STRATEGIE DI ADERENZA ALLA TERAPIA ANTIPIASTRINICA A LUNGO TERMINE



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STRATEGIE DI ADERENZA ALLA TERAPIA ANTIPIASTRINICA A LUNGO TERMINE Alessandro Battagliese, Cesare Greco Dipartimento Malattie dell Apparato Cardiocircolatorio, Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata, Roma Premessa L angioplastica coronarica ha da anni trasformato radicalmente il trattamento delle sindromi coronariche acute. Essa tuttavia presenta due importanti limitazioni: il rischio di occlusione acuta (durante le prime 48 ore) o subacuta (entro 30 giorni) e la restenosi tardiva del vaso trattato (più frequente tra i 4 e gli 8 mesi dalla procedura). L introduzione degli stent coronarici, in epoca più recente, e il perfezionamento della tecnica interventistica hanno in gran parte risolto questi problemi, ma questo è stato possibile anche grazie all utilizzo, a supporto, di strategie terapeutiche complesse di cui la più importante è rappresentata dall uso dei farmaci antiaggreganti (1-5). A fronte degli indiscussi benefici clinici di questi farmaci, si sono posti una serie di interrogativi verso i quali si è rivolta l attenzione della comunità scientifica e, in particolare, quella dei cardiologi clinici. Tra le questioni aperte risultano fondamentali quelle su quale sia il miglior compromesso tra la potenza antiaggregante e il rischio emorragico, il grado ottimale d inibizione piastrinica in cronico, la durata e l intensità della terapia antiaggregante e anticoagulante dopo un evento coronarico acuto. Nonostante lo sviluppo di nuovi farmaci antitrombotici la duplice terapia antiaggregante (DTA) con aspirina e clopidogrel si è dimostrata, fino a poco tempo fa, la migliore strategia in termini di efficacia e di costi. Gli studi CAPRIE (6), CURE (7), CREDO (8) e COMMIT (9) hanno dimostrato l efficacia di questa strategia in termini di riduzione di eventi cardiovascolari maggiori con un accettabile rischio emorragico durante il periodo di 12-18 mesi dall evento coronarico acuto. Nonostante la recente introduzione di farmaci antiaggreganti più efficaci del clopidogrel in associazione all aspirina quali il prasugrel (10) e il ticagrelor (11), la maggior parte dei dati sulla base dei quali si sono definite le strategie terapeutiche derivano dagli studi che hanno utilizzato l associazione aspirina-clopidogrel: in particolare gli studi sull aderenza terapeutica sono stati eseguiti quasi esclusivamente su pazienti trattati con questo tipo di doppia antiaggregazione. Le Linee Guida raccomandano la DTA nei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) per almeno un mese con una durata ottimale di 12 mesi in caso di strategia medica conservativa, per almeno un mese con una durata ottimale di 12 mesi in caso di angioplastica e impianto di stent non medicato, e per almeno 6 mesi con durata ottimale di 12 mesi in caso di impianto di stent medicato (12-14). Le nuove strategie terapeutiche messe a punto, anche le più aggressive, non hanno determinato l azzeramento del rischio residuo soprattutto nei primi 12 mesi dopo SCA, e questo non per la scarsa efficacia dei farmaci. L aderenza terapeutica rappresenta, infatti, uno dei determinanti più importanti di outcome dopo un evento coronarico acuto; l aderenza alla terapia antiaggregante piastrinica, in particolare, potrebbe essere la causa più im - portante del mancato azzeramento del rischio residuo. Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Alessandro Battagliese Via Vetulonia 26 B/17-00183 Roma Email: battagliese.a@gmail.com 40

