LE PROTEINE SIERICHE. 1. albumina 53-68% (3,2-5,6 g/dl) Rapporto albumina/globuline: 1,2-1,7

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1 LE PROTEINE SIERICHE Importanza diagnostica del tracciato elettroforetico delle proteine plasmatiche Nell organismo umano le uniche proteine facilmente disponibili a scopo di studio sono quelle del sangue; nonostante costituiscano solo una piccola frazione di tutte le proteine presenti nell'organismo, esse sono estremamente importanti per il clinico, giacché le loro variazioni quantitative e qualitative possono fornire indicazioni molto utili ai fini diagnostici. Nel plasma umano sono presenti più di 100 proteine diverse, sintetizzate in massima parte dal fegato e, per una quota minore, dalle plasmacellule (immunoglobuline), dal sistema monocito/macrofagico (alcuni fattori del complemento) e dalle cellule della parete intestinale (alcune apolipoproteine). Nella diagnostica automatizzata di routine il dosaggio delle proteine del sangue viene effettuato preferenzialmente da campioni di siero, per evitare errori quantitativi dovuti alla presenza dei fattori della coagulazione; in condizioni normali, la concentrazione delle proteine sieriche varia tra 6 e 8 g/dl. Se le proteine diminuiscono si può pensare ad insufficienza epatica, nefrosi con permeabilizzazione dei capillari, malattie da malassorbimento o ridotto apporto dietetico. Per differenziare qualitativamente le proteine se ne valuta il profilo elettroforetico, con il quale si stratificano le proteine a seconda del diverso peso molecolare. L elettroforesi consente di separare su un idoneo supporto solido (gel di agarosio o acetato di cellulosa) le proteine sieriche in base alla loro carica ed al loro peso molecolare. Le bande vengono poi colorate: l intensità della colorazione è proporzionale alla quantità di proteine, e viene calcolata tramite densitometro. Dalla scansione densitometrica delle singole frazioni si ottiene un tracciato (profilo) in cui le singole bande sono rappresentate da picchi di diversa altezza e larghezza, la cui area è proporzionale al contenuto proteico delle rispettive frazioni Dalla separazione elettroforetica delle proteine sieriche si ottengono 5 frazioni principali che corrispondono, partendo dal polo anodico (carico positivamente) fino ad arrivare a quello catodico (carico negativamente): 1. albumina 53-68% (3,2-5,6 g/dl) 2. α1 globuline 2,4-5,3% (0,1-0,4 g/dl) 3. α2 globuline 6,6-13,5% (0,4-1,2 g/dl) 4. β globuline 8,5-14,5% (0,6-1,3 g/dl) 5. γ globuline 10,7-21% (0,5-1,6 g/dl) Rapporto albumina/globuline: 1,2-1,7 Le diverse specie proteiche che costituiscono una singola banda possono essere differenziate facendo reagire campioni di plasma con anticorpi policlonali specifici: i complessi antigene-anticorpo che si formano conferiscono al siero una leggera torbidità, che viene quantificata mediante determinazione nefelometrica. Per la determinazione di basse concentrazioni proteiche si ricorre a tecniche più sensibili (tecniche immunometriche) basate sull uso di anticorpi monoclonali e di specifici indicatori, o traccianti, capaci di rivelare la presenza di complessi antigene-anticorpo: le tecniche più utilizzate a questo scopo sono i metodi enzimo-immunometrici, che utilizzano enzimi come traccianti. Albumina: è la proteina ematica a più elevata concentrazione (tra 3,6 e 5,3 g/l) ed è pertanto la 1

2 principale responsabile della pressione oncotica del plasma; è un carrier per sostanze insolubili in acqua (bilirubina, NEFA), ormoni (tiroxina, triiodiotironina, cortisolo, aldosterone), farmaci (salicilati, warfarina, clofibrato, fenilbutazone) e ioni (il 40% del calcio sierico), oltre a rappresentare una riserva di aminoacidi a scopo nutrizionale. Ha emivita di 14-20gg. La sua degradazione avviene a livello renale, epatico e intestinale La sua concentrazione plasmatica viene utilizzata principalmente come indice di funzionalità epatica e dello stato nutrizionale: l albuminemia diminuisce inoltre nelle nefropatie con proteinuria, nelle ustioni, e nelle enteropatie protido-disperdenti; la riduzione dei suoi livelli plasmatici costituisce un elemento caratterizzante la risposta della fase acuta. Prealbumina o transtiretina: non è precursore dell albumina ma è così chiamata perché migra davanti alla albumina; è sintetizzata dal fegato ed è presente nel siero e nel liquor, dove costituisce una delle componenti proteiche maggiori. Trasporta tiroxina (trans-ti-retina) e la RBP (Retinol Binding Protein); svolge principalmente una funzione di trasporto per aminoacidi, enzimi, farmaci, ormoni e vitamine; ha una emivita di 2 giorni e, per questo motivo, rappresenta un indice di funzionalità epatica e/o dello stato nutrizionale più precoce rispetto all albumina. Come l albumina, i suoi livelli plasmatici si riducono durante la risposta della fase acuta. Alfa-1 globuline: Alfa1-antitripsina: circa il 90% del picco delle α1-globuline è costituito dalla α1-antitripsina (AAT); la AAT è una anti-proteasi che si lega alla tripsina e ad altri enzimi proteolitici (quali elastasi, collagenasi, chimotripsina, plasmina e trombina), inattivandoli: è una proteina della fase acuta il cui ruolo fisiologico consiste nel controllare l azione istolesiva degli enzimi liberati dai leucociti (polimorfonucleati neutrofili) nel corso dei processi infiammatori Il deficit di AAT può causare enfisema polmonare e epatopatia: la patologia polmonare si manifesta nella 3a - 4a decade di vita ed è provocata dalla mancata inibizione della elastasi rilasciata dai leucociti in risposta alla presenza di agenti irritanti (quali il fumo) nelle vie respiratorie, con conseguente azione distruttiva dell enzima sul parenchima polmonare; la malattia epatica si manifesta invece in età pediatrica con una epatite cronica che può evolvere in cirrosi e in epatocarcinoma, conseguente all accumulo nel reticolo endoplasmatico degli epatociti di una forma di proteina mutata che non riesce ad essere trasferita all apparato del Golgi e quindi eliminata dalla cellula. Il deficit di α1-antitripsina si trasmette come carattere autosomico recessivo; ha una incidenza di 1/ nati vivi, che la pone tra le più comuni malattie genetiche gravi. Sono note più di 75 varianti del gene (localizzato in 14q32.1), classificate con un codice a lettera dalla A alla Z, delle quali più di 20 determinano variazioni rilevanti nella funzionalità dell enzima: la variante M, presente in omozigosi in più del 90% della popolazione europea, è associata a normali valori dell enzima. la variante Z determina in omozigosi una riduzione dei livelli di enzima circolante dell 85-90%: questi pazienti hanno un elevato rischio di sviluppare la patologia polmonare e nel 20% dei casi sviluppano una epatopatia; in eterozigosi (MZ) la riduzione dell enzima è solo del 50% e mancano le manifestazioni cliniche. la variante S determina in omozigosi una riduzione dell enzima del 40% senza manifestazioni cliniche, mentre causa enfisema polmonare solo quando in eterozigosi con Z in soggetti fumatori la variante Null, molto rara, è associata in omozigosi alla totale assenza dell enzima e, quindi, ad un elevatissimo rischio di sviluppare la patologia polmonare Alfa1-glicoproteina acida (o orosomucoide): la sua funzione non è stata ancora perfettamente compresa: le omologie nella sequenza aminoacidica con le immunoglobuline suggeriscono un suo ruolo ancestrale nel sistema immunitario; è una proteina della fase acuta che aumenta in 2

