L Ellenismo: Epicuro e gli Stoici

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1 L Ellenismo: Epicuro e gli Stoici 1. L EPOCA ELLENISTICA: IL TARDO ANTICO 1.1 diffusione e decadenza 1.2 i regni ellenistici 1.3 importanti mutamenti culturali e spirituali Con la morte di Alessandro Magno e di Aristotele, avvenute rispettivamente nel 323 e nel 322 a.c., si apre l epoca denominata Ellenismo. In questo periodo si assiste a un enorme espansione del pensiero, della cultura e della tradizione di origine Greca: ciò accade in prima battuta ad opera delle conquiste di Alessandro Magno e, in seguito, della conquista della Grecia stessa da parte di Roma, che ne mutuerà la superiore cultura. Proprio quando il pensiero Greco maggiormente si diffonde, però, esso perde parte della sua grande carica di originalità: l epoca ellenistica non proporrà figure destinate all enorme fortuna toccata a Platone ed Aristotele, pur vedendo nascere interessanti scuole di pensiero. Alla morte di Alessandro il suo vasto e fragile impero si sgretolò, sostituito da tre grandi regni: il regno di Siria, corrispondente grosso modo all antico impero Persiano, il regno di Macedonia, che comprendeva anche la Grecia, e il regno d Egitto. I reggenti di tali Stati erano in perenne lotta fra loro. In Grecia l orizzonte politico delle polis, seppure offuscato, era ancora presente. Se nell epoca classica le città greche in particolare quelle che erano state potenze marittime e, quindi, commerciali avevano goduto di una certa libertà e dinamismo, ora la struttura sociale tendeva maggiormente a cristallizzarsi in una netta distinzione tra ricchi e poveri, aristocrazia e popolo minuto. Queste condizioni produssero notevoli mutamenti dal punto di vista culturale. Date le complesse e caotiche vicissitudini dei regni e delle città, gli uomini di cultura tendevano a considerare la politica con un distacco nuovo, come se essa non potesse in alcun modo venire compresa e imbrigliata dalla ragione. Inoltre, con il superamento della limitata prospettiva della polis, la politica si allontanava dal cittadino, il quale si vedeva privato della possibilità di una partecipazione diretta. Per contro, si svilupparono nuove tendenze, di tipo più intimistico e riflessivo, che davano un importanza inedita alla sfera della vita privata e alla ricerca di una felicità di tipo più personale. Ad accompagnare la disaffezione per la politica c era il fatto che molti erano gli uomini che sceglievano la cultura come professione, uomini che spesso si stabilivano presso alla corte di importanti signori o che risiedevano in grandi 1

2 istituti di ricerca scientifica che, proprio in questi anni, fiorivano in particolare in città al di fuori dalla Grecia. 1.4 il Museo e la Biblioteca 1.5 dalla teoria alla pratica Il più importante di questi centri culturali era sicuramente costituito dal Museo e dalla celebre Biblioteca di Alessandria, istituti fondati da Tolomeo I su iniziativa dei peripatetici Stratone di Lampsaco (allievo di Teofrasto) e Demetrio Falareo. La Biblioteca è ricordata come la più ricca di volumi di tutto il mondo antico ed è proprio lì che nacquero concetti di libro e di edizione più vicini a quelli cui oggi siamo abituati. Ambito del Museo, invece, è la ricerca scientifica, ricerca che già dalla morte di Aristotele si era andata imponendo all interno del Liceo nella varietà ed autonomia delle discipline. Il momento unificante-filosofico veniva però lasciato un po cadere a favore delle scienze particolari. La prospettiva platonica ormai, che vedeva tutte le scienze e le arti come propedeutiche alla dialettica, la scienza delle Idee, era stata decisamente abbandonata... Le filosofie ellenistiche che sorsero in questo contesto avevano, pur in tutti i loro contrasti, alcuni elementi in comune. Innanzitutto una forte tendenza pratica. L etica, in particolare, aveva un valore assolutamente centrale perché era vista come l unica disciplina capace di garantire all uomo la felicità. Queste filosofie, insomma, sembravano propugnare più uno stile di vita che una dottrina. Anche Platone e Aristotele avevano dato grande importanza all etica, come abbiamo visto, ma l avevano (soprattutto Platone) fondata su una metafisica ed una teologia, una prospettiva che gli intellettuali di epoca ellenistica tenderanno a considerare troppo lontana e, per certi versi, astratta. 2. EPICURO: VITA E OPERE Epicuro nacque a Samo, nel 341 a.c., da famiglia ateniese e morì ad Atene nel 270 a.c. circa. Studiò prima alla scuola del platonico Panfilo e poi a quella di Nausifane, un filosofo che si richiamava a Democrito. Ben presto elaborò una sua dottrina originale che diffuse prima a Lampsaco e a Mitilene, poi ad Atene, dove si stabilisce definitivamente nel 306 ac. Qui fonda una scuola, il Giardino. Secondo la testimonianza di Diogene Laerzio Epicuro scrisse moltissimo. Dei suoi libri, però, ci rimane ben poco. Conserviamo tre lettere dottrinali 2 fig. 1 - Epicuro

