiamo a fornire un indice, che può servire come traccia per un regolamento tipo (Box 3). BOX 3. INDICE TIPO PER IL REGOLAMENTO VIARIO 1. RIFERIMENTI GENERALI 1.1. Oggetto e contenuti del Regolamento Viario 1.2. Riferimenti normativi e bibliografia 2. DEFINIZIONI DEGLI ELEMENTI DELLA SPAZIO STRADALE 2.1. Definizioni dal Nuovo Codice della Strada 2.2. Definizioni integrative (Zona 30, isola ambientale, itinerario ciclopedonale, pista ciclabile, barriere architettoniche, utenza debole, moderazione del traffico, marciapiede a penisola, a pellicano, cul de sac, isola salvagente, boulevard, cluster, woonerf, parkway, piazza, ecc.) 3. CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DELLA RETE STRADALE 3.1. Definizione e funzioni dei tipi principali di strada urbana 3.2. Caratteristiche della rete stradale in funzione dei flussi di traffico da servire Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 17

18 3.3. Standard normativi e dimensionali di riferimento 3.4. Le componenti di traffico 3.5. Misure di controllo e gestione del traffico 4. CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DELLE SEZIONI STRADALI 4.1. Standard di riferimento Larghezza delle corsie Numero delle corsie per senso di marcia Spartitraffico centrale Spartitraffico laterali Corsie per fermate di emergenza Banchine Marciapiedi e passaggi pedonali Fasce laterali di pertinenza stradale e di rispetto Muri di cinta Cunicoli per sottoservizi e fognature 5. CARATTERISTICHE GEOMETRICHE DEI TRACCIATI STRADALI 5.1. Standard di riferimento Pendenza massima trasversale in curva Raggi minimi di curvatura planimetrici ed altimetrici Pendenza longitudinale massima 6. ORGANIZZAZIONE DELLE INTERSEZIONI STRADALI 6.1. Organizzazione delle intersezioni Criteri generali Tipologia delle intersezioni a raso Disciplina delle intersezioni e passi carrabili Ulteriori criteri generali di progettazione delle intersezioni Configurazione planimetrica Configurazione altimetrica Visibilità planimetrica Elementi complementari della progettazione Pedoni Mezzi pubblici Piste ciclabili Segnaletica Illuminazione Pubblicità 6.2. Intersezioni a rotatoria Campo di applicazione potenziale delle rotatorie Principali limitazioni all impiego delle rotatorie Classificazione delle rotatorie Disciplina delle precedenze nelle rotatorie Segnaletica e modalità realizzative finalizzate alla sicurezza Geometria delle rotatorie 7. MISURE DI MODERAZIONE DEL TRAFFICO 7.1. Moderazione del traffico entro il Centro Abitato Adozione della segnaletica a zone Aree pedonali Zone a traffico limitato Zona residenziale Zona a traffico pedonale privilegiato Isola ambientale Zona Moderazione del traffico sulle strade principali 7.3. Elementi fisici per la moderazione del traffico Porte degli ambiti residenziali Intersezioni rialzate Attraversamenti pedonali rialzati Dossi Cuscini Strettoie e isole spartitraffico Chicane Rotatorie e minirotatorie 8. PERCORSI PEDONALI E CICLABILI 8.1. Disciplina dei percorsi pedonali 8.2. Mobilità ciclistica Tipologie e caratteristiche di piste e percorsi ciclabili 9. SPAZI PER IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE 9.1. La pianificazione delle reti e delle linee del TPL 9.2. Le corsie 9.3. Le fermate 9.4. Le intersezioni 9.5. L illuminazione e la segnaletica Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 18

19 10. SPAZI PER LA SOSTA Organizzazione della sosta La sosta in carreggiata La sosta fuori della carreggiata La politica della sosta a tariffazione I parcheggi di interscambio Carico e scarico delle merci 11. VERDE, ARREDI E ALBERATURE STRADALI Considerazioni generali Alberi Siepi e cespugli Piante tappezzanti e tappeti erbosi Verde privato 12. DISCIPLINA DELLE OCCUPAZIONI Occupazioni permanenti delle sedi stradali Posizionamento di cartelli, insegne e pubblicità Chioschi, edicole Attrezzature Raccolta rifiuti solidi urbani Impianti di distribuzione dei carburanti Occupazioni temporanee delle sedi stradali Occupazioni temporanee per uso dello spazio stradale Occupazione della sede per lavori su strada e cantieri Ubicazione e modalità di posa dei sottoservizi 13. SEGNALAMENTO, CATASTO E MANUTENZIONE Il Piano del segnalamento Il Catasto delle strade La manutenzione programmata delle strade 14. ANALISI DI INCIDENTALITÀ E ANALISI DELLA SICUREZZA STRADALE L analisi di incidentalità L analisi preventiva di sicurezza per le strade in progetto (Safety Audit) L analisi preventiva di sicurezza per le strade in esercizio (Safety Review) 15. RAPPORTI FRA REGOLAMENTO VIARIO E ALTRE DISCIPLINE Verifiche sul rapporto tra uso del suolo ed effetti indotti sulla circolazione e sull ambiente Verifiche sulle possibili integrazioni fra regolamento viario e regolamento edilizio 16. MODALITA DI ATTUAZIONE DEL REGOLAMENTO VIARIO Lavori di manutenzione della sede stradale Lavori di riqualificazione della sede stradale Lavori di nuova costruzione di strade Verifica delle condizioni di applicazione del regolamento Ufficio Tecnico del Traffico Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 19

