L individuo e le relazioni giuridiche

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1 17 L individuo e le relazioni giuridiche 93 Capitolo I L individuo e le relazioni giuridiche SOMMARIO: 17. In primo luogo, l essere umano. Il tema dell uguaglianza. 18. Figure individuali nel linguaggio giuridico. 19. La nascita. 20. La rilevanza giuridica del concepimento. 21. L aborto. 22. Identificazione degli individui. Il nome e il censo. 23. La morte. 24. La capitis deminutio. 17. In primo luogo, l essere umano. Il tema dell uguaglianza. Poiché ogni diritto è stato costituito per gli uomini, anzitutto parleremo della condizione delle persone, poi degli altri argomenti 1. Con queste parole, il giurista Ermogeniano spiega perché lo studio delle norme che si riferiscono alle persone sia il tema di apertura della sua opera, come del resto è per gli scritti di altri autori precedenti, tra i quali Gaio. Egli usa due termini fondamentali nel lessico giuridico dei romani, homo e persona, qui con il medesimo significato. Nell ordine scelto per la trattazione, nel fatto di incominciare dalle diverse condizioni in cui vengono a trovarsi gli esseri umani, si riflette un idea del fenomeno giuridico: nato per opera degli uomini ed in funzione della loro vita. È un idea che corrisponde al senso comune e che non ha bisogno di dimostrazioni. Il diritto regola le attività che ciascuno consapevolmente compie: attività tali da incidere sull esistenza degli altri, creando forme di subordinazione e di cooperazione tra i singoli. Il diritto le ispira, le guida, le sorregge. Legato ad esse, partecipa perciò della loro concretezza e dinamicità. Da questo insieme di comportamenti e relazioni noi estraiamo e definiamo le fattispecie, gli atti, ma prima ancora le posizioni dei singoli che sono coinvolti nelle situazioni regolate. Muoviamo ora da una domanda semplice, che costituisce un passo essenziale per storicizzare ciò che chiamiamo diritto privato. In quali forme si strutturano i poteri e i doveri dei singoli, nei diversi modelli di organizzazione sociale? Rispondere a 1 D. 1, 5, 2 (Hermogenianus libro primo iuris epitomatorum): Cum igitur hominum causa omne ius constitutum sit, primum de personarum statu ac post de ceteris... dicemus.

2 94 Il diritto delle persone 17 questo interrogativo significa anzitutto descrivere le configurazioni giuridiche degli individui (ogni società genera le proprie) e cogliere gli elementi di continuità e di trasformazione nella loro storia. In realtà, tutti i diritti privati europei, dall antica civitas dei romani agli Stati contemporanei, hanno un essenziale somiglianza di funzioni: definiscono e regolano quanto ciascun attore della vita giuridica possa curare interessi, come disponga delle cose ed in quale misura le sue scelte vincolino i comportamenti e la vita degli altri che sono con lui, partecipi dello stesso ordine sociale. Ma, pur essendo innegabile questa convergenza dei fini, le soluzioni e le norme sono tra loro assai diverse, dipendono dal mutare dei tempi e delle forme di vita. La figura del soggetto libero e giuridicamente capace, riferibile senza discriminazioni ad ogni individuo e tale da implicare una ideale uguaglianza, è propria dell età moderna ed è lontana dal diritto romano, ove accanto ai cittadini sui iuris, cioè non sottoposti ad altri e dotati dei poteri più ampi, vi è la massa degli alieni iuris: dagli schiavi alle donne, ai figli, agli stranieri. Condizioni diversificate, che mutano lungo la storia di Roma. Così, nella stessa giurisprudenza, dalla repubblica al terzo secolo d.c., emergono forme non omogenee di disciplina delle persone: con l espansione politico-militare e con l impero cambiano i rapporti tra liberi e schiavi, si modifica la nozione di cittadino, sorgono nuove disuguaglianze; e di ciò la nostra ricostruzione non potrà non tenere conto. Ho adoperato un momento fa l espressione ciascun attore della vita giuridica. Si tratta di stabilire che cosa essa storicamente significhi, quali immagini dell individuo comprenda e, in particolare, a quali categorie di esseri umani sia riferibile nell esperienza giuridica romana. Non c è diritto privato che non abbia in sé la determinazione di una entità a cui le norme si indirizzano e che è protagonista degli accadimenti regolati. Ciò vale anche nell antica Roma. Di solito gli attori della vita giuridica sono persone fisiche, variamente individuate, alle quali si imputano relazioni ed atti. Tratteremo sotto varie forme il tema della disuguaglianza. Le differenze tra gli esseri umani, evidenti nella vita quotidiana e talvolta formalizzate giuridicamente, sono un dato storico costante nell esperienza romana; la prassi è intessuta di privilegi. Tuttavia, il diritto romano sviluppa una propria idea di uguaglianza, consegnandola alla cultura europea ed occidentale. Come si concilia questa idea con la reificazione degli schiavi, con la sottomissione dei filii e delle donne, con le sperequazioni sociali? L uguaglianza dei romani è in realtà un equilibrio, una possibilità di scambio, una comunanza di regole, appartenenti, nella comunità più antica, soltanto ai cittadini liberi. Più tardi essa si estende oltre i confini della civitas romana. Al di là delle leges scritte, la comunanza di norme e qualificazioni giuridiche è un carattere proprio del diritto nel suo insieme: è necessario all ordine. Il diritto è teoricamente uguale solo per le persone sui iuris: libere e indipendenti. Sono esclusi dall uguaglianza giuridica gli schiavi, come altre figure alieni iuris, cioè dipendenti dal potere di altri. Con lo ius gentium l uguaglianza giuridica si estende, per determinate fattispecie, agli stranieri. Essi stabiliscono relazioni economiche con i romani e perciò i loro comporta-