3 particolare in corso di malattie autoimmuni quali LES e AR; è inoltre un inibitore del progesterone. Alfa1-fetoproteina: è una albumina fetale sintetizzata nel sacco vitellino e, a partire dal 4 mese di gravidanza, dal fegato fetale; dall 8 mese la sua concentrazione sierica decresce rapidamente, consensualmente ad una aumenta produzione di albumina. Durante la gravidanza un suo aumento indica difetti del tubo neurale, spina bifida o gravidanza gemellare, mentre una sua riduzione è associata alla sindrome di Down. In età adulta il suo aumento è associato alla presenza di epatocarcinoma.. Alfa-lipoproteine (HDL). Alfa-2 globuline: Alfa2-macroglobulina: è una anti-proteasi molto aspecifica e molto potente, che interviene nella regolazione dei processi emocoagulativi (come la α2-antiplasmina inibisce l azione fibrinolitica della plasmina sulla fibrina, legandosi ad essa) e della risposta immunitaria, oltre a veicolare ormoni quali il somatotropo e l insulina. Il suo ruolo fisiologico è così importante che non sono mai stati descritti deficit congeniti, probabilmente incompatibili con la vita. Ha peso molecolare molto alto ( ) e, come dimensione, è seconda solo alle IgM: pertanto, anche nei casi di grave proteinuria (sindrome nefrosica) non si perde con le urine, ma rimane nel siero, determinando un tracciato elettroforetico caratteristico. Non è una proteina della fase acuta. Aptoglobina: è una proteina della fase acuta in grado di combinarsi con l'emoglobina libera rilasciata nel plasma in seguito ad emolisi intravascolare: i complessi aptoglobina-emoglobina vengono rimossi dal plasma in pochi minuti ad opera del sistema reticoloendoteliale, dove vengono metabolizzati in aminoacidi e ferro; l aptoglobina è pertanto fisiologicamente preposta a prevenire le perdite urinarie di emoglobina (e quindi di ferro) che si determinerebbero nei casi di emolisi intravascolare. Nelle emolisi intravascolari i livelli ematici di aptoglobina risultano ridotti; l aptoglobina aumenta, invece, in corso di neoplasie, traumi e processi infiammatori. Ceruloplasmina: lega e trasporta il rame; se manca (morbo di Wilson) il rame si accumula in cervello e prostata. È una proteina di fase acuta. Alfa2-antiplasmina: inibisce la plasmina. È una proteina di fase acuta. Pre-beta2 lipoproteine (VLDL). Beta-globuline: Transferrina (β1): (proteina negativa della fase acuta) è la proteina deputata al trasporto del ferro nel plasma; nelle anemie sideropeniche i livelli plasmatici di transferrina aumentano (per meccanismo compensatorio) dando origine ad un modesto picco nella regione β C3 del complemento (β2): (proteina della fase acuta) Antitrombina III: (proteina della fase acuta) inibisce la cascata coagulativa agendo principalmente sul fattore II (trombina) e sui fattori IX, X, XI e XII Beta-lipoproteine (LDL) Gamma-globuline: Immunoglobuline: IgG, IgA, IgM (e, meno rappresentate in condizioni normali, IgD ed IgE); IgA è a cavallo con le β globuline; aumentano nelle infiammazioni. Fibrinogeno (fattore I della coagulazione): tra i fattori della coagulazione è quello a più elevata concentrazione plasmatica ( mg/dl); si riscontra a cavallo con le beta-globuline dopo separazione delle proteine plasmatiche, mentre risulta assente quando l elettroforesi viene condotta sulle proteine sieriche. Proteina C reattiva: (proteina della fase acuta, classificata da alcuni tra le β globuline) così denominata perché capace di legare il polisaccaride C della parete cellulare dello Streptococcus 3

