Complessità e management



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Transcript:

S i n t e s i Sin dagli albori la gestione d imp resa si è focalizzata sulla ricerc a della massima efficienza e pro d u t- tività ai fini competitivi. Un buon manager è quello che riusciva ad o t t e n e re il massimo dalle pro p r i e risorse con la maggiore efficienza possibile. Nel tempo si è quindi imposto un concetto di manager p i a n i f i c a t o re e org a n i z z a t o re che oggi tende a mostrare la cord a. I cambiamenti sociali e tecnologici avvenuti nell ultimo quarto di secolo hanno avuto come principale r i p e rcussione la crescita della complessità dell ambiente competitivo. Complessità significa interc o n n e s- sione tra le variabili. La globalizz a- zione dei processi e l accelerazione della comunicazione fa sì che ogni azione possa avere potenzialmente impatti in qualunque parte del sistema. In questo nuovo contesto, la continua ricerca della mera eff i- cienza può risultare pericolosa. Questo articolo cerca di illustrare il v a l o re della ridondanza (strategica e cognitiva) per aff ro n t a re la c o m p l e s s i t à. A l e s s a n d ro Cravera A c c re s c e re la ridondanza per aff ro n t a re la complessità* La semplicità ci ingiunge di scegliere uno dei due sistemi di riferimento: ord i n e / o rganizzazione o disordine. Ma la complessità non ci dimostra forse che, soprattutto, non bisogna scegliere? (Edgar Morin, Il Metodo 1 - La Natura della Natura ) Un mondo che non esiste più Facciamo un salto indietro di cento anni. Siamo nel 1908. Guardiamoci intorno, osserviamo gli stili di vita delle persone, i l o ro comportamenti, i ritmi. Prendiamo nota di come le persone passano le giornate, dei loro gesti quotidiani, delle abitudini. Puntiamo la nostra attenzione sui particolari: gli strumenti di comunicazione tra le persone, i mezzi di trasporto usati, le attività svolte nel tempo libero e così via.

Ora torniamo al presente e proviamo ad estendere la nostra osservazione sugli stessi aspetti: ritmi, stili di vita, intrattenimento, comunicazione, trasporto. Spesso diamo per scontata e banale l osservazione in base alla quale il mondo di oggi sia molto diverso da quello di cento anni fa. Tuttavia, pro v a re realmente ad immerg e rci nella vita dei primi del 900 per poi rituff a rci repentinamente nei g i o rni d oggi ci dà una misura più realistica e concreta di come sia cambiata la nostra vita. Se il mondo è radicalmente cambiato nell ultimo secolo, possiamo dire la stessa cosa per il management? Si possono osservare radicali cambiamenti nel modo di gestire, guidare e org a n i z z a re un impresa? La risposta a queste domande può non essere univoca e condivisa. C a p i t a l budgeting, business process reeengineering, share h o l d e r value management, six sigma, balance score c a rd, sono solo alcuni degli innumerevoli approcci e modelli manageriali che certamente non esistevano agli inizi del 900. E sufficiente citare questi approcci per poter aff e rm a re che il management ha subito una radicale trasform a z i o- ne dall inizio del ventesimo secolo? Personalmente penso di no. Non che la portata degli a p p rocci apparsi, soprattutto negli ultimi trent anni, non sia stata innovativa o utile per le imprese, tuttavia, il paradigma in cui queste innovazioni manageriali si sono inserite è restato sostanzialmente immutato rispetto al secolo scorso. Nonostante i grandi cambiamenti nella t e rminologia, negli approcci e negli strumenti, la gestione d i m p resa è ancora fortemente incentrata sull obiettivo di ridurre l incertezza ambientale attraverso la cre a z i o n e di ordine, razionalità e controllo. I sistemi di pianificazione e budgeting, gli approcci alla strategia d impre s a, i principi organizzativi e i sistemi e gli strumenti di misurazione delle perf o rmance aziendali sono ancora tutti fortemente influenzati da logiche riduzioniste e determ i- nistiche. La causalità che lega le decisioni manageriali continua ad essere lineare: fare A per ottenere B, sceg l i e re C