STRATEGIE DI ADERENZA ALLA TERAPIA ANTIPIASTRINICA A LUNGO TERMINE La situazione attuale La mancata aderenza alla terapia, in generale, è un fenomeno diffuso tra i pazienti con fattori di rischio o patologie cardiovascolari. Il fenomeno interessa il 50% dei pazienti in prevenzione primaria e il 30% di quelli in prevenzione secondaria (15). È da sottolineare che spesso l aderenza negli studi randomizzati è maggiore che in quelli osservazionali a causa del potenziale bias rappresentato dalla maggiore motivazione di medici e pazienti. In studi osservazionali il 10% dei pazienti sospende infatti la terapia antiaggregante entro i primi 30 giorni dall impianto di stent coronarico (16,17). Nello studio CURE (7) il 46% dei pazienti sospendeva temporaneamente il clopidogrel per essere sottoposto a intervento di rivascolarizzazione chirurgica o a chirurgia non cardiaca. La stessa percentuale sospendeva il placebo. Nello studio TRITON-TIMI 38 (10) il 18% dei pazienti sospendeva prematuramente il prasugrel e il 17% il clopidogrel (p=ns). Nello studio PLATO (11), infine, l in - terruzione prematura del ticagrelor avveniva nel 23% dei pazienti a differenza del clopidogrel che era interrotto precocemente nel 21% dei pazienti (p=0,002), questo soprattutto per la comparsa di effetti collaterali quali dispnea e asistolia transitoria in percentuale maggiore nel braccio randomizzato a ticagrelor. Altri dati in Letteratura provenienti da registri e studi prospettici dimostrano come l interruzione della DTA si verifichi in una percentuale compresa tra il 20% e il 30% di pazienti nel corso del primo anno successivo a SCA (18). Negli ultimi 10 anni c è stata, tuttavia, una crescente attenzione al problema dell aderenza alla terapia antiaggregante e questo spiega il dimezzamento della frequenza di interruzione precoce della terapia antiaggregante registrato dallo studio CURE (7) agli studi più eseguiti in epoca più recente (10,11). L interruzione precoce della terapia antiaggregante determina un significativo aumento di eventi cardiaci maggiori come reinfarto e morte (19). Dall analisi di una serie di trial e registri a partire dal 1990 è stata documentata che l incidenza di morte e infarto miocardico causati da trombosi di stent angiograficamente dimostrata era pari al 65% del totale (20). Alcuni dei meccanismi patogenetici alla base di questo fenomeno epidemiologicamente rilevante sono: effetto rebound sull aggregazione piastrinica; progressione della malattia coronarica; incompleta endotelizzazione dello stent; inibizione piastrinica inadeguata; esistenza di uno stato proinfiammatorio. Nel 2011 veniva pubblicato uno studio di coorte, retrospettivo e osservazionale, su popolazione inglese dimessa dopo una SCA. In particolare veniva esaminata l inci - denza dell interruzione della DTA, basata su aspirina e clopidogrel, in una popolazione di circa 7500 pazienti dimessi e ne veniva valutato l impatto clinico (21). Solo il 68% dei pazienti con NSTEMI (Non-ST Elevation Myocardial Infarction) e il 62% di quelli con STEMI (ST Elevation Myocardial Infarction) erano ancora in terapia con clopidogrel a 3 mesi dalla dimissione l in - terruzione della DTA, un fenomeno questo molto più frequente e precoce rispetto all interruzione della terapia con statine. Il fenomeno era molto più frequente nelle categorie di pazienti più anziani, e a un anno solo il 50% dei pazienti era ancora in DTA mentre circa l 80% era rimasto in terapia con statine (Fig. 1). Nei pazienti che avevano interrotto la terapia con clopidogrel nei primi 3 mesi il tasso di morte e infarto non fatale era del 37%, arrivando a quasi il 50% nel sottogruppo dei pazienti con NSTEMI. La popolazione in Pazienti aderenti alla terapia prescritta (%) 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Statine-STEMI Statine-NSTEMI Clopidogrel-NSTEMI Clopidogrel-NSTEMI 0 100 200 300 400 500 600 700 800 Tempo trascorso dalla prima prescrizione (giorni) Figura 1. Interruzione della terapia con clopidogrel e statine da parte dei medici di medicina generale, dopo infarto miocardico acuto con e senza elevazione persistente del tratto ST (da: Boggon R, et al. Eur Heart J 2011; mod.). 41