3 17 L individuo e le relazioni giuridiche 95 menti sono attratti nelle norme e negli schemi giudiziari romani, con una parità di trattamento delle rispettive condotte, che è funzionale allo sviluppo del commercio. Cicerone, quando descrive l impianto e lo scopo di una nuova scienza del diritto civile, da costruire con i materiali tratti dalla casistica repubblicana, ha ben chiari i limiti entro cui può effettivamente esservi uguaglianza nel trattamento delle persone: Dunque nel diritto civile l obiettivo deve essere il seguente: conservare negli interessi e nelle controversie dei cittadini un uguaglianza che sia fondata sulle leggi e sulle consuetudini 2. Soltanto ai cittadini liberi, che perseguano una personale utilità e siano in grado di chiedere una tutela giudiziaria, possono riferirsi nella loro nitidezza le regole che la giurisprudenza va elaborando e le prescrizioni emanate dalle autorità. Questo vale (a metà del primo secolo a.c., mentre egli scrive) per lo ius civile in senso stretto, ma anche per il diritto pretorio. Allo stesso modo vale per lo ius gentium, che può abbracciare altre civitates e che presuppone anch esso, per potersi applicare, la libertà delle persone e la loro appartenenza ad una comunità. Così il diritto romano, con tutti gli adattamenti che i pretori e la giurisprudenza producono, si applica agli uomini liberi di diverse città. Così la parità di trattamento diventa principio e metodo di lavoro dei magistrati romani, ovunque operino. Sebbene lo stoicismo comunichi alla cultura romana un idea generale di uguaglianza, le sue potenzialità hanno un limitato sviluppo sul terreno del diritto. Seneca scrive, riproducendo l insegnamento di Crisippo: I princìpi sono uguali per tutti, uguale è l origine; nessuno è più nobile di un altro, se non chi ha più di un altro ingegno e buone attitudini I giuristi non ignorano questo messaggio. Lo circoscrivono, traducendolo soltanto in una pari considerazione delle parti nelle controversie giudiziarie. La parola usata da Cicerone che traduciamo con uguaglianza è aequabilitas. Essa indica la comparabilità tra le posizioni individuali e il trattamento uguale, che scaturisce dalla valutazione dei casi. Si tratta di un concetto fondamentale nel ragionamento giuridico, più spesso riferito alle fattispecie (ed ai comportamenti interni ad esse) che agli individui. Come è chiaro in un passo ciceroniano 4 : Una norma applicabile in una situazione che è pari ad un altra, deve applicarsi anche in quest ultima (quod in re pari valet, valeat in hac quae par est). Vediamo: per il fondo è di un biennio l uso che ne determina l appartenenza; lo sarà quindi anche per un edificio. Si affaccia a questo punto un obiezione, che l autore respinge. Certo nella legge l edificio non è nominato, e rientra fra tutte le altre cose per le quali l uso richiesto è di un anno. Ed ecco il principio: Valga l equità, che esige, in situazioni che si equivalgono, una uguale disciplina giuridica (Valeat aequitas, quae in paribus causis paria iura desiderat). Il punto di partenza è una norma delle Dodici Tavole 5, che viene interpretata in modo non letterale, equiparando l edificio al fondo. Qui è l usus il comportamento che, riferito a cose uguali, determina effetti uguali. In ciò consiste l uguaglianza giuridica 6. 2 Cicero, De oratore 1, 42, Seneca, De beneficiis 3, 28, 1. 4 Cicero, Topica, 4, Tab. 6, 3. (Fira, I, p. 44). 6 Cfr. Cicero, Topica 2, 9.

4 96 Il diritto delle persone 17 Il termine aequalitas denota, invece, una condizione statica ed è più volte associato a iustitia. Ancora Cicerone spiega che l aequalitas è un bene in sé: al pari della giustizia e dell amicizia, non pretende ricompense ed è evocata come un valore morale 7. Da Seneca viene rappresentata come parte essenziale dell equità (termine che indica la giustizia per i singoli), in una formulazione paradossale. Egli giunge infatti al concetto di uguaglianza, riflettendo sulla morte e sul fatto che tutti, indistintamente, viviamo per la morte. Una necessità uguale ed invincibile: chi si lamenterà per il fatto di trovarsi in una condizione alla quale nessuno può sottrarsi? Il primo elemento costitutivo dell equità è l uguaglianza Questi enunciati rimandano direttamente al rigore del pensiero stoico, già ricordato, che immagina l uguaglianza come un aspetto dell ordine delle cose: un modello profondo, tuttavia non assecondato e rispettato dall esperienza pratica. La vita concreta della società e le sue forme giuridiche più volte lo smentiscono, come si vede sia nel rapporto tra liberi e servi sia in numerose altre discriminazioni. Nella cultura delle classi dirigenti romane, durante l ultima fase della repubblica e sotto il principato, si manifesta una critica politica del concetto di uguaglianza, visto come fonte di disordine. È da ricordare in proposito l esortazione di Plinio il giovane rivolta ad un governatore provinciale, affinché garantisca nella trattazione degli affari giudiziari una diversità di trattamento a seconda della dignità e del rango sociale, anche tra persone libere e con la stessa cittadinanza. Quando tra ceti di diverso livello si produce mescolanza e confusione, allora nulla è più ineguale della stessa uguaglianza (nihil est ipsa aequalitate inaequalius) 9. * * * Accanto agli esseri umani possono esservi altri centri di riferimento di relazioni giuridiche: organizzazioni sociali, complessi di persone e di beni, più volte denominati con parole identiche o simili a quelle impiegate per le persone fisiche. In particolare, il termine persona verrà assunto per la designazione di simili entità, diverse dall uomo. È una metafora già presente nel linguaggio dei romani e, come vedremo, destinata ad avere fortuna e rilievo nella tradizione e nelle culture giuridiche dell Occidente. I soggetti prevalenti delle economie capitalistiche più sviluppate saranno proprio questo: società, centri collettivi di interessi, immaginati alla stregua di persone e perciò titolari di diritti e di obblighi. La categoria unificante e comprensiva di queste situazioni sarà denominata persona giuridica. Ma se squarciamo il velo della metafora, ci accorgiamo che dietro la costituzione di entità astratte così concepite, vi sono gli uomini e le donne, gli individui, che perseguono obiettivi ritenuti utili e regolano a tal fine i propri rapporti. Questo è un dato da non dimenticare mai. Il punto di partenza del diritto privato è l agire individuale: è il perseguimento di finalità ed utilità individuali. Insomma, l appropriazione, lo scambio, la cooperazione e le vicende giuridiche che ne derivano presuppongono comunque condotte ed atti riferibili ai singoli, secondo modalità storicamente eterogenee. 7 Cicero, De legibus 1, 18, Seneca, Epistulae ad Lucilium 4, 30, Plinius, Epistulae 9, 5, 3.

