INTRODUZIONE AL MODELLO DI MERTON/KMV PER LA STIMA DELLE PROBABILITA DI INSOLVENZA DI SOCIETA QUOTATE A CURA DI CRISTIAN EPIS

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1 INTRODUZIONE L MODELLO DI MERTON/KMV PER L STIM DELLE PROBBILIT DI INSOLVENZ DI SOCIET QUOTTE CUR DI CRISTIN EPIS

2 La piena comprensione del modello KMV per il calcolo del rischio di default richiede preliminarmente sia la definizione del concetto di insolvenza (cfr. 1.1), sia una rapida ma indispensabile analisi del contesto teorico in cui il modello stesso è stato sviluppato. Con riferimento a quest ultimo aspetto considereremo dapprima gli approcci che in generale stimano il tasso di insolvenza di una società a partire dai dati disponibili nel mercato dei capitali (cfr. 1.2) per poi passare, all interno di questi, ad esaminare quelli basati sulla teoria del valore delle opzioni (cfr. 1.3) soffermandoci in particolar modo sulla determinazione della default probability secondo i principi della contingent claim analysis (cfr. 1.4) da cui il modello della KMV prende spunto. 1.1: il concetto di insolvenza Il concetto di insolvenza implica valutazioni e rappresentazioni della realtà d impresa differenti in base al tipo di approccio adottato nell analisi 1. In un ottica economica, insolvente è l impresa incapace di generare un eccedenza monetaria tale da garantire in modo duraturo la copertura del ciclo degli investimenti. Insolvente secondo un approccio finanziario è, invece, l impresa nella quale vengono meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie ad adempiere regolarmente e con mezzi normali alle obbligazioni contratte nello svolgimento della propria attività. Infine si ha un insolvenza giuridica nella quale il fallimento si configura come lo strumento attraverso cui il legislatore organizza le conseguenze di uno stato di crisi irreversibile, allo scopo di garantire la protezione dei diritti dei terzi che sono stati coinvolti. Indubbiamente il criterio dell insolvenza finanziaria, grazie 1 Rossi (1986). 2

3 anche alla disponibilità di alcuni indicatori di facile consultazione 2, rappresenta tra quelli illustrati il più semplice da impiegare ed è proprio questa sua maggior facilità di utilizzo che ne ha consentito un consolidamento sempre maggiore a tal punto che oggi il termine insolvenza viene adoperato come sinonimo di inadempienza. Una volta precisato che cosa si intende quando si parla di insolvenza, si può però facilmente constatare l impossibilità di stabilire a priori 3 se una data società sarà o meno inadempiente ad una certa data futura dal momento che non si può sapere anticipatamente se essa sarà in grado di far fronte ai propri debiti. l limite si possono effettuare delle stime sulla probabilità di insolvenza (default probability) per effetto delle quali verrà decisa da parte di chi concede il credito l applicazione all impresa finanziata di differenziali aggiuntivi al tasso d interesse normalmente praticato. Tali differenziali evidentemente saranno tanto maggiori quanto maggiore è la rischiosità associata all operazione percepita da parte dei creditori. questo punto possiamo osservare che quattro fattori principali entrano in gioco quando ci si occupa del rischio di credito. Questi sono 4 : default probability: esprime la probabilità che un debitore non riesca a rimborsare regolarmente le proprie obbligazioni; loss given default: misura la perdita subita dal creditore per effetto del fallimento dell impresa finanziata; non è determinabile con precisione ma può essere stimata in modo ragionevolmente accurato se si conosce dettagliatamente la struttura del contratto in essere; migration risk: rappresenta il rischio di migrazione tra classi di rating distinte a cui il debitore è soggetto anno dopo anno; in altri termini si tratta della probabilità che una società ha di 2 Si considerino a tal proposito le informazioni ottenibili tramite la Centrale dei Rischi. 3 Prima cioè che si verifichi il fallimento. 4 Crosbie (1997). 3

