DISFUNZIONE CRONICA DEL TRAPIANTO RENALE (CAD): RUOLO DELLA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA



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GIORNALE ITALIANO DI NEFROLOGIA / ANNO 25 S-44, 2008 / PP. S48-S52 DISFUNZIONE CRONICA DEL TRAPIANTO RENALE (CAD): RUOLO DELLA TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA G. Comai, G. La Manna, G. Feliciangeli, G. Liviano D Arcangelo, A. Ferri, G. Ubaldi, M.P. Scolari, S. Stefoni U.O. di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, Policlinico S. Orsola, Università degli Studi, Bologna Chronic allograft dysfunction: role of immunosuppressive treatment Renal transplantation is the treatment of choice for patients with end-stage renal disease. In recent years a major improvement has been observed in short-term graft survival, but there has been no corresponding improvement in long-term survival. Chronic allograft dysfunction (CAD) is an anatomical and clinical alteration that can lead to the loss of the transplanted organ without any specific cause. The pathogenesis of CAD, which still remains to be fully clarified, involves both immunological factors (acute rejection, subclincial rejection, HLA mismatches between donor and recipient, noncompliance, etc) and non-immunological factors (marginal donor ischemia/ reperfusion injury, infection, cardiovascular risk factors, nephrotoxicity, etc). Immunosuppressive therapy represents one of the strategies for the prevention of CAD. The introduction into clinical practice of novel immunosuppressive agents with no or lower nephrotoxicity, like mycophenolate mofetile, rapamycin and everolimus, will make therapeutic strategies aimed at decreasing the incidence of CAD feasible. (G Ital Nefrol 2008; 25: (Suppl. S44) S48-52) Conflict of interest: None KEY WORDS: Kidney transplant, Chronic allograft disfunction (CAD), Immunosuppressive therapy PAROLE CHIAVE: Disfunzione cronica del trapianto (CAD), Trapianto renale, Terapia immunosoppressiva Indirizzo degli Autori: Prof.ssa Maria Piera Scolari U.O. di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Policlinico S. Orsola Università degli Studi Via G. Massarenti, 9 40138 Bologna e-mail: mariapiera.scolari@unibo.it INTRODUZIONE Il trapianto di rene è oggi il trattamento d elezione per i pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale ed è in grado di garantire ad essi, rispetto al trattamento sostitutivo artificiale, la miglior qualità di vita. Il successo del trapianto è da attribuirsi soprattutto al numero crescente di farmaci immunosoppressori che negli anni sono stati introdotti nella pratica clinica e che hanno grandemente ridotto l incidenza del rigetto acuto ad 1 anno (dall 80% negli anni 70 a circa il 10% oggi) (1). Nel lungo termine però il trapianto di rene non presenta gli stessi risultati, infatti, la vita media del trapianto è inferiore a quella attesa; le principali cause di perdita del rene trapiantato sono oggi la disfunzione cronica del trapianto e la morte del paziente con rene funzionante (2, 3). Con il termine disfunzione cronica del trapianto (CAD) si intende il progressivo deterioramento della funzione dell organo trapiantato in assenza di una causa eziologia specifica, generalmente accompagnato da proteinuria (0.5-2 g/die) e ipertensione. Nonostante questi segni e sintomi clinici patognomonici, la diagnosi di certezza viene effettuata solo con la biopsia renale (4). Il termine disfunzione cronica del trapianto è stato coniato per differenziarlo dalla definizione di nefropatia cronica da trapianto (CAN) che negli anni era stata impropriamente utilizzata per definire svariate patologie renali spesso secondarie a cause specifiche (rigetto, uropatia ostruttiva, pielonefrite, ecc.). L ultima revisione della classificazione di Banff nel 2005 elimina il termine CAN e focalizza l attenzione sulla presenza a livello morfologico di lesioni renali tardive (Chronic Allograft Injuries) caratterizzate da fibrosi interstiziale ed atrofia tubulare, in assenza di altre specifiche eziologie (Banff grado 5) (5). S48 Società Italiana di Nefrologia

