Rivelatore bolometrico a doppia lettura luce-calore

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1 Università degli Studi di Milano - Bicocca FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea triennale in Fisica Elaborato finale Rivelatore bolometrico a doppia lettura luce-calore Candidato: Giacomo Borghi Matricola Relatore: Dott.sa Maura Pavan Correlatore: Dott. Stefano Pirro Anno Accademico

2 Indice I Accenni teorici e setup rivelatore 3 1 I bolometri scintillanti Introduzione Il decadimento Doppio Beta senza Neutrini (ββ0ν) I problemi aperti nella fisica dei neutrini Cause e fenomenologia del decadimento Doppio Beta La sensibilità (F) dei bolometri per il ββ0ν Principi generali di funzionamento dei bolometri Proprietà termiche dell assorbitore Risoluzione teorica dei bolometri I sensori di temperatura: i termistori di Ge I bolometri scintillanti I cristalli scintillanti I sensori di luce Il rivelatore dell esperimento Setup sperimentale Montaggio Acquisizione e analisi dati Costruzione delle n-uple Stabilizzazione delle misure Ottimizzazione del rivelatore Le curve di carico Determinazione del punto ottimo di lavoro II Analisi dati 29 3 Analisi preliminare delle misure Misure svolte Produzione delle n-uple e selezione dei segnali Discriminazione tra segnali α e γ/β e analisi dello scatter plot 33 1

3 INDICE 2 4 Studio del canale termico - Spettro α 37 Riconoscimento delle righe e calibrazione Catena del 232 T h: Catena del 238 U: Catena del 235 U: Righe rimanenti: Risoluzione Studio del canale termico - Spettro β 52 Riconoscimento delle righe e calibrazione Linearità e risoluzione Studio del canale di luce Calibrazione assoluta con il 55 F e A Catene radioattive naturali 67 Bibliografia 70

4 Parte I Accenni teorici e setup rivelatore 3

5 Capitolo 1 I bolometri scintillanti 1.1 Introduzione I bolometri scintillanti sono un particolare tipo di rivelatore di particelle a doppia lettura di luce e di calore. La luce è prodotta a seguito della scintillazione del cristallo con cui il bolometro è costruito e la resa di luce è diversa per i differenti tipi di particella (n, α, β, γ). Il segnale termico invece è prodotto a seguito della conversione in calore della parte dell energia rilasciata dalla particella nel cristallo che non è stata convertita in luce. Questi rivelatori, grazie alla ottima risoluzione delle misure bolometriche, consentono una misura molto accurata della energia degli eventi e danno la possiblità di separarli in diverse categorie in base alla resa di luce. In questo modo, ad esempio, si possono chiaramente distinguere i segnali causati da α da quelli dovuti a β o γ. L uso di questo particolare tipo di rivelatore venne proposto nel 1989 per la ricerca dei neutrini solari [1]. La prima misura con doppia risposta luce/calore venne invece fatta nel 1992 dalla collaborazione CUORE [2, 3] che si occupava dello sviluppo di un rivelatore per la ricerca del decadimeto doppio beta senza neutrini (ββ0ν). In questo esperimento vennero utilizzati un fotodiodo di silicio per la lettura del segnale luminoso e un cristallo di CaF 2 come bolometro. L idea venne però abbandonata a causa della difficoltà incontrate nello sviluppo di questi rivelatori per lo scopo preposto, in particolare a causa della eccessiva contaminazione dei cristalli e della bassa abbondanza dell isotopo oggetto di studio. Questa tecnica venne però ripresa dalla collaborazione CRESST, che elaborò l idea di utilizzare un secondo bolometro come lettore di luce. Questa collaborazione, che si occupa della ricerca della materia oscura, fece i primi test di ricerca e sviluppo nel 1999 [4] ed eseguì le prime misure con due moduli prototipo del rivelatore definitivo nel 2004 [5]. Ognuno di questi moduli è formato da due rivelatori: un bolometro scintillante, avente come assorbitore un cristallo cilindrico di CaW O 4 dal peso di circa 300 g, e un 4

6 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 5 secondo bolometro avente funzione di lettore di luce, formato da un sottile wafer di silicio. Entrambi i bolometri hanno come sensore di temperatura dei termometri a transizione superconduttiva, realizzati con un sottile strato di tungsteno depositato sui cristalli. Attualmente la collaborazione sta portando avanti un upgrade del rivelatore per arrivare ad avere 33 moduli operanti con una massa di misura di 10 kg [6, 7]. In questo esperimento si ha come l obiettivo di osservare l interazione del rivelatore con delle WIMP, delle particelle teoriche candidate a formare parte della materia oscura. Questa interazione è prevista sotto forma di uno scattering elastico con un nucleo e la rivelazione di questo evento dovrebbe avvenire tramite la misura dell energia di rinculo del nucleo bersaglio. Per il tungsteno l energia attesa è pari a 40 kev. Il vantaggio della doppia lettura in questo tipo di esperimento consiste nella possibilità di distingere gli eventi β e γ a bassa energia dai rinculi nucleari, poiché i primi hanno una resa di luce molto maggiore. Grazie a questo riconoscimento è quindi possibile sottrarre gli eventi che non interessano (β, γ) dallo spettro misurato ed ottenere un background sensibilmente ridotto, in modo da rendere il rivelatore molto più sensibile. Le proprietà di questi rivelatori li rendono particolarmente interessanti anche per altri tipi di esperimenti per la ricerca di eventi rari, tra i quali quelli dedicati al Doppio Decadimento Beta senza neutrini (ββ0ν). In questo ambito la collaborazione BOLUX si sta dedicando da alcuni anni allo sviluppo di cristalli scintillanti composti da elementi candidati a questo tipo di decadimento [8, 9]. Questi rivelatori in primo luogo avrebbero un utilzzo diagnostico. Potrebbero infatti essere usati per lo studio del fondo ottenuto dai precedenti esperimenti bolometrici impegnati in questo tipo di ricerca, per il quale restano ancora dei punti da chiarire. Si consideri ad esempio il più sensibile fino ad ora realizzato, ovvero CUORICINO, che era dedicato alla ricerca del decadimento ββ0ν del 130 T e (Q-valore: 2528 kev ). In questo esperimento si utilizzava un rivelatore modulare composto da bolometri con cristalli assorbitori di T eo 2. I risultati con esso ottenuti mostravano nella zona del ββ0ν un fondo praticamente continuo e costante. Si è stimato che esso fosse dovuto per il 70% al contributo di particelle α degradate (attribuite a contaminazioni superficiali dei materiali) e per il 30% a radiazione γ naturale. Anche ad energie superiori (> 3 MeV ) è stato misurato un fondo costante, che è stato attribuito esclusivamente alle α degradate. L uso di bolometri scintillanti nell investigazione del fondo a queste regioni energetiche permetterebbe una verifica definitiva delle ipotesi fatte, grazie alla possibilità di riconoscere il tipo di evento osservato. In secondo luogo essi potrebbero formare una seconda generazione di esperimenti bolometrici caratterizzati dalla presenza di un sistema attivo di