5 18 L individuo e le relazioni giuridiche Figure individuali nel linguaggio giuridico. È tempo di esaminare la terminologia con la quale i romani rappresentano l individuo e ad esso ricollegano qualificazioni giuridiche o attività giuridicamente rilevanti. Si tratta di forme linguistiche mutevoli e segnate da una pluralità di impieghi. È vano cercare negli appellativi che riguardano la figura fondamentale del discorso giuridico il singolo protagonista dei casi un rigore semantico, una costanza di significati identici, ovunque ricorra la stessa parola. Né si trova un insieme di schemi concettuali sistematicamente ordinati. Ciascun uso dei termini riferiti all individuo nasce entro contesti specifici e possono esservi più volte oscillazioni di senso, che dipendono dal modo in cui il giurista guarda la fattispecie e dall aspetto che egli intende mettere in evidenza e far risaltare nella rappresentazione della figura individuale. L analisi linguistica serve ad individuare i procedimenti di selezione dei dati dell esperienza che sono impliciti in un appellativo o in una definizione. Non possiamo pensare che i nomi siano semplicemente etichette o cartelli attaccati alle cose o agli esseri umani, in un rapporto di corrispondenza statico, uniforme rispetto alle entità rappresentate e ai fatti che le riguardano. Non è così: il linguaggio inventa i fenomeni, filtra l esperienza e la costruisce secondo un disegno. È la comunità dei parlanti, e nell ambito dei vari settori della vita sociale sono coloro che coltivano i saperi specifici, a tracciare il disegno. Non lo fanno in modo spontaneo e casuale, ma in relazione ad interessi e a volontà concrete. Proviamo a chiederci: che cosa sarebbe l esperienza della politica senza il linguaggio della comunicazione e del comando, senza i termini che indicano le forme di governo, ne trasmettono i modelli, e ricollegano ad essi memoria e giudizi di valore? Sarebbe ben poco, lo sappiamo. Dunque, è il linguaggio che inventa la politica. Lo stesso può dirsi per il diritto. Anch esso ruota attorno alla comunicazione, cioè ad un uso delle parole socialmente finalizzato, dotato di efficacia entro la comunità organizzata che lo produce e lo attua. Le proposizioni normative, anche quando non sono formalizzate in atti e documenti ufficiali, promananti da un autorità sovraordinata, e risultano invece dai comportamenti, dai mores, presuppongono una riconoscibilità, una denominazione delle fattispecie, una identificazione delle loro conseguenze, una coerenza tra situazione e situazione, che si creano e si modificano attraverso il linguaggio. Se teniamo conto proprio di questa funzione selezionatrice del linguaggio, comprendiamo meglio il lessico delle persone nel diritto romano, che è il primo a figurare nelle trattazioni dei giuristi. Esso non è che la scoperta delle posizioni giuridiche, dei poteri dei singoli e dei loro rapporti con le comunità cui appartengono. Homo e persona sono le parole-chiave più usate. Vediamone da vicino gli impieghi. La divisione fondamentale circa il diritto delle persone consiste nel fatto che tutti gli uomini sono liberi o schiavi 10. Torneremo più avanti sulle due grandi catego- 10 Gai. 1, 9: Et quidem summa divisio de iure personarum haec est, quod omnes homines aut liberi sunt aut servi.