Comai et al PATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO Dal punto di vista patogenetico la CAD è dovuta a fattori immunologici e fattori non immunologici (Fig. 1). Fattori Immunologici Il rigetto acuto è un fattore importante nello sviluppo della CAD, in particolare il rigetto acuto tardivo, cioè quello che compare dopo tre mesi dal trapianto ed è nella maggior parte dei casi secondario alla non compliance del paziente. In relazione al rigetto i fattori prognostici di rischio per lo sviluppo di CAD sono: il numero di episodi di rigetto; la gravità istologica; la tempistica (rigetto precoce versus tardivo); la non risposta alla terapia steroidea. Il rigetto acuto vascolare, attivando il complemento e determinando la comparsa di vasculopatia obliterante, è maggiormente associato allo sviluppo di CAD rispetto al rigetto cellulo mediato (6, 7). Un altro fattore aggravante lo sviluppo della patologia è la comparsa di rigetti subclinici definiti come rigetti diagnosticati istologicamente in assenza di segni clinici di deterioramento funzionale (8, 9). In uno studio effettuato da Nankivell (10) in cui venivano eseguite biopsie protocollari si evidenziava un incidenza di rigetto subclinico del 60% nel primo mese, 45% nel terzo mese e 25% al 12 mese. Un ulteriore fattore immunologico, causa di CAD, è la presenza di HLA mismatching. In letteratura sono pochi i dati che analizzano questo come fattore di rischio indipendente; ulteriori studi saranno necessari per chiarirne l importanza. È ormai comunque noto che anticorpi circolanti anti-hla sono responsabili dell insorgenza di rigetto cronico umorale, reperto che va confermato dalla presenza di depositi di C4d nei capillari peritubulari (11-13). Un ulteriore fattore di rischio, molto spesso sottovalutato, è la non compliance del paziente verso la terapia immunosoppressiva prescritta; infatti, la prevalenza di non-compliance riportata in letteratura è molto variabile (dal 1.5 al 45%) (14). La non aderenza alla terapia può dipendere da un assunzione errata dei farmaci in termine di modalità e dosaggio fino alla completa interruzione del trattamento immunosoppressivo. I fattori che identificano un paziente a rischio di non compliance sono relati: al paziente stesso (giovane età, sesso femminile, stato socio-economico e culturale, ecc.), al centro trapianti che segue il trapiantato (corretta educazione pre e posttrapianto, timing del follow-up, ecc.) e ai farmaci stessi (grandezza, numero e gusto delle compresse, prezzo per il paziente, associazione con effetti collaterali di varia natura, ecc.) (15). Fig. 1 - Patogenesi della disfunzione cronica da trapianto. Fattori non immunologici Molteplici sono i fattori non immunologici coinvolti nello sviluppo della CAD. Tra i più importanti ricordiamo il danno da ischemia e riperfusione che determina la comparsa di lesioni endoteliali con conseguente attivazione dei fenomeni infiammatori (richiamo di polimorfonucleati e attivazione del complemento) che portano, da un lato all attivazione dei meccanismi immunologici di rigetto, dall altro alla comparsa di vasculopatia obliterante (16). Un altro fattore riguarda l uso di donatori non ottimali (età avanzata e patologia cardiovascolare come causa di morte), responsabile della ridotta funzione dell organo trapiantato, non solo in quanto questi organi presentano una ridotta massa nefronica e una sclerosi tissutale, ma anche perché possono innescare il fenomeno della senescenza replicativa. Infatti, le cellule somatiche hanno una capacità replicativa limitata, a cui subentra una fase di senescenza con attivazione di uno stato infiammatorio e conseguente stimolo pro-fibrotico (17, 18) (Fig. 2). Le infezioni virali (citomegalovirus e poliomavirus) hanno un ruolo importante nello sviluppo della CAD in quanto sono in grado di attivare cellule T CD8+ ed aumentare l espressione di molecole di adesione causando quindi disfunzione endoteliale e promuovendo la proliferazione e la migrazione di polimorfonucleati che attivano una reazione infiammatoria, pro-fibrotica e coagulativa a livello della parete vascolare (19, 20). Altri fattori forieri dello sviluppo di CAD sono i fattori di rischio cardiovascolare: ipertensione, dislipidemia e diabete. Ovviamente l impatto di questi fattori sulla perdita di funzione è tanto maggiore quanto più numerosi sono i fattori di rischio coesistenti (21, 22). S49