Incidenza cumulativa di trombosi di stent (%) 15 10 5 6 mesi Pazienti che interrompono la terapia con clopidogrel Pazienti in terapia con clopidogrel 0 0 1 2 3 4 N. di pazienti Anni dalla procedura Clopidogrel no 0 1277 3934 2539 1373 Clopidogrel sì 6816 5181 1074 398 116 Figura 2. Incidenza di trombosi di stent a medio-lungo termine in pazienti che hanno o meno interrotto la terapia con clopidogrel (da: Colivicchi F, et al. Diabetes Res Clin Pract 2007; mod.). DTA nei primi 3 mesi aveva un rischio relativo ridotto del 40%, riduzione che arrivava al 50% in quelli ancora in DTA a 12 mesi. L interruzione della terapia con clopidogrel nei primi 12 mesi dopo SCA risulta essere associata indipendentemente a rischio di morte e infarto miocardico con una hazard ratio di 2,62 (CI 2,17-3,17) rispetto a coloro che invece continuano la DTA. Uno studio condotto dall osservatorio Arno Cardiovascolare nel 2008 (22), su 7000 pazienti con SCA in 7 ASL Toscane, ha evidenziato che le prescrizioni per una terapia antiaggregante venivano ricevute dal 79% dei dimessi e nel 45,3% veniva prescritta una doppia antiaggregazione. In particolare quest ultima era prescritta nel 28,8% dei pazienti non rivascolarizzati e nel 75,3% dei rivascolarizzati. Dei pazienti con prescrizione al trattamento il 68% era aderente allo stesso trattamento nel primo semestre dopo la SCA e il 60% anche nel secondo semestre; più in particolare queste percentuali erano del 45,3% nei non rivascolarizzati e del 66,4% nei rivascolarizzati nel primo semestre e, rispettivamente, del 39,5% e del 59,9% nell intero anno. L aderenza nel sottogruppo con prescrizione di una doppia antiaggregazione era del 68% nel primo semestre e del 52,8% nell intero anno. È evidente come questi dati siano testimonianza di una scarsa aderenza a una terapia fondamentale come quella antiaggregante e spieghino sia l elevata percentuale di recidive con ricovero documentata nel Registro (18% a un anno), sia l elevata mortalità dalla dimissione fino a primo anno di follow-up (12,2%). Sempre in Italia, uno studio condotto nell ASL di Treviso dal 1994 al 2003 su oltre 20.000 soggetti ha evidenziato un tasso di interruzione delle statine del 50% nel primo anno (23). Nel Lazio è stato osservato un elevato tasso di interruzione del trattamento con statine che va dal 25% nei primi 3 mesi dalla dimissione dopo una SCA (24), al 40% dopo un anno da un ictus (25), al 50% entro un anno dalla prima prescrizione in una popolazione di diabetici afferenti a strutture ambulatoriali (26). Nella popolazione di pazienti in cui è stato impiantato uno stent il prezzo che paga l interruzione della DTA è davvero molto alto. Sospendere la DTA precocemente significa esporre il paziente a un rischio di trombosi di stent approssimativamente del 10-15% entro i primi 6 mesi (Fig. 2) (27) e un rischio di 6 volte aumentato tra i 6 e i 12 mesi (28). Le ragioni alla base di questo fenomeno spesso non sono chiare, ma in generale le cause più frequenti sono una decisione medica o l interruzione autonoma da parte del paziente. Solo in una piccola percentuale di casi questo avviene a seguito di una reale complicanza emorragica o per via di un intervento di chirurgia non cardiaca non procrastinabile (15). La scarsa aderenza ai trattamenti prescritti è un fenomeno molto comune e documentato, spesso alla base del totale o parziale insuccesso di un determinato trattamento. Nonostante le raccomandazioni delle Linee Guida e le numerose evidenze scientifiche in Letteratura sul beneficio della DTA nei pazienti con malattia aterotrombotica, molti medici non si dimostrano aderenti alle indicazioni; ad esempio analizzando i dati del registro REACH, infatti, solo il 79% dei pazienti ad alto rischio di evento aterotrombotico era in terapia antiaggregante (29). Nel registro americano CRUSADE (30) solo l 86% dei pazienti con cardiopatia ischemica era in trattamento con farmaci antiaggreganti e solo il 69% era in trattamento con clopidogrel; tra questi l aderenza variava di molto a seconda se erano stati, in precedenza, sottoposti ad angioplastica (97% di aderenza alla DTA) o trattati in maniera conservativa (53% di aderenza). Le Linee Guida erano disattese anche nella popolazione di pa - zienti superiore ai 75 anni che spesso è anche quella a maggior rischio ischemico. 42

