Precetti per una ricerca della via.

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1 Precetti per una ricerca della via. Il Dojo Kun ed Il Saluto. Alcune giuste e doverose puntualizzazioni per non perdere le tradizioni. Ho sempre desiderato trascrivere quelle che sono le troppo spesso dimenticate usanze tradizionali e che sempre più non vengono più rispettate nelle palestre di karate. Vedo agli stage cose talvolta meschine e poco legate ad una antica arte come il Karate. Senso di superiorità dei Maestri verso qualcosa che non ci appartiene oppure vera ignoranza, visto che le nuove generazioni di insegnanti stanno perdendo il loro contatto con la storia che ci ha portato il Karate in Occidente dal Giappone? Chi come me è nato in un dojo dove il Sensei era giapponese e dove seguire certe tradizioni, che inizialmente sembravano rituali fuori posto, era diventato un onore ed un orgoglio dato dal senso di appartenenza ad una cultura che ci veniva concessa e che non poteva essere nostra se non a costo di grandi sacrifici e dijos_trazioni di lealtà, non può pensare diversamente. Molti praticanti oggi non solo non vogliono comprendere questa cultura ma pensano di praticare un karate scevro da ogni manifestazione o gestualità tradizionale perchè orpelli ormai decaduti e poco pratici nei tempi correnti. Ma facendo così dimenticano la storia, gli uomini che ci hanno permesso di ereditare tanta arte, persone che nel loro sacrificio hanno dato forma ad un'espressione che poteva restarsene nel proprio suolo natio e che invece alcuni coraggiosi hanno deciso di portare verso Occidente. Non voglio pensare a coloro che ci hanno speculato come sicuramente sarà stato in alcuni casi, ma voglio ispirarmi alla visione di Sensei come Funakoshi, Egami, Nijiama, Nakayama, Kase, Enoeda, Shirai e tantissimi ancora che non cito ma che sono vivi nella memoria storica. Questi uomini hanno deciso di costruire un'arte che potesse un giorno avere un codice universale e l'hanno trasmessa non solo nel loro territorio ma hanno sognato di portarla a conoscenza degli uomini tutti. Noi dobbiamo molto a questi illuminati per la loro maestria, la loro saggezza e la loro indiscutibile capacità di portare avanti una visione così complessa ma al tempo stesso quasi utopistica. E se questi Sensei hanno codificato delle regole seguendo una loro tradizione popolare secolare noi dobbiamo far sì che tutto ciò non vada perduto, perchè ogni gesto che omettiamo o ogni rituale volutamente discriminato non farà più parte del futuro di tale disciplina. Come credo sia giusto esemplificare, se in un kata dovessimo omettere un passaggio avremmo cancellato un pezzo di storia e quel pezzo forse non tornerà più a noi... Ecco dunque un piccolo ma doveroso contributo alle tradizioni giapponesi del Karate. Due espressioni che manifestiamo ogni volta quando varchiamo la soglia di un dojo e ci prepariamo ad affrontare ed a concludere una lezione. Il saluto e la manifestazione del nostro impegno attraverso una dichiarazione di intenti voluta e nata dal lavoro dei nostri Sensei, il Dojo Kun. Esaminerò queste due manifestazioni tradizionali con l'intento di fare chiarezza su molti malcostumi e tanta ingratitudine latente nei tanti dojo esistenti con la speranza che la cultura possa fare, come sempre, breccia sull'ignoranza, permettendo di comprendere il vero significato di certe espressioni. Il Saluto in Zazen (ZA REI) All'inizio ed al termine della lezione il Maestro fa disporre tutti gli allievi in fila. Gli allievi si devono mettere in ordine di grado rivolti verso il Maestro. Il Maestro, posto di fronte alla fila, deve avere la cintura più alta in grado della classe alla sua sinistra e le altre cinture disposte secondo grado decrescente verso la destra. Il maestro si inginocchia di fronte alla classe partendo dalla posizione eretta secondo il rituale tradizionale, abbassandosi sui talloni, portando avanti il ginocchio sinistro fino a portarlo a terra. L'altro ginocchio, che era rimasto sollevato ad angolo quasi retto rispetto al primo, seguirà ed andrà a toccare terra senza unirsi al primo ma lasciando una distanza che permetta una seduta sui talloni naturale e comoda. I piedi, su cui ci si appoggia (talloni), devono avere il collo rivolto verso terra e la sovrapposizione del piede destro sul sinistro. Le mani andranno appoggiate sulle coscie con i palmi rivolti naturalmente in basso ed indirizzando le dita verso il piatto della coscia ad un'altezza che permetta una seduta eretta