4 Pneumoniae; in realtà è in grado di legare molti altri polisaccaridi appartenenti a batteri, protozoi e parassiti, oltre che fosfolipidi e sfingolipidi di membrana, cromatina ed istoni; una volta complessata, la PCR attiva la via classica del complemento attraverso il fattore C1q; promuove inoltre la clearance di detriti tessutali ed è ritenuta essere una opsonina. Alterazioni e patologia: infiammazione acuta o lesioni distruttive (neoplasie estese, necrosi ischemiche, traumi, ustioni): aumento delle α2-globuline (aptoglobina) e, in misura minore, delle α1-globuline (1-antitripsina) infiammazioni croniche: aumento a base larga del picco delle γ globuline associato ad un moderato aumento delle α2-globuline epatopatia cronica: aumento a base larga del picco delle γ globuline attraverso l ingresso nel circolo sistemico di sangue enterico portatore di Ig ed inversione del rapporto albumina/globuline per diminuzione dell'albumina sindrome nefrosica (proteinuria elevata, ipoabuminemia, edemi generalizzati, iperlipemia e ipercolesterolemia): riduzione della albumina con aumento delle α2-globuline (α2-macroglobulina e pre-β-lipoproteine) e delle β-globuline (β-lipoproteine) ipo/agammaglobulinemia: si appiattisce o scompare il picco gamma anemia sideropenica: modesto aumento delle β-globuline per un aumento della transferrina gammopatia monoclonale: presenza di un picco a base ristretta nella zona delle γ-globuline deficit di α1-antitripsina: riduzione / scomparsa del picco delle α1-globuline Importanza diagnostica delle proteine della fase acuta e della VES Il termine fase acuta si riferisce all insieme degli eventi sistemici che accompagnano l infiammazione acuta, costituiti principalmente da febbre, anoressia, leucocitosi, aumentata sintesi di alcuni ormoni (quali ACTH, cortisolo, adrenalina) e variazione dei livelli ematici di alcune proteine sintetizzate dal fegato, definite proteine della fase acuta ; mentre sono risposte locali la vasodilatazione, l aggregazione piastrinica, etc. La fase acuta è sostenuta e regolata da mediatori chimici liberati dal sito o dai siti della infiammazione, che hanno come bersaglio specifici recettori posti su cellule distanti dal luogo della loro secrezione. La risposta della fase acuta è veloce, efficace, standardizzata e caratteristicamente aspecifica; essa viene infatti attivata da svariate condizioni che producono una lesione o uno stress tessutale, quali quelle che si determinano in corso di infezioni, reazioni immuno/allergiche, ipossia, infarti, traumi, ustioni, interventi chirurgici, neoplasie maligne ed altre. Si definiscono proteine della fase acuta tutte le proteine la cui concentrazione plasmatica aumenta almeno del 25% durante un processo infiammatorio. Le proteine della fase acuta sono prodotte dal fegato e la loro sintesi epatica è mediata principalmente dalla IL-6 liberata nel luogo dell infiammazione da cellule immunitarie e non-immunitarie, inclusi fibroblasti, macrofagi, cellule epiteliali ed endoteliali; la produzione di IL-6 è indotta a sua volta dalla IL-1 liberata dai macrofagi attivati dai linfociti T helper e dal TNFα prodotto anch esso dai macrofagi. Le proteine plasmatiche che, secondo questi criteri, possono essere incluse tra le proteine della fase acuta sono oggi più di trenta: alcune (fattori del complemento, PCR) sono opsonine e fattori chemiotattici per neutrofili e macrofagi; altre (α1-antitripsina, α1-antichimotripsina) sono antiproteasi che neutralizzano le proteasi liberate da neutrofilli e macrofagi; altre (fibrinogeno) sono fattori della coagulazione che bloccano le emorragie, contribuiscono ad intrappolare i microrganismo nel focolaio infiammatorio e promuovono la guarigione delle ferite; altre (aptoglobina, emopessina, ceruloplasmina) sono degli spazzini (scavengers) dei residui dei processi distruttivi in quanto hanno azione antiossidante e riducono i livelli dei radicali liberi dell ossigeno che si liberano dalla reazione infiammatoria; altre (proteina C reattiva) si legano a particelle estranee o a detriti cellulari e ne promuovono la clearance, contribuendo ad eliminare materiale che potrebbe fare persistere l infiammazione e produrre reazioni 4

5 autoimmunitarie contro antigeni nucleari; altre (emopessina, ceruloplasmina) sono proteine leganti metalli che prevengono perdite di ferro trasportandolo alle cellule del sistema reticolo endoteliale e sottraendolo così ai batteri. α1 glicoproteina acida α1 antitripsina α1 antichimotripsina amiloide A sierica (SAA) [famiglia di apolipoproteine che si legano alle HDL dopo la loro sintesi ed hanno la capacità di influenzare il metabolismo del colesterolo durante il processo infiammatorio: la persistente produzione di SAA nell'infiammazione cronica può portare allo sviluppo di alcuni tipi di amiloidosi] α2 antiplasmina α2 macroglobulina aptoglobina (α2) antitrombina III (β) ceruloplasmina (α2) C3 (β2) plasminogeno (β2) PCR (β / γ) fibrinogeno (β / γ) Più recentemente sono state identificate una serie di proteine plasmatiche la cui concentrazione ematica tende a ridursi durante un processo infiammatorio; tali proteine, denominate proteine negative della fase acuta, sono costituite da: albumina transtiretrina α1 fetoproteina retinol binding protein (α2) transferrina (β1) Fattore XII (β) Il significato della riduzione di queste proteine durante la fase acuta della risposta ed i meccanismi che ne regolano le variazioni plasmatiche non sono stati ancora perfettamente chiariti. Proteina C reattiva (PCR): per le sue caratteristiche costituisce la proteina plasmatica che meglio si adatta ad una valutazione diretta e quantitativa della risposta della fase acuta; è prodotta dal fegato sotto stimolo di IL-6, in assenza di infiammazione la sua concentrazione ematica è bassa (intorno ad 1 mg/dl, e comune mai superiore a 10 mg/dl), e non dipende né dell età né da altri fattori individuali; ha una emivita breve (< 24 ore) ed una velocità di eliminazione dal sangue costante, pertanto la sua concentrazione plasmatica dipende esclusivamente dalla entità della sintesi epatica; il suo aumento si osserva 6-8 ore dopo il danno tessutale e procede in maniera esponenziale, raddoppiando ogni 8-9 ore e raggiungendo il picco massimo dopo 48 ore, con valori anche centinaia di volte superiori a quelli di riferimento; i livelli rimangono elevati durante la fase acuta e ritornano rapidamente alla normalità con l esaurirsi del processo infiammatorio; alti livelli relativamente costanti sono da correlare con neoplasie, epatiti croniche, febbre reumatica; pochi sono i processi patologici che non producono un incremento (elevato o modico) dei livelli plasmatici di questa proteina. L'alternativa di laboratorio può essere la SAA che però decresce un po' più lentamente. Fibrinogeno: glicoproteina di 340 Kda, fino a mg/dl, emivita 4gg. Aumenta nelle infiammazioni, con il fumo, la gravidanza, e i contraccettivi orali; diminuisce per 5