7 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 6 discriminazione dei segnali dovuti ad α, che potrebbero essere riconosciuti ed eliminati. Questa caratteristica, se venisse applicata allo studio di un isotopo avente Q-valore del decadimento maggiore della più intensa riga naturale γ di alta energia (2615 kev), permetterebbe di puntare ad esperimenti a fondo virtualmente nullo, una condizione ideale per lo studio del ββ0ν. Questo permetterebbe di migliorare significativamente la sensibilità rispetto agli attuali esperimenti. 1.2 Il decadimento Doppio Beta senza Neutrini (ββ0ν) I problemi aperti nella fisica dei neutrini Attualmente lo studio delle particelle e delle interzioni fondamentali si basa sul Modello Standard (MS), sviluppato da Weinberg, Glashow e Salam a partire da metà degli anni 60. Esso, oltre a dare una spiegazione organica dei fenomeni allora conosciuti, nel corso degli anni si è dimostrato estremamente solido rispetto a qualunque verifica sperimentale delle previsioni da esso derivate. Questo modello però, oltre a non essere teoricamente soddisfacente in alcuni dei suoi aspetti (come ad esempio l elevato numero di parametri liberi), si è dimostrato almeno in parte inesatto quando nell ultimo decennio sono state sperimentalmente osservate le oscillazioni dei neutrini. Questi infatti nel MS sono descritti come particelle di massa nulla, quindi di Dirac, mentre l osservazione delle loro oscillazioni non è conciliabile con l assunzione m ν = 0. Infatti questo fenomeno viene spiegato teoricamente ipotizzando che gli autostati di sapore, ovvero gli autostati attraverso cui interagiscono i neutrini, si possano descrivere come sovrapposizione di autostati di massa: ( ) ν α = i U αi ν i = ν i = α U iα ν α dove ν α sono gli autostati di sapore (α = e, µ, τ), ν i sono gli autostati di massa (i = 1, 2, 3) e U iα è la matrice di Pontecorvo-Maki-Nakagawa-Sakata (o matrice di mixing dei neutrini). La propagazione degli autostati di massa può essere descritta sotto forma di onde piane ν i (t) = e i(e it p i x ) ν i (0) = ν i (L) = e im2 i L/2E ν i (0) (1.1) dove la seconda espressione si ottiene in approssimazione ultrarelativistica e supponendo m i 0.

8 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 7 Come si vede nella formula 1.1 il termine esponenziale che descrive la propagazione nello spazio dei singoli ν i è dipendente dalla massa m i. Supponendo che le m i dei diversi autostati siano differenti tra loro, si può dimostrare che gli autostati di massa durante la propagazione variano la fase reciproca tra di loro. Quindi, anche se la loro sovrapposizione iniziale può essere osservata come un unico autostato di sapore, mentre propagano esiste una possibilità non nulla di osservare un neutrino di sapore differente. Secondo questo modello le oscillazioni dei neutrini dimostrano che esistono almeno tre diversi autostati di massa, che questi non corrispondono agli autostati di sapore e che almeno due di questi hanno m ν 0. Il problema è che gli esperimenti su questo fenomeno risultano sensibili solamente alla differenza di massa tra i diversi ν i. La loro massa assoluta invece, il cui valore riveste grande importanza anche in altre branche della fisica (in particolare l astrofisica), risulta a tutt oggi sconosciuta. Negli ultimi anni si è quindi reso necessario ideare degli esperimenti che permettessero di misurare le masse assolute m i, o almeno di stabilire per esse un limite superiore. Tra di essi quelli che si prospettano più sensibili sono o quelli basati su una misura diretta della massa, fattibile attraverso lo studio degli spettri dei decadimenti β, oppure, come verrà spiegato in seguito (sezione 1.2.2), quelli dedicati alla ricerca del Decadimento Doppio Beta senza neutrini. Un altra questione fondamentale che resta ancora aperta nella fisica dei neutrini riguarda la loro natura, ovvero se essi siano distinti o meno delle loro antiparticelle. Gli altri leptoni descritti dal MS sono infatti dotati di carica: la descrizione delle rispettive antiparticelle si ottiene quindi dal medesimo campo che descrive le particelle eseguenza una coniugazione di carica e le une si distinguono dalle altre grazie alla diversa interazione con il campo e.m. Ma poiché i neutrini sono descritti da un campo a carica nulla, non è chiaro se ad essi corrispondano o meno delle antiparticelle. Se si considera un neutrino con elicità sinistrorsa ν L, poiché può essere dato per appurato che queste particelle abbiano massa, esisterà sempre un boost di Lorentz che permetterà di osservalo con elicità opposta, ottenendo in questo modo un neutrino destrorso ν R. Applicando una trasformazione CPT al campo che descrive il neutrino ν L invece si troverà la rispettiva antiparticella con elicità opposta, cioè ν R. La questione che attualmente resta aperta è se ν R e ν R possano essere distinti da un qualche numero quantico, come ad esempio un numero leptonico analogo al numero barionico, o meno. Nel caso risultasse che essi siano diversi si avrebbero quattro autostati degeneri in massa (ν L, ν R, ν L e ν R ) e il neutrino potrebbe essere descritto da un campo di Dirac. Nel caso invece che ν R sia uguale a ν R si avrebbero solo due stati del neutrino, distinti esclusivamente dall elicità. In questo caso essi sarebbero delle particelle di Majorana.