6 98 Il diritto delle persone 18 rie attorno alle quali ruota lo ius personarum e sulla posizione assolutamente peculiare dello schiavo, instrumentum vocale, mezzo di produzione che parla, per lo più adibito al lavoro coatto, ma anche ad attività di gestione dei beni padronali. Esso ci appare come una merce equiparata alle cose inanimate, che al pari di queste viene comprata e venduta; e tuttavia è una merce pensante, alla cui volontà ed alle cui azioni si attribuiscono particolari conseguenze giuridiche. La divisione liberi aut servi è un elemento costitutivo della società romana: segna profondamente la sua economia, le sue forme di produzione e le sue regole di convivenza. Implica una disuguaglianza profonda e radicale; eppure le due categorie partecipano di un idea comune della individualità umana, che non appartiene soltanto ai liberi. Secondo la lineare formulazione di Gaio, i servi, pur essendo trattati come cose, sono annoverati anch essi tra gli uomini e le persone. Le due parole (homines, personae) hanno quindi una portata generale e designano entrambe l essere umano. Ma mentre il significato di homo rimane il più delle volte circoscritto all esistenza fisica, tanto che spesso l appellativo denomina soltanto e specificamente il servus, pensato come oggetto materiale di relazioni giuridiche, il termine persona raggiunge in molti dei contesti linguistici in cui ricorre un livello di astrazione più alto. In base al diritto, si ritiene legittimo ciò che ognuno fa per difendere il proprio corpo; ed a- vendo costituito la natura una sorta di parentela tra tutti noi, conseguentemente non è lecito che un uomo aggredisca un altro uomo :... hominem homini insidiari nefas esse 11. In questo frammento di Fiorentino, il termine homo indica ciascun essere umano. L idea di un universale apparentamento discende dalla filosofia stoica, che vuole uguali gli esseri umani, ma che facilmente si rassegna ad accettare la divisione tra liberi e schiavi, senza trarre conseguenze radicali dai propri princípi. È lo stesso giurista, là dove definisce le due opposte condizioni dei liberi e dei servi, a sottolineare quanto questa divisione tra gli uomini sia contraria alla natura. La libertà è la facoltà naturale di fare ciò che a ciascuno piace, a meno che non sia impedito dalla forza o dal diritto. La servitù è un assetto stabilito dal diritto delle genti, per la quale uno è sottomesso, contro la natura, al dominio di un altro La libertà è naturale, ma si può impedire il suo esercizio, con il diritto come con la costrizione. Fiorentino immagina qui la natura evidentemente non come un dato fisico, ma come un ordine, nel quale la libertà è un attributo necessario della persona, spettante a ciascuno in modo uguale. Eppure l assetto della schiavitù, sebbene contraddica a quell ordine ideale, è parte integrante del diritto; anzi è comune ai diritti di diversi popoli: perciò rientra nello ius gentium; né gli intellettuali romani del principato progettano in alcun modo la sua abolizione, il suo superamento. Insomma, la natura appare come un dover essere, che resta separato e indipendente dall azione pratica. La formulazione ideale non si traduce in impegno politico. Neanche a parole. Secondo Ulpiano, l unità naturale di tutte le persone è espressa dal nome homines, che accomuna tre categorie: i liberi, gli schiavi, i liberti:... cum uno naturali nomine homines appellaremur Questi, nel loro essere uomini, sono uguali: il linguaggio esprime una concezione non corrispondente alla disciplina giuridica, che invece nega l uguaglianza. 11 D. 1, 1, 3 (Florentinus libro primo institutionum). 12 D. 1, 5, 4 pr.-1 (Florentinus libro nono institutionum). 13 D. 1, 1, 4 (Ulpianus libro primo institutionum).

7 18 L individuo e le relazioni giuridiche 99 Gioca qui un doppio piano di discorso. Come per Fiorentino, l uguaglianza, esclusa dal diritto, si rifugia nella natura. Per ciò che si riferisce allo ius civile, gli schiavi si considerano pari a nulla; non è tuttavia così per il diritto naturale, poiché rispetto allo ius naturale tutti gli uomini sono uguali 14. Altrove Ulpiano, spiegando il contenuto della lex Cornelia, che puniva l omicidio, trae dall'estensione del significato generale di homines una interpretazione in base alla quale l uccisione del servo è perseguita processualmente e punita come quella dell uomo libero 15. L enunciato si muove nella direzione del trattamento uguale di liberi e schiavi, sia pure entro i limiti ristretti della repressione dell omicidio. Numerosi sono nei giuristi, e particolarmente in Gaio, gli impieghi del termine homo per indicare soltanto lo schiavo, privo di una propria autonoma sfera giuridica. In questi contesti, l individuo è in stato di netta subalternità ed è assunto come res corporalis, oggetto materiale di appartenenza e di scambio. Ma è comunque un essere umano capace di volere e di agire. Così come i non liberi sono homines, la stessa parola vale per i non cittadini, a cui comunque si applicano le norme romane:... Ma in questo tempo né ai cittadini romani né ad altri uomini che sono sottoposti al potere del popolo romano è lecito usare crudeltà oltre misura e senza ragione nei confronti dei propri servi Nella denominazione dei non cittadini, come nella denominazione degli schiavi, siamo di fronte ad un operazione semantica per sottrazione. Nel momento in cui si esclude per determinati individui una determinata qualificazione giuridica (liberi o cives), se si vuole marcare la differenza, il modo migliore e più immediato per chiamarli è homines. È la sostanza umana possiamo dire che resta ferma, non scalfita, anche se essi sono privi della libertà e della cittadinanza. Infine, è da ricordare un ultima accezione diversa dalle altre, che mostra il carattere plurisenso dell appellativo: uomo può essere il centro di riferimento di una sfera di potere regolata giuridicamente. Qui non c è sottrazione:... È necessario che il potere dei padroni nei confronti dei propri schiavi rimanga intatto né ad alcun uomo può essere sottratta una parte del suo diritto La proprietà che si esercita sullo schiavo, in questo contesto, non è considerata innaturale; anzi, al giurista preme la sua integrità. Lo ius hominis, nella logica interna al testo, ci appare equivalente alla nozione di dominorum potestas. La traduce in termini più generali. Quindi ius ha lo stesso significato di potere (potestas). È un equazione che già abbiamo visto. Sulla base di quali impieghi persona ci appare come un termine più astratto? E qual è l aspetto che in essi è posto in risalto? Il concetto di maschera teatrale, che la parola originariamente esprime, diventa la base per abbozzare uno sdoppiamento tra l individuo empirico e la sua posizione giuridica. Coerenti con questo significato sono i testi nei quali la parola rappresenta il ruolo (la pars) che uno esercita e svolge in una determinata situazione D. 50, 17, 32 (Ulpianus libro quadragesimo tertio ad Sabinum): Quod attinet ad ius civile, servi pro nullis habentur: non tamen et iure naturali, quia, quod ad ius naturale attinet, omnes homines aequales sunt. 15 Coll. 1, 3, 2: Conpescit item eum, qui hominem occidit, nec adiecit cuius condicionis hominem, ut et ad servum et peregrinum pertinere haec lex videatur. Cfr. anche Gai. 3, Gai. 1, D. 1, 6, 2 (Ulpianus libro octavo de officio proconsulis): Dominorum quidem potestatem in suos servos illibatam esse oportet nec cuiquam hominum ius suum detrahi Cicero, De oratore 2, 24, 102:... Io svolgo da solo tre ruoli: il mio, quello del mio avversario, quello del giudice... (tres personas unus sustineo... meam, adversarii, iudicis).