6 epatopatie o CID. Più che valutare direttamente il fibrinogeno, visto che questo influenza la VES si valuta quest ultima. VES (velocità di erìtrosedimentazione): la distanza tra il livello superiore del plasma e l inizio degli eritrociti sedimentati è la VES. V.n.: < 15, < 20 (con un incremento durante il periodo mestruale); aumenta dopo i 50aa: < 20, < 30. Quando una colonna di sangue, addizionato di sodio citrato per non far coagulare, viene lasciata in posizione verticale, gli eritrociti sedimentano verso il fondo attratti dalla forza gravitazionale, in quanto la loro densità è superiore a quella del plasma. La VES misura la velocità di sedimentazione delle emazie nel plasma in cui sono sospese, esprimendola come distanza dopo un ora, in millimetri, (mm/h) tra il livello iniziale del sangue e la parte superiore della colonna di eritrociti sedimentati in un campione posto verticalmente in un tubo di vetro di 20 cm con Ø 2,8 mm, a temperatura ambiente. La velocità di sedimentazione degli eritrociti si può calcolare applicando la legge di Stokes; tale legge si riferisce a particelle ideali sferiche, alle quali possiamo comunque approssimare la morfologia degli eritrociti. V = 2 r2 d 1 d 2 g 9 η dove V = velocità di sedimentazione; r = raggio delle particelle sferiche; d 1 = densità delle particelle sferiche; d 2 = densità del fluido di sospensione; g = accelerazione di gravità; η = viscosità del liquido. La VES è quindi direttamente proporzionale alla massa degli eritrociti ed inversamente proporzionale al loro numero e alla viscosità del sangue; in condizioni normali le emazie mostrano una scarsa predisposizione alla aggregazione in quanto le forze che favoriscono la loro coesione (forze di Van der Waals) sono superate dalle cariche negative delle membrana cellulare (potenziale Z), che tendono alla repulsione; gli eritrociti precipitano quindi solo per il loro peso. Alcune delle proteine prodotte dal fegato durante un processo infiammatorio diminuiscono la naturale repulsione elettrica degli eritrociti, favorendone l aggregazione (formazione di rouleaux) ed aumentandone la massa e la velocità di sedimentazione. Le proteine che maggiormente causano aggregazione dei globuli rossi sono il fibrinogeno (per le sue caratteristiche strutturali fortemente asimmetriche e la presenza di cariche positive), le IgM, le IgG ed, in misura minore, tutte le altre globuline, mentre l albumina e la prealbumina ritardano l aggregazione eritrocitaria. La VES aumenta parallelamente al fibrinogeno e non è dunque direttamente indicativa di patologia; può però fungere da campanello d allarme per infiammazioni stati febbrili anemie malattie infettive tumori maligni epatopatie acute e croniche leucemie acute e croniche macrocitosi disprotidemie affezioni renali allergie gravidanza età > 50 anni Essendo strettamente dipendente dalla concentrazione ematica delle proteine della fase acuta, la VES rappresenta una misura indiretta della fase acuta della risposta; inoltre: è poco standardizzata è dipendente dall età del paziente è dipendente da parametri eritrocitari (numero e dimensione) e dalla viscosità del sangue 6

7 si modifica con una certa latenza rispetto all inizio e alla fine della fase acuta presenta una ampiezza di valori ristretta Il valore clinico della VES risiede comunque nel fatto che essa costituisce un metodo semplice ed a buon mercato per la valutazione dei processi infiammatori e di altri processi patologici; nella pratica clinica, la misura della VES viene applicata con tre principali finalità: rivelare la presenza di processi infiammatori per i quali esiste già un sospetto o una evidenza clinica controllare il decorso o lo stato di attività di una malattia infiammatoria cronica individuare condizioni neoplastiche o infiammatorie occulte E estremamente improbabile che una VES alterata possa associarsi ad uno stato di buona salute. 7

8 L'EMOSTASI Il termine emostasi comprende tutti i meccanismi fisiologici che l'organismo mette in atto per evitare perdite di sangue. Grazie alla funzione emostatica l'organismo può fare cessare il sanguinamento di una ferita, pur mantenendo nello stesso tempo la necessaria fluidità del sangue nel compartimento intravascolare; un'insufficiente emostasi porta alla emorragia, mentre l'incapacità di mantenere il sangue fluido porta alla trombosi. Attualmente è assai più facile caratterizzare laboratoristicamente i difetti che causano emorragia piuttosto che quelle situazioni, potenzialmente curabili, che predispongono alla trombosi. L emostasi fisiologica richiede una complessa serie di interazioni tra glicoproteine plasmatiche, piastrine circolanti e cellule dell endotelio vascolare: la distinzione tra emostasi primaria e secondaria deve pertanto essere considerata solo come uno strumento esplicativo, in quanto le diverse fasi del processo emostatico e fibrinolitico sono strettamente interdipendenti e non rigidamente sequenziali; allo stesso modo, la distinzione in via intrinseca e via estrinseca della cascata coagulativa appare più un artificio didattico in quanto esistono una serie di feedback che rendono le due vie strettamente interconnesse tra loro. Il processo emostatico inizia quando il sangue viene a contatto con sostanze diverse da quelle presenti sulla superficie endoteliale delle pareti dei vasi: è costituito da una fase primaria e da una fase secondaria: l emostasi primaria consiste nella rapida formazione di un agglomerato di piastrine, chiamato tappo emostatico primario, nella zona della lesione; avviene in pochi secondi ed è fondamentale per arrestare la fuoriuscita di sangue dai vasi capillari e dalle venule l emostasi secondaria porta, per attivazione del sistema della coagulazione, alla formazione della fibrina, i cui filamenti rafforzano il tappo emostatico primario, dando origine al tappo emostatico secondario; richiede alcuni minuti ed è importante soprattutto per bloccare la fuoriuscita del sangue dai vasi di calibro maggiore I. Emostasi primaria L emostasi primaria è caratterizzata dalla formazione del tappo emostatico primario, costituito principalmente da piastrine. Le piastrine (Ø 1 4 µm, spesse 1 µm, per µl, vita media gg) sono prodotte per frammentazione del citoplasma dei megacariociti midollari, e vengono rimosse da parte dei fagociti mononucleati del sistema reticolo-endoteliale; presentano un sistema di invaginazioni della membrana, il sistema canalicolare aperto, costituito dalla membrana plasmatica trilaminare che, invaginandosi profondamente all interno della cellula, aumenta notevolmente la superficie di contatto con l ambiente esterno; il sistema è avvolto da un un glicocalice contenente specifiche glicoproteine recettoriali (Gp Ia, IIa, IIIa, Ib, IIb), nonché recettori per trombossano e trombina. Inoltre presentano un sistema tubulare denso costituito dal reticolo endoplasmatico liscio derivato da quello del megacariocita di origine, in stretto contatto con il sistema canalicolare aperto, all interno del quale si svolgono funzioni biochimiche fondamentali quali il trasporto del calcio ed il metabolismo dell acido arachidonico e dell AMP ciclico. All interno si osservano: un complesso sistema citoscheletrico costituito da microtubuli e microfilamenti localizzati principalmente nella regione equatoriale granuli alfa, contenenti proteine adesive (fattore di vonwillebrand, fibronectina, trombospondina); fattori della coagulazione (fibrinogeno, fattore V, HMWK); inibitori della fibrinolisi (PAI-1, α1-antiplasmina); sostanze ad azione antieparinica (β-tromboglobulina, fattore piastrinico 4); modulatori di crescita (PDGF, TGF-β) granuli densi, contenenti ATP/ADP, Ca 2+, fosforo e serotonina 8