9 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 8 La conferma sperimentale di questa seconda ipotesi sarebbe particolarmente interessante perché avvalorerebbe la teoria secondo la quale il neutrino acquisisce massa attraverso il meccanismo see-saw, possibile solo per particelle di Majorana. L assunzione di questo meccanismo darebbe quindi importanti indicazioni sulla direzione da seguire per formulare una teoria organica che estenda e sostituisca il MS. Anche per questo problema, come verrà spiegato nel paragrafo successivo, l esperimento sul Doppio Decadimento Beta senza neutrini potrebbe fornire delle risposte definitive Cause e fenomenologia del decadimento Doppio Beta Il Doppio Decadimento Beta (DDB) è un processo spontaneo in cui un nucleo (A,Z) si trasforma in un nucleo (A, Z±2) emettendo due elettroni (positroni) per avere la conservazione della carica e, per alcuni tipi di decadimento, due antineutrini (neutrini). Questo processo è analogo al singolo decadimento beta in cui, tramite la mediazione delle correnti deboli cariche e quando energeticamente permesso, si ha la trasformazione di un quark d in un quark u accompagnata dall emissione di un elettrone e di un antineutrino. Il DDB è un processo del secondo ordine mediato dalla stessa interazione che però coinvolge due neutroni e può avvenire secondo le reazioni (A, Z) (A, Z + 2) + 2 e + 2 ν e (β β ) (A, Z) (A, Z 2) + 2 e ν e (β β + ) (A, Z) + 2 e (A, Z 2) + 2 ν e (EC EC) (A, Z) + e (A, Z 2) + e ν e (EC β + ) Questo processo a causa della sua natura è estremamemnte lento e il suo tasso di decadimento può venire stimato, in rapporto al singolo decadimento β, come 1 τ ββ2ν = Γ ββ2ν Γ β La vita media attesa è quindi nell ordine di τ ββ2ν anni. È evidente che sperimentalmente il decadimento DDB risulta praticamente non osservabile per nuclei che decadono anche con singolo β. Esso viene quindi ricercato nei nuclei per i quali la transizione singola è proibita per motivi energetici. Questa situazione non è infrequente ed è dovuta alla interazione di pairing, che è uno dei fenomeni che determina la massa atomica di un nucleo.

10 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 9 L espressione analitica che meglio la approssima per un nucleo qualsiasi (A, Z) è la formula di Von Weiszäker M =Z (m p + m e ) + (A Z) M n C v A + C a A 2/3 + C s (A/2 Z) 2 A + 3 e 2 Z (Z 1) 5 4 π ɛ 0 A 1/3 + δ dove δ è appunto il termine di pairing, che tiene conto dell eventuale accoppiamento dei neutroni e dei protoni tra di loro per dare stati a momento angolare nullo. Questo termine vale 12 A 1/3 MeV A pari N,Z pari δ = +12 A 1/3 MeV A pari N,Z dispari 0 MeV A dispari e fa si che l andamento della massa in funzione di Z per gli isobari con A dispari sia data da una singola parabola, mentre le masse degli isotopi con A pari si dispongono su due diverse parabole a seconda che abbiamo N e Z pari o dispari. Nella figura 1.1 sono illustrati questi andamenti e i possibili decadimenti. Figura 1.1: Gli andamenti delle masse dei nuclei in funzioni di A e Z con le transizioni energeticamente permesse Si vede che alcuni nuclei possono avere massa maggiore dei loro isobari ma non possano decadere β o β + per motivi energetici. Ad essi rimane quindi come canale di decadimento solo il Doppio Beta, ed è proprio per questi nuclei che si cerca di osservarlo. Nella tabella 1.1 sono elencati quelli

11 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 10 che tra di essi risultano più interessanti, ovvero quelli con Q-valore più alto e maggiore abbondanza isotopica per motivi che veranno spiegati nella sezione Tabella 1.1: Isotopi di maggior interesse nello studio del ββ0ν Decadimento Energia Abbondanza (kev ) isotopica 48 Ca 48 T i 4271 ± % 76 Ge 76 Se 2040 ± % 82 Se 82 Kr 2995 ± 6 9% 96 Zr 96 Mo 3350 ± 3 2.8% 100 Mo 100 Ru 3034 ± 6 9.6% 116 Cd 116 Sn 2802 ± 4 7.5% 130 T e 130 Xe 2538 ± % 136 Xe 136 Ba 2479 ± 8 8.9% 150 Nd 150 Sm 3367 ± % Se si condidera il decadimento ββ si possono avere due tipi di decadimento, i cui diagrammi di Feymann sono riportati in figura 1.2 (A, Z) (A, Z + 2) + 2 e + 2 ν e (A, Z) (A, Z + 2) + 2 e Figura 1.2: I diagrammi di Feymann dei due possibili decaimenti Doppio Beta, con emissione di due neutrini a sinistra e con scambio di un neutrino virtuale a destra Il primo di questi è previsto anche dal Modello Standard ed è stato sperimentalmente osservato per la prima volta nel 1987 da Elliot et al. [10] mediante una TPC (Time Projection Chamber).

12 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 11 Quello più interessante dal punto di vista teorico però è il secondo: in questa interazione infatti è previsto che due neutroni dello stesso nucleo si scambino un neutrino virtuale. Questo è però possibile solo se i neutrini sono dotati di massa e sono delle particelle di Majorana. La massa infatti è necessaria poiché l elicità non è un numero quantico conservato solo per le particelle massive e ciò fa si che il neutrino emesso in un vertice come destrogiro possa essere assorbito nel secondo vertice come levogiro. Il fatto che sia di Majorana è invece necessario poichè viene emesso un antineutrino e viene assorbito un neutrino e quindi il ββ0ν è possibile solo se non c è differenza tra di loro. Inoltre, se si osservasse il ββ0ν si potrebbe ottenere una stima della massa del neutrino utilizzando il tempo di vita medio misurato che è legato ad esso dalla relazione: [ ] 1 τ1/2 0ν = G 0ν (Q, Z) M 0ν 2 m ν 2 dove G 0ν (Q, Z) tiene conto dell integrazione sullo spazio delle fasi dei leptoni e M 0ν rappresenta l elemento di matrice nucleare. E quindi evidente se si riuscisse a dimostrare l esistenza del Doppio Decadimento Beta senza neutrini si avrebbero le risposte ad entrambe le principali questioni irrisolte nella fisica dei neutrini. Dal punto di vista sperimentale la ricerca del ββ0ν si effettua attraverso la misura dell energia somma degli elettroni emessi nella reazione, il cui valore è uguale al Q-valore del decadimento. La segnatura che ci si aspetta di trovare in un rivelatore omogeneo (sorgente=rivelatore) è quindi un picco monocromatico a E = Q. Di questo bisogna tenere conto nella progettazione e nella realizzazione di un rivelatore per la sua ricerca La sensibilità (F) dei bolometri per il ββ0ν I bolometri, nonostante le difficoltà tecniche nel loro utilizzo dovute al fatto che operano a temperature nell ordine di mk, hanno delle caratteristiche che li rendono particolarmente adatti agli esperimenti per la ricerca del Doppio Decadimento Beta. Come detto precedentemente, il decadimento ββ0ν viene rivelato come un picco monocromatico con energia E uguale al Q-valore del decadimento. Per un rivelatore qulunque è possibile definire la sensibilità F per questo tipo di evento. Per farlo si misura il fondo radioattivo B (conteggi/kev anno), supposto piatto, nella regione in cui ci si aspetta il picco e la risoluzione energetica del rivelatore per quel valore di energia E(E). Per poter affermare di aver individuato l evento si vuole avere una numero di conteggi N ββ0ν nell intervallo della risoluzione energetica del rivelatore pari almeno ad una deviazione standard dal fondo N bkg. Il valore di N ββ0ν quindi, assumendo una statistica