20 2. IL QUADRO PROCEDURALE 2.1. IL PIANO COME PROCESSO EDUCATIVO Le procedure amministrative per l approvazione dei piani, compreso il piano della sicurezza stradale urbana, sono ormai definite e si basano tutte sulla preliminare adozione da parte dell organo esecutivo, costituito dalla giunta, e sulla definitiva approvazione da parte del consiglio, previa una fase di pubblicazione del piano. La procedura però può risultare più complessa nella misura in cui si vuole che il piano assuma anche un più ampio ruolo di processo partecipativo ed educativo. Nel caso della problematica della sicurezza stradale questo aspetto è molto importante: la formazione e l attuazione del piano devono anche essere un momento incisivo nella educazione alla sicurezza stradale da parte dei cittadini. In questo caso, la procedura diviene necessariamente più impegnativa ed anche più lunga, ma questo è il prezzo che si paga in cambio di un importante beneficio. È anche provato che il processo educativo della comunità assume la sua massima efficacia nel momento in cui entra i simbiosi con l attuazione dei piani e dei progetti. La realizzazione di interventi di messa in sicurezza delle strade è destinata a cambiare lo spazio pubblico e le sue abituali modalità d uso. Generalmente la comunità resiste al cambiamento di stili di comportamento consolidati nelle abitudini quotidiane: questo è il momento più opportuno per spiegare le motivazioni delle innovazioni e per convincere della necessità di cambiare. Un azione di questo tipo risulta efficace solo quando è capillare. Le scelte strategiche e strutturali di un piano di mobilità coinvolgono gli addetti ai lavori; l introduzione di misure di moderazione del traffico nella strada dove si abita diventano tema di confronto tra gli abitanti. La messa in sicurezza del percorso pedonale casascuola diviene un problema di discussione familiare. Questo per dire che la procedura partecipativa del piano, con fini di educazione sociale, deve espletarsi soprattutto a livello dei piani esecutivi per la messa in sicurezza delle strade degli ambiti residenziali, cioè a livello dei piani delle zone 30. Il piano di zona 30 non è solo un piano di misure di moderazione del traffico ma è anche un momento dove occorre attivare misure di coinvolgimento partecipativo, di educazione, di diffusione di nuovi valori e di una nuova visione della mobilità e dello spazio pubblico della città. Né va sottovalutata la necessità di accompagnare queste misure di cambiamento dell opinione pubblica con misure di rafforzamento del controllo e della sanzione dei comportamenti a rischio. Non bisogna dimenticare che la certezza della legalità e del fatto che essa venga fatta seriamente applicare è la leva fondamentale per instaurare uno stile di comportamento più responsabile. Come si vede, concepito in questi termini, il piano di zona 30 sin dalla sua formazione e poi durante la sua attuazione, diviene un processo di politica locale per la diffusione della cultura della sicurezza stradale: esso si occupa di infrastruttura e di gestione del traffico, ma agisce sulla componente umana. Un piano della sicurezza stradale urbana che si chiuda nella sfera della pubblica amministrazione, nel gruppo degli esperti e nel giro dei portatori di interessi (i cosiddetti stakeholder) è un piano che non riesce ad esprimere appieno gli effetti positivi che sono richiesti ad una buona pratica della sicurezza stradale. Alla luce di queste premesse si può tralasciare di esaminare la procedura di formazione e approvazione del PSSU (piano direttore e piano attuativo), per concentrare l attenzione su uno schema procedurale pensato soprattutto per i piani esecutivi di zona 30, concepiti come il momento in cui, intorno al tema cardine delle modificazioni infrastrutturali, si sviluppano tutte quelle azioni del coinvolgimento partecipativo della comunità locale mirate alla formazione di una cultura della sicurezza stradale IL LABORATORIO DI PROGETTAZIONE PARTECIPATA Il processo di formazione, di attuazione e di gestione di un piano di zona 30 deve essere trasparente e a- perto alla partecipazione dei cittadini e dei vari soggetti portatori di interessi di gruppi sociali e di categorie economiche. In materia di partecipazione esiste un ampia manualistica, nella quale vengono presentati metodi, tecniche e strumenti, che possono essere utilmente adottati nelle varie situazioni. Non è questa la sede per affrontare in Direzione Trasporti, Infrastrutture, Mobilità e Logistica 20

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