CAD e terapia immunosoppressiva Fig. 2 - Età media del donatore e del ricevente negli anni. Ultimo aspetto, ma tra i più importanti e su cui si è focalizzata negli ultimi anni l attenzione dei clinici e dei ricercatori, è rappresentato dalla nefrotossicità indotta dai farmaci immunosoppressori. I farmaci che maggiormente risultano nefrotossici sono gli inibitori della calcineurina. La nefrotossicità da ciclosporina e tacrolimus comprende due forme ben distinte di quadri clinici (Fig. 3). La nefrotossicità acuta è un fenomeno emodinamico, legato alla vasocostrizione intrarenale con aumento delle resistenze vascolari e variabile riduzione della filtrazione glomerulare. Tale condizione è spesso dipendente dalla sensibilità individuale ed è dose correlata. Il quadro istologico renale è generalmente normale o presenta, a livello tubulare, una vacuolizzazione isomerica e la presenza di mitocondri giganti. Tali alterazioni sono reversibili alla sospensione del farmaco. La patogenesi di tale alterazioni è legata ai seguenti meccanismi: alterazione del metabolismo dell acido arachidonico in favore del trombossano che è vasocostrittore, aumento del livello di endotelina, attivazione del sistema simpatico, inibizione dell ossido nitrico sintetasi. La forma cronica è invece un entità clinica spesso insidiosa, associata alla progressiva e irreversibile perdita della funzione renale, dovuta alla persistente vasocostrizione pre glomerulare e ad alterazioni cellulari a livello tubulare ed interstiziale. Dal punto di vista patogenetico molti Autori documentano un aumento di citochine pro-fibrotiche, in particolare TGF-β, il quadro istopatologico è caratterizzato dalla presenza di fibrosi tubulo-interstiziale e da alterazioni ialine degenerative della parete arteriolare (23). RUOLO DEI FARMACI IMMUNOSOPPRESSORI Alla luce di queste considerazioni, l ottimizzazione della terapia immunosoppressiva in termini di scelta dei farmaci o di personalizzazione e adeguamento Fig. 3 - Nefrotossicità da inibitori della calcineurina. dei dosaggi, può essere una valida strategia nel prevenire molte delle problematiche relative alla perdita di funzione. Le principali strategie terapeutiche sono: 1) la sospensione o la completa eliminazione dei farmaci nefrotossici (inibitori della calcineurina); 2) la riduzione degli inibitori della calcineurina in associazione con inibitori della sintesi del DNA (azatioprina, micofenolato mofetile, micofenolato sodico) oppure con inibitori del segnale di proliferazione o PSI (sirolimus, everolimus). Questi ultimi sono farmaci di più recente introduzione che possiedono un meccanismo d azione differente: inibiscono, infatti, la trasduzione del segnale di proliferazione già avviato dal legame dell interleuchina 2 al suo recettore; agiscono quindi a valle del terzo segnale di attivazione tra la cellula presentante l antigene e il linfocita (Fig. 4). I protocolli terapeutici che eliminano gli inibitori della calcineurina utilizzando gli inibitori della sintesi del DNA o gli inibitori del segnale di proliferazione, hanno mostrato, da un lato un miglioramento della funzione renale e delle lesioni istologiche (24-26), dall altro hanno documentato una maggior incidenza di rigetti acuti e/o subclinici (9, 27). Gli studi pubblicati in letteratura sono numerosi, tuttavia il loro follow-up è ancora troppo breve per poter trarre delle valide conclusioni, inoltre da studi più recenti viene segnalato che anche gli PSI possano essere responsabili di una nefrotossicità (comparsa di proteinuria, ritardata ripresa funzionale, tossicità tubulare, ecc.) la cui patogenesi non è ancora del tutto conosciuta (28, 29). Va segnalato ancora che associazioni terapeutiche che utilizzano sirolimus e micofenolato mofetile, hanno evidenziato una eccessiva incidenza di effetti collaterali relati soprattutto alla mielodepressione (30). La strategia oggi più promettente sembra essere quella che utilizza gli inibitori della calcineurina a un dosaggio molto basso in associazione a everolimus. Infatti, alcuni studi clinici evidenziano una migliore S50

