Mobbing e danni correlati
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- Benedetto Viola
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1 Mobbing e tutele Letteralmente il verbo inglese to mob si può tradurre con «accalcarsi intorno», «assediare», mentre il sostantivo mob indica «combutta», «cricca», o «assembramento». Nell accezione che qui interessa con l espressione anglofona mobbing ci si riferisce ad una condotta umana decifrata attraverso l analisi empirica del comportamento animale, in particolare l osservazione del modo di agire di alcune specie, che assalgono rumorosamente in gruppo un proprio simile al fine di causarne l allontanamento dal branco. Infatti, il termine è stato utilizzato inizialmente in etologia, dallo studioso Konrad Lorenz, negli anni settanta, ma è oggi ormai comunemente diffuso per descrivere, con potenza evocativa, situazioni patologiche che si verificano in ambito lavorativo e che portano all attacco persistente e mirato di uno o più individui da parte dei colleghi di ufficio. La definizione elaborata in ambito giurisprudenziale a seguito delle pronunce intervenute in materia, individua il mobbing come la «condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità». A tale fattispecie generica, più comunemente riscontrabile, ove il mobber, ossia l autore degli atti vessatori, è identificato con il datore di lavoro o con il superiore gerarchico (mobbing c.d. verticale) se ne affiancano altre più specifiche e particolari in cui la condotta è posta in essere dai sottoposti ( m. ascendente), ovvero dai colleghi di lavoro (m. orizzontale); un ulteriore interessante ipotesi è quella del c.d. Mobbing strategico, inserito in una intenzionale strategia aziendale diretta ad estromettere dal contesto produttivo dipendenti divenuti scomodi per i motivi più disparati (ad esempio poiché l azienda intende ringiovanire il personale, escludere i soggetti sindacalizzati, o gli individui che fruiscano di lunghi periodi di assenza). Le condotte mobbizzanti possono essere poste in essere da uno o più individui coalizzati e facenti parte del contesto lavorativo, ai danni del singolo lavoratore (m. individuale) o di una collettività (m. collettivo, per esempio a danno di una ristretta minoranza femminile in un contesto lavorativo prevalentemente di genere maschile, o di tutti i lavoratori in cassa integrazione rispetto agli altri non cassintegrati). Al di là del soggetto che riveste il ruolo di mobber, anche il ruolo degli altri colleghi non è mai del tutto neutro ed anzi, solitamente, lo schema del mobbing si presenta tripartito: «la vittima cioè il soggetto sottoposto a mobbing; il mobber, colui che svolge un ruolo attivo nel processo persecutorio» ed infine «gli spettatori, side mobber, che, pur non svolgendo un azione diretta, spalleggiano indirettamente il mobber esercitando un ruolo rilevante». In riferimento alle modalità di realizzazione, pur trattandosi ovviamente di fasi-tipo che nella concreta fenomenologia degli eventi possono accavallarsi tra loro ovvero essere in parte assenti, va rilevato che spesso gli studiosi del fenomeno hanno osservato il suo ripetersi secondo degli schemi fissi. Quindi, conoscerne le modalità di esplicazione e le condotte in cui tipicamente può concretizzarsi diventa fondamentale per acquisire coscienza della fenomenologia, di quanto sta avvenendo intorno alla vittima e, soprattutto per cogliere immediatamente i campanelli di allarme al fine di predisporre un idonea profilassi difensiva, sia da parte degli stessi soggetti mobbizzati che, doverosamente, da parte del datore di lavoro. Lo psicologo del lavoro Heinz Leymann, tra i cui meriti vi è quello di avere scoperto questo nuovo disturbo avendolo osservato in alcuni operai e impiegati svedesi e che è stato il primo a mutuare dall etologia, per descriverlo, il termine mobbing, lo ha definito come «una comunicazione ostile e non etica diretta in maniera sistematica - e non occasionale o episodica - da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che, a causa di tale pratica viene a trovarsi in una condizione indifesa e fatto oggetto di una serie di iniziative vessatorie e persecutorie», le quali finiscono per determinare «considerevoli sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali», e