IL VINO, L ETICHETTA E LA SUA TUTELA. Non c è dubbio che, negli ultimi tempi, il packaging (ovvero
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- Lia Mariotti
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1 IL VINO, L ETICHETTA E LA SUA TUTELA Non c è dubbio che, negli ultimi tempi, il packaging (ovvero etichette e contenitori) ha rivestito sempre più un ruolo fondamentale nel fenomeno vino. Come evidenziato anche all ultimo MIWINE (il salone biennale internazionale) o alla Manifestazione VinDesign 2006, tra gli strumenti di marketing disponibili, un particolare interesse è rivolto all etichetta la cui funzione è quella di fornire informazioni al cliente circa il prodotto ed, allo stesso tempo, comunicare un immagine del prodotto coerente con il posizionamento scelto e la clientela a cui si rivolge. Oggi, addirittura, i vini più importanti vengono commercializzati anche con 3 etichette! Il settore del vino, attraverso il marketing, vuole richiamare l attenzione del cliente su importanti fattori, ovvero 1- il marchio dell azienda (si richiama l attenzione del cliente ad un dato prodotto o azienda attraverso un segno distintivo / immagine visiva che si riporta ad un nome, un simbolo, un sistema di colori e un codice grafico), 2- le raccomandazioni ai consumatori (ad es. la storia del vino e possibili abbinamenti); 3- la forma, colori e qualità della carta. Anche nella strategia di vendita delle Aziende vitivinicole, l etichetta, proprio in conseguenza dell importante contributo allo sviluppo della notorietà e al rafforzamento dell immagine di marca, 1
2 è diventata un importante strumento della politica di comunicazione aziendale, unitamente a quella di prezzo e di distribuzione. Non v è dubbio, inoltre, che proprio le maggiori e più importanti aziende produttrici hanno investito molte risorse nella ricerca di una etichetta che possa determinare nel consumatore finale una certezza nell acquisto e nella qualità del prodotto stesso, prodotto-vino che per l importanza che riveste l Italia in questo settore è conosciuto ed esportato in tutto il mondo con quella etichetta. Ebbene, ad oggi, nonostante l importanza assunta dal fattoreetichetta, vi sono molti modi per cercare di sfruttare la notorietà e la qualità di quell etichetta senza dover subire attacchi in forza della tutela del marchio, del segno distintivo o comunque, in genere, di tutte quelle tutele approntate dal nuovo Codice della Proprietà Industriale. Parliamo, in particolare, dell ipotesi denominata look alike o me too. Nel caso che vogliamo prendere in esame, vengono riprese le caratteristiche complessivamente più individualizzanti dell etichetta nota e famosa (da un punto di vista cromatico, di forma, di contenuto...), facendo la massima attenzione a non riprendere anche il marchio o il modello protetto, ed anzi, cercando di innestare nella 2
3 confezione nel suo complesso un marchio completamente diverso, magari in posizione marginale. Lo scopo è, evidentemente, eludere le norme a tutela dei marchi e/o dei modelli registrati. Eppure, nel suo insieme, è evidente che la seconda etichetta evoca fortemente quella originale e ben nota. Tale fenomeno di origine americana, denominato - come detto - look alike, ha ricevuto una vera e propria tutela solo attraverso l evoluzione giurisprudenziale in quanto solo pochi casi concreti hanno mostrato l'applicabilità delle norme a tutela del marchio tridimensionale e/o del modello a fenomeni di look alike. Questo perché - in pratica la stragrande maggioranza delle confezioni di prodotti (come nel caso dei vini dove normalmente si registra solo il nome del produttore o del vino, ad es. Campo ai Sassi, Castello di AMA, etc.) non sono registrate affatto e altrettanto difficilmente possono essere assimilate a marchi di fatto (per la complessità di elementi individualizzanti compresenti e/o perché, singolarmente presi, non sarebbero di per sé tutelabili). In concreto, ciò che viene minato dall'illecito in questione (perché di illecito si tratta) è, non tanto e non solo, ciò che solitamente viene ricondotto al marchio d'impresa, quanto più correttamente il valore della marca stessa. 3
4 Le grandi aziende e i grandi marchi sono ovviamente sempre più soggette a tali forme di illecito, specialmente oggi in una società tutta improntata all immagine. Non v è dubbio, infatti, che l'esperienza, la differenziazione e l'innovazione rafforzino il rapporto con la clientela ed allo stesso tempo ne traggano benefici sia diretti, sia indiretti. Questo positivo flusso biunivoco viene interrotto ogni qual volta scatti l'effetto distorsivo del me too, in grado di rendere fumosa la comunicazione aziendale, di pregiudicare reputazione e fiducia, ostacolando stabilità e fedeltà della clientela e, oserei dire, l immagine stessa dell Azienda vitivinicola. Del resto la confezione del prodotto o, nel nostro caso, l etichetta apposta sulla bottiglia di vino, è l'elemento più immediato, capace di incidere con maggiore forza sulla scelta di acquisto del consumatore. Quale forma di tutela? Come anticipato, il fenomeno del look alike esclude, da una parte, la possibilità di invocare le norme a tutela dei marchi perché palesemente diversi e, dall altra, la possibilità di richiamare la fattispecie dell'imitazione pedissequa di prodotto altrui (quella usata anche ove un prodotto non abbia alcun marchio o modello registrato) in quanto la norma in questione, così come applicata dalla giurisprudenza, contempla casi in cui viene copiato un 4
5 prodotto pressoché integralmente ovvero un oggetto che possa essere involontariamente scambiato con l'originale. Nel look alike, in verità, il consumatore ha modo di rendersi pienamente conto che si tratta di un prodotto diverso, non foss'altro, per il diverso prezzo di mercato. Ma ciò che si vuole evitare, con la tutela approntata per tale fattispecie, è quel meccanismo di curiosità che induce comunque il consumatore a provare. Il dettato delle nuove norme del Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) in punto di marchi, non prevede una norma espressamente prevista per il caso del look alike. Ed il problema, riscontrato da vari critici del nuovo Codice, è proprio questo perché, d'altro canto, è apparsa innegabile l'esigenza di dare tutela al packaging, complessivamente considerato (linee, forme, colori, figure, slogan...), quando presenti un quid distintivo sufficiente, oltre che suggestivamente richiamato dal prodotto del concorrente (a riprova di un atteggiamento palesemente approfittatorio). Per quanto riguarda la fattispecie del look alike, questa può trovare e trova tutela sotto la disciplina approntata dal codice per le ipotesi previste dall art.2598 c.c., al secondo punto di questo e più precisamente alla seconda parte di detto punto ( [...] compie atti di concorrenza sleale chiunque: [...] 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il 5
6 discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente») ovvero al terzo comma ( compie atti di concorrenza sleale chiunque: [ ] 3) [...] si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda ) Ed è proprio questo il punto. Senza travisare il concetto di confusorietà, che in effetti concerne il look alike solo marginalmente (ove vi fosse in pieno si tratterebbe di imitazione servile), occorre riconoscere che la potenzialità dannosa della fattispecie è in effetti molto forte, perché erosiva del valore di avviamento. Sul punto vi sono sentenze, in ambito italiano ed internazionale, che riconducono una tale pericolosa forma di illecito sotto le ipotesi disciplinate in Italia dall art.2598 c.c. Non v è dubbio, pertanto, che tutte le Aziende che non vogliono, da una parte, vedere svilita la propria immagine e, dall altra, rendere, in gran parte se non del tutto, infruttuose le importanti risorse umane ed economiche investite nel marketing aziendale, dovranno fare molta attenzione alle ipotesi sopra prospettate. 6
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