4 rimanere nella stessa classe di rating in cui si trova oppure di passare ad una diversa categoria (migliore o peggiore). Tali probabilità vengono normalmente stimate attraverso la cosiddetta matrice di transizione 5 ; exposure: indica l ammontare prestato, dunque esposto al rischio di fallimento del debitore. Tra questi elementi il più importante ma, al tempo stesso, anche il più difficile da determinare, è sicuramente la default probability. tal proposito si può notare come, contestualmente all affermazione del concetto di insolvenza finanziaria, si siano sviluppati e diffusi svariati modelli accomunati dall obiettivo di determinare la probabilità di fallimento associata a ciascuna società presa in esame. Tra essi, particolarmente significativi sono quegli approcci che, sfruttando le informazioni implicite nei prezzi di azioni e di obbligazioni emesse dalle imprese nel mercato dei capitali, mirano ad ottenere informazioni sul tasso di insolvenza delle imprese medesime. 1.2: i modelli per la stima dei tassi di insolvenza basati sul mercato dei capitali Si tratta di modelli a cui si è giunti sulla base di una logica molto precisa. Infatti il contemporaneo sviluppo dei mercati internazionali dei capitali (sia azionari che obbligazionari) e degli studi teorici in materia di determinazione del prezzo delle attività finanziarie rischiose ha fatto sì che in molti campi della finanza i prezzi dei valori mobiliari, in quanto sintetica espressione di tutte le informazioni disponibili e al tempo stesso delle aspettative degli operatori, venissero impiegati come informazione primaria per la stima di altre informazioni 6. 5 Si veda a riguardo Estrella (1999). 6 Tra le quali appunto anche il rischio di insolvenza. 4

5 Tre sono le principali tipologie che rientrano nell ambito dei modelli per il calcolo dei tassi d insolvenza basati sui dati disponibili nel mercato dei capitali. La prima comprende tutti gli studi 7 che, partendo dalla struttura a termine degli spread di rendimento tra titoli obbligazionari rischiosi e titoli risk-free, ricavano le aspettative di mercato relative al tasso di perdita connesso all investimento in titoli rischiosi o, in alternativa, ricavano la default probability dell emittente. L idea di base è estremamente semplice e intuitiva: il maggior rendimento che il mercato richiede ai titoli obbligazionari rischiosi, rispetto al rendimento dei titoli risk-free con scadenza equivalente, riflette in modo adeguato le aspettative che gli operatori hanno circa la probabilità di insolvenza dell impresa emittente 8. La seconda tipologia comprende tutti gli approcci 9 che, a partire dai dati relativi ai tassi di insolvenza storicamente registrati dagli emittenti dei titoli obbligazionari, ottengono informazioni circa la default probability per società appartenenti alle diverse classi di rating. In altre parole questi approcci determinano il tasso di insolvenza di un impresa sulla base di due informazioni e cioè la classe di rating in cui si colloca l impresa considerata e la probabilità di fallimento storicamente registrata per le società della medesima categoria di rating. Vi è infine un terzo tipo di studi nel quale si fanno rientrare tutti quei modelli che, partendo dalle informazioni relative al prezzo ed alla volatilità dei titoli azionari e applicando la teoria del valore delle opzioni, ricavano la probabilità di insolvenza dell impresa emittente. Cerchiamo ora di esaminare in modo più approfondito proprio quest ultima tipologia di studi. 7 Si vedano in proposito Jonkhart (1979) e Iben, Litterman (1989). 8 In altri termini quanto più consistente sarà lo spread tra i tassi di rendimento tanto più accentuata sarà la percezione di rischiosità da parte del mercato. 9 Si faccia riferimento in particolar modo a ltman (1989). 5