per massimizzare D e così via. Questo modo di intendere il management è stre t t a m e n- te legato ad un mondo che, come abbiamo visto, non esiste più. La culla in cui è nato il management richiedeva alle imprese la massima efficienza e pro d u t t i v i t à per essere competitive sul mercato. Tutto doveva, pertanto, essere rigorosamente pensato per ridurre gli scarti, i tempi, le inefficienze e le deviazioni dall indirizzo strategico e organizzativo che l impresa aveva definito. Le persone, in quanto organismi non prevedibili, costituivano l anello organizzativo debole e, per questa ragion e, dovevano essere normalizzate attraverso un contro l l o ossessivo delle loro attività e dei loro risultati. In sintesi, il management è nato con la finalità di re n d e re le aziende più efficienti, ordinate e pro d u t t i v e. Le attuali prassi gestionali si sono dimostrate adatte a g e s t i re problematiche e situazioni complicate, ma cominc i a n oa mostrare la corda quando si ha a che fare con la complessità. Pur essendo considerati spesso sinonimi, complicato e complesso hanno significati e riperc u s s i o- ni tra loro molto diff e renti. Un problema o una situazione complicata, prevede a priori la possibilità, per quanto d i fficile, di tro v a re una soluzione ottimale agli stessi. Un gioco enigmistico come il Sudoku, un guasto tecnico ad un apparecchiatura, un baco informatico da r i s o l v e re, la ricerca di un sistema di ottimizzazione dei flussi logistici, sono esempi di problemi complicati. Per quanto possa essere difficile giungere ad una soluzione, sin dall inizio sappiamo che è possibile risolvere in modo ottimale e definitivo il problema. Si tratta quindi di svelare, scoprire una certa realtà. Se un pro b l e m a è complicato, tendenzialmente esso è circoscritto e le r i p e rcussioni positive o negative delle azioni e decisioni

finalizzate alla sua risoluzione hanno pochi impatti al di fuori del proprio ambito specifico. I cambiamenti sociali e tecnologici avvenuti nell ultimo secolo hanno avuto come principale ripercussione la c rescita della complessità dell ambiente in cui viviamo. Complessità significa interconnessione tra le variabili. La globalizzazione dei processi e l accelerazione della comunicazione fa sì che ogni azione possa avere potenzialmente impatti in qualunque parte del sistema. Poco tempo fa, ad esempio, un giornale locale danese ha pubblicato alcune vignette ironiche su Maometto. Questo fatto ha provocato nel mondo un ondata di manifestazioni integraliste e attentati terroristici che hanno provocato morti e feriti. Se la stessa vignetta fosse stata pubblicata su quel giornale locale danese nel 1960 nulla di tutto ciò sarebbe successo. Oggi gestire un impresa significa aff ro n t a re la complessità del mondo. La maggior parte delle decisioni manageriali rilevanti non ha a che fare con problematiche complicate in cui è giusto e possibile ricerc a re la soluzione ottimale. Tali decisioni si riferiscono a situazioni complesse, caratterizzate da un elevato numero di variabili e le cui re l a- zioni tra loro non sono note e non sono stabili nel tempo. A d o t t a re le prassi di un management che nasce per cre a- re efficienza e portare ordine e razionalità a situazioni complesse comporta il rischio di non compre n d e re il contesto in cui ci si muove e, soprattutto, le riperc u s s i o- ni che le decisioni manageriali hanno sul futuro dell azienda o su altre aree del sistema impresa. Si tratta, pertanto di un modo di gestire le imprese che arriva non a soluzioni dei problemi, bensì a quelle che Wa t z l a w i c k definisce ipersoluzioni, ovvero modi di aff ro n t a re le situazioni manageriali che, pur essendo fondati sulle migliori intenzioni, finiscono sempre con l avere eff e t t i c o n t ro p roducenti del tipo operazione perf e t t a m e n t e riuscita, paziente deceduto. R i c e rc a re la ridondanza strategica Secondo una recente ricerca di Bain & Company, negli anni 70 solo il 15-20% dei settori economici poteva essere considerato turbolento, ovvero con importanti