8 100 Il diritto delle persone 18 L espressione personam sustinere, che ricorre nelle fonti giuridiche ed è usata in particolare da Giuliano, significa proprio sostenere una parte : così ad esempio per il servus communis, appartenente a due padroni, il giurista afferma che egli svolge il ruolo di due servi 19. Riassumo la descrizione del caso trattato da Giuliano, che deve aver dato luogo, prima di lui, ad uno ius controversum. Se, essendo in comproprietà tra me e Tizio, lo schiavo comune promette una somma di danaro ad un altro schiavo che è soltanto mio, questo atto dovrebbe obbligare me e Tizio, come domini e titolari della potestas. Invece, obbliga soltanto Tizio, poiché io non posso essere obbligato nei confronti di me stesso, sia pure attraverso la promessa del servus communis ad un servus di mia esclusiva proprietà. Siamo entro un quadro normativo che prevede, in seguito all atto dello schiavo, una obbligazione a carico del dominus, da far valere mediante strumenti giudiziari di origine pretoria (che più avanti tratteremo). Il procedimento interpretativo consiste nello scindere in due il ruolo giuridico che lo stesso schiavo svolge, essendo il suo atto simultaneamente rilevante in rapporto ai due suoi domini. Secondo il testo di Giuliano, il servo è uno, ma con una duplicità di ruoli; e la stessa duplicità caratterizza le conseguenze giuridiche ricollegate al suo comportamento 20. La parte assegnata all individuo, che è produttiva di determinati effetti, ci appare entro la fattispecie come un quid ideale ben distinto dall essere umano a cui si riferisce. Se soltanto ci limitiamo a leggere le Istituzioni di Gaio, vediamo che all entità concettuale persona, già posta in primo piano all inizio della trattazione intorno allo ius, sono collegate le specificazioni più varie (e lo stesso vale per altri giuristi). Così entrano in scena la persona dell erede, dell adstipulator, del fideiussore, della moglie, del pupillo, del figlio, del dominus, del legatario, del servo: insomma di ogni figura individuale assunta nel discorso giuridico. Possiamo riassumere il senso di queste espressioni e qualificazioni con il seguente enunciato: la parte è qualcosa di diverso da chi la recita. È un astrazione autonoma. Tanto che lo stesso termine persona può indicare il ruolo ascrivibile nella vita giuridica ad entità diverse dall essere umano. In questa prospettiva, si colloca la locuzione ciceroniana gerere personam civitatis, gestire il ruolo della città : un compito che spetta ai magistrati e che significa operare per la cura di interessi riferibili alla collettività 21. Un concetto identico a questo è anche in un altro passo di Cicerone, riferito alle funzioni di governo che riguardano la comunità generale dei cittadini:... qui personam populi Romani sustinerent Inoltre, l espressione personam sustinere indica una condizione propria dell hereditas nella fase che intercorre tra la morte del titolare dei beni e l accettazione (aditio 19 D. 45, 3, 1, 4 (Iulianus, libro quinquagensimo secundo digestorum): Communis servus duorum servorum personam sustinet Proposizioni simili sono in D. 47, 2, 57, 4 (Iulianus libro vicesimo secundo digestorum):... qui adeo personam domini sustinet...; in D. 28, 5, 16 (Iulianus libro trigesimo digestorum):... et instituti et substituti personam sustinere...; in D. 34, 3, 7, 5 (Ulpianus libro vicesimo tertio ad Sabinum):... personam sustinere eius a quo sub condicione legatur Cicero, De officiis 1, 34, Cicero, De domo 52, 133.

9 18 L individuo e le relazioni giuridiche 101 hereditatis) da parte dell erede designato. Il complesso patrimoniale che è in attesa di essere trasmesso con la successione viene raffigurato come un entità a sé, suscettibile di incrementi e di perdite. Pomponio dice che esso heredis personam sustinet: gioca, nel periodo anteriore all aditio, un ruolo identico a quello che giocherebbe l erede. Al contrario Giuliano (la cui tesi prevarrà) afferma che l insieme dei beni in questione svolge, durante il periodo di attesa, la stessa parte che svolgerebbe il defunto se fosse ancora vivo e quindi lo sostituisce come centro di riferimento delle relazioni giuridiche attinenti ai beni 23. Un significato diverso (lontano dalla scissione tra essere umano e persona) si ritrova in molti usi del termine corpus, che indica la fisicità dell individuo. Questa costituisce un dato saliente e decisivo per gli schiavi e per i liberi. I vizi occulti dello schiavo venduto possono essere animi vel corporis: qui la parola corpus indica soltanto la struttura fisica, essenziale in gran parte del lavoro servile 24. Inoltre, nel campo di azione degli uomini liberi, il termine può essere usato per circoscrivere un tipo di attività esclusivamente materiale: così a proposito del possesso di una cosa, Paolo parla dell acquisto corpore, vale a dire dell apprensione della cosa nella sua totalità, come di un elemento non necessario al costituirsi di un rapporto possessorio, per il quale contano l intenzione e la capacità di tenere la cosa sotto controllo 25. Questi sono soltanto esempi, ma spiegano come la fisicità possa essere posta in primo piano nella qualificazione giuridica. Talora poi l elemento materiale del corpo coincide con l identità socialmente percepibile dell esssere umano. Il testatore, nello scrivere il testamento, indica una persona diversa da quella che voleva come erede, sbagliando nella designazione, ovvero come dice Ulpiano errans in corpore hominis e così togliendo ogni efficacia alla disposizione testamentaria. È evidente qui che il giurista si riferisce all identità socialmente percepita e riconoscibile di un individuo e la fa coincidere con le sue fattezze esteriori 26. Un termine ulteriore che denomina figure individuali nell esperienza giuridica è caput. Letteralmente significa testa, non solo umana; a volte è il capo di bestiame, elemento singolo di un complesso, che però può essere separatamente oggetto di relazioni giuridiche 27. Riferito all essere umano, caput indica di solito il singolo integrato in una collettività 28. Designa anche la sfera giuridica di una persona. Servus nullum caput habuit leggiamo nelle Istituzioni di Giustiniano Vedi più avanti, D. 21, 1, 1, 10 (Ulpianus libro primo ad edictum aedilium curulium). 25 D. 41, 2, 1, 21 (Paulus libro quinquagensimo quarto ad edictum); D. 41, 2, 3, 1 (eodem libro). 26 Cfr. D. 28, 5, 9 pr. (Ulpianus libro quinto ad Sabinum). 27 D. 6, 1, 1, 3 (Ulpianus libro sexto decimo ad edictum); D. 6, 1, 2, 3 pr. (eodem libro). 28 Così capita servorum in D. 31, 34 pr. (Modestinus libro decimo responsorum); cfr. anche Livius, 29, 29, 3: octo milia liberorum servorumque capitum. 29 Inst. 1, 16, 4.

