MODERAZIONE SALARIALE E COSTO DEL LAVORO IN ITALIA ED IN EUROPA

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1 MODERAZIONE SALARIALE E COSTO DEL LAVORO IN ITALIA ED IN EUROPA di Gabriele OLINI Studi e Ricerche CISL Secondo le fonti statistiche e le analisi disponibili a livello comunitario, l'italia presenta uno dei livelli più bassi del costo del lavoro espresso in moneta comune ed ha avuto, negli ultimi cinque anni, la dinamica minore sulla stessa variabile. In tutta Europa si mantiene un'accentuata tendenza alla moderazione salariale, tanto più importante se si considera che le condizioni prevalenti nel 2000 in termini di crescita della produttività, dell'occupazione e dell'inflazione determinata da fattori esogeni (petrolio, cambio Euro / Dollaro) avrebbero giustificato spinte retributive. Gli accordi di regolazione salariale in molti paesi hanno invece efficacemente scambiato un sostegno allo sviluppo ed alla competitività con più bassi incrementi retributivi. In questo quadro virtuoso sia nel '99 che nel 2000 l'italia si è trovata tra i paesi dell'unione con la più bassa dinamica retributiva in termini nominali ed una certa riduzione in termini reali. Tale tendenza non va rovesciata, ma nemmeno ignorata. Occorre innanzitutto che la politica economica a livello europeo riconosca lo sforzo che nei diversi paesi si continua a fare con la politica dei redditi per controllare l'aumento dell'inflazione. La Banca Centrale Europea non sembra tener conto, nelle proprie decisioni del contesto salariale che giustificherebbe scelte più coraggiose nella politica monetaria e dei tassi di interesse. Si mantiene alta la guardia per paura di un nemico che, almeno in questa fase, non c'è, mentre le spinte dei mercati internazionali agiscono tutte in direzione del rallentamento dell'economia europea (con la crisi del Giappone e l'interruzione della fase positiva dell'economia americana). Ma anche nelle scelte interne, la particolare situazione dell'italia negli anni Novanta andrebbe riconosciuta e valorizzata, proprio perché possa durare e dare il massimo dei risultati. Occorre che gli investitori internazionali abbiano una piena consapevolezza che assieme ad alcuni problemi strutturali, il sistema delle relazioni industriali funziona con una virtuosità che rischia di sconfinare nell'autoflagellazione. Bisogna adoperarsi al massimo per far transitare il paese da una produzione molto legata alla competitività di prezzo ad una in cui hanno maggior rilievo l'innovazione, la ricerca e la qualità. E, infine, è necessario lavorare perché un sistema virtuoso non diventi troppo compresso e, quindi, non rischi di traguardare verso una fase opposta in cui cambia bruscamente il segno della distribuzione del reddito.