ne ha ipotizzato una costruzione quadripartita così suddivisa: I fase: conflitto quotidiano; II fase: inizio del mobbing e del terrore psicologico; III fase: errori e abusi; IV fase: esclusione dal mondo del lavoro. Tale modello, elaborato sulla base delle osservazioni condotte dallo studioso sugli ambienti di lavoro scandinavi, profondamente diversi dai nostri dal punto di vista culturale, è stato successivamente rielaborato da colui che lo ha ripreso per ricondurlo alla realtà sociale italiana, Harald Ege. Questi ha aggiunto al modello base una fase zero, una sorta di pre-fase, considerando il contesto lavorativo italiano come fisiologicamente conflittuale, se pure non per questo assumendolo aprioristicamente come mobbizzante in quanto manca nelle parti l intento distruttivo, poiché gli individui tendono per propria natura ad emergere e primeggiare sui colleghi. Inoltre, Ege ha individuato in maniera più specifica le due fasi incidenti sull area della salute della vittima, in cui compaiono i primi sintomi psico-somatici e successivamente vi è una seria alterazione del quadro clinico complessivo. Come può intuirsi da questi brevi ma necessari cenni alla sua definizione (dalla quale, per esigenze di sintesi, si sono estromesse altre sotto-definizioni come bullying, più specifico, che indica l abuso compiuto dal superiore gerarchico ai danni del sottoposto, l analogo bossing, l harassment, che indica le molestie a sfondo sessuale), il mobbing è un fenomeno
2 estremamente complesso che meriterebbe di essere approfondito sotto molteplici punti di vista sostanzialmente riconducibili a due macro- aree, quella clinica legata ai danni psico-fisici che la vittima può subire e quella giuridica, che mira ad analizzarne gli effetti dannosi e le azioni esperibili, allo stato attuale, per difendersene e ottenere tutela risarcitoria. E sotto quest ultimo profilo che ne verrà di seguito brevemente esaminato il rilievo dal punto di vista civile, penale e, per certi aspetti, amministrativo attraverso le possibili casistiche. Mobbing e danni correlati La casistica delle condotte che possono essere definite mobbizzanti in senso lato è varia e multiforme. Prima di entrare nel merito, tuttavia, deve esserne chiarito un aspetto fondamentale. Sostanzialmente, se molte possono essere le azioni vessatorie o potenzialmente tali, come ad esempio quelle poste in essere, anche scientemente, al fine di emarginare o di danneggiare un individuo, non tutte legittimerebbero una eventuale azione che ne rivendichi una qualificazione in dovuto conto che, come poc anzi accennato, una latente conflittualità vi è in ogni aggregazione umana, per cui diventa necessario collocare nella giusta prospettiva ogni evento che possa essere anche fastidioso, denigratorio, aggressivo o persino più direttamente dannoso, senza però potere essere qualificato come mobbing in senso stretto, ovvero potere, da solo, acquistare un rilievo tale da legittimare una richiesta risarcitoria ulteriore rispetto a quella avanzata a fronte di un fatto dannoso dotato di disvalore giuridico autonomo. Il mobbing non è infatti un singolo e isolato evento, ma un vero e proprio percorso, un procedimento caratterizzato da confini che, pur facendo ancora difetto una tipizzazione normativa generale della fattispecie, hanno ormai raggiunto nel corso degli anni una certa stabilità anche grazie ad una elaborazione giurisprudenziale pressoché costante che li ha così individuati: lo svolgimento dei fatti in ambiente lavorativo; la reiterazione o ripetitività dei comportamenti; l intento persecutorio. tale ultimo elemento soggettivo può essere considerato il filo conduttore che lega condotte di per sé suscettibili di una lettura a sé stante, isolata e rappresenta la chiave di volta che permette di tenere in piedi una costruzione altrimenti costituita solo da una pluralità di episodi sconnessi, alcuni rilevanti per il diritto e autonomamente censurabili davanti al giudice di merito, altri invece giuridicamente neutri, che diversamente rimarrebbero del tutto privi di tutela. In sede giudiziale, l accertamento delle condotte poste in essere dagli autori del mobbing è competenza del giudice di merito, al quale spetta il compito di appurare l esistenza, o l inesistenza, dei fatti materiali