cambiamenti nelle regole competitive e rapide trasform a z i o n i nel posizionamento dei p l a y e r nei confronti dei rispettivi concorrenti. Oggi, in base alla suddetta definizione, è possibile aff e rm a re che almeno la metà dei settori di business può essere considerata turbolenta e non vi sono segnali che questa processo tenda a rallentare (Zook, 2007). Dello stesso tenore le stime fatte da Standard & Poors sulla stabilità dei guadagni a lungo termine delle i m p rese quotate. Come si può vedere dalla figura 1, la p e rcentuale di aziende che presenta aleatorietà elevata di perf o rmance è passata dal 35% del 1985 al 73% del 2006 (Colvin, 2006). Fi g u ra 1 - Il rating S&P delle imprese quotate sulla base della stabilità dei guadagni a lungo term i n e

Infine, l età media delle imprese è scesa dai 24 anni dei primi anni 90 ai 12 anni attuali (Zook, 2007). Le imprese quindi, pur abituate sin dalla nascita alla sfida, al conf ronto e al cambiamento, appaiono sempre più come istituzioni dotate di una bassissima capacità di sopravvivenza. Forti nel breve periodo, quanto fragili nel medio, pur adottando tutte le tecniche manageriali più avanzate e pur ricercando continuamente la massima pro d u t t i- vità, redditività e crescita, non sembrano essere in grado di re s i s t e re a lungo nell ambiente competitivo. Fin dagli albori della rivoluzione industriale la partita si è giocata soprattutto sulla ricerca della massima eff i- cienza e produttività, con un accento particolare alla c reazione di valore (Shareholders Value Management) negli ultimi venti anni. In un ambiente competitivo a bassa complessità, questo modo di gestire le imprese ha dato buoni risultati e ha accresciuto la competitività delle i m p rese. Nel tempo, si è quindi consolidata una convinzione: ricerc a re l efficienza e puntare alla massimizzazione della creazione di valore, consentono di accre s c e re la competitività dell impre s a. Oggi l equazione eff i c i e n z a / c reazione di valore = competitività non è più valida. Essere competitivi in un mondo a complessità crescente non significa essere più p rofittevoli ed efficienti dei concorrenti, bensì accre s c e- re la potenzialità di stare sul mercato in maniera economicamente redditizia nel lungo periodo. L accento, evidentemente, è su s t a re sul merc a t o. E questo l aspetto di maggiore importanza in un mondo in cui la vita media delle imprese si riduce pro g ressivamente e assistiamo a repentini fallimenti di imprese fino a poco tempo prima floride e pro f i t t e v o l i. Le classiche ricette manageriali che puntano all eff i c i e n- tismo e alla massima creazione di valore non tengono in nessuna considerazione l entropia. Come è noto, l ent ropia misura l aumento del disordine di un sistema chiuso, quindi la degradazione del suo contenuto di energia. Dal momento che qualunque processo economico tende alla distruzione di energia disponibile in modo i r reversibile, l attività dell impresa finalizzata ad accres c e re i profitti e la creazione di valore è di per sé un d i s t r u t t o re di energia disponibile, energia che è alla base della capacità di sopravvivere nel tempo dell impre s a stessa. Non misurando la quantità e la qualità delle risorse - non solo economiche - utilizzate dall impresa per generare un risultato economico non vi è alcuna certezza che il p rocesso di creazione di valore non sia eff i m e ro e quindi porti alla distruzione di ricchezza e, nella peggiore delle ipotesi, alla morte stessa dell org a n i z z a z i o n e. Questo processo degenerativo di risorse è sempre stato p resente nella gestione d impresa, tuttavia la turbolenza e la complessità attuali lo hanno accentuato significativamente. Oggi, per risultare competitivi conta più la capacità di adattamento a condizioni mutevoli che il risultato economico di breve periodo. Questa capacità di adattamento e di evoluzione dell impresa non la si può tro v a re nella lunga scia di risultati economici positivi del passato. Il successo ottenuto nel passato non è una buona garanzia per la competitività futura. Per affrontare la complessità le imprese devono puntare all accumulo di risorse connesse alla potenzialità di s t a re sul mercato. Tali risorse non sono solo finanziarie, ma riguardano in primo luogo gli intangibile assets che l impresa possiede: la sua reputazione ed immagine sul mercato, la sua capacità di soddisfare e fidelizzare i clienti, le competenze delle proprie persone, il knowhow aziendale, la capacità di innovazione e così via. Non sono asset direttamente legati a flussi di re d d i t o, rappresentano bensì un potenziale a disposizione del-