3 A Erodoto, A Pitocle, A Meneceo e una serie di Massime capitali. Ci sono, inoltre, molti frammenti, alcuni dei quali assai interessanti, e la testimonianza del poeta romano Lucrezio all interno del suo De rerum natura. 2.1 la ricerca di una vita felice 2.2 la limitatezza della vita non costituisce un impedimento alla felicità Quando Epicuro vi giunse, Atene era ancora il centro culturale più importante del mondo greco. La scuola che Epicuro fondò, nonostante la concorrenza di Accademia e Liceo peripatetico, era baciata da notevole successo e in poco tempo centinaia di persone presero a frequentarla, tanto che Epicuro ebbe modo di aprire filiali in altre città della Grecia. Il Giardino era strutturato come una sorta di gruppo di amici aperto anche agli schiavi e alle donne. La figura di Epicuro, poi, doveva essere assai attraente in relazione al suo stile di vita, con il quale egli si sforzava di mettere in pratica le dottrine insegnate. Il maggior motivo del successo della sua scuola però dovette essere questo: Epicuro fu il solo pensatore della sua epoca a proporre una filosofia interamente basata sulla ricerca della felicità. La speculazione sulla felicità, sul bene, sulla virtù e sull uomo è da farsi risalire ai sofisti, per arrivare a Socrate, a Platone e ad Aristotele, ma con Epicuro si trovano novità molto significative. In particolare, Epicuro criticò la nozione di felicità platonica perché basata su un ideale troppo astratto e lontano (come, in effetti, già aveva fatto Aristotele prima di lui). L Idea di Bene era considerata da Epicuro qualcosa di troppo incerto e invisibile, qualcosa su cui risultava quindi ben difficile fare reale affidamento. Seguendo un autore come Platone e le sue idee relative alla morte e alla reincarnazione, la vita sarebbe a suo avviso diventata un cammino ben periglioso, costellato da speranze lontane e da grandi dubbi e paure (il timore dell espiazione delle proprie colpe, per esempio). Epicuro rinunciò quindi del tutto all idea di una vita felice dopo la morte, tornando alla concezione tradizionale della radicale finitezza della vita dell uomo. Se la tradizione, però, era di stampo fortemente pessimistico (ricordiamo la religione olimpica, secondo la quale l uomo è poco più che un burattino in balia del fato e degli dèi), Epicuro sostiene che, nonostante la sua inevitabile finitudine, l uomo ha la possibilità di garantirsi una vita felice. Ricordiamo che anche Aristotele aveva proposto un modello di felicità del tutto mondano, ma tale modello era fortemente aristocratico, con il suo ideale della pura contemplazione. La felicità propugnata da Epicuro, invece, era alla portata di chiunque. Epicuro mostrava, come abbiamo più sopra accennato, quella che potremmo chiamare una forte tendenza pratica, che da un lato lo conduceva a formulazioni di carattere fortemente dogmatico (la felicità ha bisogno di fondamenta solide, indubitabili) e, dall altra, a una semplificazione delle spiegazioni di tipo fisico, limitandosi a dire quanto basta per tranquillizzare l anima nei confronti di paure irrazionali. 3

4 3. LA FILOSOFIA DI EPICURO 3.1 materialismo 3.2 somiglianze e differenze con il modello di Democrito 3.3 il clinamen e la sua funzione di garanzia Un antica tradizione suddivide il pensiero di Epicuro secondo la seguente tripartizione: logica, fisica, etica, anche se la cosa non è del tutto corretta. Quella che Aristotele chiamava logica era definita da Epicuro con il termine di canonica e si occupava di problemi diversi da quelli sollevati dallo stagirita. L ontologia di Epicuro era, sostanzialmente, una fisica. Egli, infatti, affermava che non esiste nulla che vada al di là della materia e questo nel chiaro tentativo di confutare e superare le metafisiche di Platone e di Aristotele. Egli può, dunque, essere considerato uno dei primi veri materialisti della cultura occidentale. In particolare, Epicuro riprende il modello democriteo degli atomi, nel quale confluiscono anche elementi dall eleatismo. In effetti Epicuro, nella Lettera ad Erodoto, afferma chiaramente come nulla si crei dal nulla, e niente di ciò che è ricade nel nulla. Ciò che esiste, del resto, si deve poter dividere in parti che spieghino la molteplicità, né deve essere possibile una divisione all infinito, perché in questo modo tutto si perderebbe nel nulla. Devono dunque esistere gli atomi, e con essi il vuoto: diversamente non vi sarebbe il movimento. Se fin qui Epicuro si muove sulla scorta di Democrito, non mancano alcune novità. Innanzitutto, se gli atomi non sono più fisicamente divisibili, lo sono però teoricamente, e si giunge ai cosiddetti minimi. Inoltre, gli atomi non si distinguono e articolano solo per figura, ordine e posizione, ma anche per grandezza e peso. Vi sono numerose tipologie differenti di atomi - seppure non infinite tipologie, ciò che costringerebbe ad ammettere l esistenza di atomi direttamente percepibili dai sensi, cosa che Epicuro nega. Se, poi, per Democrito gli atomi avevano in sé la fonte del proprio movimento, per Epicuro essi si muovono in virtù del loro peso, secondo un moto rettilineo dall alto verso il basso. Epicuro introduce anche un altra, grande differenza, la cosiddetta teoria del Clinamen ( deviazione ), vediamo di cosa si tratta. Visto che gli atomi cadono in linea retta e che la loro velocità non dipende dal peso, allora non dovrebbero mai urtarsi e mai, quindi, si potrebbe generare un qualunque corpo composto. Accade, però, che gli atomi possano del tutto casualmente operare delle deviazioni (clinamen) nella traiettoria del loro moto. Già gli antichi trovavano che questa teoria fosse la parte più debole della dottrina di Epicuro e, in effetti, non c è alcun accenno ad essa nei frammenti conservati. Le testimonianze, comunque, non lasciano dubbi. Del resto, se è vero che Epicuro non voleva lasciare spazio a déi che costringessero o anche solo influenzassero la vita degli uomini, non voleva neppure cedere ad una rigida meccanica deterministica: il libero arbitrio è un fondamento irrinunciabile per lui, da qui la teoria del clinamen. 4