9 La reazione piastrinica viene attivata dal contatto delle piastrine stesse con la matrice extracellulare esposta a seguito della perdita di cellule endoteliali, e può essere schematizzata in tre fasi principali: 1. adesione delle piastrine al connettivo sottoendoteliale esposto (collagene, proteoglicani, fibronectina) mediante i recettori Ia e IIa appartenenti alla famiglia delle integrine: i recettori GpIa e GpIIa consentono alle piastrine di legarsi direttamente al collagene con un legame però poco stabile, mentre i recettori GpIb consentono alle piastrine di legarsi al collagene per interposizione del vwf : si ha lo shape change da forma discoidale a forma sferica con protrusione di pseudopodi. Si ha così l adesione del monostrato. 2. attivazione delle piastrine, indotta dal contatto di collagene, trombossano A2 (TXA2) e trombina con specifici recettori della membrana piastrinica, ha come esito la liberazione di una serie di sostanze contenute nei granuli piastrinici o neosintetizzate dalle piastrine stesse; tali sostanze comprendono molecole ad attività vasocostritrice e/o pro-aggregante (serotonina, TXA2, ADP, Ca ++ ), fattori della coagulazione (fibrinogeno, fattore V) ed inibitori della fibrinolisi (PAI-1, α2- antiplasmina). In questa fase si ha anche l espressione in superficie del complesso fosfolipidico (FP3) che fornisce il sito di nucleazione critico per il legame del calcio e dei fattori della coagulazione : PLC: DAG + IP 3 contrazione dei filamenti e degranulazione liberazione ADP Liberazione serotonina vasocostrizione Liberazione Ca 2+ Fattore piastrinico di crescita proliferazione endotelio e muscolo. PLA 2 : stacca l ac. grasso in posizione 2 (a. arachidonico), che, aggredito dalla ciclossigenasi, libera PgG2 e PgH2, dalle quali è prodotto il trombossano A2, che vasocostringe ed attiva le piastrine analogamente al collagene. 3. aggregazione mediata principalmente dall ADP liberato dai corpi densi: l ADP modifica infatti la conformazione del complesso recettoriale glicoproteina (Gp) IIb/IIIa, rendendolo in grado di legare il fibrinogeno. Il fibrinogeno è un cofattore importante di questa fase in quanto si interpone a ponte tra i complessi GpIIb/IIIa consentendo la formazione di grandi aggregati piastrinici; il legame tra fibrinogeno e complessi recettoriali GpIIb/IIIa viene poi stabilizzato dal cross-linking della trombospondina liberata dai granuli α delle piastrine. Il trombossano A 2 (TXA2), oltre ad essere un potente agente vasocostrittore, è un importante attivatore della aggregazione piastrinica; i trombossani derivano dalla via ciclossigenasica del metabolismo dell acido arachidonico che si libera dalla membrana delle piastrine per azione delle fosfolipasi attivate dal legame tra ADP e lipidi di membrana. L enzima ciclossigenasi viene inibito dall acido acetilsalicilido e da tutti gli altri farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS): l inibizione della sintesi di TXA2 da parte di questi farmaci è una causa comune di sanguinamento nei pazienti trattati e rappresenta il presupposto per l azione di alcuni farmaci antiaggreganti. La trombina provoca la contrazione delle piastrine, che si saldano. Il processo viene limitato soprattutto dall endotelio sano, che libera PGI 2 (prostaciclina) e NO che impediscono l aggregazione; PGI 2 è anche antiattivante, svolgendo azione opposta al TXA 2. Vengono liberati in seguito all azione della trombina sull endotelio. Il tappo primario è sufficiente a bloccare l emorragia nei piccoli vasi. Patologie della fase 1 (adesione) Malattia di von Willebrand: è la patologia coagulativa ereditaria più frequente al mondo, con una prevalenza di circa 8 pazienti ogni 1000 abitanti (l emofilia ha una prevalenza di 1/ maschi). È provocata dal deficit quantitativo o qualitativo del fattore di von Willebrand conseguente a mutazioni del gene codificante il fattore, localizzato sul cromosoma 12. Si trasmette secondo una modalità autosomica dominante a penetranza 9

10 incompleta (solo in rari casi recessiva). A seconda della mutazione, le manifestazioni cliniche possono essere estremamente variabili: in un numero non trascurabile di pazienti la malattia può restare del tutto asintomatica, mentre i casi severi (che presentano emorragie articolari o interne) sono rari (circa 1,5 soggetti / milione di abitanti). Nei pazienti sintomatici, le manifestazioni cliniche più caratteristiche sono costituite da ecchimosi ed ematomi non proporzionali all'intensità del trauma, epistassi, gengivorragie e mestruazioni abbondanti (l adolescente danese che giunse all'osservazione di von Willebrand nel 1926 morì di metrorragia in occasione del suo quarto ciclo mestruale): inoltre, a seguito di situazioni chirurgiche od odontoiatriche anche non particolarmente impegnative (tonsillectomia, appendicectomia, estrazioni dentali), i pazienti manifestano sanguinamenti eccessivi e prolungati. La diagnosi si basa sul riscontro dell allungamento del tempo di sanguinamento e dell aptt (con PT normale), oltre che sul dosaggio del fattore di von Willebrand. Il test di aggregazione piastrinica con ristocetina risulta alterato, mentre si ha aggregazione con agonisti naturali (ADP e altri). Sindrome di Bernard Soulier: E una patologia molto rara (colpisce un individuo su un milione) provocata dal deficit quantitativo o qualitativo della glicoproteina Ib (denominata, con termine più aggiornato, GPIb-V-IX ) conseguente a mutazioni dei geni che codificano per le quattro subunità del complesso recettoriale, GPIbα, GPIbβ, GPV e GPIX, localizzati, rispettivamente, sui cromosomi 17p12, 22q11.2, 3q29 e 3q21. Si trasmette secondo una modalità autosomica recessiva manifestandosi clinicamente in omozigosi, spesso in figli di genitori consanguinei. E anche nota una forma di malattia trasmessa per via autosomica dominante. La triade diagnostica è costituita da: 1. sindrome emorragica che si presenta nella infanzia/adolescenza con le stesse manifestazioni descritte nella sindrome di von Willebrand (principalmente epistassi, gengivorragie, menorragie ed emorragie post-traumatiche o chirurgiche); 2. piastrinopenia; 3. presenza di piastrine giganti a livello del sangue periferico. La diagnosi si basa sul riscontro di piastrinopenia, piastrine giganti ed allungamento del tempo di sanguinamento, oltre che sulla determinazione della espressione del complesso recettoriale GPIb-V-IX. Come nella sindrome di von Willebrand, il test di aggregazione con ristocetina è alterato, mentre l aggregazione con ADP o con altri agente aggreganti naturali (collagene, epinefrina o trombina) risulta normale. Patologie della fase 3 (aggregazione) Tromboastenia di Glanzmann: patologia rarissima (nel 1995 si conoscevano solo 200 casi al mondo!) provocata dal deficit quantitativo o qualitativo della glicoproteina IIb /IIIa conseguente alla mutazione dei geni che codificano per il complesso recettoriale (dimero), localizzati sul cromosoma 17. Si trasmette secondo una modalità autosomica recessiva, manifestandosi clinicamente in omozigosi spesso in figli di genitori consanguinei. Le manifestazioni cliniche sono le stesse che si osservano nelle altre condizioni in cui è presente un deficit della funzione piastrinica: sanguinamenti cutanei o mucosi in seguito a traumi minimi che si presentano nella infanzia/adolescenza, epistassi, gengivorragie, menorragie ed emorragie post-traumatiche o chirurgiche. La diagnosi si basa sul riscontro di un tempo di sanguinamento prolungato con tempi di coagulazione (aptt e PT) normali e normale conta e morfologia delle piastrine. Contrariamente alle sindromi di von Willebrand e di Bernard Soulier, nella tromboastenia di Glanzmann i test di aggregazione sono alterati con tutti gli agenti aggreganti naturali (ADP, collagene, epinefrina o trombina), mentre risulta normale il test con la ristocetina. La 10