6 1.3: l approccio fondato sulla teoria del valore delle opzioni Si tratta di un tipo di approccio che deriva dal modello di pricing delle opzioni sviluppato originariamente da Black e Scholes (1973) e che si fonda pertanto sui principi della contingent claim analysis. La sua prima applicazione al rischio di insolvenza è riconducibile a Merton (1974) la cui elaborazione si basa sul presupposto che per una società l insolvenza si manifesta esattamente nel momento in cui il valore delle attività risulta inferiore al valore delle passività. Quindi l evento insolvenza si verifica in corrispondenza del primo pagamento che l impresa deve effettuare quando il valore delle attività è tale da non rendere più conveniente per gli azionisti adempiere alle proprie obbligazioni. Sono due le ipotesi più importanti su cui si regge il modello originariamente sviluppato da Merton. La prima consiste nel fatto che si fa riferimento al rischio di insolvenza di un emittente di un titolo obbligazionario zero coupon, rappresentativo tra l altro di tutto il capitale di debito dell impresa. La seconda ipotesi prevede invece che il valore dell attività della società esposta al rischio di insolvenza segua un processo diffusivo geometrico Browniano 10. Come si può facilmente constatare i due assunti ora riportati implicano altrettante importanti conseguenze, che rappresentano al tempo stesso anche i due limiti 11 più evidenti dello studio condotto da Merton. In primo luogo l aver considerato uno zero coupon bond comporta inevitabilmente che l insolvenza dell impresa si possa verificare solo ed esclusivamente alla scadenza del titolo, nel caso in cui il valore di rimborso di quest ultimo sia superiore al valore delle attività della società emittente. In secondo luogo l ipotesi dello sviluppo dell attivo secondo un processo diffusivo geometrico Browniano porta a concludere che la probabilità di insolvenza rappresenta un valore facilmente 10 2 Ovvero VT = V = V exp{ ( µ σ / 2) t + σ t } T 0 Z t. 11 Si vedano a riguardo Sironi, Marsella (1999) e Duffie (1996). 6

7 prevedibile in relazione all orizzonte temporale prescelto, in quanto è prevedibile la distribuzione futura dei possibili valori delle attività societarie. Proprio l esistenza di detti limiti costituisce la ragione fondamentale che ha portato alle successive generalizzazioni del modello di Merton. Tra queste si deve innanzitutto ricordare lo studio effettuato da Black e Cox (1976) la cui importanza è principalmente legata al fatto che esso ammette che l insolvenza si possa verificare anche prima della scadenza del titolo obbligazionario. Ciò è possibile in due modi: considerando passività con cedole al posto degli zero coupon bond oppure fissando arbitrariamente una soglia del valore dell attivo al di sotto della quale, indipendentemente dai flussi di cassa dovuti dall emittente, quest ultimo fallisce. nalogamente a quanto avveniva con Merton anche in questa prima generalizzazione si ipotizza però che il valore dell attivo segua un processo diffusivo geometrico Browniano. Il superamento di questo secondo assunto è stato possibile solamente grazie ad ulteriori affinamenti della teoria di Merton tra i quali è opportuno ricordare quelli sviluppati da Madan e Unal (1994) e da Duffie e Singleton (1994) 12. L elemento innovativo che accomuna questi modelli consiste nell ipotizzare che il valore delle attività della società emittente segua un processo evolutivo a salti 13 anziché un processo diffusivo Browniano. In questo modo si raggiunge l importante risultato che l insolvenza si possa manifestare come evento realmente inatteso dal momento che la stessa default probability varia stocasticamente nel corso del tempo. 12 Importanti sono stati anche i contributi forniti da Duffie, Huang (1994), Jarrow et al. (1994), Lando (1994) e Jarrow, Turnbull (1994). 13 Si tratta del cosiddetto jump process. 7