5 In effetti appare difficile capire in che modo il clinamen possa sostituirsi al determinismo meccanico in un ottica più vicina al libero arbitrio: essa al più introduce il casualismo, ma si tratta di una questione di cui non tratteremo. 3.4 la cosmologia epicurea 3.5 la conoscenza sensibile 3.6 la conoscenza sensibile da sola non basta La cosmologia di Epicuro è assai diversa da quella dei suoi grandi predecessori: a suo avviso i mondi sono infiniti e si creano e distruggono grazie al moto e allo scontro degli atomi. Anche il tempo è infinito, come con Aristotele, ma non è circolare, bensì lineare. Inoltre non esiste un Dio creatore o ordinatore del mondo (come, invece, accadeva col demiurgo di Platone). Il mondo, infine, non risulta finalisticamente orientato: esso non ha, cioè, alcuno scopo preciso. Le riflessioni di carattere fisico di Epicuro non vanno molto oltre quanto appena detto... In effetti, di fronte a tutti i fenomeni naturali, Epicuro suole ricorrere a cause e spiegazioni verosimili, cioè che non contrastano con tali fenomeni, ed il suo interesse qui si ferma. Perché? La meraviglia, la curiosità di cui parlavano Platone ed Aristotele come forza motrice della filosofia in Epicuro paiono assenti... Per lui il filosofo è, al contrario, colui che non si meraviglia di nulla, che non si lascia prendere dalla vana curiosità. Quello che egli conosce lo conosce con certezza, di tutto il resto sa che esiste una spiegazione plausibile e che questa non lo può in alcun modo turbare. Certo, come per i pluralisti, per Socrate, per Platone e Aristotele la realtà va spiegata e non negata: anche per Epicuro, come per Platone e altri, la vera realtà sfugge ai sensi, ma solo perché gli atomi sono troppo minuti, non certo perché la realtà vera sia un altra. Diversamente da molti suoi predecessori, Epicuro dà piena fiducia alla percezione sensibile, e lo fa per un motivo etico-psicologico. Semplicemente, il negare sicurezza alle sensazioni potrebbe produrre un turbamento dell anima, cosa che risulterebbe dannosa per il conseguimento della felicità del filosofo. Ora, data la conoscenza degli atomi, del vuoto e del clinamen, ottenuta per via razionale, come si spiegano quelle che chiamiamo sensazioni? Epicuro, anche a questo riguardo, riprende la teoria democritea degli effluvi, denominati anche simulacri, i quali sarebbero sottili emanazioni di atomi che dall oggetto giungono sino all organo sensibile, stimolandolo. Certo nel tragitto si possono perdere degli atomi, oppure l organo ricettivo può essere in uno stato di temporanea alterazione (magari a causa di una malattia), e queste cose possono produrre una sensazione che non è perfettamente corrispondente all oggetto. Questo, però, non mette in crisi l attendibilità della sensazione. Essa infatti, essendo di origine materiale, è per forza vera. L errore, caso mai, nasce in sede di giudizio, nel senso che noi possiamo dare a una sensazione un valore, un significato che essa non ha. La conoscenza sensibile è, per Epicuro, la base di ogni sapere, anche se i sensi di per sé non sono sufficienti. Un semplice esempio ce lo fa comprendere facilmente: noi ricordiamo degli oggetti che abbiamo visto anche quando essi non sono attualmente presenti. Se esistesse solo la conoscenza sensibile, questo non potrebbe accadere. 5

6 Noi siamo, inoltre, in grado di fare delle previsioni relative al futuro, dunque a qualcosa che non è né può essere presente ai nostri sensi. A questo proposito Epicuro parla di anticipazioni, o prolessi. Ad affiancare la conoscenza sensibile, esiste dunque un sapere di tipo razionale, intellettuale, ma anche questo è spiegato da Epicuro in termini puramente materiali. Ciò che accade è che le sensazioni, insistendo più volte sui nostri organi di senso, vi lasciano una sorta di impronta, ed è questa che costituisce i ricordi. I cosiddetti universali, poi, sono un comodo espediente utilizzato dalla nostra mente per non dover ripetere tutte le volte l intero cammino percettivo. 3.7 anima e divinità 3.8 il piacere come aponia e atarassia 3.9 la puntualità del piacere Contro quanto si potrebbe credere in base a quanto detto sin qui, Epicuro non nega né l esistenza dell anima né quella degli déi. In questo senso egli, anzi, vede se stesso come il restauratore della parte buona e giusta della tradizione. Sia l anima che gli déi infatti, afferma Epicuro, esistono, ma hanno carattere completamente materiale. L anima, in particolare, è distinta in due parti: una fisiologica, fatta di atomi dei quattro elementi mischiati, ed una razionale, fatta di atomi del tutto speciali. Dalla materialità dell anima discende, naturalmente, la sua mortalità. Come detto, Epicuro non nega l esistenza degli déi. Essi, però, non si occupano in nessun modo degli uomini, ed abitano, eterni e beati, gli immensi spazi vuoti fra i mondi, i cosiddetti intermundia. In questo modo Epicuro elimina le irrazionali paure legate all arbitrio degli déi o a una loro possibile punizione nei nostri confronti. D altro canto, non negandoli, evita di doversi battere con le tradizioni di credenza dei vari popoli. Epicuro porta, in relazione all indifferenza degli déi, un argomentazione che diverrà classica. Esiste il male e questo è un fatto chiaro ed evidente. Dunque, se gli déi si interessano dell uomo, questo significa che o non possono eliminare il male, e quindi sono impotenti, oppure non vogliono, e quindi sono crudeli. Entrambe queste opzioni, però, sono impossibili. Sia l impotenza che la crudeltà sono caratteristiche che non possono in alcun modo appartenere ad una divinità. Ma che cos è la felicità, unico vero scopo della vita filosofica? Essa ha, per Epicuro, un valore marcatamente edonistico, risolvendosi in una ricerca del piacere. Per lui, però, piacere non è un basso e volgare godimento materiale. Per Epicuro, invece, il piacere è assenza di dolore, aponia, ed assenza di turbamento, atarassia. Il vero piacere è, a suo avviso, uno stato di quiete e di serena tranquillità interiore. Ora, occorre anche comprendere che il piacere è tale nell esatto momento in cui lo si prova, e ad esso non si aggiunge nulla prolungandolo all infinito. Non ha dunque alcun senso cercare di prolungare la durata della vita, né 6