13 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 12 di conteggio poissoniana, è dato da N ββ0ν = N tot N bkg = E B t = N bkg Se questi conteggi sono riferibili all evento cercato, in questo caso il ββ0ν, e se il numero di atomi di prova è uguale a N atomi il tempo di dimezzamento è dato da t F = τ 1/2 = (ln 2)N atomi E B ɛ = (ln 2) i.a. A M 103 N A t E B ɛ dove A è il peso atomico degli atomi dell elemento che viene utilizzato come sorgente, i.a. è l abbondanza dell isotopo che interessa nella reazione, M la massa della sorgente, N A il numero di Avogadro e ɛ l efficienza di rivelazione del ββ0ν. Se il fondo radioattivo è proporzionale alla massa del rivelatore, ridefinendo B come il fondo radioattivo per kilogrammo di sorgente ( [B] = conteggi/kev anno kg) la formula precedente può essere scritta come: F = (ln 2) i.a. t M A 103 N A E B ɛ (1.2) La sensibilità è quindi definita proprio come il tempo massimo di dimezzamento per il quale l esperimento è capace di discriminare con sicurezza l esistenza dell evento. Come si nota dalla definizione F può essere migliorata, a parità di tempo di misura, aumentando in primo luogo la massa della sorgente e la risoluzione del rivelatore (diminuendo quindi E). Per entrambi questi propositi i bolometri sono particolarmente indicati, come anticipato precedentemente. Per quanto concerne la risoluzione infatti i bolometri, come verrà discusso in seguito, sono i rivelatori che assieme ai diodi di germanio riescono a raggiungere la risoluzione migliore nella regione energetiche indagate, pari a circa E/E = 0.1%. Per quanto riguarda l aumento della massa, invece, i bolometri sono indicati perché possono essere costruiti come rivelatori omogenei, cioè fatti in modo tale che la sorgente coincida con il cristallo assorbitore del rivelatore stesso. In questo modo si possono raggiungere masse di sorgente nell ordine delle decine di kg. Con il progetto CUORE, l evoluzione di CUORICINO attualmente in costruzione, si prevede addirittura di arrivare ad una massa di circa una tonnellata. Nella scelta del materiale è inoltre possibile cercare di selezionare un materiale che massimizzi il rapporto i.a./a, per poter ulteriormente aumentare F. Un altro valore di cui bisogna tener conto nella selezione dell isotopo è il Q-valore del decadimento: infatti, più questo è alto e più si trova in

14 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 13 regioni energetiche con minore fondo dovuto ad eventi naturali. La situazione migliore si avrebbe scegliendo un decadimento con Q-valore maggiore della riga γ naturale più energetica, ovvero quella del 208 T l a 2615keV. Il 130 T e, in particolare, è stato scelto per CUORE poiché presenta naturalmente un elevata abbondanza isotopica (33.9%)e ha Q-valore uguale a 2528keV. Questo, anche se non lo pone fuori dalla regione energetica in cui si trovano i gamma naturali, è un buon valore perché è sufficientemente elevato e si trova nella zona posta tra il picco fotoelettrico del 208 T l (2615keV ) e la sua spalla Compton, relativamente libera da eventi naturali. 1.3 Principi generali di funzionamento dei bolometri I bolometri sono un tipo particolare di rivelatori di particelle termici, sensibili cioè all aumento di temperatura dovuto alla deposizione di energia al loro interno. In questo lavoro vengono analizzati dei bolometri compositi, caratterizzati dal fatto che l assorbitore, cioè la parte del rivelatore in cui l energia cinetica delle particelle viene convertita in calore (quindi in fononi termici), è diverso dal sensore, il dispositivo che raccoglie i fononi e permette di convertire il segnale di temperatura in un segnale elettrico Proprietà termiche dell assorbitore Idealmente un bolometro è un calorimetro perfetto: misurando il suo aumento di temperatura si può risalire all energia rilasciata al suo interno. L assorbitore, in equilibrio termico ad una temperatura T, può essere schematicamente descritto dalla sua capacità termica C(T ) (C A ) e dalla conduttanza termica G(T ) (G AB ) (Fig. 1.3) attraverso cui è collegato ad un bagno termico a temperatura costante T 0. Figura 1.3: Schema semplificato dell assorbitore

15 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 14 Per piccole variazioni di temperatura del cristallo ( T = T (t) T 0 T 0 ) si possono supporre C e G costanti. Si ha allora che la deposizione istantanea di un energia E nell assorbitore produce un segnale termico di ampiezza T = E C A Per poter massimizzare il segnale è quindi necessario avere la minore capacità termica possibile: questo si può ottenere utilizzando dei cristalli dielettrici e diamagnetici puri a bassissime temperature. Per essi infatti la capacità termica è dovuta solo al contributo del reticolo e vale: C(T ) = 12 5 n π4 R ( T Θ Debye ) 3 (1.3) dove n è il numero di moli, R è la costante universale dei gas e Θ Debye è la temperatura di Debye del cristallo, che dipende dal materiale di cui è composto. I cristalli dielettrici e diamagnetici risultano i più adatti per la costruzione dei bolometri poiché non hanno contributi alla capacità termica né dovuti agli elettroni, tipica dei metalli, né dovuti agli ioni magnetici, tipica dei ferromagneti. Nel primo caso infatti si aggiungerebbe a C(T ) un termine linerare in T, nel secondo un termine proporzionale a T 2, che risulterebbero dominanti a basse temperature. La bassa temperatura inoltre è utile per prevenire la generazione termica dei fononi, la cui energia minima di eccitazione è nell ordine dei mev a temperatura ambiente, e diminuire quindi il fondo e le sue oscillazioni casuali che danno il limite teorico alla risoluzione del rivelatore. Come verrà mostrato in seguito queste oscillazioni non risultano comunque dominanti nella determinazione della risoluzione stessa Risoluzione teorica dei bolometri Per questi rivelatori, al contrario dei rivelatori classici a scintillazione o a semiconduttore, il deterioramento nella risoluzione non è dovuto alla fluttuazione del numero dei portatori di informazione. Nei bolometri infatti essi sono rappresentati dai fononi termici, la cui fluttuazione è praticamente trascurabile. Il numero dei fononi prodotti in una interazione è circa N = C(T ) T k B T = C(T ) k B dove si suppone che l energia media dei fononi sia k B T, con T = temperatura del cristallo 10 mk. Se si suppone una statistica poissoniana la