commessi, la cui sussunzione nel modulo normativo attiene poi ad una valutazione di legittimità che dovrà tenere conto non già dei singoli elementi atomisticamente considerati, ma del fatto «nella sua articolata complessità e nella sua strutturale unitarietà». Le condotte mobbizzanti, essendo estremamente diversificate e graduate, possono provocare effetti e tipologie di danni differenti. Dal mobbing non origina infatti un autonoma voce di danno, ma profili risarcitori diversificati a seconda dei fatti da cui siano scaturite le lesioni, secondo le ordinarie categorie di danno: patrimoniale, non patrimoniale, biologico, morale ed esistenziale. Gli scenari ipotizzabili a carico della vittima sono in sintesi i seguenti: Danno patrimoniale Vi e` una diretta lesione della sfera economica in senso stretto, dovuta a una perdita effettivamente subita (danno emergente: si pensi per esempio alle spese mediche che il lavoratore deve sostenere per curare le lesioni psicofisiche riportate, o a quelle affrontate per spostarsi da una località all altra in caso di trasferimento da un unità produttiva ad un altra) ovvero al mancato guadagno derivante, in ipotesi, dalla perdita della capacità professionale, dall impoverimento del know-how (lucro cessante, cagionato dalle cattive condizioni di salute in cui versa nella fase patologica, o, ad esempio, dalla sistematica esclusione dalla partecipazione alle iniziative formative previste in azienda), dall impossibilità di sfruttare delle opportunità di carriera a causa di una cattiva gestione del personale in azienda (si pensi al caso del lavoratore che venga, sempre nell ambito di un percorso mobbizzante, intenzionalmente tagliato fuori da una procedura selettiva per partecipare alla quale avesse i titoli, o al quale non venga riconosciuta una promozione dovuta ); Danno non patrimoniale In base al combinato disposto dell art c.c. (7) e 185 c.p. (8) in via di principio nel caso in cui venga rivendicata una responsabilità di matrice contrattuale ex art c.c. (9), originata dall inadempimento di obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, trovano applicazione ai fini della determinazione del danno risarcibile, gli artt (Responsabilità del debitore) e 1223 c.c. (Risarcimento del danno) che limitano il risarcimento al solo danno patrimoniale nei limiti e con gli elementi sopra descritti e con onere probatorio a carico del lavoratore per quanto riguarda i fatti che si qualificano come mobbing, il nesso causale tra le condotte vessatorie e i danni subiti, mentre grava sul datore di lavoro-debitore inadempiente dimostrare l impossibilità di adempiere all obbligo di tutela, ovvero l insussistenza dell obbligo, dell inadempimento o del nesso eziologico. Tuttavia, nel tempo la giurisprudenza sembra avere mutato orientamento, aprendo la strada ad una risarcibilità, anche a fronte di inadempimento contrattuale, di fattispecie di danni qualificabili non propriamente come morali (cioè quei danni che si identificano con gli stati di ansia, lo stress emotivo, il malessere psichico diffuso e in
3 generale con il turbamento transeunte causato nell immediato dal comportamento tenuto dal mobber e che derivano dall accertamento giudiziale di una fattispecie criminosa) ma come esistenziali (rispetto ai lavoratori le Sezioni Unite, con sentenza n. 6572/2006 hanno precisato che «il danno esistenziale consiste nel pregiudizio all identità professionale sul luogo di lavoro, all immagine, alla vita di relazione o comunque ogni lesione al fare a reddituale degli stessi»; in sintesi tale concetto di danno può essere richiamato ogni qualvolta in conseguenza di un evento dannoso un individuo subisca una lesione di quella sfera di attività che gli consentono di realizzarsi come persona). Tale mutamento si è raggiunto attraverso l ampliamento della portata dell art c.c. e del concetto di «violazione di legge» che legittima la risarcibilità del danno non patrimoniale, in quanto «il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito alle previsioni della Costituzione, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale». Dal danno esistenziale va poi tenuto distinto il danno biologico, il quale costituisce un autonoma voce di danno, anch esso risarcibile quando vi sia stata violazione del diritto