2 con spalle rilassate e sguardo in avanti. A questo punto il Maestro farà un cenno di assenso al Sempai (capofila). Il SEMPAI di turno comanderà il SEIZA (seduti secondo il rituale tradizionale giapponese come appena descritto). Gli allievi dovranno, uno dopo l'altro, in ordine di grado, mettersi in SEIZA per il saluto a partire dalle cinture più alte. Solo al termine della lezione, e non obbligatoriamente, in posizione di SEIZA, il Sempai chiamerà il MOKUSO (vedi definizione).talvolta, durante il mokuso, si recita il DOJO KUN con il seguente criterio: il Sempai recita ad alta voce i principi del dojo kun uno per uno e gli altri allievi li ripetono ad alta voce. I precetti del Dojo Kun sono riportati di seguito dopo i paragrafi dedicati al saluto. Finita la recitazione del Dojo Kun si termina il mokuso. Liberati dal mokuso attraverso il MOKUSO YAME il Sempai chiama il saluto(za REI). Tre saluti fan parte dello Za Rei e sono: SHOMEN NI REI (rivolto allo SHOMEN ed al Maestro Fondatore) SENSEI NI REI (rivolto al Maestro del Dojo) OTAGAI NI REI (rivolto agli allievi del dojo). OSU della classe. Il saluto si svolge inchinandosi dopo aver portato le mani a terra, leggermente orientate con le dita rivolte verso il centro della nostra linea mediana immaginaria. L'inchino prevede che si porti il busto in avanti e che la testa arrivi ad una distanza prossima al pavimento proprio sopra il centro delle mani in appoggio. Fatto l'inchino ci si riporta nella posizione eretta. Sul primo inchino il Maestro si sarà precedentemente orientato verso lo SHOMEN ( la parete principale del dojo dove solitamente vi sono effigie del o dei maestri capi scuola) e farà l'inchino verso quella parete. Sul secondo e terzo saluto il Maestro sarà disposto verso la classe e le parti si saluteranno vicendevolmente. Successivamente il SEMPAI comanderà il KIRITZU (in piedi) dopo che il Maestro si sarà rialzato e riposizionato di fronte alla classe come all'inizio del saluto. Solo a questo punto gli allievi potranno alzarsi per terminare la lezione seguendo lo stesso rituale del SEIZA a ritroso. Nell'alzarsi dalla posizione rituale si porta il busto in avanti scaricando i talloni. A seguire la gamba destra viene sollevata e portata in modo da far appoggiare il piede a terra di fronte a noi. Nell'alzarsi facendo leva sulla gamba destra si resta sul piede sinistro per poi riportare la gamba destra verso la sinistra. Non si devono avere atteggiamenti scomposti ed il busto deve mantenere la sua posizione eretta senza sbandare. Ci si posiziona in musubi dachi e si attende il congedo del Maestro. Al suo Tachi Rei accompagnato solitamente dalla parola OSU gli allievi si rivolgeranno a loro volta al Maestro con un Tachi rei e ricambieranno l'osu. A questo punto la classe è libera. Il Saluto in piedi (TACHI REI) Qualsiasi forma di saluto rivolto al maestro, ad un compagno dopo il lavoro in coppia o ad un avversario dopo un incontro, che non sia un saluto col cerimoniale dello zazen (che si espleta normalmente all'inizio ed alla fine delle sedute di allenamento oppure in casi particolari che ho riportato più sotto nelle Altre forme di saluto) segue la norma che impone un saluto stando in piedi in posizione musubi dachi. Tale saluto di nome Tachi Rei prevede un inchino in segno di rispetto verso una o più persona. L'inchino, che non dev'essere interpretato come atto di sottomissione, ha un rituale che prevede un gesto con gambe unite che non flettono, un movimento del busto che si piegherà in avanti senza esagerare, testa che resta eretta sul collo e che segue il corpo permettendo agli occhi di continuare a vedere avanti per almeno 2-3 metri. Non flessione od estensione del collo! Il significato simbolico del saluto in piedi è quello che ci porta sempre nella