STRATEGIE DI ADERENZA ALLA TERAPIA ANTIPIASTRINICA A LUNGO TERMINE Dati sostanzialmente sovrapponibili sono emersi da studi condotti in Europa (31) ; tra i pazienti con SCA l utilizzo ospedaliero dell aspirina risulta molto elevato (circa del 96% in ospedale e del 94% alla dimissione) e questo si traduce in un beneficio di circa tre volte superiore in termini di sopravvivenza intraospedaliera; al contrario, l utilizzo di clopidogrel è di gran lunga inferiore, con percentuali comprese tra il 75% di pazienti con SCA nella fase intraospedaliera e il 65% circa in dimissione. Nei pazienti con infarto senza ST elevato, che ha notoriamente una prognosi a distanza peggiore, queste percentuali sono paradossalmente inferiori. Le cause alla base di questo fenomeno non sono ben documentate. Sono state ipotizzate motivazioni di budget, soprattutto ora con l introduzione dei nuovi e costosi farmaci antiaggreganti o di possibilità di accesso al trattamento (32) (p.es. autorizzazione da parte delle compagnie assicurative) oppure, ancora, il timore di eventi emorragici soprattutto nei pazienti più anziani (33). Va considerato, inoltre, che spesso la terapia antiaggregante va ad aggiungersi ad altri farmaci da assumere cronicamente (34,35). È, infatti, ben documentato in Letteratura come le terapie croniche siano associate a un aderenza terapeutica minore rispetto alle terapie assunte in acuto con interruzioni che solitamente accadono dopo circa 6 mesi di trattamento (36-38). È spesso evidente una correlazione negativa tra numero di farmaci assunti, frequenza delle assunzioni giornaliere e grado di aderenza (39). Dati in Letteratura dimostrano come l assunzione di un farmaco una sola volta al giorno migliori l aderenza allo stesso rispetto ad assunzioni più frequenti (p.es. 3 o 4 volte al giorno) (40). È stato documentato, infine, come in pazienti con cardiopatia ischemica che assumono una media di circa 8 farmaci al giorno l aderenza scenda fino al 50% (41), soprattutto nella popolazione più anziana, spesso in politerapia per le numerose comorbilità coesistenti. L età, pertanto, da una parte è predittore indipendente di eventi cardiovascolari e quindi ha un peso specifico importante nei vari score di rischio, dall altra è spesso sinonimo di minore aderenza terapeutica. Ciò non solo per una peggiore disposizione del paziente nei confronti delle terapie, ma anche per un maggior timore dei medici curanti nei confronti delle complicanze. Restringendo l analisi alla terapia antiaggregante i dati di aderenza in Letteratura non sono molti. Una survey cinese (42) in pazienti con stroke, pubblicata nel 2006, ha evidenziato come, a distanza di un anno dall evento cerebrovascolare acuto, solo il 70% circa assumeva ancora l aspirina. Questo fenomeno è stato spesso interpretato in modo errato attribuendo il fallimento terapeutico a fenomeni di resistenza al farmaco (17). In realtà evidenze in Letteratura suggeriscono come fino al 50% dei casi di sospetta resistenza all aspirina si sono rivelati essere cattiva aderenza (43). Il registro statunitense PREMIER (44), che ha arruolato circa 2500 pazienti con infarto miocardico dimessi da strutture ospedaliere, fornisce importanti indicazioni in merito. Il 90% dei pazienti dimessi era in trattamento con aspirina, l 86% con β-bloccanti