8 1.4: il calcolo della default probability secondo la Contingent Claim nalysis questo punto si può osservare che in tutti i modelli basati sulla contingent claim analysis il calcolo della probabilità di insolvenza dipende dalle seguenti tre variabili rilevanti: il valore delle attività (value of asset): si tratta del valore di mercato dell attivo della società ossia del valore corrente di tutti i flussi di cassa futuri prodotti dall impresa, al lordo degli oneri finanziari ed attualizzati secondo un tasso appropriato; il valore delle passività (liabilities): consiste in un valore contabile rappresentativo dell entità delle passività dell azienda calcolate in base al valore con cui sono iscritte in bilancio; in pratica si tratta della somma che l impresa è tenuta a rimborsare ai propri creditori; il rischio dell attività (asset risk): si traduce nella volatilità del rendimento del valore di mercato delle attività e ne misura pertanto il livello di incertezza. Risulta semplice verificare come le variabili appena elencate racchiudano effettivamente tutti gli elementi necessari per la determinazione della probabilità di insolvenza di un impresa. Vi si ritrovano difatti: le prospettive di sviluppo tanto dell azienda quanto del settore economico a cui quest ultima appartiene, incorporate nell asset value; il rischio finanziario espresso dal rapporto tra il valore dell attivo e quello del passivo; il grado di rischio del business della società implicitamente considerato nell asset risk. La rilevanza delle tre variabili considerate può essere apprezzata analizzando il seguente grafico (Figura 1) relativo alla distribuzione del valore di mercato futuro dell attivo e nel quale i punti e D rappresentano rispettivamente il valore di mercato corrente delle attività e quello del debito. 8

9 Figura 1 - La distribuzione del valore di mercato dell'attivo e la probabilità d'insolvenza Come è noto, l insolvenza si verifica nel momento in cui il valore dell attivo diviene inferiore a quello del debito e la probabilità che questo si verifichi, vale a dire la default probability, è data dall area evidenziata della coda sinistra della distribuzione sopra riportata. È immediato concludere che tale area e (quindi la probabilità ad essa associata) risulta tanto maggiore quanto maggiore è l entità del debito (D), quanto minore è la consistenza dell attivo () e quanto maggiore è la volatilità di rendimento del valore delle attività (σ). Delle tre variabili menzionate (, D, σ) solamente una è nota: il valore del debito che, come visto in precedenza, è stimabile sulla base del valore contabile del passivo dell impresa iscritto in bilancio. Per quanto concerne invece le variabili rimanenti, cioè e σ, si può osservare che si tratta di due incognite la cui valutazione ha luogo, nei modelli della contingent claim analysis, a partire da un assunto di base abbastanza innovativo. L intuizione consiste nell assimilare il 9

10 payoff dell azionista di una società a quello ottenibile da parte dell acquirente di un opzione call di tipo europeo sul valore dell attivo della società stessa, con scadenza e prezzo di esercizio rispettivamente pari alla scadenza ed al valore del debito dell impresa. In questo modo se l attivo a scadenza è uguale o inferiore al debito esistente, il payoff dell azionista risulta essere nullo (analogamente a quello del detentore di un opzione) e la società di conseguenza viene lasciata nelle mani dei suoi creditori. Nel caso invece in cui il valore dell attivo a scadenza sia superiore a quello del debito, il payoff degli azionisti è positivo e più precisamente è pari alla differenza tra e D (così come il payoff di un opzione risulta positivo e uguale alla differenza tra il prezzo di mercato dell attività sottostante e il prezzo di esercizio dell opzione stessa). In questo caso la società non viene più lasciata nelle mani dei suoi creditori ma continua a rimanere di proprietà degli azionisti. Quanto ora detto può essere ancor più chiaramente compreso facendo riferimento alla seguente rappresentazione grafica (Figura 2) in cui la variabile E indica l entità del capitale azionario della società emittente mentre e D conservano il medesimo significato visto in precedenza. Figura 2 - Valore dell'attivo e valore del capitale azionario [Fonte: Sironi, Marsella (1999)] 10