3 condizione di jos_trare rispetto verso le persone di fronte a noi, le quali devono però notare la nosta vigilanza o stato di zanshin che comunque non fa di noi delle persone sottomesse. A loro volta le persone salutate jos_treranno il loro rispetto verso di noi attraverso un Tachi Rei. Qualsiasi forma di superbia, data dal grado più elevato o qualsivoglia condizione di indifferenza, pregiudizio o mera distrazione, che non porta a ricambiare un saluto dato è semplicemente un atto di ignoranza che fa chiaramente percepire quanto la persona in causa non abbia in sè l'umiltà ed il rispetto che la pratica avrebbe dovuto insegnare. Sempre più si verificano oggigiorno tali comportamenti puerili e poco edificanti. Spetta ai maestri educare e far capire questi semplici valori che trasposti nella vita quotidiana aiutano ad essere rispettosi verso altri esseri viventi. Il Dojo Kun Riprendiamo per esteso questo momento di vita che andrebbe praticato nei dojo con regolarità. Probabilmente molti adepti non sapranno nemmeno cosa sia il Dojo Kun. Vediamo di spiegarlo. Una usanza dopo l'allenamento nei dojo giapponesi, che non si trova quasi mai nei dojo occidentali, è la recitazione del KUN o codice etico alla fine di una seduta di allenamento. G. W. Nicol, nel suo libro Moving Zen: Karate as a Way to Gentleness, si riferisce a questa usanza e alla sua connotazione nel karate-do giapponese in questo modo: " I precetti sono sempre pronunciati con forza e mai sussurati con poca sincerità o credo. Così come i movimenti diventano automatici ed i riflessi condizionati, le semplici verità di queste citazioni penetrano la mente dei partecipanti". La forma del dojo kun può variare da stile a stile e da dojo a dojo, ma generalmente i sentimenti e le idee di base coinvolte sono concordi in quasi tutti gli aspetti. Talvolta i precetti vengono pronunciati con ordini diversi. Non ha importanza la sequenza. Quello che indicherò di seguito è il KUN come viene recitato nelle scuole della JKA. Normalmente il kun viene recitato dopo un breve periodo di meditazione, il mokuso, alla fine della lezione. La procedura prevede che l'allievo più alto in grado reciterà a voce ogni precetto che verrà a sua volta ripetuto dalla intera classe finchè non sia completata la sequenza intera. I principi del Dojo Kun sono i seguenti: HITOTSU, JINKAKU KANSEI NI TSUTOMERU KOTO (Ricerca la perfezione nel carattere) HITOTSU, MAKOTO NO MICHI O MAMORU KOTO (Percorri la via della sincerità) HITOTSU, DORYOKU NO SEISHIN O YASHINAU KOTO (Coltiva uno spirito di forza e perseveranza) HITOTSU, REIGI O OMONJIRU KOTO (Agisci sempre con buone maniere) HITOTSU, KEKKI NO YU O IMASHIMERU KOTO

4 (Astieniti dalla violenza e mantieni l'autocontrollo). In questi 5 precetti vediamo l'essenza di un insegnamento che vede il karate come qualcosa che non sia solo un mero metodo di allenamento del corpo od un semplice sport da competizione. Questa è la moralità che è necessaria per dare equilibrio all'allenamento fisico. E' il fondamento che nel buddhismo viene chiamato "la giusta azione" o Sammakammanta. Ignorando il credo ed il pensiero del dojo kun si avrà nel tempo l'effetto di distorcere la pratica e l'intera evoluzione del karate inteso in senso globale. E' pertanto importante poter osservare ogni precetto per il proprio significato. HITOTSU, JINKAKU KANSEI NI TSUTOMERU KOTO (Ricerca la perfezione nel carattere) Notare che a questo ideale si dà assoluta priorità. Non forza, velocità, abilità tecnica o nel combattimento, ma la perfezione del carattere dello studente. Il maestro Funakoshi insiste molto su questo concetto nei suoi scritti. Racconta la storia in cui fu arbitro di una contesa tra due villaggi. Mantenendo la mente fredda e agendo in modo controllato e razionale egli propose una soluzione alla contesa, accettata di buon grado dalle due parti, evitando così atti di violenza. Egli scrive che questa è la