11 diagnosi viene completata dalla misurazione dei livelli di GPIIb/IIIa, di GPIIb e IIIa separatamente, e del legame con il fibrinogeno utilizzando anticorpi monoclonali specifici mediante citometria a flusso o tecniche di immunoblotting. II. Emostasi secondaria A seguito del danno vascolare, le cellule endoteliali sintetizzano fattori che, in sinergia con fattori prodotti dalle piastrine, attivano la cascata coagulativa. Tale cascata consiste in una serie di conversioni di proenzimi inattivi in enzimi attivi secondo il seguente schema: un enzima (il fattore attivato) agisce su un substrato (il fattore successivo nella forma non attiva) in presenza di un cofattore che accelera la reazione. Queste tre componenti fondamentali sono assemblate sul complesso fosfolipidico (FP3) espresso sulla superficie delle piastrine e tenute assieme dagli ioni calcio. Il processo è detto coagulazione, ed è catalizzato dai fattori della coagulazione, glicoproteine di provenienza epatica presenti nel sangue in forma inattiva; al termine della cascata enzimatica si ha, tramite il fxa (in presenza di fv), l attivazione della protrombina in trombina: questa stacca al fibrinogeno i fibrinopeptidi A e B consentendo l aggregazione della fibrina in polimeri uniti tra loro dal fattore XIII (via comune). Trombina e fibrina consolidano il tappo emostatico piastrinico (tappo emostatico secondario o definitivo), conferendogli stabilità e resistenza alle sollecitazioni pressorie. 1) via intrinseca, dovuta a componenti presenti nel sangue Nel sangue si trova il complesso fxii HMWK PK - fxi (HMWK: chininogeno ad alto PM; PK: precallicreina); al contatto con sostanze normalmente non presenti (es. collagene, vetro ) il fxii si attiva, attivando a sua volta la callicreina che completa l attivazione di fxii fxi fxia fxia attiva fix, che in presenza di calcio, fosfolipidi e fviii agisce su fx. HMWK chinine plasminogeno plasmina. 2) via estrinseca, attivata dalla liberazione di FT La lesione endoteliale provoca il rilascio di fattore tissutale o tromboplastina, che attiva il fvii; insieme, in presenza di calcio, vanno ad attivare il fx. VIA INTRINSECA Superficie XII HMWK PK VIA ESTRINSECA fattore tessutale FT (tromboplastina) Questa suddivisione, tuttavia, non è valida in vivo: in realtà, infatti, la via intrinseca riveste una importanza solo minimale, e, per quanto riguarda la via estrinseca, il fviia non va ad attivare direttamente il fx a causa di un inibitore di tale reazione: fviia attiva invece il fix, che attiva il fx. XI proteina C attivata proteina S ENDOTELIO XIIa XIa IX IXa FT + VIIa VII VIII FP3 Ca ++ X V FP3 Ca ++ trombomodulina II (protrombina) contatto del sangue circolante con il fattore tessutale Xa I (fibrinogeno) Ca ++ Danno tessutale AT III attivazione inibizione IIa (trombina) XIII, Ca ++ fibrina fibrina solubile insolubile XI XIa complesso FT + VII + VIIa IX IXa VIII X Xa V protrombina trombina fibrinogeno fibrina 11

12 Il fibrinogeno è costituito da due metà simmetriche formate da tre catene peptidiche (Aα, Bβ e γ) legate da ponti disolfuro; al M.E. appare in forma trinodulare con dominio centrale (E) che contiene le parti amminoterminali delle catene, legate dai ponti, e due domini carbossiterminali D. La trombina stacca i fibrinopeptidi A e B, e il monomero di fibrina residuo si lega D-E ad un altro; il dimero a sua volta si unisce ad altri a formare il polimero insolubile. Il fattore XIII (FSH: fibrin stabilizing factor) e gli ioni calcio stabilizzano i polimeri di fibrina con formazione di legami covalenti tra due domini D adiacenti e tra i domini D ed E. La presenza nel siero dei FpA e B, dosabile, è indice dell attività coagulativa. Sostanze ad azione anticoagulante: al di fuori del circolo il sangue può essere mantenuto liquido rimuovendo tutto il fibrinogeno oppure aggiungendo sostanze anticoagulanti. Si distinguono due gruppi di sostanze ad azione anticoagulante: 1. Sostanze chelanti il calcio, che di fatto sottraggono il calcio alla cascata coagulativa: citrato ossalato EDTA (acido etilendiaminico tetracetico) sotto forma di sali di sodio e di potassio 2. Inibitori della trombina: eparina: esalta l attività antitrombinica dell antitrombina III fattore denominazione emivita (ore) concentrazione plasmatica (mg%) % richiesta per l emostasi I fibrinogeno II protrombina III fattore tessutale V proaccellerina o 18 0, fattore labile VII proconvertina 6 0, VIII fattore antiemofilico A 14 0,05 0, IX fattore antiemofilico B o 25 0,3 0, fattore di Christmas X fattore di Stuard 40 0,6 0, XI XIII XII HMWK PK antecedente plasmatico della tromboplastina fattore stabilizzante la fibrina fattore di Hageman o fattore di contatto chininogeno ad alto perso molecolare o fattore di Fitzgerald precallicreina o fattore di Fletcher p.m. 50 0, , , , ,15 0,