2 Benchmark e costo del lavoro in Italia Nell'assise di Parma la Confindustria ha proposto, come metodo di governo, la definizione di un benchmarking competitivo; l'associazione degli imprenditori chiede, cioè, di stabilire chi è il più bravo della classe per poterlo imitare e raggiungere. L'operazione di fissare un benchmark non è, ovviamente un'operazione neutra, perché non è neutra la scelta delle variabili, della base temporale di riferimento, della funzione di sintesi. I parametri di Maastricht hanno costituito un esempio concreto di come si fa politica, non solo nel senso di politica economica, utilizzando un insieme di variabili di riferimento piuttosto che un altro. In una società pluralista non è concepibile la fissazione di un benchmark unico o anche il riferimento ad un sistema di indicatori che esprimono il punto di vista di un solo soggetto. Si tratterebbe comunque di una rivisitazione in chiave aggiornata, e apparentemente obiettiva, di una tendenza egemonica. Se la costruzione di un benchmark ha un senso, e certamente ha un senso, essa deve essere vista come costruzione comune, che fa sintesi di prospettive diverse e ricerca un risultato migliore per tutti. E' per questo che un approccio come quello proposto dalla Confindustria è accettabile, anzi da raccomandare, se e solo se è pienamente dentro una logica di concertazione, in cui i diversi attori coinvolti sono portatori di esigenze distinte, anche se componibili, essenziali al raggiungimento degli obiettivi. Un approccio di questo tipo è anche quello che garantisce un risultato più coerente, perché pone in luce e governa contraddizioni palesi, di cui un solo soggetto potrebbe non farsi carico. Si tratta ad esempio della contraddizione tra flessibilità non regolata e investimento in capitale umano. Se è vero che la formazione è essenziale per dominare l'innovazione tecnologica, è chiaro che vi è una contraddizione tra una flessibilità che diventa incertezza assoluta dei destini per i singoli, e per il sistema, e l'interesse dei lavoratori e delle aziende a fare formazione. Per il dipendente non vi è convenienza in senso economico ad investire in una conoscenza, che potrebbe risultare in un altro contesto lavorativo fuori posto. Ma in una situazione di accentuato turn over è la stessa azienda che non ha alcuna convenienza ad investire in formazione per i propri addetti, che esauriscono il loro rapporto in pochi mesi, al massimo per qualche anno. I livelli del costo orario del lavoro in Europa La costruzione di un benchmark, come una qualsiasi buona strategia, dovrebbe inoltre guardare ai punti deboli, ma anche non ignorare i punti forti di un sistema paese. Nelle proposte della Confindustria per la competitività non vi è adeguata consapevolezza di quanto sia stato importante nel riequilibrio dell'economia italiana l'andamento del costo del lavoro e quali risultati siano stati raggiunti. Dal 1992 la moderazione salariale ha caratterizzato i comportamenti sindacali ed ha 2

3 permesso di governare fasi congiunturalmente molto complicate, quali due ondate di svalutazioni e un terzo choc petrolifero. Eppure il livello e la dinamica del costo del lavoro in Italia appaiono complessivamente oggi non un elemento di debolezza, ma un punto di forza per il nostro paese. Lo dimostrano recenti rilevazioni di Eurostat e di altri organismi dell'unione Europea, che, pur nella cautela necessaria nelle comparazioni internazionali, confermano pienamente tale dato. Secondo l'indagine dell'istituto di statistica europeo l'italia si poneva nel 1999 nel gruppo dei paesi con un minor livello del costo del lavoro. Considerando la media oraria nell'industria e dei servizi COSTO DEL LAVORO ORARIO Industria e Servizi 30,0 25,8 26,2 26,8 27,0 27,2 Euro 25,0 20,0 15,0 15,3 16,2 18,8 19,3 20,8 21,5 21,7 22,7 23,8 17,8 21,9 10,0 7,0 5,0 0,0 Portogallo Spagna Irlanda Italia Regno Unito Finlandia EU15 Paesi Bassi Lussemburgo Francia Svezia Belgio Germania Danimarca Austria Stati Uniti Giappone Fonte: EUROSTAT l'italia si collocava, con 18,8 Euro, al quint' ultimo posto tra l'irlanda (16,2 Euro) e la Gran Bretagna (19,3 Euro); si tratta di una compagnia di tutto rispetto considerata la capacità di questi paesi di creare occupazione. Il livello del costo orario del lavoro italiano è dunque inferiore di circa il 12 % al dato medio europeo, del 25 % più basso di quello francese, del 35 % minore rispetto all'analogo tedesco. Secondo l'eurostat negli Stati Uniti il livello medio raggiungeva, nel '99, 17,8 Euro ed in Giappone circa 22 Euro. 3