costituzionalmente garantito alla salute (ex art. 32 Costituzione). Sulla distinzione tra le due voci di danno si richiama ancora una volta la Giurisprudenza di legittimità, la quale afferma: «Il danno biologico, conseguente alla lesione del diritto alla salute garantito dall art. 32 Cost., è ontologicamente diverso dal danno derivante dalla lesione di un diverso diritto costituzionalmente protetto, non potendo, quindi, essere risarcito come danno biologico il danno, cosiddetto esistenziale, che si affermi essere derivato da stress psicologico da timore, per la compromissione della serenità e sicurezza del soggetto interessato, giacché detto stress è soltanto una conseguenza della lesione di un possibile interesse protetto il quale necessita di una previa individuazione affinché possa venire poi in considerazione il pregiudizio che, in ipotesi, sia derivato dalla lesione dello stesso, con la precisazione, altresì, che la serenità e la sicurezza, di per sé considerate, non costituiscono diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona, la cui lesione consente il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale (...)». Mobbing e tutela civile Premessa la definizione dei danni risarcibili, si torna ora alla casistica e alle specifiche azioni di tutela, che si differenziano a seconda della condotta vessatoria subita: si va dal demansionamento o dequalificazione (già limitati dall art c.c.), all impoverimento del bagaglio professionale legato alla mancata partecipazione ad eventi formativi previsti per la generalità dei lavoratori (per il quale si può pensare anche ad una tutela attivabile per vie sindacali, essendo spesso l attività formativa oggetto di contrattazione, ovvero ad una sanzionabilità diretta quando si configuri un omissione degli obblighi di formazione, informazione e addestramento previsti dal d.lgs. 81/2008 a carico del datore di lavoro in materia di sicurezza), alla comminazione reiterata di sanzioni disciplinari talvolta, ma non necessariamente, ingiustificate (autonomamente impugnabili tramite un ordinaria azione giudiziaria ovvero tramite le procedure previste dall articolo 7 della legge 300/70), al trasferimento da un unità produttiva ad un altra, all impedimento dell accesso a percorsi di riqualificazione professionale, al licenziamento ingiustificato (contro il quale, a seconda del limite dimensionale dell azienda, potrebbero attivarsi le ordinarie azioni per ottenere tutela reale o obbligatoria, salvo che il licenziamento non debba essere ritenuto radicalmente nullo, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, qualora ne ricorrano i presupposti, per esempio in quanto discriminatorio, alle dimissioni per giusta causa, rassegnate dal lavoratore al culmine di un processo vessatorio che abbia reso emotivamente impossibile o eccessivamente onerosa la prosecuzione del rapporto (nel quale caso, salva l azione di risarcimento per il maggiore danno subito, il lavoratore recedente avrà diritto all indennità prevista dall art c.c., comma 2). Al di là delle singole e specifiche azioni che possono essere istruite caso per caso, in generale, in considerazione della mancanza di una disciplina specifica applicabile al mobbing, la responsabilità del datore di lavoro per i danni cagionati al lavoratore viene solitamente ricondotta alla violazione dell art c.c., già considerata norma di chiusura ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro. Esso viene utilizzato per invocare la responsabilità del datore per tutti i danni alla salute e all integrità fisica del lavoratore; il riferimento normativo anche alla personalità morale consente i estendere ulteriormente i margini di tutela e si presta particolarmente a soccorrere nel caso de quo, in quanto addossa all imprenditore l onere di adottare ogni misura necessaria per la salvaguardia della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore sul luogo di lavoro. Il fatto che tali misure necessarie non siano tipizzate responsabilizza ulteriormente il datore di lavoro, il quale è tenuto a conoscere minuziosamente le modalità organizzative e le dinamiche operative della propria azienda e in ragione delle sue specificità deve essere in grado di apprestare i meccanismi di reazione ad hoc atti a scongiurare ogni fenomeno, ivi compreso il mobbing, che sia suscettibile di ledere l integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Tale tipo di tutela risulta peraltro più agevole per il lavoratore, in quanto ne viene alleggerito l onere probatorio circa l elemento psicologico della condotta datoriale, la cui sussistenza è sempre necessaria (nella forma del dolo o della colpa) ma rispetto alla