16 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 15 fluttuazione del numero di portatori è: N = C(T ) N = k B da cui si ottiene E = α N k B T = α C(T ) T 2 k B dove α è stato introdotto per tenere conto delle conduttanze, del sensore e della dipendenza di C da T. Da tutto ciò, se si ricavano i valori per i rivelatori utilizzati, si ottengono due importanti considerazioni. La prima è che, contrariamente a quanto succede per i rivelatori classici, per i bolometri E teorica non dipende dall energia dell evento. La seconda è che la risoluzione teorica ottenibile è circa di due ordini di grandezza inferiore alla risoluzione dei rivelatori a semiconduttore. Questa risoluzione teorica è piccolissima ed è molto distante da quella che si riesce realmente ad ottenere. L allargamento nella risoluzione che si trova sperimentalmente è infatti dovuto ad effetti intrinseci di deviazione dalla linearità del rivelatore e dall effetto chiamato microfonismo. Questo è l effetto per il quale le vibrazioni dei macchinari vicini al rivelatore producono una fluttuazione della potenza di fondo dissipata sul rivelatore, modificiando quindi la risposta dello stesso I sensori di temperatura: i termistori di Ge I sensori di temperatura utilizzati per rivelare i fononi termici prodotti nell assorbitore sono dei termistori semiconduttori di Ge, ovvero dispositivi a resistenza variabile in funzione della temperatura. Questi sensori sono prodotti in modo tale da avere una concentrazione di drogante leggermente al disotto della concentrazione critica che determina la transizione metalloisolante, cioè la concentrazione per cui il semiconduttore passa da un comportamento isolante ad un comportamento conduttore. Grazie a questa loro carattersitica essi hanno un regime di conduzione detto di hopping per cui la resistività del materiale presenta un andamento esponenziale in funzione di T ( ) T0 γ ρ(t ) = ρ 0 e T dove ρ 0, T 0 e γ dipendono dalla concentrazione di drogaggio. Il drogaggio dei sensori si ottiene attraverso la tecnica della trasmutazione nucleare (NTD), ovvero irradiando il germanio con un fascio di neutroni termici. In questo modo si ottengono dei nuclei instabili che decadendo producono droganti di tipo n o p. Questo tipo di tecnica è particolarmente efficace grazie alla sua uniformità di drogaggio e alla sua riproducibilità.

17 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 16 Il loro utilizzo come sensori di temperatura prevede che essi vengano polarizzati con una corrente costante I bias che determina una differenza di potenziale ai capi del resistore pari a V bol = R bol (T ) I bias dove R bol (T ) = ρ(t ) l/s (l = distanza tra i contatti e s = sezione del rivelatore). Quando si ha una variazione di temperatura dell assorbitore (e quindi del sensore) questa viene letta come una variazione della differenza di potenziale ai capi del sensore a causa del cambiamento del valore di R bol. In figura 1.4 viene mostrato il circuito completo di polarizzazione e di lettura del segnale del termistore. Il circuito per la polarizzazione è costituito da due resistenze di carico uguali R L e da un generatore di tensione continua mentre la DDP ai capi del rivelatore viene letta da un amplificatore con guadagno G. Figura 1.4: Circuito di polarizzazione e di lettura del termistore Il passaggio di corrente nel sensore comporta però la dissipazione di una potenza P = R bol Ibias 2 da parte del termistore nel rivelatore: questo provoca un innalzamento della temperatura T bol e quindi una diminuzione della resistenza attraverso un meccanismo chiamato feedbeck elettrotermico che agisce fino a che il sistema non raggiunge un punto di equilibrio con determinati T bol, V bol e I bias. Questo meccanismo fa deviare dalla linearità la relazione V bol -I bias. Infatti, la curva mantiene un andamento lineare solo per basse I bias, per le quali il rivelatore riesce ancora a dissipare il calore prodotto. Devia quando inizia a risentire del feedback e infine arriva ad un valore di tensione massima V bol per cui poi la tensione inizia a decrescere anche aumentando I bias. Conoscendo l andamento della resistenza in funzione di T e definendo la sensibilità del termistore come ( ) A = dlnr γ dlnt = γ T0 T

18 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 17 si può esprimere la relazione tra la V bol e T bol come V bol = A V bol T bol T bol (1.4) La ricerca del punto di lavoro ottimale per questi rivelatori consiste nel determinare quale sia la tensione di polarizzazzione V bias che permette di massimizzare il segnale di tensione, o meglio il rapporto segnale/rumore. Per fare questo però non si può aumentare in modo indefinito V bol poichè essa ha un massimo. Inoltre si verifica sperimentalmente che il punto di lavoro migliore non è in corrispondenza di questo massimo in quanto anche A, T bol e T bol sono legati al valore di I bias, la quale comanda la DDP ai capi del termistore. Un aumento di I bias infatti influisce su T bol, che tende ad aumentare all aumentare di I bias come descritto in precedenza, su T bol, che tende a diminuire a causa dell aumento della capacità termica dell assorbitore all aumentare della temperatura, e su A. Infine anche il rumore varia al variare della resistenza, la quale dipende da T bol e quindi indirettamente da I bias. Il punto di lavoro viene quindi determinato sperimentalmente per un segnale ad energia costante, in modo da riuscire ad ottenere la migliore risoluzione possibile. Questo processo verrà descritto in dettaglio nella sezione 2.2, dove viene spiegata la procedura sperimentale seguita per i rivelatori oggetto di studio in questo lavoro. 1.4 I bolometri scintillanti I cristalli scintillanti Come accennato precedentemente, la particolarità dei bolometri scintillanti è l utilizzo di cristalli scintillanti come assorbitori. L utilizzo di rivelatori esclusivamente a scintillazione è stato preso in considerazione negli anni passati, poiché esiste la possibilità di ottenere cristalli scintillanti di grandi dimensioni composti da elementi candidati al decadimento ββ0ν, come ad esempio il Cd (CdW O 4 ) oppure il Ca (CaF 2 ). Ma la bassissima risoluzione ottenibile con questo tipo di rivelatori, che è nell ordine del 5-10% e che tende a decrescere all aumentare della dimensione dei cristalli, rende la loro sensibilità molto scarsa e ne ha precluso l utilizzo. L impiego di questi cristalli all interno di un bolometro permette però di ottenere un rivelatore termico tradizionale con l ulteriore capacità di poter riconoscere il tipo di evento. Infatti se si predispone il rivelatore in una configurazione capace di leggere sia il segnale di calore che il segnale di luce, il primo può essere utilizzato per la spettroscopia ad alta risoluzione mentre il secondo può essere utilizzato per la discriminazione tra eventi α oppure β e γ, grazie alle loro rese di luce molto diverse. Questa cosa, possibile anche