4 COSTO DEL LAVORO ORARIO Industria e Servizi - Euro Industria e Servizi Indu- stria manifatt. Costru zioni Servizi Commercio, pubblici esercizi, trasporti Intermed. finanz., servizi alle imprese Belgio 26,2 27,4 23,9 21,6 29,3 Danimarca 27,0 25,4 26,2 25,4 31,1 Germania 26,8 28,4 21,8 25,4 22,2 34,3 Grecia 9,9 8,9 15,3 Spagna 15,3 16,2 13,4 14,8 13,7 15,5 Francia 23,8 23,7 20,5 19,6 26,7 Irlanda 16,2 15,6 18,6 16,2 Italia 18,8 17,9 17,3 21,2 15,3 25,5 Lussemburgo 22,7 22,8 16,2 24,7 16,1 Paesi Bassi 21,7 24,4 21,4 20,1 17,9 22,1 Austria 27,2 25,1 Portogallo 7,0 6,2 5,8 8,3 6,5 13,5 Finlandia 20,8 20,9 19,8 20,6 18,6 23,4 Svezia 25,8 25,6 23,5 26,3 23,5 29,4 Regno Unito 19,3 19,2 19,7 15,0 24,1 Fonte:Eurostat I differenziali di costo dell'italia rispetto agli altri paesi appaiono più ampi nell'industria manifatturiera; qui il salario medio orario è in Italia più basso di oltre il 40 % rispetto all'area scandinava ( con un differenziale più contenuto con la Finlandia ); tra il 30 ed il 50 % in comparazione al Benelux; del 32 % con la Francia e del 60 % con la Germania. Costi orari più bassi rispetto ai nostri si trovano in Portogallo e Grecia e, con differenziali più ristretti, in Spagna ed in Irlanda. Una parte importante del vantaggio comparato dell'industria italiana è riconducibile alla dimensione d'impresa, con la larga prevalenza da noi delle unità di dimensione medio - piccola. Nei servizi, infatti, dove la piccola unità è comune anche negli altri paesi, le differenze di costo orario del lavoro, pure ancora importanti, non sono così marcate come nel settore industriale. Si rileva che il settore dei servizi presenta ovunque al suo interno situazioni molto differenziate con settori (come il commercio ed i pubblici esercizi) a basso costo e altri a salario medio alto ( come nel credito e nei servizi alle imprese). 4

5 COSTO DEL LAVORO ORARIO Industria e Servizi - ITALIA = 100 Industria e Servizi Industria manifatt. Costru zioni Servizi Commercio, pubblici esercizi, trasporti Intermed. finanz., servizi alle imprese Belgio 139,4 153,1 138,2 141,2 114,9 Danimarca 143,6 141,9 151,4 166,0 122,0 Germania 142,6 158,7 126,0 119,8 145,1 134,5 Grecia 55,3 58,2 60,0 Spagna 81,4 90,5 77,5 69,8 89,5 60,8 Francia 126,6 132,4 118,5 128,1 104,7 Irlanda 86,2 87,2 107,5 63,5 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Lussemburgo 120,7 127,4 93,6 116,5 105,2 Paesi Bassi 115,4 136,3 123,7 94,8 117,0 86,7 Austria 144,7 140,2 Portogallo 37,2 34,6 33,5 39,2 42,5 52,9 Finlandia 110,6 116,8 114,5 97,2 121,6 91,8 Svezia 137,2 143,0 135,8 124,1 153,6 115,3 Regno Unito 102,7 107,3 113,9 98,0 94,5 Fonte:Eurostat Le dinamiche del costo orario del lavoro in Europa Le analisi di Eurostat portano anche ad evidenziare che, in una situazione europea complessivamente impostata alla moderazione salariale, l'italia è il paese che ha conosciuto negli anni recenti la dinamica del costo del lavoro più bassa. Nel periodo '96/2000, infatti il costo orario del lavoro nell'insieme dell'economia, secondo l'istituto Statistico dell'unione Europea, è cresciuto del 5,2 % a fronte di un tasso doppio dei paesi dell'area Euro (+10,5%) e dell'insieme dell'unione (+12,1%). Il dato italiano risente della riduzione registrata nel 1998 per effetto dell'introduzione dell'irap e la cancellazione dei contributi sanitari; più che di un alleggerimento si è trattato, in questo caso, di uno spostamento di onere per le imprese, che prima aveva a riferimento il costo del lavoro e successivamente il valore aggiunto. Si può ipotizzare, molto prudentemente come fa la Banca d'italia, che vi sia stata una traslazione piena sulle imprese della parte del gettito IRAP riferibile al fattore lavoro; è, però, vero che molti osservatori ritengono che il trasferimento dei costi sia stato solo parziale e non generalizzato. Accettando, comunque, la prima ipotesi, la dinamica del costo del lavoro orario toccherebbe nell'ultimo quadriennio, probabilmente con una qualche sovrastima, il 9,6 %; l'italia resterebbe, in ogni modo, con l'austria ai livelli più bassi in Europa. 5