10 102 Il diritto delle persone 18 La frase sintetizza un significato di caput, quale centro di relazioni interindividuali disciplinate dal diritto, che già si staglia nella giurisprudenza. Così per esempio un passo di Papiniano chiarisce che, con il passaggio da una famiglia all altra, non è soltanto l essere umano in senso fisico che si sottomette ad un potere diverso dal precedente, ma con lui si sposta e si ricolloca in una nuova organizzazione l insieme delle relazioni giuridiche di cui è titolare 30. È proprio questo nesso lineare tra individuo e sfera giuridica autonoma, implicante il potere di disporre di relazioni proprie, che non può in alcun modo manifestarsi nel caso del servo. Mai gli vengono imputate le relazioni nelle quali interviene, come sottoposto al dominus ed operante per lui. L individuo schiavo non ha nessun diritto scrive Paolo, secondo un impostazione assai simile al brano delle Istituzioni giustinianee 31. D altra parte, l espressione noxa caput sequitur non indica una sfera giuridica dello schiavo, ma soltanto la sua assoggettabilità di fatto alla vittima dell illecito, che è poi la strada attraverso la quale il dominus si spoglia di ogni responsabilità. La vita stessa può essere evocata dalla parola caput, come dimostra il linguaggio del diritto criminale, ove le sanzioni chiamate capitali colpiscono spesso la vita, e comunque spezzano i legami sociali che la circondano. Esse fanno venir meno l individuo, lo eliminano dalla collettività cui appartiene. L appellativo capitale scrive Modestino è da intendersi come relativo alla morte o alla perdita della cittadinanza 32. Capitale è insomma la cessazione dell appartenenza del singolo ad un gruppo. Dobbiamo tener presente questo significato, perché lo ritroveremo tra non molto nello schema normativo e teorico della capitis deminutio (che significa letteralmente diminuzione di una entità ). Infine, la posizione dell individuo può essere denominata status. Anche questa parola mette in luce il fatto che l individuo sia membro di una determinata organizzazione. Quindi non è il rapporto con le cose (ad esempio la condizione di proprietario) né la qualità derivante dalla posizione e dagli atti del singolo entro ciascuna fattispecie (come per la qualità di erede o di compratore) a determinare uno status. È qualcosa che logicamente viene prima. L essere libero è uno status che appartiene al cittadino. La stessa cittadinanza è uno status (che uno può perdere rimanendo libero, mentre se perde la libertà cessa anche di essere cittadino). Ed è uno status l essere sottoposto al potere di un pater familias. Gaio identifica il concetto di status in relazione alle forme possibili del suo mutamento. Trattando la capitis deminutio, mette a fuoco tre status fondamentali: La capitis deminutio consiste nella modifica dello status precedente e si verifica in tre modi: essa infatti o è massima, o è mino- 30 D. 37, 11, 11, 2 (Papinianus libro tertio decimo quaestionum):... cum capite fortunas quoque suas in familiam et domum alienam transferat. Nello stesso senso deve intendersi l inciso: obligationes cum capite ambulant in D. 4, 5, 7, 1 (Paulus libro undecimo ad edictum). 31 D. 4, 5, 3, 1 (Paulus libro undecimo ad edictum):... servile caput nullum ius habet. 32 D. 50, 16, 103 (Modestinus libro octavo regularum):... appellatio capitalis mortis vel amissionis civitatis intellegenda est.