7 desiderarlo, è invece lecito cercare di vivere bene, cioè felicemente, per tutto il tempo che abbiamo effettivamente a disposizione, breve o lungo che sia la paura della morte 3.11 la paura del dolore 3.12 la dinamica del desiderio 3.13 vivi nascosto! 3.14 il valore della legge La tranquillità dell'animo, come è evidente, non è raggiungibile in presenza di preoccupazioni di ordine psicologico o materiale. Con quanto detto sin qui abbiamo eliminato la paura degli déi, ma ce n è un altra, ancora più grande e comune, ed è la paura della morte. Secondo Epicuro si deve, innanzitutto, dire che la morte è la cessazione di ogni dolore e, da questo punto di vista, sarebbe assurdo temerla. Inoltre, ci ricorda Epicuro, quando noi siamo presenti essa non c è, e quando la morte c è, noi non ci siamo più... Quindi, di fatto, non veniamo mai in contatto con essa! Perché mai, allora, temerla? Rimangono, ancora, le preoccupazioni di ordine materiale. Mi riferisco qui a ciò che chiamiamo dolore, in senso sia fisico che morale: la vita di tutti ne è, in qualche modo, toccata. Vi sono, ragiona Epicuro, due tipi di dolore: se il dolore è forte, allora è di breve durata e, nella peggiore delle ipotesi, la morte sopravviene a liberarcene. Se il dolore è debole diventa possibile abituarsi ad esso e, così, sopportarlo: il filosofo saprà ignorarlo, come se si trattasse di una cosa che non lo riguarda. La tranquillità dell anima richiede anche che si rifuggano i desideri smodati, eccessivi. Epicuro distingue i desideri in tre categorie. Vi sono quelli NATURALI E NECESSARI, per esempio la possibilità di nutrirsi e di proteggersi dalle intemperie. Vi sono, poi, quelli NATURALI, MA NON NECESSARI: per esempio il vestire abiti alla moda, il mangiare cibi raffinati... L ultima categoria, quella assolutamente da evitare, riguarda i desideri NON NATURALI E NON NECESSARI, quelli legati al denaro, al potere, al successo. Epicuro, notate bene, non stabilisce quali siano con precisione i comportamenti da evitare, perché questo dipende in parte anche dalle inclinazioni di ciascuno. Il punto fermo è che la tranquillità dell animo non venga turbata. Vivi nascosto! ci esorta Epicuro, suggerendoci di evitare il più possibile di rimanere coinvolti in situazione e circostanze problematiche, capaci di turbarci. Questo, però, non significa che dovremmo coltivare l ideale di una vita eremitica, solitaria, fuggendo da ogni attività di tipo politico o sociale. Significa, invece, che il filosofo deve interessarsi a questioni sociali e politiche solo quel tanto che basta a garantire la propria tranquillità, non di più. Le leggi e, dunque, la giustizia, hanno un valore puramente pratico e convenzionale. Il concetto di giustizia infatti, suggerisce Epicuro, emerge solo in relazione a determinate leggi e le leggi dell uomo sono solo convenzioni. Ciò che oggi è giusto domani, in mutate condizioni, può ben essere ingiusto. Ciò che è giusto presso un certo popolo, è considerato sbagliato da un altro... 7

8 Con questo Epicuro non vuole giustificare l anarchia: di fatto, a suo parere, i filosofi dovrebbero fondare delle piccole comunità in cui fondamentale sia la ricerca della tranquillità e il rapporto di amicizia tra i membri. L epicureismo entrò anche nel mondo latino, ma non riuscì mai ad avere grande diffusione a causa del suo forte dogmatismo, e quindi la sua incapacità a rinnovarsi, ed anche a causa della sua prospettiva puramente terrena, che non si conciliava con il rinascente bisogno di credenze religiose. 4. INTRODUZIONE ALLO STOICISMO 4.1 una scuola di pensiero assai duratura Grande fu l influenza di questo indirizzo di pensiero in tutta la filosofia posteriore, sia in epoca medievale che moderna. Lo stoicismo ebbe un grande sviluppo soprattutto in età tardo ellenistica, in particolare presso il mondo romano. Perché la cultura latina si mostrò tanto interessata allo stoicismo? Innanzitutto, esso era caratterizzato da una forte carica morale e religiosa, che rispondeva bene alle rinascenti esigenze di spiritualità che si fanno sentire a partire dal I secolo a.c. Inoltre esso conteneva nozioni intellettuali, morali e politiche tali da riuscire molto gradito ai romani e fig. 2 - Epitteto alla loro mentalità. Data la lunga durata del movimento, gli storici della filosofia tendono a dividere lo stoicismo in tre periodi. La STOÀ ANTICA, che occupa il III secolo a.c., dominata dalle figure di Zenone, Cleante e Crisippo. La STOÀ DI MEZZO, che giunge fino al I secolo a.c. e i suoi esponenti più noti sono Panezio e Posidonio. La STOÀ NUOVA, che giunge fino al II secolo d.c., in cui ricordiamole figure di Seneca, lo schiavo Epitteto, l imperatore Marco Aurelio. 5. BREVE STORIA DELLO STOICISMO Fondatore della scuola fu Zenone di Cizio (città situata nell isola di Cipro), uomo di probabili origini fenice. Egli giunse ad Atene all età di ventidue anni, compì il suo apprendistato presso il platonico Posidonio (lo stesso di Epicuro), il megarico Stilpone e il cinico Cratete, che lo influenzò molto. Intorno al 300 a.c. fondò la sua scuola, che prese il nome di Stoica dal luogo dove i suoi membri si ritrovarono, ovvero sotto un portico (in greco stoà ). In effetti Zenone, fig. 3 - Zenone di Cizio 8