prova che un buon allenamento nel karate è il mezzo per migliorare il proprio carattere e solo così si possono cercare soluzioni pacifiche ai problemi. HITOTSU, MAKOTO NO MICHI O MAMORU KOTO (Percorri la via della sincerità) Qui si enfatizza il concetto che "la via" dev'essere vera. Non dovrebbe mai essere un metodo per l'autoindulgenza o la debolezza. Molti individui, insegnanti di arti marziali, si beano di gradi ed abilità che non sono giustificabili se non da ragioni commerciali o per esaltare il proprio io. Chi non ha fiducia nella ricerca di una via vera, sincera, resterà vittima delle proprie fantasie e non raggiungerà mai il proprio sogno con lealtà. HITOTSU, DORYOKU NO SEISHIN O YASHINAU KOTO (Coltiva uno spirito di forza e perseveranza) Tradizionalmente le arti marziali non venivano insegnate o praticate per il semplice valore spettacolare o come diversificazione dagli aspetti più seri della vita, dunque era necessaria pazienza se si volevano imparare i risvolti più profondi di un'arte. La ripetizione ad oltranza delle tecniche fondamentali non è un blocco all'apprendimento come molti pensatori moderni vorrebbero far credere. E' anche vero che tale allenamento non è sicuramente fonte di grande spettacolo! La mancanza di perseveranza semplicemente significa che ogni progresso arriverà ad un punto morto. Come disse il grande fabbro Banzo al suo garzone Yagyu Matajuro "..un uomo con tanta fretta di avere dei risultati, come fai tu, difficilmente imparerà alla svelta.." HITOTSU, REIGI O OMONJIRU KOTO (Agisci sempre con buone maniere) In un certo senso questo principio ripete il primo precetto. Attraverso le buone maniere non aggraveremo mai una situazione già di per sè negativa ed eviteremo inutile violenza. Tuttavia tutto ciò non va interpretato come atto di debolezza. Ovviamente agire con buone maniere dev'essere un processo reciproco. Vediamo quanto gli insegnamenti di Confucio abbiano influenzato questo precetto. Egli infatti scrive: " Ripagherai un'offesa con un'azione diretta, ripagherai peraltro una buona azione con un'altrettanta azione buona". HITOTSU, KEKKI NO YU O IMASHIMERU KOTO (Astieniti dalla violenza e mantieni l'autocontrollo). Questo sembra essere il paradosso del karate, ma proprio qui abbiamo l'essenza della moralità di un'arte marziale. La forza si può usare solo se il fine ultimo è moralmente corretto, come il caso della difesa personale o la protezione di un innocente. In questo modo le azioni dei monaci Shaolin, ad esempio, nello sviluppo di metodi di combattimento per

5 proteggere i loro templi o nella guerra contro il banditismo erano atti moralmente accettabili. Alla luce di ciò, proteggersi da un aggressore che ha iniziato una sua azione violenta nei nostri confronti non è atto irreprensibile. Il dojo kun ci indica dunque la via ultima nel nostro lavoro di ricerca ed allenamento. Questa è la maestria verso noi stessi. Perciò, non saranno le sole tecniche ad avere l'importanza maggiore, ma sarà lo spirito individuale che andrà educato e disciplinato. Se si seguono pertanto i dettami racchiusi in questi precetti, all'apparenza molto semplici, l'allievo potrà veramente progredire nella "via delle arti marziali". Altre forme di saluto. Quando si entra nel dojo e quando si esce, per qualsiasi ragione, l'etichetta prevede che si saluti il Maestro ed i compagni o comunque il dojo stesso con un breve inchino stando in piedi con le braccia lungo i fianchi, talloni uniti e punte dei piedi divaricate a 45 gradi (TACHI REI). Se si arriva in ritardo all'allenamento, ci si mette in SEIZA rivolti verso il Maestro e si attende il suo saluto, a quel punto si esegue il saluto tradizionale e si entra (ZA REI). Se si deve abbandonare l'allenamento prima del termine, si chiede il permesso al Maestro, poi, passando dietro a tutti (mai davanti!), ci si porta verso l'uscita, ci si mette in SEIZA rivolti verso il Maestro e si attende il suo saluto. A quel punto si esegue il saluto tradizionale (ZA REI) e si esce. Lorenzo Catalano

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