19 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 18 con scarse risoluzioni del canale di luce, permette l eliminazione del fondo dovuto agli eventi α, che non sono di alcun interesse nella ricerca del ββ0ν. Varie misure di ricerca per lo sviluppo di questi rivelatori sono state compiute negli ultimi anni dalla collaborazione di BOLUX, che ha testato vari tipi di cristalli. Tra di essi c erano diversi molibdati (CaMoO 4, P bmoo 4,SrMoO 4 ) e dei cristalli di tungstato di cadmio (CdW O 4 ). Nonostante i vari cristalli presentassero diverse problematiche, in particolare contaminazione molte elevate, tutti hanno dato risultati molto positivi per quanto riguarda la possibilità di riconoscere il tipo di evento. Risultati particolarmente significativi sono stati ottenuti per il CdW O 4, per i quali sono state fatte le misure più accurate. Per questo tipo di rivelatore si è anche riusciti a raggiungere risoluzioni energetiche solamente sul canale di luce molto elevate, nell ordine del 3% a 2615 kev [8, 9] I sensori di luce L idea che ha permesso lo sviluppo dei bolometri a scintillazione in questi anni è stata quella di utilizzare un secondo bolometro come lettore di luce, superando l ostacolo causato dalla difficoltà di far operare i lettori di luce tradizionali (come i fotomoltiplicatori o i fotodiodi) alle temperature di lavoro dei bolometri. A questo fine per l esperimento CRESST sono state utilizzate delle cialde di silicio con termometri di tungsteno a transizione superconduttiva aventi dimensioni di mm [5]. Per gli esperimenti di ricerca di BOLUX invece sono stati usati dei dischi di germanio puro aventi spessore di 1 mm e con diametro variabile (da 35 a 66 mm) aventi come termometro un termistore di germanio NTD [8, 9]. Questi rivelatori di luce, soprattutto se hanno grande superficie, risultano avere una soglia di attivazione superiore ai tubi fotomoltiplicatori, per i quali sono sufficienti 3-7 fotoni per la produzione di un fotoelettrone (tenendo conto della Quantum Efficency, cioè del numero di fotono mediamente necessari per produrre un elettrone al fotocatodo). Però i bolometri presentano anche due notevoli vantaggi: essi sono sensibili ad un range di lunghezze d onda dei fotoni molto ampio e possono raggiungere una quantum efficency pari a quella dei fotodiodi. Grazie a ciò è possibile raggiungere con i rivelatori di luce bolometrici una risoluzione energetica superiore a quella dei fotomoltiplicatori. Infatti se si considera trascurbile la risoluzione energetica intrinseca dei rivelatori di luce, la risoluzione finale risulta dovuta solo alla fluttuazione statistica dei portatori di carica, la quale è più accentuata per i fotomoltiplicatori. L oscillazione del numero dei fotoelettroni emessi dal fotocatodo infatti è maggiore dell oscillazione nel numero dei fotoni emessi dal cristallo, che sono i portatori di informazione rivelati dai bolometri, a causa della quantum

20 CAPITOLO 1. I BOLOMETRI SCINTILLANTI 19 efficency nella conversione fotoni-elettroni nei fotomoltiplicatori pari a circa il 20%.

21 Capitolo 2 Il rivelatore dell esperimento 2.1 Setup sperimentale Montaggio Il rivelatore studiato in questo lavoro è un bolometro scintillante composto da un cristallo assorbitore/scintillatore di tungstato di calcio (CaW O 4 ) e da un lettore di luce ad esso dedicato formato da un disco di Ge. Esso è stato testato nel criostato a diluizione 3 He/ 4 He installato nella sala C dei laboratori sotterranei del Gran Sasso, schermati da uno strato di 1500 metri di roccia (3500 metri d acqua equivalente). Insieme ad esso sono stati testati otto cristalli di ossido di tellurio (T eo 2 ) e due diversi cristalli scintillanti di seleniuro di zinco (ZnSe), aventi anch essi un rivelatore di luce di Ge in comune per entrambi. Tutti e tre i bolometri scintillanti sono stati montati sullo stesso disco di rame, mentre i cristalli di T eo 2 sono stati disposti su due diversi piani sopra di esso. Il cristallo di CaW O 4 utilizzato è un cilindro di diametro e di altezza pari a 40 mm: esso è stato montato adagiato orizzontalmente, ponendolo su quattro supporti di Teflon e stringendolo con una fascetta sempre di Teflon. Questa posizione è stata scelta per poter montare il lettore di luce in posizione ottimale. Si è scelto di testare un cristallo di CaW O 4 poiché questo materiale presenta diverse caratteristiche interessanti. Per quanto riguarda le sue proprietà come rivelatore, gli studi fatti per CRESST [5] hanno mostrato che ha una buona resa di luce a basse temperature, nell ordine dell 1%, e che non ha una sensibile variazione nella resa di luce per eventi vicini alla superficie del cristallo. Considerando invece questo composto come sorgente, esso è promettente perché contiene il calcio, uno degli elementi in prospettiva più interessanti nello studio del ββ0ν. Infatti è stato misurato che l isotopo 48 Ca decade Doppio Beta in titanio 48 T i con un Q-valore uguale a 4271±4 kev, l energia 20

