UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PARMA
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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PARMA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN TRADE MARKETING E STRATEGIE COMMERCIALI LA MARCA COMMERCIALE NEI PRODOTTI FRESCHI A PESO IMPOSTO Relatore: Chiar.mo Prof. Daniele Fornari Laureanda: GIUSI SCARPINO ANNO ACCADEMICO 2010/2011
2 Introduzione Questo lavoro ha l obiettivo di comprendere se le odierne tendenze che stanno portando ad una crescita della marca commerciale si rafforzeranno nei prossimi anni. Cercando di capire se le strade intraprese oggi dai retailer della distribuzione italiana li porteranno a crescere. In particolar modo se il mercato dei prodotti freschi a peso imposto (carne, ortofrutta, salumi, formaggi, pasta fresca) è capace di trainare la crescita e rafforzare la store loyalty dei consumatori e la brand store loyalty. Nel primo capitolo si delinea il quadro odierno, in quanto la generale stasi dei consumi registrata durante gli ultimi anni sta dando una spinta alla penetrazione dei prodotti che portano il nome della catena distributiva o del supermercato che li commercializza, le cosiddette private label. Come evidenziato nell ultimo rapporto di Symphony Iri dedicato al tema, il trend che da anni si registra in Spagna, Germania e Regno Unito sta prendendo piede anche in Italia, con ampi margini di crescita. Viene cosi delineato il livello di crescita della private label nelle varie categorie di prodotti. Nel secondo capitolo si riassumono brevemente i fondamenti teorici alla base dell analisi del comportamento di consumo e acquisto e le dimensioni che li caratterizzano. Si delineano i cambiamenti che sono avvenuti nel corso degli anni sia per cause congiunturali ma anche strutturali. Dopodiché si è cercato di delineare il comportamento d acquisto del consumatore di private label. Nel terzo capitolo si identificano i potenziali di sviluppo per i retailer italiani che investono sulla private label, gli obiettivi perseguiti da quest ultima, ma anche il ciclo di vita che la caratterizza e le diverse tipologie adottabili. Si analizzano le leve a loro disposizione, quali, l assortimento, il prezzo, le promozioni, la comunicazione in ed out of store ed il visual merchandising. Infine viene presentato un breve quadro delle tre insegne su cui è stata basata la ricerca presentata nel quarto capitolo e sono, Conad, Coop ed Esselunga. Di cui si individuano i tassi di crescita degli ultimi anni nonché le diverse tipologie di private label proposte nelle varie categorie di prodotti. Nel quarto e ultimo capitolo viene presentata una ricerca che indaga sul comportamento di consumo e acquisto di prodotti freschi a peso imposto a marca commerciale da parte dei consumatori delle tre insegne sopra citate, Si è cercato di indagare sul comportamento nei confronti di Carne, Ortofrutta, Salumi, Formaggi, Pasta fresca. La ricerca è stata condotta attraverso un intervista diretta ad un campione di centocinquanta consumatori, cinquanta per il supermercato Conad di viale Piacenza a Parma, cinquanta per il supermercato Coop di via Gramsci e cinquanta per il superstore Esselunga di via Emilia Est sempre a Parma. 6
3 Sono stati poi identificati quattro profili di shopper che acquistano prodotti a private label e sono state poi esplicitate le possibili implicazioni per la distribuzione e l industria. Segue una conclusione dove vengono esplicitati i punti più significativi di questo lavoro. 7
4 Capitolo 1 La marca commerciale Nei sistemi distributivi più evoluti del largo consumo si assiste ad una crescente accentuazione della competizione basata sul prezzo. Infatti i Paradigmi del pricing distributivo che sembravano convincere fino a poco tempo fa oggi sono fortemente in crisi e ciò ha spinto le grandi insegne a promuovere strategie fondate sulla differenziazione. Le imprese distributive che hanno raggiunto un vantaggio competitivo sono state quelle capaci di creare valore sull insegna attivandosi su diversi fronti, attraverso un processo di qualificazione dei valori e dei principi identificativi del gruppo, ma anche a livello di canale/formato manovrando le diverse leve di retail mix, in primis l assortimento, ma anche la gestione dello spazio espositivo, il pricing, la promozioni, i servizi erogati in punto vendita. Il risultato finale di un azione strategica che attivi tutte le leve sopra citate ha portato in molti casi la creazione di una identità d insegna fortemente riconosciuta dalla domanda finale. Infatti mediante il richiamo costante ai fattori segnaletici dell insegna, le catene sono state in grado di sviluppare fiducia nel consumatore, elemento importante per la crescita del livello di fedeltà dello stesso. In tale contesto la Marca Privata ha rappresentato la leva di retail mix che maggiormente ha contribuito a rafforzare il valore dell insegna, svolgendo un ruolo centrale nell ambito delle strategie di differenziazione (Lugli 2005). 