l i m p resa per la propria sopravvivenza ed evoluzione nel tempo (Vicari, 1991). La ridondanza è sempre stato considerato un concetto negativo dal punto di vista manageriale. La ridondanza (a parte negli aspetti connessi alla sicurezza), è spesso considerata come un inutile spreco di risorse, una sacca di inefficienza che deve essere eliminata il prima possibile. Per aff ro n t a re la complessità e accre s c e re la propria capacità competitiva, le imprese devono al più pre s t o a b b a n d o n a re questa errata convinzione. Certo, non stiamo dicendo, che l efficienza e l attenzione ai costi non siano più elementi centrali nella gestione d impresa, solo che questi ultimi non rappresentano più gli unici elementi di attenzione. Un semplice esempio può chiarire il concetto. Supponete per un momento di essere azionisti e di voler i n v e s t i re 1 euro sul mercato azionario. Avete a disposizione la possibilità di scegliere tra l azienda A e l azienda B che operano nello stesso business ma hanno caratteristiche e perf o rmance diff e renti. L azienda A ha una redditività del 20% e ha il 70% della popolazione aziendale che è privo di esperienza nel settore, privo di competenze gestionali e ha una bassa scolarità (licenza media). L azienda B ha una redditività inferiore, diciamo del 15% ma ha il 70% della popolazione aziendale che ha esperienza nel settore, competenze gestionali e una l a u rea o un master. Dove decidete di investire il vostro e u ro? La risposta naturalmente è dipende. In particol a re dipende da due aspetti. Il primo è relativo al v o s t ro orizzonte temporale d investimento. Evidentemente, s e avete un ottica speculativa di brevissimo periodo l azienda A diventa la scelta ottimale. Il secondo aspetto, molto importante, dipende dalla tipologia di business in cui le due organizzazioni operano. Se competono nel business dei tappi di plastica per le bottiglie di acqua minerale, anche se l orizzonte temporale d investimento fosse di medio-lungo periodo, forse la scelta migliore è ancora una volta l azienda A. Se, al contrario, le due i m p rese operano nel business dei semiconduttori, ad elevata complessità e sotto il costante rischio di salto tecnologico e di aggressione competitiva basata sull innovazione, l azienda migliore su cui investire diventa p resumibilmente la B. In questo secondo caso, come azionisti, avete appena scelto di dare valore ad una ridondanza. Al momento attuale, il 70% della popolazione aziendale con competenze gestionali e laurea rappresenta un costo che appesantisce i bilanci e diminuisce la redditività aziendale. In un ottica di medio-lungo termine, questa caratteristica diventa un asset a disposizione dell azienda per aument a re la potenzialità di esistere nel tempo e di far fro n t e ad un qualunque cambiamento nel settore di business in cui opera. La ridondanza di asset intangibili consente di accre s c e re la capacità di adattamento dell impresa, e quindi la sua competitività. Il cosiddetto capitale intellettuale rappresenta una vera e propria risorsa neghentropica in grado di generare capacità strategica e arricchire quindi costantemente il numero di opzioni a disposizione dell impresa per re s t a re profittevolmente in maniera sostenibile sul m e rcato, indipendentemente da ciò che accade nell arena competitiva. In un certo senso, le imprese devono pre n d e re spunto dal funzionamento degli esseri viventi. La Terra nel corso della sua storia ha subito cambiamenti dirompenti, catas t rofi improvvise, discontinuità imprevedibili. Tu t t a v i a, la vita sulla Terra non è mai mancata. Gli esseri viventi, in misura diversa tra loro, hanno dimostrato una fortissima capacità di adattamento. L aspetto interessante è che gli esseri viventi sono ben