6 COSTO DEL LAVORO ORARIO - INTERA ECONOMIA Var. % rispetto all'anno precedente Gen. Set EUR 11 2,5 1,8 2,2 3,6 10,5 EUR 15 2,9 2,4 2,6 3,7 12,1 Belgio 2,5 2,1 2,9 Danimarca 3,9 4,5 4,3 3,6 17,2 Germania 2,2 1,8 2,0 3,4 9,8 Spagna 3,3 3,0 2,5 3,2 12,6 Francia 2,1 2,4 2,8 4,9 12,7 Irlanda 4,6 4,5 5,4 Italia 3,5-1,7 0,4 3,0 5,2 corretto IRAP 2,4 9,6 Lussemburgo 1,8 1,6 2,6 4,0 10,3 Paesi Bassi 2,1 3,9 3,3 2,5 12,3 Austria 1,9 2,2 3,3 1,8 9,5 Finlandia 2,2 4,1 3,1 4,5 14,5 Svezia 4,4 2,5 2,8 2,9 13,3 Regno Unito 4,5 5,4 4,1 4,1 19,5 (*) Francia e Lussemburgo = 2000 Primi due trimestri Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat La dinamica salariale in termini nominali più elevata si è avuta, invece, nelle isole britanniche con una crescita nel Regno Unito vicina al 20 % e tassi ancora maggiori in Irlanda. Molto al di sopra della media si è mossa nel periodo 1996 /2000 tutta l'area scandinava a partire dal 13 % della Svezia fino al 17 % della Danimarca. I paesi del Centro Europa hanno invece avuto dinamiche prossime a quella media nell'area dell'euro (+10,5 %); ci si colloca in un range che va dal 9,8 % per la Germania al 12,7 % per la Francia, evoluzione determinata però in questo caso in larga parte dalla riduzione dell'orario a 35 ore. Come era nelle attese della moneta unica, appare, quindi, un'ampia convergenza delle politiche salariali, salvo particolari situazioni (l'irlanda, la Finlandia). L'evoluzione del costo del lavoro nominale in Europa nel settore industriale non è particolarmente diversa da quella nell'intera economia; la graduatoria fra i diversi paesi non muta sostanzialmente. Solo in due casi, per la Spagna ed il Regno Unito, si osserva un andamento più compresso nel settore industriale per la maggiore apertura al commercio internazionale. L'Italia si trova anche qui ai livelli più bassi delle dinamica del costo del lavoro, sotto il livello medio dell'area Euro, che si consideri o meno la correzione per l'irap. 6