e l 80% con statine. Solo il 70% assumeva tutti e 3 i farmaci contemporaneamente. Dopo solo un mese il 18% dei pazienti sospendeva uno di questi farmaci e il 12% tutti e tre. I dati sui 500 pazienti con infarto nei quali era stato impiantato uno stent medicato evidenziano come il 14% sospendeva la tienopiridina nei primi 30 giorni dalla dimissione (45) e che la mortalità in questi pazienti era a un anno di 9 volte superiore rispetto alla popolazione aderente alla terapia. Il profilo del paziente a maggior rischio d interruzione della terapia antiaggregante si caratterizzava per: età avanzata, bassa scolarità, condizione di celibe o nubile, condizione socio-economica non ottimale (ciò tanto più rilevante negli Stati Uniti dove il sistema sanitario penalizza maggiormente i pazienti che non possono permettersi un adeguata copertura assicurativa), presenza di pregressi eventi cardiovascolari e di anemia all ingresso, non aver ricevuto chiare istruzioni alla dimissione ospedaliera da parte dei Sanitari. Una comunicazione inadeguata, quest ultima, che spesso ha una base multifattoriale; non solo dipendente dall attitudine dei medici, essa è in rapporto con il grado di alfabetizzazione del paziente, con la possibile presenza di problemi cognitivi secondari a concomitanti patologie mentali e problemi linguistici. Spesso, infatti, la scarsa motivazione dei pazienti è attribuibile alla mancata comprensione della gravità della malattia o dei benefici che da essa ne 43

possono derivare, a questo spesso si associa la paura di potenziali effetti collaterali o di tossicità della terapia prescritta. In questo senso, partecipare a un percorso di riabilitazione postacuzie potrebbe aumentare la consapevolezza dei pazienti relativamente la propria condizione morbosa e, di conseguenza, migliorarne l aderenza terapeutica. Melloni et al. (46) nel 2009 hanno condotto uno studio su circa 1000 pazienti arruolati in un registro dopo SCA e hanno notato come addirittura il 30% dei pazienti interrompeva la terapia con uno o più farmaci tra cui gli antiaggreganti piastrinici, a 3 mesi dalla dimissione; tutto ciò avveniva nella maggior parte dei casi (70%) per scelta propria e nel restante 30% per indicazione medica. L assenza di una copertura assicurativa, il numero di farmaci, l assenza di remainder, la bassa scolarità e l essere in dialisi erano predittori indipendenti di scarsa aderenza terapeutica. Strategie per migliorare l aderenza alla terapia farmacologica Nel tentativo di migliorare l outcome dei pazienti e ridurre i costi aumentando l aderenza alle indicazioni delle Linee Guida, sono state intraprese una serie di iniziative da parte di amministrazioni pubbliche nazionali e regionali, delle stesse strutture ospedaliere e delle società scientifiche mediante progetti educazionali specifici. Le strategie messe in atto dalle strutture ospedaliere sono rappresentate da: l utilizzo di moduli cartacei diversi e separati per i pazienti con cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco sia nel momento del ricovero sia alla dimissione (lettera di dimissione con remainder diversi a seconda della patologia cardiaca) (47,48) ; la creazione di team specializzati all interno dell ospedale composti da infermieri, medici e farmacisti in grado di monitorare l aderenza alle terapie raccomandate dalle Linee Guida, l eventuale sussistenza di reali controindicazioni da documentare, queste ultime, ampiamente in cartella. Lo stesso team dovrà poi occuparsi della corretta titolazione delle stesse terapie (49) ; lo sviluppo di moduli informativi chiari per i pazienti e relazioni di dimissioni finalizzate ad aumentare la loro conoscenza relativamente la propria condizione morbosa. Questa documentazione dovrebbe essere consegnata al paziente al momento della dimissione da un medico qualificato che ne ha seguito