9 essendo straniero, non poteva possedere beni immobili in Atene. Alla morte di Zenone, nel 262 a.c., alla guida della scuola gli succedette Cleante di Asso, attratto dalla stoà per la sua forte componente religiosa. Questi, però, non aveva una grande originalità filosofica e, di fatto, durante i circa trent anni del suo scolarcato il pensiero stoico attraversò un momento di crisi. Gli Succede Crisippo di Soli, in Cilicia, che riuscì a ridare slancio alla scuola, sistemandone il complesso dottrinale. In effetti noi conosciamo lo stoicismo proprio nella sistemazione di Crisippo. fig. 4 - Crisippo di Soli 6. CARATTERI GENERALI DEL PENSIERO STOICO 6.1 somiglianze con l Epicureismo 6.2 avversione verso l Epicureismo Nonostante le opere degli stoici antichi siano in gran parte andate perse, ci sono numerosi frammenti e testimonianze, grazie alle vaste simpatie di cui godette il movimento. È assai difficile distinguere i contributi dei singoli maestri alla dottrina stoica, tanto più che questa subì notevoli modificazioni nel corso del tempo. Crisippo, per esempio, introdusse diverse novità rispetto a Zenone, pur protestando un assoluta fedeltà al maestro! Anche per i filosofi del portico, compito della filosofia è quello di assicurare all uomo una vita felice. Anche la filosofia stoica è, come quella di Epicuro, essenzialmente di carattere immanentistico e materialistico. Zenone rifiuta il dualismo di Platone (mondo sensibile vs mondo delle Idee) e anche ciò che di esso rimaneva in Aristotele. Pur non negando del tutto la sopravvivenza dell anima dopo la morte, la filosofia stoica si muove in un orizzonte mondano. È in questo mondo ed in questa vita che l uomo deve trovare la sua felicità, rifuggendo sia le speranze di tipo escatologico sia il totale disimpegno e disinteresse propugnato da Epicuro. Zenone mostra una sincera avversione per l epicureismo e giunge ad accusare questa scuola di preoccuparsi solo di procurare all'individuo una felicità privata nella forma di un mero appagamento dei sensi. Egli, nel complesso, condanna fermamente l individualismo epicureo. 7. LA FILOSOFIA DELLA STOÀ ANTICA 7.1 solo cioè che è materiale è reale Lo stoicismo accetta la divisione della filosofia in logica, fisica ed etica, inaugurata da Senocrate (allievo di Platone). 9

10 Se è vero che l etica è la parte più importante, bisogna però dire che essa si fonda sulle altre due parti. Gli stoici inventarono numerose immagini per illustrare questo rapporto, interessante è l immagine del frutteto: il muro di cinta corrisponde alla logica, fig. 5 - La metafora del frutteto gli alberi ben piantati nel terreno alla fisica, i frutti che crescono sui rami all etica. Anche la fisica stoica è fortemente materialistica. In questo, la scuola stoica prende le mosse dal Sofista di Platone, dove il filosofo afferma che veramente reale è solo ciò che agisce e patisce. Ma, aggiungono gli stoici, solo ciò che è materiale può agire e patire! Per gli stoici tutto ha una natura materiale, non solo quanto noi definiremmo sostanze chimiche o elementi : anche i concetti astratti come quelli di giustizia, virtù, ecc. hanno una dimensione assolutamente concreta. La giustizia, per esempio, è l insieme delle forme che essa assume nelle persone e nelle cose giuste: comportamenti giusti, cose giuste: tutto è concreto! 7.2 forma e materia 7.3 cenni sulla fisica degli stoici Per gli stoici la distinzione fra forma e materia, operata da Platone e Aristotele, non è da negare, ma va intesa in questo modo: tutto l'universo è costituito da una sola e identica materia la quale, di volta in volta, si specifica (diciamo: si specializza ) nei ruoli e nelle funzioni più varie. La forma stessa, dunque, è sempre qualcosa di materiale. Quello degli stoici è una forma di monismo: uno solo è il principio della realtà, di ogni realtà, la materia. In relazione alla fisica stoica, l epicureismo ci fornisce un utile contraltare: si tratta, infatti, di dottrine radicalmente opposte. La materia per gli stoici non è qualcosa di inerte, di morto (come, tendenzialmente, la vediamo noi), invece è viva, attiva, compatta (il vuoto, per gli stoici, non esiste!) e divisibile all'infinito. Esiste un unico mondo guidato da una provvidenza divina, provvidenza che crea un destino che gli uomini non possono mutare. Epicuro, come ricorderete, ammetteva infiniti e piccolissimi mattoni, gli atomi, che esistono nel vuoto e che creano le cose unendosi e disfacendosi senza obbedire ad alcuna regola di tipo provvidenziale. Gli stoici invece indicano una materia unica ed infinitamente divisibile, che è in grado di mutare e di determinarsi in modi diversi senza però ammettere né salti né buchi. Gli stoici danno a questa materia numerosi appellativi: physis, fuoco, pneuma, logos... Per spiegare le diversità fra le cose individuali essi non ricorrono a diverse forme, come Platone e Aristotele, ma parlano di un diverso temperamento o diversa tensione dell unico principio materiale-formale. 10