lontani dall essere efficienti. Al contrario, una delle loro caratteristiche principali è la ridondanza di risorse che si manifesta, ad esempio, nell insensibilità del comportamento ad eventuali tagli del sistema nervoso e della configurazione del genoma (Wa l k e r, Di Nisco, 2001). La ridondanza negli esseri viventi contribuisce alla ro b u- stezza ed alla flessibilità dell organismo e rappre s e n t a quindi una condizione necessaria per l evoluzione. Stephen J. Gould, uno dei più importanti biologi evoluzionisti del ventesimo secolo, descrive questo concetto con il termine di e x - a p t a t i o n. E questo il nome che Gould ha assegnato a quelle strutture proprie degli esseri viventi che si sono rivelate utili nel corso dell evoluzione ma che, tuttavia, erano sorte per tutt altre ragioni o per nessuna ragione e che solo in un secondo momento hanno assunto, più o meno fortuitamente, le funzioni cui esse ora adempiono. Spesso gli intangibile assets devono essere visti all interno di un impresa sotto la forma di e x - a p t a t i o n. Molte risorse infatti, di per sé, non sono direttamente collegate a flussi di reddito ma, nel corso del tempo, possono r i s u l t a re di fondamentale importanza per mantenere elevata la capacità di stare sul mercato dell impresa. Il valore degli intangibile assets risiede proprio nel fatto che sono aperti ad una pluralità di usi possibili, rappre s e n- tano un potenziale a disposizione dell azienda. Che fare, quindi concretamente, per accre s c e re la ridondanza strategica all interno dell impresa? Due sono gli aspetti di maggiore importanza: 1. e v i t a re l ossessione del ROI per ogni iniziativa gestion a l e: il management è alla costante ricerca del ritorn o dell investimento di ogni iniziativa gestionale, sia essa f o rmativa, organizzativa o strategica. Per aff ro n t a re la complessità è importante superare questa concezione meccanicistica della gestione aziendale. Invece di c e rc a re di dare una risposta alla classica domanda: Qual è il ROI di questa attività, iniziativa o investimento?, la domanda che il management, dovre b b e continuamente porsi è: Cosa potrebbe accadere alla nostra capacità competitiva se non realizziamo questa iniziativa, attività o investimento? Ne risulterebbe danneggiata? Naturalmente l accezione di capacità competitiva a cui mi riferisco è quella legata alla potenzialità di esistere nel tempo in maniera economicamente redditizia e sostenibile. 2. E v i t a re di puntare alla massimizzazione del risultato e c o n o m i co: in un ambiente a complessità cre s c e n t e la massimizzazione di un fattore è incompatibile con la sopravvivenza del sistema. Massimizzare una variabile aziendale - sia questa il profitto o l EV.A. - porta inevitabilmente alla distruzione di altre importanti variabili correlate alle capacità auto-rigenerative dell i m p resa. Lungi dal dover essere massimo, il risultato economico a cui dovrebbe mirare l impresa è quello che non intacca le risorse necessarie per la propria evoluzione nel tempo. Come si può vedere nella figura 2, un conto è ottenere un profitto di 100 che però intacca alcuni asset intangibili importanti per il f u t u ro dell azienda: la soddisfazione dei clienti diminuisce, la brand loyalty si affievolisce, si perdono competenze importanti, l immagine sul mercato si deteriora, l innovazione è assente, e così via. In questo caso, nonostante il conseguimento di un pro f i t t o, si assiste più che a una creazione di valore, una vera e propria estrazione di valore. Estrazione che minerà la capacità competitiva dell impresa. Diverso, al contrario, è il caso di un impresa che evidenzia un pro f i t- to di 80 e mantiene stabili o in crescita gli asset collegati con la capacità di evoluzione e adattamento d e l l a z i e n d a.