il percorso di cura in ospedale (50) ; la creazione di un apposito team infermieristico tra cui anche un dietista per discutere eventuali modifiche dello stile di vita da attuare (p.es. relativamente all alimentazione o alla cessazione del fumo) prima di dimettere il paziente, raccomandazioni queste da inserire nella relazione di dimissione (41). È chiaro che il presupposto fondamentale di tutte queste metodologie è rappresentato dal decidere di dedicare al paziente e ai familiari, al momento della dimissione, un tempo sufficiente a illustrare la gravità della malattia, i benefici e gli effetti collaterali dei farmaci prescritti, il successivo programma di follow-up e rispondere a eventuali domande. Negli Stati Uniti, anche in considerazione del tipo di organizzazione del sistema sanitario, sono stati fatti molti sforzi per cercare di migliorare l aderenza di medici e pazienti al fine di ridurre i costi per l assistenza soprattutto in determinate categorie quali le donne e gli anziani. Sono stati condotti numerosi programmi nella cardiopatia ischemica, non solo durante la degenza e alla dimissione dall ospedale ma anche durante i follow-up a medio-lungo termine soprattutto perché la sola diffusione di Linee Guida non si è dimostrata determinante nel cambiamento delle performance assistenziali. Al contrario, si è evidenziato come siano necessari interventi attivi di implementazione basati su reali cambiamenti dei sistemi di cura, al fine di ottenere un efficace riduzione del divario tra raccomandazioni suggerite dalle evidenze scientifiche e pratica clinica (51,52). Uno di questi progetti è stato il GAP (The Guidelines Applied in Practice Initiative) condotto in 10 centri di eccellenza americani (51). Lo studio, condotto nel 2000, ha arruolato in maniera casuale pazienti con infarto miocardico acuto con e senza assicurazione. Il progetto si basava su Linee Guida di implementazione appositamente create e su strumenti finalizzati a facilitare il rispetto degli indicatori di qualità interni dell ospedale. Tra questi strumenti c erano Linee Guida tascabili, mo - duli informativi per i pazienti, relazioni di dimissione, adesivi grafici e grafici riassuntivi delle prestazioni ospe- 44

STRATEGIE DI ADERENZA ALLA TERAPIA ANTIPIASTRINICA A LUNGO TERMINE daliere. Il tutto avveniva sotto la supervisione di un medico e di un infermiera qualificata. Questo programma ha determinato un significativo incremento non solo dell aderenza terapeutica a farmaci quali aspirina e β-bloccanti, ma anche all adozione di stili di vita adeguati, caratterizzati ad esempio dall abolizione del fumo. Nell ambito di questo programma, sono stati sperimentati anche protocolli che prevedevano un monitoraggio real-time degli indicatori di qualità in pazienti con SCA (50), con eccellenti risultati, rispetto ai controlli gestiti in assenza di questi sistemi di monitoraggio, non solo relativamente al periodo di ricovero ma anche nei 6 mesi successivi alla dimissione con significativa riduzione di endpoint quali reospedalizzazione, reinfarto o del combinato di morte, infarto miocardico e/o accidente cerebrovascolare (9,5 vs 13,9% rispettivamente nei due gruppi). In definitiva la maggiore aderenza terapeutica ottenuta mediante l implementazione di questi programmi ha determinato una significativa riduzione della mortalità totale non solo in ospedale (10,4 vs 13,6%), ma anche a 30 giorni (16,7 vs 21,6%) e a un anno dalla dimissione per SCA (33,2 vs 38,3% e un HR pari a 0,78 95% CI 0,64-0,95) (47). Un altra strategia per migliorare l aderenza alla terapia comporta un intervento non solo sul paziente ma anche sulla struttura ospedaliera; essa può prevedere l uso di un form elettronico interattivo via web in cui archiviare i dati e misurare la performance assistenziale dell ospedale con reminders e alert in grado di