11 7.4 il panteismo stoico 7.5 le ragioni seminali 7.6 il fato stoico e la perfezione del mondo 7.7 la perfetta circolarità del tempo 7.8 la gerarchia dell essere Gli stoici erano d accordo con Platone nel considerare il cosmo come un grande essere vivente, una sorta di organismo orientato verso un fine. Questo cosmo è, di fatto, coincidente con la divinità: ecco che la filosofia degli Stoici ha i caratteri di un panteismo: la divinità sostanzialmente si identifica con il mondo. La materia, che occupa l intero mondo e che non lascia vuoti, è costituita dagli ormai tradizionali quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) e, fra questi, il fuoco è quello da cui gli altri tre derivano. In effetti i cieli sono costituiti non di etere, come voleva Aristotele, ma di fuoco. I principi dell unicità e della stretta unione della materia hanno anche un altra importante conseguenza: il più piccolo e remoto accadimento influenza tutto il mondo. Gli stoici, a partire da questa convinzione, giustificano le credenze astrologiche. Essi riabilitano anche il politeismo tradizionale, identificando questi déi con gli elementi e le forze della natura. Dato che la materia è unica e onnicomprensiva, in che modo da essa si generano e si corrompono i molteplici oggetti dell esperienza? Gli stoici parlano a riguardo di ragioni seminali, le quali costituiscono la struttura (forma) di ogni singolo oggetto, struttura da sempre presente in potenza nella materia (si noti il debito con Aristotele). Tutto ciò che esiste si genera, evolve e si distrugge in accordo con l immutabile destino che governa il mondo, destino che coincide con la provvidenza divina, la quale tutto guida verso un buon fine. Il destino degli stoici, dunque, non ha l accezione pessimistica di cui era intrisa la tradizionale idea greca del fato. Da quanto abbiamo visto, è evidente che per gli stoici ogni pur piccolo avvenimento, data l intrinseca unità del tutto, ha la dignità e l importanza di ciò che discende direttamente dal logos, la divinità. Il continuo mutamento, le infinite trasformazioni che possiamo osservare nel mondo naturale non rendono questo mondo in qualche modo carente (come in effetti era, di fatto, per Platone): esso è, invece, perfetto. Ma come sostenere che, nella mutazione continua, vi è perfezione? Abbiamo visto come assai spesso il divenire, la trasformazione, sia stata vista in termini piuttosto negativi... Zenone propone questa risposta: tutto ciò che accade nel mondo si ripete ciclicamente ed esattamente nello stesso modo! Nasceranno dunque un altro Platone e un altro Aristotele, agiranno e penseranno nella stessa identica maniera e questo vale per tutto e per tutti. In questo modo il mondo anche se, come vediamo, è in continuo divenire acquisisce una sua perfezione e immutabilità. Una sola è la materia, come abbiamo visto: uno solo è il logos. Le sue diverse manifestazioni, però, si possono disporre in scala gerarchica. Si parte dal gradino più basso, quello degli oggetti inanimati, si sale verso gli essere viventi più semplici, le piante, si giunge agli animali e infine, nel punto culminante, vi è l uomo, la più elevata manifestazione e concretizzazione del logos. Per quale motivo gli esseri umani occupano proprio la cima a questa classifica? Solo l uomo, nell insieme di tutto ciò che esiste, possiede il giudizio etico, morale; solo l uomo possiede il pensiero razionale. 11

12 L anima umana, anch essa materiale, è uno pneuma particolarmente sottile e puro. Anche gli stoici ammettono una divisione interna all anima in una parte fisiologica ed in un nucleo che sovrintende alla razionalità e al giudizio morale. 8. LA LOGICA DEGLI STOICI La logica stoica si può dividere in due parti. La prima corrisponde all incirca alla canonica degli epicurei, e si occupa della teoria della conoscenza (gnoseologia); la seconda invece si occupa di analizzare i fondamenti funzionali del ragionamento e del linguaggio e prende qui il nome di dialettica (la logica in senso aristotelico, insomma). 8.1 gnoseologia 8.2 verità, errore ed evidenza 8.3 conoscenza intellettuale Anche gli stoici, proprio come gli epicurei, pongono la sensazione alla base di ogni possibile conoscenza. L oggetto conosciuto lascia una vera e propria impronta sull organo di senso, impronta causata dal contatto materiale, e l'impronta, a sua volta, produce una "impressione psicologica" che gli stoici chiamano fantasia. Ma, dato il continuo divenire del mondo e la palese esistenza di esperienze ingannevoli, come si può distinguere la sensazione vera dalla falsa? Questo problema per noi non è certo nuovo... Gli stoici ritengono che l anima umana, la sua parte intellettuale, dato che deriva dal logos in modo eminente è in grado di distinguere tra le due possibilità, ma vediamo in che modo. Ci sono sensazioni che, a causa della loro stessa evidenza, si impongono come vere, sono le cosiddette rappresentazioni comprensive. Le altre sensazioni, più dubbie e incerte, richiedono invece una sospensione del giudizio, e sono dette rappresentazioni non comprensive. Questa distinzione provocò un aspra polemica. Quale sarebbe il citato criterio di evidenza? Detto con maggior chiarezza: quando possiamo affermare che una certa sensazione è evidente? Per gli stoici è evidente quella sensazione (visiva, uditiva, ecc.) che si riferisce ad un oggetto che, in quel momento, è presente. La presenza dell'oggetto però, di per sé, pare insufficiente: infatti è solo la sensazione che ho di un oggetto (per esempio il fatto che lo vedo qui davanti a me) ad attestare la presenza: quindi la presenza parrebbe logicamente inadatta a dimostrare l affidabilità, l evidenza, della sensazione stessa! C è evidenza, di fatto, quando l impressione psicologica della presenza risulti così forte da costringerci a credere alla verità di quanto la sensazione ci dice. Attenzione: la conoscenza intellettuale non aggiunge nulla a quella sensibile, ma si limita ad organizzare schematicamente le rappresentazioni comprensive. Vi sono, in effetti, delle prolessi, o nozioni comuni, che si sviluppano nell uomo in modo naturale e sin dall infanzia, ma anche queste hanno origine sensibile. Non vi è conoscenza alcuna, dunque, che non parta dai sensi. 12