13 fviii: cofattore di fixa. In mancanza di fviii si ha in vivo il blocco della coagulazione, cosa che non avverrebbe se vi fosse la rigida divisione in via estrinseca ed intrinseca. fxii: la sua mancanza, essendo la via intrinseca poco o nulla importante, non causa diatesi emorragica, bensì ipercoagulabilità per mancata attivazione della plasmina da parte della callicreina. Fattori vitamina K-dipendenti: i fattori II (protrombina), VII, IX e X necessitano della vitamina K per svolgere la loro azione biologica. Questi fattori sono sintetizzati nel fegato dove una carbossilasi vitamina K-dipendente catalizza un unica modificazione post-traduzionale che aggiunge un secondo gruppo carbossilico al carbonio γ dell acido glutammico presente nei precursori dei fattori vitamina K dipendenti (la vitamina K agisce da substrato per l enzima γ glutamil-carbossilasi che catalizza l aggiunta di un gruppo carbossilico): a coppie, questi residui di acido γ-carbossi-glutammico legano il calcio, consentendo ai fattori suddetti di ancorarsi ai fosfolipidi piastrinici carichi negativamente e di poter svolgere, quindi, la loro funzione; in assenza di vitamina K, i fattori II, VII, IX e X vengono ugualmente sintetizzati dal fegato, ma risultano funzionalmente inattivi. Sebbene anche le proteine inibitrici la cascata coagulativa C ed S siano vitamina K-dipendenti, il defict di vitamina K produce una sintomatologia emorragica Il blocco del processo carbossilativo previene la coagulazione: si può intervenire tramite competitori della vit. K come il dicumarolo o la warfarina; situazioni di deplezione della flora batterica intestinale possono causare avitaminosi K. Sebbene anche le proteine inibitrici la cascata coagulativa C ed S siano vitamina K-dipendenti, il deficit di vitamina K produce una sintomatologia emorragica. III. Fase fibrinolitica Il sistema fibrinolitico è fisiologicamente preposto alla dissoluzione dei trombi e dei coaguli di fibrina: tale compito è svolto dalla plasmina, una proteasi che viene generata da un precursore ematico inattivo, il plasminogeno. Il plasminogeno può essere attivato attraverso: una via estrinseca: l attivatore tissutale del plasminogeno t-pa, prodotto dall endotelio, va ad attivare il plasminogeno che si trova adeso al coagulo di fibrina, agendo dove ce n è bisogno una via intrinseca: i fattori di contatto (fxii, fix, callicreina, HMWK) attivano la urochinasi, che attiva a sua volta il plasminogeno. L attivazione della plasmina è prevenuta dai PAI (plasmin-activator inhibitors), mentre la sua attività è bloccata dalla α2-antiplasmina e dalla α2-macroglobulina. ATTIVAZIONE ESTRINSECA t-pa PAI ATTIVAZIONE INTRINSECA Fattori di contatto: F XIIa, F XIa, HMWK, callicreina urochinasi attiva plasminogeno plasmina α 2-antiplasmina α 2-macroglobulina attivazione inibizione fibrina (dissoluzione del tappo emostatico) FDP D- dimero fibrinogeno FDP 13

14 Manifestazioni cliniche associate a deficit dell emostasi Patologia dell emostasi primaria: un deficit dell emostasi primaria non andrà tanto ad influire sulle emorragie da lesione, quanto su quelle di capillari e venule che si ritrovano ad avere un tappo efficace non più in secondi, ma in minuti. Si avranno petecchie: piccole emorragie capillari con diametro di circa 1-2 mm di colorito rosso violaceo, frequenti nelle zone dove maggiore è la pressione idrostatica o dove c è pressione o frizione esterna porpore: emorragie con diametro > 3 mm costituite da un insieme di petecchie Ø<1cm ecchimosi: versamenti emorragici sottocutanei di diametro tra 1 e 2 cm, inizialmente di colore rosso-blu, poi verde-blu e quindi giallo-oro ematomi: versamenti emorragici profondi che spesso dissecano le fasce muscolari; possono avere esiti clinicamente insignificanti (lividi) così come gravissimi, finanche mortali (versamento retroperitoneale da dissecazione di un aneurisma dell aorta) versamenti ematici in cavità dell organismo: emotorace, emopericardio, emoperitoneo, emartro sanguinamenti da determinati distretti dell organismo: gengivorragia, epistassi, ematemesi, melena, ematuria, menorragia e metrorragia Le cause possono essere riduzione delle piastrine: da chemioterapici anti-proliferativi, da infiltrazione neoplastica midollare, da deficit di vitamine emoattive aumentato sequestro splenico aumentata lisi da opsonizzazione anticorpale alterazioni genetiche della funzionalità Gp Ia-IIa: rarissima Gp Ib: malattia di Bernard-Soulier vwf Gp IIb e IIIa: malattia di Glanzmann alterazioni acquisite: sono le più frequenti e date perlopiù da farmaci antinfiammatori non steroidei, che bloccano la ciclossigenasi con riduzione del trombossano; dovrebbe parimenti diminuire la produzione di prostaciclina, ma ciò non accade perché le cellule endoteliali, avendo il nucleo, possono ri-sintetizzare la ciclossigenasi. --- Indagini di laboratorio per la valutazione della emostasi primaria Tempo di sanguinamento (o di emorragia): viene determinato effettuando una piccola incisione superficiale lunga ½ cm e profonda 0,5 mm sulla rete capillare della faccia volare dell avambraccio, in una zona pulita, esente da malattie della pelle e lontano dalle vene superficiali, mantenendo una pressione venosa costante di 40 mmhg con uno sfigmomanometro e cronometrando la durata della fuoriuscita del sangue dalla ferita. Il test viene eseguito in maniera accuratamente standardizzata provocando una incisione di profondità e lunghezza costante con una lama calibrata o con un bisturi automatico: i pazienti con un tempo di sanguinamento superiore ai 10 minuti presentano un rischio emorragico aumentato. V.n.: >10 (nei soggetti normali tra 3-6 minuti). Conta piastrinica: V.n.: / µl > / µl: i pazienti sono asintomatici e il tempo di sanguinamento rimane nella norma / µl: il tempo di sanguinamento è lievemente allungato, ma senza alcuna sintomatologia emorragica < / µl: il tempo di sanguinamento è allungato; si osservano porpore cutanee dopo traumi 14