guidare il medico secondo le raccomandazioni delle Linee Guida. Mediante i form è possibile generare automaticamente documenti informativi per il paziente e lettere da inviare al medico di medicina generale con cui informarlo sulla diagnosi, le procedure effettuate e il rischio del paziente (53). Molto diffusa negli Stati Uniti è anche la Pay for Performance che ha il fine di incoraggiare, con una sorta di premio di produttività, l aderenza terapeutica nella gestione di malattie croniche come la cardiopatia ischemica e lo scompenso cardiaco. Nata dalla collaborazione tra le maggiori agenzie assicurative e le strutture pubbliche e private, questa iniziativa prevede l utilizzo di indicatori di qualità di assistenza quali, ad esempio, l uso di aspirina all ingresso in ospedale e alla dimissione per i pazienti ricoverati per infarto. Le strutture che raggiungono i punteggi più elevati in termini di indicatori di qualità rispettati ricevono un incentivo economico (54). Una terza importante strategia sfrutta le grandi potenzialità della riabilitazione cardiologica nel campo dell aderenza terapeutica. La riabilitazione cardiologica rappresenta una forma d intervento multidisciplinare in grado di migliorare la capacità funzionale dei pazienti dopo evento cardiaco acuto e favorirne la percezione di benessere (55). È raccomandata con livello massimo di evidenza dalle società scientifiche americane ed europee quale strategia di trattamento nei pazienti con cardiopatia ischemica (56-58). Essa è risultata essere un intervento con favorevole rapporto costo-efficacia in grado di determinare una riduzione delle reospedalizzazioni e della spesa sanitaria sia nella cardiopatia ischemica sia nello scompenso cardiaco (59,60). Sebbene i programmi di cardiologia riabilitativa (CR) siano riconosciuti universalmente come lo standard di cura nei pazienti con cardiopatia ischemica in fase postacuta (61,62), sono disponibili solo pochi studi che hanno documentato in maniera chiara l impatto positivo di questi interventi sull aderenza a lungo termine al trattamento farmacologico e alle modifiche dello stile di vita e la loro relazione con i fattori clinici e demografici così come con gli eventi al follow-up. Pochi sono i dati relativi alle caratteristiche del ciclo riabilitativo necessarie per ottenere risultati in questo settore, anche se in generale è unanimemente riconosciuto che quanto più precocemente si inizia la riabilitazione e quanto più numerose sono le sedute riabilitative, tanto migliori saranno i risultati ottenuti a distanza (63). L interruzione della terapia medica dopo evento coronarico acuto, infatti, si manifesta già alcuni giorni dopo la dimissione ospedaliera e, d altra parte, interventi riabilitativi troppo brevi non sono stati in grado di avere un impatto favorevole sulla qualità della vita e a ridurre mortalità e morbilità cardiovascolare. Lo studio GOSPEL, primo grosso trial multicentrico randomizzato, ha paragonato un trattamento riabilitativo standard postinfarto con un intervento riabilitativo intensivo a lungo termine e personalizzato, composto da interventi multifattoriali educazionali e comportamentali coordinati da un cardiologo (64). 45

Dopo 3 anni di follow-up si è assistito a una riduzione significativa, nella popolazione di pazienti sottoposta a trattamento riabilitativo prolungato e multifattoriale, dell endpoint combinato morte cardiovascolare, infarto non fatale e stroke del 33% e della mortalità totale del 21%, grazie a un significativo miglioramento dell aderenza alle terapie e a stili di vita sani (65). L esperienza Italiana della CR è stata fotografata bene dallo studio ICAROS (66). Questa survey, multicentrica, prospettica e longitudinale, condotta su pazienti con cardiopatia ischemica rivascolarizzati, va a completare l osservazione iniziata dal GOSPEL, anche