7 COSTO DEL LAVORO ORARIO - INDUSTRIA Var. % rispetto all'anno precedente Gen. Set (*) (*) EUR 11 2,4 1,9 2,3 3,7 10,7 EUR 15 2,7 2,3 2,5 3,8 11,9 Belgio 3,3 2,3 2,2 Danimarca 3,8 4,5 4,1 3,6 16,9 Germania 2,1 1,9 2,0 3,6 9,9 Grecia 10,0 6,9 Spagna 2,4 2,2 2,7 2,8 10,5 Francia 1,3 2,8 3,0 4,6 12,2 Irlanda 4,5 4,6 5,5 5,4 21,6 Italia 4,4-1,1 1,0 2,2 6,6 corretto IRAP 2,2 10,2 Lussemburgo 1,1-0,5-0,2 2,2 2,5 Paesi Bassi 2,4 3,5 3,3 2,7 12,4 Austria 1,8 2,4 3,5 1,8 9,8 Finlandia 1,4 4,1 3,4 4,7 14,3 Svezia 4,3 2,8 2,3 3,2 13,3 Regno Unito 3,9 4,4 3,5 4,3 17,1 (*) Francia e Lussemburgo = 2000 Primi due trimestri Irlanda = 2000 Primo trimestre Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat In definitiva, i dati di Eurostat confermano che nel periodo la dinamica del costo del lavoro, sia per effetto della moderazione retributiva, che per la contrazione degli oneri sociali ha avuto in Italia un andamento particolarmente virtuoso in Europa, tanto più da segnalare considerato il contesto di particolare prudenza salariale che ha caratterizzato quasi tutti i paesi. Tale andamento è stato consentito anche da livelli di inflazione moderati, ma, come è avvenuto nel 2000, ha resistito a tensioni inflazionistiche determinate in quest'anno soprattutto dalla ripresa dei prezzi del petrolio. L'andamento delle retribuzioni in Europa nel 2000 secondo l'osservatorio EIRO La Fondazione di Dublino attraverso il proprio osservatorio sulle relazioni industriali in Europa ci consente nel Rapporto sul 2000, appena uscito e disponibile su Internet, di avere un quadro più preciso delle dinamiche retributive nell'anno appena trascorso. Il 2000 è stato un anno caratterizzato in Europa da una buona ripresa produttiva, da un andamento positivo dell'occupazione (con una crescita dell'1,5 % nel terzo trimestre dell'anno rispetto ad un anno prima), da una parallela riduzione della disoccupazione, da tensioni sui prezzi generalmente determinate dall'inflazione importata, ma in alcuni casi con determinanti più interne e strutturali. Accordi di regolazione salariale a livello centralizzato con l'obiettivo di sostenere la crescita dell'occupazione sono stati siglati ed hanno avuto efficacia in vari paesi europei; ciò ha riguardato 7

8 sia i sistemi come quelli scandinavi, più usi a questi strumenti, sia paesi come la Germania con una minore tradizione a forme di regolazione salariale esplicita. La tendenza verso il decentramento negoziale è continuata, ma senza particolari strappi, con un ruolo che è rimasto importante per la contrattazione settoriale. La Fondazione di Dublino nel suo Rapporto dice di ritenere molto improbabili a livello europeo il ritorno a spinte inflazionistiche determinate dal lato dei costi salariali, ma semmai vi è il rischio di uno scenario opposto: la competizione dal lato retributivo con la caduta dei salari reali potrebbe accentuare la redistribuzione dal lavoro al capitale e la tendenza verso la deflazione. Francia Italia Danimarca Germania Austria Belgio Finlandia RETRIBUZIONI CONTRATTUALI IN TERMINI NOMINALI Var. % Svezia Media Spagna Regno Unito Paesi Bassi Grecia Portogallo Lussemburgo Norvegia Irlanda Fonte : Osservatorio EIRO Fondazione di Dublino Secondo l'osservatorio EIRO, l'incremento medio delle retribuzioni contrattuali pro capite nell'insieme dell'unione e in Norvegia è stato, nel corso del 2000, del 3% rispetto al 2,9 % dell'anno precedente. Nonostante gli incrementi di produttività, di occupazione e di inflazione, gli accordi di regolazione sono riusciti a dare continuità alla moderazione salariale, anzi l'hanno resa più evidente. Vi sono certamente differenze significative nei diversi paesi. La crescita della busta paga è stata particolarmente contenuta in Francia (+1,6%) per effetto degli accordi di riduzione dell'orario che hanno limitato fortemente gli incrementi retributivi. In Germania l'aumento della retribuzione contrattuale è stato tra il 2 ed il 3 % con un valore medio stimato del 2,4 %; per la prima volta dalla riunificazione l'aumento nella parte Ovest del paese è stato superiore a quello della parte Orientale. 8