1.1 Lo sviluppo della MC in Italia Di recente anche in Italia si è raggiunto un forte sviluppo delle marche commerciali ovvero le cosiddette private label. Si tratta dei prodotti a marchio proprio e con l'etichetta che ha un riferimento di fantasia e non il nome originale del prodotto o dell azienda produttrice (vale anche per il vino, per la birra, per alcuni distillati e per il food). Esistono poi etichette di prodotti che riportano esattamente, e ben visibile, nome e logo dell azienda distributrice. Si realizza, dopo molti anni di battaglie tra produzione e distribuzione, un mutamento nei rapporti di forza. Oggi a tenere la barra del potere, e quindi la forza di imporre anche proprie regole e spesso anche i prezzi, sono le grandi aziende distributrici. Agli inizi erano le grandi realtà produttrici, specie quelle con un passato glorioso in quanto a nome oltre che penetrazione sul mercato e fiducia del consumatore, a dettare le proprie regole. I consumatori, spesso ignari, si trovano di fronte un prodotto con un nome di fantasia, creato dalla stessa azienda, per disporre di alcune referenze altamente competitive. Ci sono grandi aziende birrarie (ad esempio) che producono per conto di alcune catene della distribuzione 8
5 (sia Cash and Carry sia GDO) alcune tipologie di birra identica ad alcune referenze ma alla quale danno un nome di fantasia che non lascia scoprire le origini vere del contenuto. Salvo non essere esperti e indagatori. Questo problema ha interessato anche l Italia, pur se con un po di ritardo, infatti l introduzione delle marche commerciali inizialmente è stata realizzata dalle imprese con l obiettivo di determinare un incremento nel margine lordo medio dell assortimento. I prodotti di marca commerciale, infatti, non sono sottoposti alla stessa aggressiva concorrenza di prezzo cui sono costretti i prodotti di marca industriale, specialmente quando appartengono alle imprese leader di mercato. I secondi, dato l elevato livello di notorietà dei loro marchi presso i consumatori, assicurano quindi margini ridotti (in percentuale) per le aziende commerciali, ma hanno prezzi elevati al consumo, dovuti principalmente ai costi sostenuti per l innovazione, la differenziazione (ricerca e sviluppo, comunicazione) e la commercializzazione del prodotto. Dall obiettivo iniziale di equilibrare i margini dell assortimento, le aziende commerciali sono passate però alla ricerca delle opportunità di marketing insite nello sviluppo delle marche commerciali. Queste sono state tradizionalmente utilizzate per prodotti di basso prezzo e spesso di qualità non elevata, come i prodotti generici nel settore grocery. La tendenza è però ormai da qualche tempo rivolta a prodotti di migliore qualità e prezzo più alto, sostenuti da una struttura operativa di marketing più agguerrita. Le imprese tendono a passare dai marchi industriali in esclusiva ai marchi di fantasia che non identificano il distributore, poi a quelli che lo identificano, ai prodotti bandiera ed infine ai marchi insegna, cioè ai prodotti che hanno la stessa marca dell insegna (Pellegrini 1994). A mano a mano che progrediscono e sperimentano queste diverse tipologie aumentano la loro padronanza del marchio, l identificazione del prodotto con l azienda e l insegna e il potenziale di differenziazione dell offerta. Questi prodotti instaurano un diverso rapporto fra industria e commercio, nel quale il secondo svolge un ruolo di marketing autonomo. L impresa commerciale individua i prodotti di cui ha bisogno, in funzione del suo posizionamento di mercato, e ne prescrive la produzione ai fornitori da lei 9
6 scelti, garantendo essa stessa al consumatore la qualità del prodotto venduto. Si tratta, in effetti, di un rovesciamento dei rapporti tradizionali fra industria e distribuzione, in seguito al quale la leadership nel canale è assunta dall impresa commerciale. In questo modo, infatti, essa stabilisce un rapporto con i clienti diretto e non più intermediato dalla marca industriale e dispone di un offerta confrontabile con quella dei concorrenti sul piano merceologico, ma non su quello della marca, che è diversa ed esclusiva. Quest ultima favorisce quindi lo sviluppo di una fedeltà all insegna e non alla marca del produttore e di conseguenza consente all azienda commerciale di conquistare un maggior potere di mercato nei confronti sia delle aziende di produzione sia di quelle commerciali con cui è in concorrenza. I prodotti a marca commerciale sono diffusi in misura differente nei diversi paesi europei, nei diversi settori merceologici e nelle diverse forme distributive. Il