Fi g u ra 2 - Creazione ed estrazione di va l o re Fonte: A. Cra ve ra, Competere nella complessità - Il management tra ordine e caos, Etas, 2008 R i c e rc a re la ridondanza cognitiva Per aff ro n t a re la complessità le imprese non hanno bisogno solo di ridondanza strategica, ma anche di ridondanza cognitiva. In un ambiente complesso vige il principio dell ecologia dell azione. Tale principio ci indica che ogni azione sfugge sempre più alla volontà del suo autore nella misura in cui entra nel gioco di interre t ro-azioni dell ambiente nel quale interviene. Pur con le migliori intenzioni, l applicazione, da parte del management, di un pensiero lineare nella ricerca di una soluzione ad uno specifico problema può determ i n a re l i n s o rg e re - consapevole o inconsapevole - di pro b l e- matiche ancora più gravi. La storia è ricca di esempi connessi al principio dell ecologia dell azione. Per citarne solo alcuni, una reazione dell aristocrazia francese per re c u p e r a re gli antichi privilegi ha innescato il processo rivoluzionario del 1789 che ha condotto all abolizione non solo dei privilegi, ma anche della sua esistenza in quanto classe. La cosiddetta guerra preventiva che, secondo l amministrazione Bush, avrebbe dovuto debellare il terrorismo, ha determinato una escalation terroristica su scala globale. Per citare solo la guerra in Iraq, Saddam Hussein è stato destituito e giustiziato (operazione riuscita), ma la situazione in Medio Oriente è più instabile di prima, con una c rescita esponenziale delle minacce del terrorismo di stampo islamico (...paziente deceduto). Il rischio di essere sorpresi dalle conseguenze delle proprie azioni cresce - paradossalmente - al cre s c e re della

competenza specialistica della persona che deve aff ro n- t a re una certa problematica. Le persone più competenti hanno maturato un esperienza tale su un determ i n a t o a rgomento che tendono a crearsi convinzioni pro f o n d e e ortodossie su ciò che funziona e ciò non funziona per r i s o l v e re un dato problema. In base alle loro competenze possono aff e rm a re con certezza che se fanno A, possono ottenere B e se fanno C possono ottenere D. Questo approccio e modello di pensiero rappresenta una straordinaria ricchezza e grande validità in contesti re l a- tivamente stabili e poco complessi. Al contrario, nei sistemi complessi, può rappre s e n t a re un ostacolo cognitivo. Questo non significa che per aff ro n t a re la complessità occorra essere incompetenti. La competenza e l esperienza di una persona (e di un azienda) diventano un potenziale fardello cognitivo solo a due condizioni: 1. se portano con sé l attitudine a dare per scontata la realtà e le conseguenze delle proprie azioni sulla stessa; 2. se, di fronte alle diverse situazioni che si debbono a ff ro n t a re, portano ad una diminuzione o addirittura ad un azzeramento delle domande che la persona si pone prima di pre n d e re una data decisione. Un manager e un impresa che accettano la sfida della complessità riconoscono a pieno titolo il principio dell ecologia dell azione e quindi perdono l illusione di prev e d e re o dare per scontato il futuro. Chi è consapevole della complessità si muove in esplorazione continua senza mai abbandonarsi a false certezze e a consuetudini di pensiero. Una decisione manageriale è ottima, dal punto di vista della complessità, non quando produce un output positivo (che potrebbe essere frutto del caso e del principio dell ecologia dell azione), bensì dal grado di consapevolezza dimostrata dal manager di tutte le possibili ripercussioni intenzionali e inintenzionali della soluzione p rospettata sul sistema azienda e sul sistema competitivo. Tale consapevolezza non assicura il risultato - un opzione di per sé inesistente nella complessità - ma minimizza la possibilità di essere sorpresi da eventi impre v i- sti che impattano sulla vita stessa dell org a n i z z a z i o n e. C o n c retamente, ogni volta che è possibile avanzare domande che il decisore non si è fatto prima di pre n d e- re quella data decisione, siamo in presenza di una soluzione poco consapevole e quindi debole dal punto di vista della complessità. Siamo quindi di fronte ad un p e n s i e ro manageriale semplicistico e di bassa qualità. Edgar Morin descrive il metodo della complessità nei seguenti termini:... un metodo che consenta al pro g e t- t i s t a - o s s e r v a t o re di pro g e t t a re la molteplicità dei punti di vista e poi di passare da un punto di vista all altro. Deve d i s p o r re di concetti teorici che, invece di chiudere ed isol a re le entità, gli permettano di circ o l a re pro d u t t i v a- m e n t e.... A ff ro n t a re la complessità significa pertanto, per individui e organizzazioni, complessificare il proprio pensiero, aprirsi a molteplici punti di vista, ricerc a re il confronto e il diverso, aspettarsi l inaspettato, uscire dai confini del p roprio sapere specialistico, farsi nuove domande, non accontentarsi delle solite risposte. Aumentando le interconnessioni tra dati, informazioni, esperienze, osservazioni, aumentiamo il numero di alternative di mondo che in ogni istante costruiamo. Di fronte ad una qualunque realtà, maggiore è la complessità di individui ed imprese, maggiori saranno le alternative d azione che saranno p rese in considerazione perché il processo cognitivo di modellizzazione del mondo sarà più ampio e più ricco. Un esempio può chiarire cosa intendo per complessific a re il pensiero. In ogni istante ogni persona e ogni o rganizzazione si trovano nella situazione descritta dalla figura 3.