15 minimi e sanguinamenti a livello mucoso in seguito a piccoli interventi chirurgici < / µl: notevole rischio di sanguinamenti spontanei intracranici e in altri sede interne Test dell adesività piastrinica: misura la capacità delle piastrine di aderire ad una superficie estranea. Si fa passare del plasma spinto da una pompa a perfusione continua con piastrine in un cilindro con microsferule di vetro. Il risultato viene espresso in percentuale di piastrine trattenute, determinando il numero di piastrine trattenute rispetto a quelle presenti nel sangue dello stesso paziente non trattato. V.n.: 70 98% Test dell aggregazione piastrinica: valutata in laboratorio mettendo a contatto un plasma ricco di piastrine con sostanze di cui è nota la capacità di indurre aggregazione; le sostanze utilizzate a questo scopo sono il collageno, l adrenalina e la trombina (che agiscono inducendo il rilascio di ADP dalle piastrine), oppure direttamente l ADP. L entità della aggregazione viene quantificata misurando la variazione di torbidità della soluzione dopo aggiunta delle sostanze aggreganti utilizzando un aggregometro, strumento capace di registrare in continuo le variazioni della trasmissione ottica (trasmittanza) di un campione mantenendolo a temperatura costante e in delicata agitazione (indagine nefelometrica - variazione della trasmissione ottica). Test di aggregazione con ADP: l'adp induce aggregazione piastrinica modificando la conformazione del complesso Gp IIb/IIIa rendendolo così in grado di legare il fibrinogeno; l aggregazione piastrinica indotta dall ADP dipende quindi dalla normale presenza, oltre che del fibrinogeno, delle glicoproteine IIb e IIIa. La mancata aggregazione in vitro dopo aggiunta di ADP o di altri agenti aggreganti naturali è tipica della malattia di Glanzmann. Test di aggregazione con ristocetina: l antibiotico ristocetina attiva in vitro i recettori piastrinici GpIb per il vwf, producendo una aggregazione piastrinica che presuppone la presenza sia del vwf sia della glicoproteina Ib. Risposte anomale alla ristocetina (mancata aggregazione) si avranno caratteristicamente in pazienti con malattia di von Willebrand o con malattia di Bernard-Soulier. La diagnosi differenziale tra queste due condizioni viene posta aggiungendo al campione di sangue del paziente il siero di un soggetto normale, cioè contenente il fattore di Von Willebrand: dopo riesecuzione del test, in caso di malattia di Bernard-Soulier non si avrà aggregazione, mentre le piastrine mostreranno una normale aggregazione in caso di malattia di von Willebrand tempo di sanguinamento normale test di adesività normale normale test di aggregazione con ADP allungato conteggio piastrine ridotto ridotto test di aggregazione con ristocetina --- Indagini di laboratorio per la valutazione della emostasi secondaria Tempo di tromboplastina parziale attivata (aptt): valuta la via intrinseca e comune (fi, II, V, VIII, IX, X, XI, XII, HMWK e PK). Si esegue aggiungendo al plasma-citrato del paziente agenti attivanti (caolino), una emulsione di 15

16 fosfolipidi (sostituti piastrinici) e ioni calcio, e cronometrando il tempo necessario alla formazione del coagulo. I valori sono normalmente espressi in secondi (v.n. tra 28 e 40 secondi) o come rapporto (ratio) tra il tempo del plasma in esame e quello di un campione di plasma normale di controllo. Tempo di protrombina (PT o tempo di Quick): valuta la via estrinseca e comune (fi, II, V, VII e X). Si esegue aggiungendo al plasma-citrato del paziente tromboplastina tessutale e ioni calcio, e cronometrando il tempo necessario alla formazione del coagulo. I valori sono normalmente espressi in secondi (v.n. tra 11 e 13 secondi) o come rapporto (ratio) tra il tempo del plasma in esame e quello di un campione di plasma normale di controllo. Test di complementazione attivazione via intrinseca (caolino fosfolipidi calcio) attivazione via intrinseca (caolino fosfolipidi calcio) aggiunta di plasma di un paziente con emofilia A aggiunta di plasma di un paziente con emofilia A emofilia A emofilia B emofilia A emofilia B aptt allungato aptt allungato aptt allungato aptt normale La terapia anticoagulante con eparina associata ad antagonisti della vitamina K per via orale (farmaci dicumarolici) rappresenta il trattamento standard delle trombosi venose acute e delle embolie polmonari; la terapia anticoagulante cronica per via orale viene inoltre utilizzata nella prevenzione dell ictus in pazienti a rischio di embolie cardiogene o derivanti da arterie vertebrali o da carotidi aterosclerotiche parzialmente stenotiche; in questi casi, i dosaggi dei farmaci anticoagulanti vengono definiti sulla base delle variazioni indotte sui tempi di coagulazione: l aptt permette l ottimizzazione dell impiego della eparina il PT viene utilizzato per monitorare il trattamento con farmaci dicumarolici Per ottenere una migliore standardizzazione della terapia con antagonisti della vitamina K è stato adottato il sistema INR (International Normalized Ratio) che prevede che il PT ratio sia corretto per la sensibilità della tromboplastina determinata sulla base dell ISI (International Sensitivity Index). INR = PT ISI paziente PT controllo Valutazione della formazione / degradazione della fibrina: determinazione dei fibrinopeptidi A e B: i fibrinopeptidi A e B (FpA e FpB) si producono in seguito all'azione proteolitica della trombina sul fibrinogeno; la molecola residua (monomero di fibrina) va incontro a polimerizzazione e, in presenza del fattore XIII, produce un coagulo stabilizzato. L aumento nel siero dei FpA e FpB è indice di una intensa attività coagulativa; attualmente sono disponibili immunodosaggi molto sensibili sia per il FpA sia per il FpB, anche se più comunemente viene dosato il solo FpA. dosaggio dei prodotti di degradazione della fibrina e del fibrinogeno (FDP) e del D-dimero: I parametri di laboratorio che vengono utilizzati per la valutazione del sistema fibrinolitico sono rappresentati dal dosaggio degli FDP e del D-dimero. 16

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