loro grado di penetrazione è, infatti, collegato alla dimensione delle imprese commerciali, quindi alla loro concentrazione in rapporto con quella delle aziende industriali. Per comprendere il ruolo odierno della private label nelle strategie dei retailer bisogna richiamare gli elementi che hanno determinato il suo sviluppo nel tempo. Lo sviluppo della marca commerciale in Italia è strettamente correlato allo sviluppo della distribuzione, la cui modernizzazione è legata ad un importante industriale italiano, Luigi Bocconi che fondò l attuale Rinascente. Fu proprio questa che ebbe esperienze di marca commerciale nel no food prima e successivamente anche nel food con nomi di fantasia originali. La seguirono le Coop che hanno presentato nella categoria delle conserve il marchio soldoro, SMA il marchi Re Verde e Conad il marchio Sabrina. Tra le unioni volontarie la 10
7 prima ad inserirsi in questo mercato fu VèGè con una serie di marchi. A metà del XXesimo secolo le marche commerciali avrebbero potuto affermarsi ma cosi non fu per tre motivi. Per l arretratezza delle forme distributive italiane, per l eccessiva presenza di marchi di fantasia e per la tendenza verso prodotti di basso prezzo e di qualità scadente. Solo a fine anni 70 inizio anni 80 in Italia si apre una nuova fase, con un riordino dei prodotti e uno sviluppo dei marchi bandiera. Si comincia dunque ad abbandonare la politica dei generics e dei marchi di fantasia a basso prezzo e si tende verso il prodotto marchio insegna, di qualità medio-alta, nel tentativo di trasferire la fedeltà del consumatore dalla marca all insegna. Viene cosi ridotto il numero di referenze, abbandonando quelle che non sono di prima necessità e in cui la marca pubblicizzata risulta vincente. Negli anni 90 però l attenzione si concentrava sulla crescita dimensionale delle insegne. Erano scarse le valutazioni circa i risultati che le private label erano in grado di generare, ma ancora più scarso era il confronto sul ruolo che la marca privata avrebbe potuto e dovuto svolgere nell assortimento di un distributore. In quegli anno sono presenti con prodotti a marca commerciale sei imprese della GD, Esselunga, Giesse, Pam, SMA, Standa e Coop Italia, sei unioni volotarie, A&O, Selex, Despar Italia, Gea, Gigad, Italmec e VèGè, e sei gruppi d acqusito, Conad, Crai, Conitcoop, Sigma, Sisa e Sun. Alla fine degli anni 90 e con l inizio del XXIesimo secolo la situazione è cambiata, nel giro di pochi anni si è assistito a un crescente interesse degli operatori per la marca privata, coinvolgendo sia l industria, che ha aumentato il proprio orientamento verso il fenomeno private label sia la distribuzione. Sia gli operatori nazionali sia quelli posti sotto il controllo di gruppi stranieri presentano, ormai, sui propri scaffali gamme di marche proprie molto ampie, con diverse collocazioni nella scala prezzi e con posizionamenti differenziati, volti a soddisfare i diversi segmenti di domanda. Oggi anche in Italia, anche se con ritmi diversi, si sta assistendo a quel fenomeno evolutivo che posiziona il ruolo della marca privata come fulcro della politica del distributore. Nel 2006 il mercato delle private label in Europa valeva circa 300 miliardi di euro fino a raggiungere nel 11
8 miliardi, superando quindi quota 25% del mercato grocery. Nel mercato italiano ad inizio 2011 la quota è intorno ai 16 punti percentuali, ancora ben distante dai 38 punti della Spagna, ai 32 della Germania, al 32 del Regno Unito e al 27 della Francia. Nell ambito del contesto internazionale il mercato distributivo Italiano presenta un evidente ritardo nelle dinamiche di consolidamento della marca commerciale. I vincoli al suo sviluppo sono molti e riguardano sia la struttura del sistema distributivo, sia le condotte delle imprese operanti sul mercato. Per quanto riguarda la struttura distributiva, negli ultimi trentacinque anni il mercato italiano ha vissuto una progressiva modernizzazione che si è concretizzata in una riduzione della numerosità dei punti vendita e in un aumento del peso della distribuzione moderna rispetto a quella tradizionale. Nonostante ciò il processo di industrializzazione del commercio presenta alcune criticità quali: il numero di punti vendita marginali è ancora molto elevato, il peso della distribuzione tradizionale è ancora tale da generare più del 20% del giro d affari complessivo, il livello di concentrazione degli operatori del canale moderno è ancora modesto rispetto alla media europea e inoltre l internazionalizzazione è ancora nello stadio iniziale. Dunque lo sviluppo della private label è stato sfavorito dalla lentezza dell evoluzione del sistema distributivo provocata sia dalla presenza di condizioni geografiche ed infrastrutturali sfavorevoli, sia dalla presenza di vincoli legislativi/normativi