4 quale l onus probandi si atteggia in maniera differente a seconda che si voglia fare valere la responsabilità contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro. Su quest ultimo, infatti, come chiarito da autorevole giurisprudenza, gravano sia il generale obbligo del neminem laedere espresso dall art cod. civ. (la cui violazione e` fonte di responsabilità extracontrattuale), sia il più specifico obbligo di protezione dell integrità psico-fisica del lavoratore, nei termini sopra descritti. Qualora, in ipotesi, il lavoratore intenda chiedere il risarcimento del danno biologico cagionato da mobbing potrebbe in astratto ricorrere invocando sia l una che l altra fonte di responsabilità. «Qualora la responsabilità fatta valere sia quella contrattuale, dalla natura dell illecito (consistente nel lamentato inadempimento dell obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l integrità psico-fisica del lavoratore) non deriva affatto che si versi in fattispecie di responsabilità oggettiva (fondata sul mero riscontro del danno biologico quale evento legato con nesso di causalità all espletamento della prestazione lavorativa), ma occorre pur sempre l elemento della colpa ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una regola di esperienza. La necessità della colpa - che accomuna la responsabilità contrattuale a quella aquiliana va poi coordinata con il particolare regime probatorio della responsabilità contrattuale che è quello previsto dall art cod. civ. (diverso da quello di cui all art cod. civ.), cosicché grava sul datore di lavoro l onere di provare di aver ottemperato all obbligo di protezione, mentre il lavoratore deve provare sia la lesione all integrità psico-fisica, sia il nesso di causalità tra tale evento dannoso e l espletamento della prestazione lavorativa.» Ciò significa in sintesi, come giustamente rilevato in dottrina, che la prova dell elemento psicologico acquista rilevanza per il lavoratore nel caso in cui questi decida di agire in sede civile invocando l art c.c. (ossia la responsabilità aquiliana basata sul principio del neminem laedere ), ma non sarà necessaria nel caso in cui il lavoratore opti per la tutela risarcitoria ex art c.c., in quanto l onere viene in questo caso sostanzialmente invertito, nei termini sopra precisati. Tutela penale Preliminarmente occorre rammentare che, nonostante una delibera del Consiglio d Europa del 2000 abbia vincolato tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente in materia di mobbing, essa in Italia è rimasta inattuata per cui il mobbing non acquista rilievo come figura incriminatrice a sé, come anche è stato ribadito a chiare lettere dalla Corte di Cassazione con una recente sentenza del Quanto alla sua censurabilità in sede penale, la fattispecie di reato che meglio è sembrata adattarsi al mobbing è quella prevista dall art. 572 cod. pen. qualora il fatto sia commesso da persona dotata di autorità per l esercizio di una professione. L estensione di questo delitto contro l assistenza familiare ad ambito diverso da quello che gli è tipicamente proprio è dovuta alla considerazione che rientrano nell ambito di tali delitti anche fattispecie la cui portata superi i confini della famiglia per tutelare, in qualità di soggetto passivo, ogni persona sottoposta all autorità dell agente o a lui affidata per l esercizio di una professione o di un arte. Da questo punto di vista, rispetto ai limiti che tale fattispecie comporta, appare interessante anche una più recente pronuncia ove la Corte, pur confermando che rientra in tale rapporto d autorità anche quello «intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato in quanto caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al primo nei confronti del secondo», ha escluso la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia qualora le relazioni esistenti tra il datore di lavoro e il dipendente, per