11 19 L individuo e le relazioni giuridiche 103 re, che da taluni viene detta media, o è minima 33. Con la prima si perdono cittadinanza e libertà; con la seconda la cittadinanza; con la terza si conservano entrambe, ma l individuo esce dalla famiglia di cui faceva parte; perciò status hominis commutatur. Il che avviene nell adozione e nell emancipazione 34. Dunque gli status ci appaiono come condizioni tra loro differenziate, che si distinguono da tutte le altre qualificazioni giuridiche dei singoli, in quanto si fondano sul legame con tipi diversi ed individuati di comunità; ed ognuna di queste condizioni può venir meno, se il legame si spezza, in seguito a scelte e ad atti giuridici tali da determinare il mutamento. Callistrato aggiunge rispetto a questo quadro un elemento di novità: definisce infatti la existimatio, vale a dire la onorabilità di chi è sotto ogni profilo incensurato, come uno status, che può essere colpito e sminuito quando interviene la sanzione sociale dell infamia, e comunque viene del tutto consumato con la perdita della libertà 35. È una definizione eccentrica rispetto ai significati prevalenti di status, ma dimostra il fatto che essi non configurano, nel linguaggio dei giuristi, una teoria compiuta e chiusa. 19. La nascita. L essere umano si individua giuridicamente con la nascita. Deve nascere vivo, non prima del settimo mese dal concepimento (o entro 182 giorni), e deve avere sembianze umane. La persona esiste soltanto dopo il distacco fisico dalla madre. L embrione o il feto che questa porta in sé nel processo di gestazione non ha alcuna configurazione giuridica propria e indipendente; fa parte del corpo femminile 36, ovvero, come scrive Papiniano, nella gestazione non vi è ancora dal punto di vista del diritto un essere umano 37. Sebbene ricorrano nelle fonti espressioni quali qui in utero est o qui nasci speratur, rette da un pronome maschile, come se vi fosse già un individuo ancor prima del parto, è ovvio che questa è una identificazione convenzionale e stereotipata. Si usa per il nascituro un maschile generico, ma di lui non si sa neppure se nascerà e non si conosce il sesso (la possibilità di conoscerlo prima del parto, per noi oggi scontata, è una conquista recentissima). I romani hanno anche un altra possibilità e la usano: è quella di indicare con il genere neutro l entità vitale che si viene formando durante la gestazione. Comunque, se non vi è la nascita, tutto il processo vitale precedente ad essa non produce effetti giuridici. 33 Cfr. Gai. 1, Cfr. più avanti, 40 e D. 50, 13, 5, 1-3 (Callistratus libro primo de cognitionibus). 36 D. 25, 4, 1, 1 (Ulpianus libro vicesimo quarto ad edictum): mulieris portio est vel viscerum: ( È parte della donna oppure delle sue viscere ). 37 D. 35, 2, 9, 1 (Papinianus libro nono decimo quaestionum): partus nondum editus homo non recte fuisse dicitur.

12 104 Il diritto delle persone 19 Per il nato deforme, con un aspetto che appare mostruoso o comunque per chi risulti disabile, non esiste un criterio certo in base al quale stabilire se sia o no persona e se possa esser parte di relazioni giuridiche. La prima decisione sul destino di questa creatura spetta al pater, che può escluderlo dalla comunità familiare con la expositio, cioè con l abbandono, dando luogo verosimilmente alla sua morte (a meno che un estraneo non lo prenda per allevarlo come libero o non lo faccia schiavo) 38. Un antica consuetudine, accolta nelle Dodici Tavole, legittimava la soppressione di chi soffriva di una deformità particolarmente accentuata 39. La stessa usanza è ricordata, senza un brivido di orrore, da Seneca:... estinguiamo i parti portentosi ed anche i figli, se sono nati disabili e mostruosi, li affoghiamo nell acqua: e non è ira, ma ragione discernere ciò che è sano da ciò che è inutile Altrimenti, se non vi è stata expositio ed il figlio è parte della familia, l accertamento avverrà caso per caso nelle controversie giudiziarie ove qualcuno abbia interesse a porre in questione la posizione giuridica, le aspettative o gli obblighi del nato. I giuristi concettualizzano sia pure sommariamente l idea d individuo dalla quale bisogna partire. Il suo aspetto non può apparire contra formam generis humani 41 né contra naturam 42. L innaturalità del corpo è guardata con timore e superstizione. Anche il disabile (debilis) può essere considerato una non-persona, rassomigliante più ad un animale che a un uomo 43. Si può osservare una diversità di valutazioni tra Paolo ed Ulpiano, entrambi operanti all incirca negli stessi anni, durante la dinastia dei Severi. Secondo Paolo il criterio di distinzione tra chi è persona e chi non lo è va ricercato nella forma del corpo e nelle sue condizioni fisiche. Non sono figli coloro che, al contrario di quanto solitamente avviene, sono procreati con sembianze contrastanti rispetto a quelle del genere umano, come nel caso in cui una donna abbia partorito un essere mostruoso o del tutto anormale. Invece, il nato che abbia membra umane, ma con funzioni alterate, in qualche misura è considerato compiuto e quindi verrà annoverato tra i figli 44. Ulpiano invece, pur accettando la durezza della discriminazione dei deformi, ne definisce la condizione con uno sguardo che va oltre l apparenza del corpo. 38 Cfr. The Oxyrinchus Papyri, IV, a cura di B. Grenfell e A. Hunt, London 1904, n.744, p. 243 s. Una lettera su papiro di un marito a sua moglie in Egitto:... se è un maschio, allevalo; se è femmina, buttala fuori. 39 Cicero, De legibus 3, 8, 19:... necatus... ex XII tabulis insignis ad deformitatem puer... Cfr. XII Tab. 4, 1-2 (Fira, I, p. 35). 40 Seneca, De ira 3, 15, D. 1, 5, 14 (Paulus libro quarto sententiarum). 42 D. 50, 16, 38 (Ulpianus libro vicensimo quinto ad edictum). 43 D. 50, 16, 135 (Ulpianus libro quarto ad legem Iuliam et Papiam). 44 D. 1, 5, 14 (Paulus libro quarto sententiarum).