alla diffusione delle grandi superfici di vendita. Con riferimento invece alle condotte delle imprese, la crescita della private label in Italia è stata condizionata dalla consistente presenza della distribuzione organizzata con una quota di mercato che supera il 40%. Questi gruppi si caratterizzano per una minore propensione all impiego della marca commerciale come leva strategica di sviluppo, Inoltre la ridotta efficacia del branding distributivo dipende dalla mancata unitarietà della proposta a livello di insegna e di formato distributivo. Tuttavia questi elementi negativi si stanno ridimensionando tanto che nei primi anni 2000 rispetto a quello che succedeva negli anni 80 e 90 la marca insegna è cresciuta a ritmi sostenuti e raddoppiati. Questa tendenza è ancora più importante se si considera che le vendite a rete complessiva hanno registrato una flessione e le crescita a parità di rete è stata inesistente. Si evidenzia una maturità dei mercati dove la marca commerciale rappresenta una leva di competizione tra insegne per la conquista di quote di mercato in un momento di stagnazione come quello odierno. In definitiva i fenomeni che hanno caratterizzato il settore distributivo italiano nell ultimo decennio sono stati quattro: una progressione nel processo di modernizzazione della rete di vendita al dettaglio e all ingrosso che ha subito un accelerazione di recente; 12
9 una crescente concentrazione distributiva sia negli acquisti che nelle vendite, derivante anche dall entrata nel mercato italiano di operatori esteri in primis Carrefour, Auchan e Gruppo Rewe; un rallentamento nel trend di sviluppo delle vendite a valore dei prodotti di largo consumo realizzate dalla distribuzione moderna in alcune aree territoriali, prime tra tutti il Nord Ovest e il Nord est del paese; Infine una crescente segmentazione della rete di vendita in store formats mirati a determinati cluster di clientela e un parallelo incremento della pressione promozionale nelle grandi superfici. Segnalati i fenomeni che hanno connotato l evoluzione dell offerta nel corso degli ultimi anni, si possono ora citare velocemente alcune tendenze che riguardano il comportamento del consumatore finale che verranno riprese successivamente. Le richieste più evidenti sono: la convenienza, elemento che ha connotato i comportamenti di acquisto di una parte consistente della domanda. I motivi di questo ritorno al prezzo come variabile fondamentale di scelta sono di diverso genere ma tutti rimandano alla richiesta di una vantaggio economico nell acquisto. Ciò ha condotto la distribuzione a ridurre il prezzo complessivo dell offerta nel corso degli ultimi anni. Comportamento Value for Money a parte del consumatore, si ricerca un equilibrio tra qualità e prezzo, e dove il consumatore non è più disposto ad acquistare in nessuna categoria prodotti connotati dalla sola convenienza, senza garanzie di qualità. Ricerca di prodotti innovativi, il consumatore infatti premi i prodotti con componenti di servizio maggiori. Vengo sempre più ricercati prodotti innovativi, in grado di fornire vantaggi concreti sotto il profilo del risparmio di tempo, della facilità d uso, della migliore conservabilità, delle modalità di utilizzo. Sicurezza e genuinità, il consumatore chiede sempre più spesso al distributore di garantire la naturalità dei prodotti venduti. Questo anche perché quasi la metà della spesa effettuata nel grocery ha come riferimento i prodotti freschi e freschissimi. Pertanto la sfida più grande gli attori della filiera la stanno giocando sulla sicurezza e sulla garanzia dell offerta da proporre al consumatore che non concede deroghe su questi fronti (Cristini 2006). 13
10 1.2 L attuale livello di diffusione di private label in Italia La generale stasi dei consumi registrata durante gli ultimi anni sta dando una spinta alla penetrazione dei prodotti di marca commerciale che portano il nome della catena distributiva o del supermercato che li commercializza. Esselunga, Coop, Conad, Sidis, Lidl, Sma, Auchan sono solo alcune delle marche commerciali più note. E ormai consuetudine trovare nel carrello della spesa dei consumatori italiani prodotti a marchio commerciale. Il trend che da anni si registra in altri paesi, quali Regno Unito, Spagna e Germania, sta prendendo piede anche nel nostro paese. E possibile ipotizzare che nel corso dei prossimi 5/7 anni la marca commerciale raggiunga anche in Italia una quota del 25% avvicinandosi a quella di altri paesi Europei. Lo scorso anno le private label nelle catene della GDO hanno raggiunto una quota di vendite pari al 16,4%, cioè il 6,3 % in più in valore rispetto al In particolare è stato registrato un aumento del valore degli acquisti pari ad un +30% del segmento premium. 14
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