Fi g u ra 3 - Im p rese e individui di fronte alla complessità Nella figura sopra riportata compaiono tre stati possibili: lo stato possibile A che rappresenta la realtà immaginata dall individuo o dall impresa. Lo stato possibile B che rappresenta la realtà che eff e t- tivamente si realizza al tempo t. Lo stato possibile C che rappresenta la realtà potenziale, ovvero tutto ciò che avrebbe potuto realizzarsi in quella data situazione. Lo stato possibile A, in particolare la sua ampiezza, dipende dalla complessità del nostro pensiero. Maggiori saranno pertanto le alternative di mondo che in ogni data situazione individui ed imprese riusciranno ad elab o r a re, minore sarà il gap tra la realtà immaginata A e la realtà effettivamente realizzata B. E possibile definire lo spazio (B-A) come incertezza operazionale. Questo spazio - lo ripeto - dipende dal livello di accuratezza/adeguatezza delle costruzioni e i n t e r p retazioni del mondo. Lo spazio (C-A) è definibile, invece, come incertezza strategica. Essa è irriducibile per definizione. Lo stato C r a p p resenta qualsiasi evento possa verificarsi in quella data situazione, comprese tutte le possibili discontinuità. Si tratta di uno stato di grandezza infinita e insondabile da cui si origina, appunto, la complessità. Se le persone si trincerano dietro modelli mentali limitanti che creano false certezze, e le imprese dietro a p p rocci razionalisti finalizzati a ridurre l incertezza e a r i c e rc a re il mero ordine, questo gap non può essere colmato, anzi, la distanza tra lo stato A immaginato e lo stato B realizzato può cre s c e re nel tempo. Il risultato è quello di avere individui e imprese costantemente sorpresi da eventi discontinui. Eventi discontinui che talvolta sono tali solo a causa delle loro ristrette modellizzazioni di mondo, che quindi avre b b e ro potuto essere previsti da un pensiero che avesse assorbito complessità riuscendo così a cre a re alternative di mondo più ricche ed ampie. Il metodo della complessità punta quindi non a pre v e- d e re il futuro, ma a ridurre il rischio - mai completamente eliminabile - di essere sorpresi dagli eventi. M a g g i o re è la molteplicità dei punti di vista e dei saperi coinvolti (quindi maggiore è la complessità del pensiero), maggiore sarà la capacità di individui ed org a n i z z a- zioni di aff ro n t a re la complessità. Le imprese aumentano la loro potenzialità di esistere nel tempo (e quindi la loro competitività) se evitano di essere sorprese dalle discontinuità ambientali. Questo obiettivo è raggiunto non riducendo la propria complessità i n t e rna - attraverso l ossessiva ricerca di ordine, certezza e razionalità - bensì attraverso un graduale processo di assorbimento di complessità che porta a modellizzare a l t e rnative di mondo più ricche e quindi aumentare la p ropria flessibilità organizzativa e strategica. Questo articolo nasce da un più ampio studio sulla complessità e il management pubblicato in: A. Cravera, C o m p e t e re nella complessità - Il management tra ord i-

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