9 In Spagna l'incremento in termini nominali piuttosto rilevante (3%) si è confrontato con un livello dei prezzi in decisa crescita per un tasso di inflazione effettiva doppio (4%) rispetto a quello programmato dal governo; ciò ha portato alla riduzione del salario reale, nonostante che la maggior parte dei contratti preveda clausole di salvaguardia nel caso di scostamento tra i valori di crescita dei prezzi previsti e quelli effettivi. In Gran Bretagna è stata stimata nel 2000 una crescita del 3,1 % della retribuzione contrattuale e del 4 % della retribuzione effettiva con un aumento in termini reali superiore al 2 %; gli incrementi del potere d'acquisto hanno riguardato soprattutto alcuni settori del pubblico impiego (insegnanti, personale infermieristico e di assistenza, medici) per i quali vi è una carenza di offerta sul mercato del lavoro. In Irlanda, infine, l'incremento delle retribuzioni nominali è stato il più elevato tra tutti i paesi europei (+5,5%), con un rilevante slittamento salariale a seguito delle pressioni che provengono dal mercato del lavoro, ma l'elevata inflazione ha azzerato il risultato in termini reali. RETRIBUZIONI CONTRATTUALI IN TERMINI REALI Var. % Italia Spagna Danimarca Francia Finlandia Belgio Irlanda Germania Media Austria Lussemburgo Portogallo Paesi Bassi Svezia Grecia Regno Unito Norvegia ,5 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 Fonte : Osservatorio EIRO Fondazione di Dublino Secondo l'osservatorio della Fondazione di Dublino l'italia è, con la Francia, il paese con il più basso incremento della retribuzioni contrattuali in termini nominali (+1,9%) e quello con la maggiore riduzione in termini reali (-0,7%). Le stime dell'istat sulla retribuzione lorda di fatto sono marginalmente più favorevoli con una crescita del 2,3 % in termini nominali ed una riduzione dello 0,3 % a prezzi costanti; è vero, anche, che le dinamiche sul potere d'acquisto hanno 9

10 beneficiato degli sgravi fiscali, che hanno inciso sulla retribuzione netta. Ma resta, comunque, il dato di una dinamica decisamente inferiore a quella europea, in termini sia nominali che reali. Conclusioni La moderazione salariale è uno strumento che deve servire per realizzare livelli di sviluppo più elevati, favorendo una dinamica maggiore degli investimenti, soprattutto di quelli che consentono, attraverso l' innovazione, la qualità, il contenuto di ricerca, di rafforzare la posizione del prodotto italiano nella competizione e,quindi, di creare più occupazione. Una moderazione salariale puramente mirata a mantenere bassi i costi di produzione risulta alla lunga inutile e non sostenibile. Come pure vi è da chiedersi se un forte controllo sui salari sia compatibile con un elevato grado di flessibilità del mercato del lavoro o se l'incertezza sulle condizioni di impiego a medio e a lungo termine non sostenga una forte crescita della domanda di salario in cicli rivendicativi più densi ed esasperati. Ce ne dovrebbe essere abbastanza per consigliare alle parti una ripresa della concertazione con il nuovo Governo ed il nuovo Parlamento, che recuperi tutto il meglio dell'esperienza degli anni Novanta e ne colmi le lacune ed i problemi irrisolti; a cominciare dalla ridefinizione dei livelli della contrattazione che dia forza e spessore alla negoziazione decentrata, superando un periodo nel quale la struttura di ieri non è più adeguata e quella di domani non c'è ancora. Roma, 4 aprile

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