22 CAPITOLO 2. IL RIVELATORE DELL ESPERIMENTO 21 più alta attesa per un Decadimento Doppio Beta. Il valore della riga del ββ0ν (che è uguale al Q-valore) da ricercare in un ipotetico esperimento con questo isotopo sarebbe quindi molto al di sopra di qualunque altra riga naturale γ. Grazie a ciò si potrebbe fare uno studio a bassissimo fondo, in particolare nel caso in cui si riuscissero a distinguere i segnali α, presenti a queste energie, da quelli β e γ. Uno dei principali ostacoli nell utilizzo di questo elemento è dato però dalla bassissima abbondanza isotopica del 48 Ca, che è solo dello 0.187%. Il disco di Ge invece, avente diametro di 35 mm e spessore di 1 mm, è stato montato all interno di una struttura di rame a forma di parallelepipedo appositamente studiata, dove è retto da due supporti di PTFE che si stringono con una vite. Tutta la struttura è avvitata verticalmente sul disco di rame parallelamente ad una della basi del cilindro, in modo da aver la posizione migliore per la raccolta della luce. Su questo disco durante la fase di montaggio è stato evaporata una sorgente radioattiva liquida contenente 55 F e. Questa sorgente è stata predisposta per poter eseguire una calibrazione diretta in energia del lettore di luce. I motivi della scelta di questa sorgente e la procedura seguita verranno descritti nel capitolo 6.1. Su entrambi i cristalli sono stati inoltre incollati con della colla epossidica gli heater, delle resistenze utilizzate come impulsatori di calore utili per la stabilizzazione dei segnali (vedi la sezione 2.1.4), e i termistori di Ge. I termistori sono stati utlizzati di dimensione diversa per i due bolometri: per il cristallo di CaW O 4 è stato utilizzato un termistore aventi dimensioni di mm mentre per il cristallo di Ge si è reso necessario l uso di un termistore più piccolo, avente dimensione mm. Infatti, poiché il lettore bolometrico di luce è preposto alla lettura di segnali molto tenui, si deve rendere la sua capacità termica piccola per poter aver un segnale di temperatura più ampio possibile. Per ottenere questo risultato quindi si agisce soprattutto sulle dimensioni del termistore poichè è il componente del rivelatore che ha la maggior capacità termica (32 pj/k contro 0.2 pj/k del disco di Ge a 13 mk). Questo lascia inoltre la possibilità di aumentare le dimensioni del cristallo di Ge senza influire in modo apprezzabile sull altezza del segnale ottenibile. Tutto il rivelatore è stato poi circondato da un foglio di alluminio riflettente, in modo da convogliare la luce nel sensore di luce. Nelle figure 2.1 e 2.2 si possono vedere varie fasi del montaggio Acquisizione e analisi dati Il segnale in tensione generato da un rivelatore bolometrico è dominato da componenti a bassa frequenza; pertanto, se da una parte il rumore ad alta frequenza può essere tagliato con opportuni filtri hardware passa basso,

23 CAPITOLO 2. IL RIVELATORE DELL ESPERIMENTO 22 Figura 2.1: Il montaggio del cristallo di CaW O 4 e del rivelatore di luce Figura 2.2: Il risultato finale con il foglio si alluminio dall altra, il rumore a bassa frequenza non può essere filtrato senza ridurre inevitabilmente anche l altezza del segnale. Se è noto lo spettro di potenza del rumore sovrapposto al segnale, si può determinare la funzione di trasferimento di un filtro, detto Filtro Ottimo, che massimizza il rapporto segnale/rumore, ottimizzando così la risoluzione. L applicazione della tecnica del Filtro Ottimo via software, per valutare l altezza del segnale in ingresso, prevede il campionamento della forma d onda con passo temporale discreto e su di un intervallo di tempo limitato. L acquisizione assolve a questo compito registrando - per ogni segnale che

24 CAPITOLO 2. IL RIVELATORE DELL ESPERIMENTO 23 eccede la soglia di trigger - un insieme di valori campionati su una finestra temporale fissata e scelta in modo da garantire il contenimento dell intero impulso di particella. Per i rivelatori di questo esperimento si è deciso di usare una finestra della durata di 512 ms con un passo di campionamento uguale a 0.5 ms. Per ogni segnale sono stati quindi misurati 1024 punti. L analisi off-line delle misure prevede diversi passaggi che possono essere schematizzati nel modo seguente: 1. calcolo dell altezza del segnale di ciascun impulso attraverso l applicazione del Filtro Ottimo, massimizzando il rapporto segnale/rumore; 2. costruzione delle n-uple, ossia vettori contenenti tutte le informazioni più significative di ciascun impulso 2.1.3; 3. correzione delle ampiezze degli impulsi, resa necessaria dall instabilità termica del sistema criogenico; 4. calibrazione energetica dello spettro tramite il riconoscimento di alcune sue righe o l utilizzo di misure realizzate con l ausilio di sorgenti γ; Si dimostra che la funzione H(ω) che definisce il Filtro Ottimo è: H(ω) = K S (ω) N(ω) e i ω t M (2.1) dove S(ω) è la trasformata di Fourier del segnale in assenza di rumore e N(ω) lo spettro di potenza del rumore mentre K è una costante arbitraria. Per determinare S(ω) si deve, per prima cosa, costruire l impulso medio; questo puó essere ottenuto off-line sommando un numero elevato di impulsi buoni (circa un centinaio) e facendone la media: la trasformata di Fourier di questo impulso medio é la funzione S(ω) cercata. Lo spettro di potenza del rumore, N(ω), é ottenuto acquisendo un certo numero di linee di base e scartando eventuali impulsi. Di ogni linea di base acquisita é calcolata la trasformata di Fourier discreta. La media del modulo quadro di ciascuna trasformata, divisa per la frequenza di campionamento, é pari allo spettro di potenza N(ω). In pratica il calcolo dell altezza del segnale mediante la tecnica del Filtro Ottimo viene realizzata con l ausilio di un programma. Esso, oltre al calcolo di questa altezza, effettua anche un analisi della forma dell impulso confrontandolo con quello medio e generando due parametri di scarto indicativi di quanto l impulso analizzato sia simile a quello medio. Infine si valutano Rise e Decay time del segnale. Il filtro di Wiener e invece usato per determinare se all interno della finestra campionata esiste piu di un impulso, in tal caso sono registrati ampiezza e ritardo degli impulsi successivi a quello che ha fatto scattare il trigger.