le modalità organizzative dell azienda- nel caso specifico complessa e con organizzazione articolata - siano tali da escludere la sussistenza di «relazioni intense ed abituali, (derivate) da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia», inoltre perché la condotta sia rilevante, in forza di un acquisito principio di diritto essa «suppone non tanto un singolo atto lesivo, ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell esprimere l ostilità del soggetto attivo verso la vittima sia nell efficace capacità di mortificare ed isolare il dipendente nell ambiente di lavoro». Al di là del reato di maltrattamenti, diverse possono essere le fattispecie criminose invocate, a seconda delle singole condotte poste in essere dall agente e sempre tenendo a mente che l ascrivibilità di una data fattispecie a un reato comporta anche, a norma del combinato disposto degli artt. 185 e 187 c.p. l obbligo al risarcimento da parte del colpevole ed, eventualmente, delle persone che, a norma delle leggi civili, debbano per essi risponderne. Tra le casistiche che possono assumere rilievo si citano, tra le più frequenti: il reato di estorsione di cui all art. 629 c.p. quando il datore di lavoro si avvantaggi dei peggiori trattamenti retributivi che i lavoratori siano costretti ad accettare, sopportando la lesione dei propri diritti patrimoniali a causa della mancanza di alternative di possibilità occupazionali e sotto la minaccia o il timore del licenziamento; il reato di abuso di ufficio di cui all art. 323 c.p., riconosciuto a carico di un sindaco e di un segretario comunale per avere illegittimamente rimosso una dipendente comunale dal servizio di addetta al protocollo ed archivio per assegnarla ad altro incarico meno qualificato; il reato di violenza privata di cui all art. 610 c.p., commesso da un datore di lavoro per avere indotto alcuni lavoratori ad accettare un demansionamento sotto la minaccia di estrometterli gradatamente dal contesto produttivo aziendale per poi licenziarli.
5 Tutela amministrativa Ipotizzare una tutela amministrativa può apparire per certi aspetti azzardato, in quanto le sanzioni amministrative, la cui irrogazione ad opera dei funzionari ispettivi delle Direzioni regionali e provinciali del lavoro è regolamentata dalla legge n. 689/1981, presuppongono, come anche quelle penali, una tipizzazione delle condotte punibili che, come anticipato, non è dato riscontrare in materia di mobbing. Ciononostante alcune delle azioni compiute dal datore di lavoro nell ambito del contesto complessivo delle vessazioni inflitte al lavoratore potrebbero essere dotate di un disvalore giuridico proprio ed acquistare rilevanza anche sul piano amministrativo. Una loro sanzionabilità diretta inoltre consentirebbe al lavoratore di avvantaggiarsi di un ulteriore strumento di tutela. Al riguardo in ragione dei possibili scenari prospettabili si può ritenere che il campo maggiormente a rischio di abusi possa essere quello della gestione del personale, in quanto i lavoratori mobbizzati potrebbero essere costretti, in ipotesi, a turni di lavoro particolarmente onerosi, con superamento dell orario normale di lavoro, ovvero potrebbero essere loro negate le ferie, o eventualmente i congedi parentali dovuti. Tutta la materia relativa all orario di lavoro è disciplinata in linea generale, salva la regolamentazione di settori particolari, dal D.Lgs. n. 66/ 2003, il cui articolo 18 bis prevede una serie di sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro che ometta di fare osservare i limiti massimi di durata dell orario di lavoro ovvero di fare fruire ai lavoratori le ferie e i riposi, giornalieri e settimanali, dovuti, o ancora che abbia fatto eseguire ai dipendenti lavoro straordinario oltre il limite annuale delle duecentocinquanta ore fissato dalla legge. Un ulteriore caso rilevante potrebbe essere quello delle lavoratrici madri, le quali a partire dall accertamento dello stato di gravidanza vengono a trovarsi in una posizione particolarmente esposta, in quanto potenzialmente meno produttive per l azienda, al punto da essere spesso vittime, al di là della sussistenza o meno di fattispecie di mobbing, di abusi che nei casi più gravi possono spingersi incautamente fino all intimazione del licenziamento. Analoga