Comai et al RIASSUNTO Fig. 4 - Inibitori del segnale di proliferazione (PSI): meccanismo d azione. sopravvivenza del paziente e del graft con questi schemi terapeutici (31). Questo schema terapeutico permette da un lato di limitare l incidenza di rigetti acuti, dall altro consente di prevenire la sclerosi a livello vascolare (32, 33). Infatti, studi in questo campo hanno documentato che, come sirolimus, everolimus possiede un azione antiproliferativa a livello della parete vasale, inducendo una riduzione dell inspessimento dell intima, come documentato anche in studi a livello cardiaco (trapianto di cuore) (34). In conclusione l azione antiproliferativa specifica degli PSI, non solo sulle cellule immunitarie ma anche sulle cellule dell endotelio vascolare, responsabile dello sviluppo della CAD, permette oggi di aprire nuove prospettive terapeutiche atte a prevenire la perdita della funzione nel lungo termine. Sono necessari comunque studi nel lungo termine per confermare questi risultati. Il trapianto di rene è oggi il trattamento d elezione per i pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale, in quanto determina una ottima sopravvivenza del paziente e del graft nel breve termine. Nel lungo termine, tuttavia, si osserva una progressiva riduzione della funzione renale. Con il termine disfunzione cronica del trapianto (CAD) si intende il progressivo deterioramento della funzione dell organo trapiantato in assenza di una causa eziologia specifica. Dal punto di vista patogenetico la CAD è dovuta a fattori immunologici (rigetto acuto, rigetto subclinico,hla mismatching, non compliance) e fattori non immunologici (il danno da ischemia e riperfusione, i donatori marginali, le infezioni, i fattori di rischio cardiovascolare, la recidiva della nefropatia di base, la nefrotossicità). L ottimizzazione della terapia immunosoppressiva in termini di scelta dei farmaci o di personalizzazione e adeguamento dei dosaggi può essere una valida strategia nel prevenire molte delle problematiche relative alla perdita di funzione. Le principali strategie terapeutiche sono l eliminazione dei farmaci nefrotossici (inibitori della calcineurina) o la loro riduzione in associazione con sirolimus ed everolimus (farmaci inibitori del segnale di proliferazione o PSI) o con acido micofenolico (inibitore della sintesi del DNA o MPA). RINGRAZIAMENTI Realizzato con il contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, progetto Il rigetto a medio e lungo termine nei trapianti d organo. DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI Gli Autori dichiarano di non avere conflitto di interessi. BIBLIOGRAFIA 1. Zand MS. Immunosuppression and immune monitoring after renal transplantation. Semin Dial 2005; 18: 511-9. 2. Meier-Kriesche HU, Li S, Gruessner RW, et al. Immunosuppression: evolution in practice and trends, 1994-2004. Am J Transplant 2006; 6: 1111-31. 3. Pascual M, Theruvath T, Kawai T, Tolkoff-Rubin N, Cosimi AB. Strategies to improve long-term outcomes after renal transplantation. N Engl J Med 2002; 346: 580-90. 4. Yates PJ, Nicholson ML. The aeiology and pathogenesis of chronic allograft nephropaty. Transpl Immunol 2006; 16: 148-57. Epub 2006 Nov 2. 5. Solez K, Colvin RB, Racusen LC, et al. Banff 07 classification of renal allograft pathology: updates and future directions. Am J Transplant 2008; 8: 753-60. Epub 2008 Feb 19. 6. Cosio FG, Pelletier RP, Falkenhain ME, et al. Impact of acute rejection and early allograft function on renal allograft survival. Transplantation 1997; 63: 1611-5. 7. Sijpkens YW, Doxiadis II, Mallat MJ, et al. Early versus late acute rejection episodes in renal transplantation. Transplantation 2003; 75: 204-8. 8. Kee TY, Chapman JR, O'Connell PJ, et al. Treatment of subclinical rejection diagnosed by protocol biopsy of kidney transplants. Transplantation 2006; 82: 36-42. 9. Moreso F, Ibernon M, Gomà M, et al. Subclinical rejection associated with chronic allograft nephropathy in protocol biopsies as a risk factor for late graft loss. Am J Transplant 2006; 6: 747-52. S51

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