25 CAPITOLO 2. IL RIVELATORE DELL ESPERIMENTO Costruzione delle n-uple In fase di analisi, l impulso viene digitalizzato da un limitato numero di parametri, in base agli scopi dell analisi stessa. Questi parametri vengono raccolti in un vettore, detto n-upla, generato come uscita del medesimo programma che calcola il Filtro Ottimo. Cosí, ad ogni impulso registrato, é associata una n-upla che lo caratterizza. Tramite le informazioni contenute nella n-upla si puó ricostruire lo spettro della misura, effettuare la ricerca di coincidenze temporali, studiare l andamento nel tempo della linea di base, dell altezza e del numero di conteggi. I parametri che la n-upla contiene sono: 1. Il numero del canale. Ovvero il numero del canale dell ADC che ha registrato un impulso sopra la soglia di trigger. 2. Tempo di arrivo dell impulso. Viene registrato il tempo assoluto (data e ora assolute), di ogni singolo evento acquisito. In questo modo è possibile studiare l andamento temporale dei conteggi nello spettro di fondo totale. 3. Altezza del segnale. Essa viene registrata in Volt e valutata dopo che il segnale è stato filtrato dal Filtro Ottimo. 4. Valore della linea di Base. È il valore della tensione (in mv ) prima dell arrivo del segnale. Questo parametro è molto significativo perchè consente di controllare il valore della tensione sul bolometro prima dell arrivo dell impulso. Una variazione del valore della linea di base durante una misura è indice o di una fluttuazione del guadagno del sistema, o di una variazione della tensione di lavoro del bolometro (generalmente attribuite ad una deriva della temperatura del rivelatore). La conoscenza di questo parametro è dunque importante per poter correggere le instabilità dovute a tali fluttuazioni. 5. Il tempo di salita e di discesa del segnale. Utile per lo studio della forma del segnale. Si prende come istante di riferimento il tempo di arrivo dell impulso medio e da questo si determina lo sfasamento relativo degli impulsi, ciascuno nella propria finestra temporale. 6. I parametri di forma dell impulso. Si ottengono dal confronto dell impulso acquisito con la risposta attesa dal rivelatore dopo l operazione del Filtro Ottimo. Consentono di riconoscere impulsi deformati, o che abbiano un rumore differente e superiore a quello solito, o impulsi che abbiano tempi caratteristici diversi dall impulso medio. 7. Parametri di pile-up. Attraverso un algoritmo di Filtro Wiener, si è in grado di riconoscere eventi doppi e, in questo modo, di rigettarli. Quando due impulsi cadono nella stessa finestra temporale, la loro ampiezza

26 CAPITOLO 2. IL RIVELATORE DELL ESPERIMENTO 25 e distanza viene calcolata. Questi due parametri sono molto importanti per lo studio delle coincidenze dovute alle cascate radioattive. L uscita del programma di analisi è un unica n-upla per ogni misura acquisita, contenente i vettori associati a ciascun impulso. Grazie ai parametri di forma dell impulso e ai tempi di salita e di discesa di ogni evento, le n- uple possono essere ridotte privandole di tutti i vettori che non contengono impulsi simili a quello medio. Sono così eliminati gli impulsi di rumore prodotti da interferenze elettromagnetiche o da disturbi microfonici o di altra natura Stabilizzazione delle misure Durante tutta la discussione sul funzionamento dei bolometri la temperatura del bagno termico T 0 è stata considerata costante. Per un rivelatore reale questo bagno termico è costituito dalla struttura di rame che sostiene i cristalli, che viene raffreddata dal criostato. È però possibile, in particolar modo per tempi operativi dei rivelatori molto lunghi, che questa temperatura possa avere delle piccole derive. Questi cambiamenti, anche se di lieve entità, possono ripercuotersi in modo marcato sulla risoluzione dei bolometri. Facendo un veloce studio del comportamento del rivelatore per piccole variazioni di T 0 si trova che dv bol V bol = dr bol = A dt bol 4 dt 0 R bol T bol e considerando lineare la funzione che descrive l ampiezza del segnale V s in funzione di V bol per piccole variazioni si trova dv s V s dv bol 4 dt 0 T 0 V bol È quindi evidente che variazioni anche solo dello 0.05% della temperatura avrebbero pesanti riflessi sulla risoluzione, che essendo dello 0.1% potrebbe addirittura triplicare. Per rimediare a questo problema è stato studiato un metodo di stabilizzazione del segnale [11]. Questo metodo viene applicato durante l analisi dei segnali e consiste nel correggere l ampiezza dei segnali utilizzando il valore della baseline che viene acquisita con un 25% di pre-trigger in corrispondenza della salita dell impulso. Per fare questo si utilizza il segnale monocromatico dell impulsatore (heater). La sua ampiezza misurata V S viene correlata al valore V B della linea di base che viene acquisita con i suoi impulsi. Questa funzione solitamente, per piccole derive termiche, può essere interpolata con una retta a pendenza negativa. T 0

27 CAPITOLO 2. IL RIVELATORE DELL ESPERIMENTO 26 Le ampiezze vengono quindi tutte ricondotte ad un valore arbitrario V rif S. Questo permette di calcolare una funzione α(v B) che dà il fattore con cui correggere le ampiezze dei segnali in funzione della loro linea di base. Questo fattore può quindi essere utilizzato per correggere anche le ampiezze dei segnali di particella, il cui comportamento si suppone essere simile a quello dei segnali di heater, in modo da riuscire a diminuire diminuire gli effetti delle derive termiche sulla risoluzione del rivelatore. 2.2 Ottimizzazione del rivelatore Il punto di partenza per lo studio del rivelatore utilizzato per queste misure consiste nella ricerca del punto ottimo di lavoro dei due diversi bolometri che lo compongono. Come detto nella sezione questo consiste nella ricerca della tensione di polarizzazione V bias che permette di massimizzare il rapporto segnale/rumore Le curve di carico Si inizia costruendo le curve di carico dei due bolometri (CaW o 4 e Ge), in modo da conoscere l andamento della DDP ai capi dei termistori in funzione della corrente di polarizzazione che scorre in essi. Ciò che è possibile impostare durante queste misure però non è la corrente, bensì la tensione di polarizzazione V bias dei circuito (vedi figura 1.4 a pagina 16). In uscita dalla catena elettronica è invece possibile leggere con un voltmetro la differenza di potenziale V out generata dagli amplificatori che leggono le V bol. Conoscendo queste tensioni, il valore delle resistenze di carico e del guadagno degli amplificatori che misurano V bol si possono trovare tutti i valori delle grandezze collegate al circuito. Per queste misure i guadagni degli amplificatori sono stati impostati entrambi a G = 747 mentre le resistenze di carico erano tutte uguali a R L = 27.2 MΩ. Essendo parte dell eletronica fredda, cioè essendo installate anch esse all interno del criostato, il loro valore è rimasto inalterato durante tutte le misure. Nelle figure 2.3 e 2.4 sono riportate le curve di carico ottenute durante queste misure e l andamento del valore calcolato per le R bol dei due termistori in funzione della potenza da loro dissipata. Solo per il bolometro di Ge si è riusciti ad arrivare alla tensione di inversione, cioè il valore massimo delle DDP ottenibile ai capi del sensore, mentre questa non è stata raggiunta per il CaW O 4 poiché l elettronica limitava la tensione di polarizzazione V bias applicabile. Nei grafici di R bol (P ), inoltre, si notano chiaramente gli effetti del feedback elettrotermico che causa la diminuzione della resitenza all aumentare della potenza dissipata, poiché questa determina un aumento della temperatura di equilibrio del rivelatore.

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