13 8.4 la tripartizione oggetto concetto parola Come abbiamo avuto modo di vedere, Platone e Aristotele, seppure in modo diverso l uno dall altro, hanno sottolineato la distinzione fra oggetto e concetto (o significato). A questi due termini gli stoici ne aggiungono un terzo. C è infatti: 1. L oggetto materiale 2. Il concetto o significato (riferito a quell oggetto) 3. La parola, scritta o orale, che indica l oggetto. 8.5 l arte del ragionamento La seconda parte della logica stoica, l analisi del ragionamento, è portata avanti soprattutto da Crisippo. Mentre Aristotele si era occupato delle principalmente asserzioni, Crisippo punta l indice sulle proposizioni ipotetiche (frasi del tipo: Se ti fossi impegnato nello studio, allora saresti stato promosso ) e sulle disgiuntive (frasi del tipo Puoi andare o al cinema o in discoteca con gli amici ). Mentre la logica aristotelica aveva nel suo carattere formale la maggior sottolineatura, Crisippo voleva elaborare una logica che fosse maggiormente legata alla realtà dei fatti. Crisippo, dunque, non legava fra loro dei concetti ( uomo e mortale per esempio) per verificarne verità e falsità, ma si concentrava su intere proposizioni (al giorno d oggi una logica come quella stoica prende il nome di logica proposizionale, dove la funzione di soggetto è assegnata non ad un termine ma ad un intera proposizione; la logica aristotelica, invece, prende il nome di logica predicativa) della cui verità e falsità bisogna interrogare l esperienza. Le premesse, dunque, non esprimono più un rapporto tra concetti, ma enunciati su dati di fatto reali. Esempio: se è vero che è giorno allora è vero che c è luce (esperienza) c è luce Dall esempio si capisce chiaramente che le premesse sono valutate in relazione a un dato di fatto esterno: guardo fuori dalla finestra e verifico se effettivamente è giorno L ETICA STOICA Abbiamo già detto di come, anche per gli stoici, l etica sia la parte più importante della filosofia: la sapienza ha il compito fondamentale di rendere felice la vita dell uomo! Anche per gli stoici, come per gli epicurei, la felicità è assenza di turbamenti, atarassia, e di passioni, apatia. La vita pratica è privilegiata rispetto alla 13

14 conoscenza intellettuale, come per gli epicurei, ma gli stoici ritengono di dover fondare questa vita proprio sulla retta conoscenza, diversamente da Epicuro. 9.1 in cosa consiste la felicità per l uomo? Epicuro identificava la felicità con il piacere individuale. Certo, bisogna poi, caso per caso, vedere in che cosa consistano tali piaceri, ma alla fine ognuno decide per se stesso, pur scartando a priori i più bassi godimenti materiali. Questa impostazione per gli stoici non funziona. Prima di sapere che cosa veramente costituisca la vera felicità dell uomo, bisogna indagare a fondo la natura umana e comprenderla appieno... Partiamo da una cosa evidente: tutte le creature tendono alla propria conservazione, ovvero a realizzare in pieno le proprie peculiari inclinazioni. Se il seguire la naturale inclinazione per Epicuro poteva direttamente coincidere con il piacere, per gli stoici non è così. Basta, del resto, osservare gli animali: si vede che molti di essi sono disposti persino a perdere la vita pur di salvare la propria prole. Oppure si pensi a un bambino: quanti sforzi compie, sforzi certo non orientati al semplice piacere, per imparare a camminare! Ma qual è l inclinazione propria dell uomo? È il logos o, per dir meglio, l obbedienza ad esso. Vivere in accordo con il logos non vuol dire isolarsi nel privato, ricercando una felicità individuale, ma, al contrario, bisogna cercare una vita comunitaria e armoniosa. 9.2 la giustizia 9.2 la perfetta azione morale La giustizia e la virtù non sono affatto convenzioni, come con Epicuro, ma derivano direttamente dal logos che è in noi. L uomo è per natura animale sociale e, sempre per natura, deve perseguire gli ideali di giustizia e di rispetto reciproco. Solo il saggio conosce la natura dell uomo, ovvero il logos, e solo questi sa che seguire il logos, la virtù, rende felici. Lo stoico agisce per obbedire al logos e, di conseguenza, è felice. L epicureo, invece, se obbedisce al logos è perché sa che non facendolo ne ricaverebbe infelicità. Possiamo dire che alla base dell agire dell epicureo non c è un saldo principio morale, ma solo l individuale ricerca del piacere. Per gli stoici, come per Socrate e Platone, l azione per essere morale deve essere governata da una ragione più alta e certa. In questa prospettiva, per gli stoici la felicità stessa passa in secondo piano, perché la sottolineatura maggiore sta sul conformarsi al logos, dunque sulla virtù in sé e per sé. È così che è morale, virtuoso, quel comportamento dettato dal logos e che non ha alcun secondo fine, per esempio la riconoscenza di qualcuno. Di fatto solo il saggio può realizzare un KATHORTOMA, l azione perfettamente morale, perché solo lui si lascia completamente guidare dal logos. Non c è l eudamonia socratica, ma altri punti comuni: la virtù è una sola, e la virtù è conoscenza; il saggio non ha precetti morali: conoscendo il logos sa sempre cosa deve fare; il malvagio invece è ignorante, e dunque agisce male. Va anche detto che, al di fuori di tutte quelle situazioni che richiedono una scelta morale, bene e male non esistono. Gli oggetti, per esempio, non sono di per se stessi né bene né male, ma indifferenti. Anche cose come la bellezza o la bruttezza, la ricchezza o la povertà, la salute e la malattia sono indifferenti 14