se in questo caso non si tratta di uno studio randomizzato. Nello studio ICAROS si sono valutati gli effetti di un trattamento riabilitativo postacuzie prolungato nel tempo, molto strutturato e coordinato. A conferma delle evidenze in Letteratura nello studio si è mostrato che anche nel nostro Paese i pazienti, dopo una rivascolarizzazione prevalentemente chirurgica, arrivano in CR con terapia cardioattiva subottimale. Il trattamento riabilitativo non solo colmava questo gap, avendo un impatto positivo sull aderenza farmacologica immediata, ma era efficace nel migliorare l aderenza farmacologica nel lungo periodo e nel promuovere stili di vita salutari. L impatto sull aderenza era rimarchevole con il 91% dei pazienti che otteneva un punteggio nella scala di Morisky superiore a 3. Nello studio ICAROS sono state nuovamente segnalate le categorie di pazienti a rischio di cattiva aderenza tra cui quelli sottoposti ad angioplastica più che bypass, quelli che vivono da soli, i sedentari, quelli sottoposti a un trattamento riabilitativo esclusivamente ambulatoriale, i pazienti di età avanzata e con maggiori comorbilità verso i quali un intervento riabilitativo maggiormente intensivo continuativo nel tempo (GOSPEL-like) e fortemente personalizzato potrebbe essere, invece, costo-efficace. La mortalità totale a 12 mesi era contenuta (2,1%) (67). Conclusioni Investire in progetti e strategie per migliorare l aderenza terapeutica è altamente costo-efficace e permette di ridurre la mortalità e la morbilità cardiovascolare a distanza. Interventi di counseling per i pazienti a rischio più basso e accesso alla riabilitazione cardiologica per quelli a rischio più alto appaiono in sintesi strategie complementari da proporre a popolazioni di pazienti differenti. Solo interventi ben strutturati e personalizzati hanno dimostrato avere un impatto favorevole su di un fenomeno che, è bene ricordare, non è in rapporto solo con la volontà o la cattiva disposizione del paziente verso la terapia farmacologica, ma coinvolge molto spesso anche le abitudini e gli orientamenti del personale medico e paramedico. Migliorare la prognosi dei pazienti affetti da cardiopatia ischemica non vuol dire solo creare farmaci più potenti, ma soprattutto assicurarsi che quelli a disposizione siano utilizzati in maniera corretta. Bibliografia 1. Sutton JM, Ellis SG, Roubin GS, et al. Major clinical events after coronary stenting. The multicenter registry of acute and elective Gianturco-Roubin stent placement. The Gianturco-Roubin Intracoronary Stent Investigator Group. Circulation 1994;89(3):1126. 2. George BS, Voorhees WD 3 rd, Roubin GS, et al. Multicenter investigation of coronary stenting to treat acute or threatened closure after percutaneous transluminal coronary angioplasty: clinical and angiographic outcomes. J Am Coll Cardiol 1993;22(1):135. 3. Fischman DL, Leon MB, Baim DS, et al. A randomized comparison of coronary-stent placement and balloon angioplasty in the treatment of coronary artery disease. Stent Restenosis Study Investigators. N Engl J Med 1994;331(8):496. 4. Anderson HV, Shaw RE, Brindis RG, et al. A contemporary overview of percutaneous coronary interventions. The American College of Cardiology-National Cardiovascular Data Registry (ACC- NCDR). J Am Coll Cardiol 2002;39(7):1096. 5. Hasdai D, Berger PB, Bell MR, Rihal CS, Garratt KN, Holmes DR Jr. The changing face of coronary interventional practice. The Mayo Clinic experience. Arch Intern Med 1997;157(6):677. 6. CAPRIE Steering Committee. A randomized, blinded, trial of clopidogrel versus aspirin in patients at risk of ischaemic events. Lancet 1996;348:1329-39. 7. CURE Trial Investigators. Effects of clopidogrel in addition to aspirin in patients with acute coronary syndromes without ST-segment 46

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