13 19 L individuo e le relazioni giuridiche 105 Quando si dice che un figlio nato rende nullo il testamento, per nato si intende anche quello che sia venuto alla luce mediante il taglio del ventre; infatti anche questo rende nullo il testamento, purché nasca nella potestà del pater. Che cosa invece si stabilirà, quando sia venuto alla luce un essere animato non integro, ma con uno spirito? Anche questi annullerà il testamento 45. Qual è il problema giuridico esaminato nel testo? Il nato dopo la redazione del testamento, se è nella condizione di heres suus, legato al defunto da un diretto rapporto di discendenza, rende nullo il testamento. La rottura del testamento assume particolare rilievo se la nascita dell heres suus avviene dopo la morte del testatore, quando non è più possibile che questi rediga nuove disposizioni, eventualmente diseredando l heres suus ed istituendo nuovamente un erede testamentario. La nascita di un erede postumo fa sì che il defunto sia considerato intestato: morto senza testamento. Agnatione postumi sive postumae testamentum rumpitur. Questo enunciato, sia pure con qualche incertezza, può riferirsi a Gaio 46. Non ci è giunto integro, ma ne ricaviamo la sostanza dal confronto con il passo corrispondente delle Istituzioni giustinianee e con altri passi altrimenti pervenutici 47. Esso esprime una regola confermata dalla giurisprudenza, sia pure con qualche tentativo di attenuarne il rigore. Nel caso che stiamo esaminando, la regola viene dichiarata applicabile a chi sia nato in seguito ad un parto procurato artificialmente con il taglio del ventre, oppure a chi sia deforme, ma comunque sorretto da uno spirito umano. L essere animato non integro è persona, purché la sua imperfetta fisicità sia cum spiritu. La parola, di amplissimo uso nel linguaggio filosofico, letteralmente vuol dire soffio e può avere molti significati: è lo spirito vitale che governa le membra (spiritus hos regit artus) 48, ma è anche sinonimo di una entità individuale compiuta e non scindibile 49. Secondo la tradizione del pensiero stoico, lo spirito è sostanza pneumatica, che tiene insieme il corpo ed ogni entità materiale vivente. Così viene superata la visione monistica della vita. È contro il buon senso scrive Galeno richiamando probabilmente la lezione di Crisippo sostenere che una cosa tiene insieme se stessa 50. Ogni genere di unità vitale, ogni organismo presuppone una interna dualità. Inoltre, secondo gli stoici, la ragione si raggiunge, proprio in quanto siano presenti fin dall inizio nell uomo forze capaci di organizzare e reggere la vita del corpo. Al momento della nascita, la ragione non esiste ancora. Essa è racchiusa nelle seminales vires, dalle quali si sprigionerà ad modum scintillae in silva. La metafora del fuoco che cresce rimanda all idea del soffio (il vento e le fiamme sono imparentati) ed indica il progresso della ragione 51. Lo spirito è costitutivo della persona: è ciò che la tiene insieme e la fa ragionare. Ma su questa coesione e su questo ragionare quanto sono ampi i margini di apprezzamento soggettivo? E fin dove è possibile non dare importanza alla deformità fisica, alla destrutturazione del corpo? 45 D. 28, 2, 12 pr.-1 (Ulpianus libro nono ad Sabinum). 46 Gai. 2, Inst. 2, 13, 1; cfr. Gai. Epit. 2, 3, Vergilius, Aeneides 4, D. 41, 3, 30 (Pomponius libro trigensimo ad Sabinum). 50 Stoicorum Veterum Fragmenta, coll. J. Von Arnim, II, Op. cit., II, 834.

14 106 Il diritto delle persone 20 Le soluzioni sono mutevoli, il diritto romano non fissa regole. Il giudice, usando le proprie categorie mentali, che derivano dalla cultura di cui è parte, dovrà semplicemente valutare se nel caso concreto esista un individuo: concetto che cambia secondo i tempi e le sensibilità. Ulpiano (qui con uno scatto innovativo rispetto ad altri testi, tra i quali quello di Paolo che abbiamo letto) suggerisce di guardare più allo spirito che alla struttura corporea. Dunque ad un elemento che va oltre l individualità fisica e che permette di pensare gli esseri umani come uguali. 20. La rilevanza giuridica del concepimento. Il concepimento che sia stato seguito dalla nascita assume rilevanza giuridica in una serie di fattispecie. Ad esso vengono ricollegati effetti sulla base di due distinti schemi normativi: anzitutto, perché in relazione al tempo della fecondazione (fissato secondo un criterio presuntivo: almeno sette mesi, o 182 giorni, prima della nascita), può stabilirsi la condizione giuridica del nato in relazione alla familia o alla civitas; in secondo luogo, perché la posizione del nato nell ambito dei rapporti ereditari viene definita a partire dal momento in cui egli è stato concepito. Chi nasce da due persone unite in matrimonio (e per un matrimonio legittimo deve trattarsi di persone libere) segue la condizione di cittadino o non cittadino, di appartenente all una o all altra famiglia, che era propria del padre al momento in cui il figlio è stato concepito. Se invece la nascita è al di fuori di iustae nuptiae, allora sarà la qualificazione della madre al tempo del parto che determinerà lo stato giuridico del figlio. In questi casi, può essere in gioco la sua condizione di libero o di schiavo. Per favorire la libertas, la giurisprudenza del principato introduce un principio ulteriore: il nato è libero, se la schiava che lo ha partorito era libera al tempo del concepimento, oppure se lo è stata, anche per un breve tratto, durante la gestazione 52. Per quanto riguarda invece il matrimonio tra un peregrino e una cittadina romana, o tra un romano e una peregrina, purché la persona straniera abbia il connubium (capacità di contrarre matrimonium), il figlio secondo il diritto dei romani assume la cittadinanza che il padre aveva all atto del concepimento 53. Se non vi è connubium, il nato da un peregrino e da una romana è peregrino, in base ad una lex Minicia emessa agli inizi del primo secolo a.c. (in questo caso è rilevante il momento della nascita). Esaminiamo ora le fattispecie nelle quali il concepimento assume rilevanza ai fini della regolamentazione di rapporti ereditari. Il figlio nato dopo la morte del padre e che sia stato concepito nell ambito di iustae nuptiae, in mancanza di testamento, è erede necessario del padre. Vale a dire che già nel momento in cui la gravidanza è iniziata, si determina un aspettativa a favore di colui che nascerà. La stessa che si ha quando egli è nominato erede testamentario 52 Inst. 1, Gai. 1, e Sul connubium vedi più avanti, 48.

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