15 proprio perché non prevedono una scelta morale (questo contro quanto aveva affermato Aristotele). 9.3 attenuazione del rigorismo 9.3 il problema della libertà 9.4 un tentativo di rassicurazione 9.5 gli impulsi non razionali Questo così ferreo rigorismo, come non è difficile comprendere, avrebbe impedito allo stoicismo di avere la grande diffusione che di fatto poi ebbe: quante persone riescono davvero ad agire senza essere guidate da fini personali? Ecco che molti stoici decisero di provare ad attenuare il loro rigore morale, in modo da far apparire la loro dottrina più praticabile e, quindi, attraente. Il saggio che compie i KATHORTOMA viene presentato come una figura limite, ideale, e anche le cose indifferenti lo sono solo dal punto di vista morale. In effetti, anche il saggio preferirà essere bello e ricco che non brutto e povero. In questo senso vi sono anche azioni che risultano CONVENIENTI, perché migliorano le condizioni di ordine sociale o individuale. Queste azioni non sono dei KATHORTOMA, ma è giusto e doveroso compierle. Da quanto detto, capiamo che l etica stoica si fonda sul libero arbitrio, sulla libera scelta di chi compie l azione virtuosa. Ma come accordare questo libero arbitrio con il destino incoercibile e la teoria della ripetizione ciclica? È Crisippo, più di tutti, che si occupa di tali questioni. Per provare a risolvere il problema egli individua delle CAUSE REMOTE, o meccaniche, e delle CAUSE PROSSIME. Facciamo un esempio: alcune delle cause per le quali io posso alzarmi dal letto la mattina come il fatto di non essere malato o infermo, il fatto di avere gambe che funzionano a dovere, ecc. non dipendono da me, ma dal destino: sono cause remote, nel senso che sono lontane dal mio controllo. Il fatto poi di alzarmi effettivamente, una volta che le cause remote me lo consentono, dipende da me, dalla mia volontà di farlo: queste sono le cause prossime. Altro esempio: un pallone ha in se stesso, nella sua sfericità, la causa remota del suo poter rotolare. Ma perché questo avvenga di fatto esso deve essere spinto giù per la china. Nella vita dell uomo ci sono cose, lo si vede chiaramente, che spesso non vanno secondo i nostri desideri e aspirazioni, nonostante tutti i nostri sforzi. Gli stoici vedono bene come questo possa turbare l animo, ma rassicurano: il destino non ha nulla di arbitrario o crudele, ma è regolato secondo un ordine provvidenziale! Per tutto ciò che non è alla portata della nostra influenza, dunque, possiamo tranquillamente affidarci alla provvidenza. In effetti l uomo è libero non tanto nel senso che può scegliere fra bene e male, ma è tanto più libero quanto maggiormente accetta il primato del logos e quindi l agire retto e morale. È come se fossimo legati ad un carro: un conto è seguirlo controvoglia, un conto è assecondarne il movimento. Questa seconda è l opzione degli stoici. Nel mondo greco erano riconosciuti anche impulsi irrazionali interni all uomo, come ad esempio l ira, che ne limitano la libertà di scelta. Gli stoici non se la sentono di negare tali impulsi, seppure non vogliono 15

16 ammettere l esistenza dell irrazionalità nell uomo. Essi allora dicono che tali passioni sono generate da un assenso eccessivo e frettoloso a rappresentazioni di particolare violenza, come ad esempio il vedere qualcuno che fa del male a un proprio amico. Compito del saggio sarà allora rafforzare la sua visione del logos, in modo da rimanere imperturbato anche davanti agli avvenimenti più gravi. Persino la morte deve essere vista con sereno distacco e, anzi, alcune testimonianze affermano (non sappiamo se la cosa sia vera) che lo stesso Zenone si suicidò quando ebbe l impressione che fosse giunta la sua ora. La storia romana, come sapete, è ricca di personaggi che si tolgono la vita con stoica tranquillità la vita sociale Come ultima cosa, va sottolineata la grandissima importanza che viene data alla partecipazione alla vita politica e civile. Gli stoici rifiutano l idea epicurea (e di alcuni socratici minori) secondo cui si debba cercare una felicità privata, o al massimo con alcuni amici. Essi, infatti, ritengono che la legge sia diretta emanazione del logos: le leggi sono insite nella natura stessa e per questo è compito del saggio fare in modo che queste emergano e vengano rispettate, solo così il mondo sarà più civile e vicino alla razionalità del logos. Lo stoico, proprio perché conosce il logos e se ne lascia governare, deve consigliare i governanti o governare lui stesso. Nei primi stoici questo rimase un ideale irrealizzato, ma in figure come Marco Aurelio la figura dello stoico politico si realizzò in pieno. È assai importante ricordare anche che la visione politica degli stoici aveva ormai superato il limitato orizzonte della polis. Tutti gli uomini, per loro, formano un unica società governata da un unico principio. BREVE BIBLIOGRAFIA (ordine sparso) Nicola Abbagnano / Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella storia (vol.1), Paravia, Torino 1986 Sergio Moravia, Filosofia (vol.1), Le Monnier, Milano 1989 Carlo Sini / Mauro Mocchi, Leggere i filosofi, Principato, Milano 2003 Domenico Pesce, Introduzione a Epicuro, Laterza, Bari 1981 Margherita Isnardi Parente, Introduzione allo Stoicismo ellenistico, Laterza, Bari

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