del resto è la posizione del padre il quale può essere in vario modo, direttamente o indirettamente, ostacolato nella fruizione dei congedi parentali. Tali lavoratori si trovano tuttavia in una posizione, rispetto alla normativa generale, di particolare tutela, al punto che l eventuale licenziamento intimato a carico della lavoratrice madre dall accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino sarebbe da considerarsi nullo, con conseguente obbligo al ripristino del rapporto di lavoro per violazione dell art. 54 comma 1 del D.Lgs. n. 151/2000. In questo caso il datore di lavoro andrebbe incontro inoltre a una sanzione amministrativa piuttosto onerosa e non ammessa al beneficio del pagamento in misura ridotta di cui all art. 16 bis della legge n. 689/1981 (31). La stessa lavoratrice inoltre non potrà essere adibita al lavoro notturno, né a lavori pregiudizievoli per il suo stato, ossia i lavori pericolosi, faticosi e insalubri indicati dalla legge e, nel caso vi sia normalmente addetta, dovranno esserle assegnate altre mansioni compatibili con la sua condizione. Analogamente, andrà incontro a sanzione amministrativa il datore di lavoro il quale rifiuti di concedere ovvero ostacoli la fruizione dei congedi parentali ai genitori che ne abbiano diritto sempre che ciò sia ascrivibile a una sua condotta dolosa o colposa, il cui accertamento graverà sul funzionario ispettivo. Da ultimo, trattando di normativa lavoristica, non può omettersi di menzionare il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, D.Lgs. n. 81/ 2008, il quale ha dato un particolare risalto allo stress lavoro correlato, affidando in primo luogo (art. 6) alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, istituita presso il Ministero del lavoro, il compito di elaborare le indicazioni necessarie per la valutazione di tale tipo di rischio, sul quale i responsabili del servizio di prevenzione e protezione dovranno ricevere specifica formazione (art. 32). Inoltre a carico del datore di lavoro è posto l obbligo (art.28) di comprendere nella valutazione dei rischi, da formalizzare con la redazione di uno specifico documento di valutazione (Dvr), anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato. Tale valutazione, a far data dal 1º agosto 2010, sarà obbligatoria anche in caso di mancata elaborazione dei sopra indicati criteri da parte della Commissione. Conclusioni Allo stato attuale la tutela praticabile a fronte di episodi di mobbing non appare tanto carente, in ragione delle diverse strade giuridicamente percorribili, quanto piuttosto frammentaria e complessa. Le prime difficoltà si ritrovano sicuramente sul piano sociale, in quanto ancora poco diffusa, rispetto alla portata e alla potenzialità distruttiva del fenomeno, ne è la conoscenza, sia da parte datoriale - essendo le imprese in generale poco sensibili ai benefici derivanti dalla creazione di un clima aziendale sereno e temendo piuttosto i costi che eventuali
6 interventi di miglioramento delle condizioni di lavoro potrebbero comportare - che dalla parte dei lavoratori. Sebbene infatti siano facilmente reperibili diverse fonti di conoscenza della materia e siano spesso presenti sul territorio anche servizi di supporto per le vittime, si ritiene ancora carente il trasferimento delle informazioni di base alla generalità dei lavoratori. L individuo che si rivolge a degli operatori esperti, a un sindacato, ovvero richiede assistenza legale, è infatti di norma un soggetto che ha già alle spalle un percorso di sofferenza e una condizione di vita già in parte compromessa, mentre sarebbe opportuna una maggiore veicolazione delle informazioni a monte, al fine di consentire una corretta e tempestiva profilassi. Per fare chiarezza e facilitare l accesso alla tutela sul piano penalistico appare inoltre senz altro auspicabile l introduzione di una fattispecie criminosa ad hoc, alla quale, ci si augura, potrebbe accompagnarsi un quanto mai opportuno effetto deterrente. D altra parte i tempi appaiono maturi in quanto si ritiene che sul piano clinico, sociale e giurisprudenziale una tipizzazione della fattispecie sia oramai compiuta, difettando dunque soltanto l ultimo indispensabile tassello della sua tipizzazione normativa.
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