11 La retta inclinata a quarantacinque gradi esprime il valore del capitale azionario alla data di scadenza del debito contratto dalla società mentre l altra linea indica il medesimo valore ma ad una data antecedente. Il fatto che in corrispondenza di identici livelli dell attivo () esista una differenza negativa tra il valore del capitale azionario alla scadenza ed il valore ad un epoca anteriore può essere facilmente giustificata tenendo presente che, prima che le obbligazioni societarie giungano al termine della propria vita economica, vi è ancora una qualche possibilità che grazie ad appropriate decisioni strategiche l attivo possa essere soggetto a incrementi. Si comprende in questo modo come mai, per valori delle attivo inferiori al debito esistente (D), la misura del capitale azionario risulta essere positiva anziché nulla (come accade quando si fa riferimento, invece, al momento della scadenza delle obbligazioni). Tale incremento di valore del capitale azionario deriva concretamente dal passaggio di una quota di ricchezza dai debitori agli azionisti. Infatti, una società che cerchi di incrementare il proprio attivo è portata ad adottare strategie tendenzialmente più rischiose e questo determina inevitabilmente un incremento della probabilità di insolvenza e conseguentemente una riduzione del prezzo di mercato dei debiti della società a danno dei creditori. Si può inoltre facilmente intuire come la differenza tra le due misure del capitale azionario sia tanto maggiore quanto maggiore è la volatilità del rendimento dell attivo (σ). bbiamo quindi visto che il valore del capitale azionario può essere paragonato a quello di un opzione call con le caratteristiche in precedenza specificate. Ora, tenendo presente che il prezzo di un opzione è una funzione di cinque variabili (prezzo di esercizio, valore di mercato dell attività sottostante, tempo restante alla scadenza, tasso d interesse, volatilità dell attività sottostante), si può 11

12 impostare la seguente relazione 14 : E = f(d,, σ, T, i) in cui T e i esprimono rispettivamente la scadenza del debito e il livello del tasso d interesse privo di rischio per tale scadenza. Possiamo a questo punto osservare che tra le sei variabili che compaiono nella relazione appena esposta soltanto due sono incognite: il valore di mercato delle attività () e la volatilità ad esse relativa (σ). Le variabili rimanenti (E, D, T, i) sono infatti di immediata definizione a patto che si abbia a disposizione il prezzo di mercato delle azioni, indispensabile per la stima del valore del capitale azionario (E) dell impresa. La determinazione delle due incognite richiede necessariamente l impostazione di una seconda relazione 15 ovvero: σe = g(d,, σ, T, i) Si tratta di una funzione che esprime il legame teorico esistente tra la volatilità del valore di mercato del capitale azionario (a sua volta rappresentabile mediante la volatilità σe del prezzo dell azione) e la volatilità dell attivo dell impresa. In essa, analogamente a quanto accaduto con la prima relazione illustrata, compaiono solamente due incognite (, σ) mentre le altre variabili sono tutte note. Risolvendo il sistema formato dalle equazioni esaminate (sistema di due equazioni in due incognite) siamo quindi nelle condizioni di ricavare tanto la volatilità del rendimento delle attività quanto il valore delle stesse 16. questo punto, facendo nuovamente riferimento al primo grafico presentato (Figura 1) si può notare che si hanno a 14 Come riportato nella formula (9) di pagina 164 di Sironi, Marsella (1999). 15 Come riportato nella formula (10) di pagina 164 di Sironi, Marsella (1999). 16 Per una derivazione analitica di quanto detto si veda l ppendice 12

13 disposizione tutti gli elementi necessari per il calcolo della default probability. Infatti D è dato fin dall inizio mentre e σ sono stati ottenuti attraverso la risoluzione del sistema appena visto. Ecco quindi che abbiamo dimostrato come nei modelli fondati sulla contingent claim analysis sia possibile pervenire alla determinazione della probabilità di insolvenza di una società partendo da alcuni dati che possono essere facilmente reperiti sul mercato dei capitali. L eleganza formale e la convenienza di aver identificato fattori di natura quantitativa rilevanti nella determinazione del tasso di insolvenza di un impresa non hanno comunque permesso a questo tipo di approccio di trovare una grande applicazione pratica 17. La mancanza di lavori empirici è riconducibile principalmente a due motivazioni. La prima è data dalle difficoltà che si incontrano nell individuazione della soglia oltre la quale una diminuzione del valore di mercato delle attività implica inevitabilmente l insolvenza. La seconda ragione consiste invece nel fatto che la struttura finanziaria di un impresa non è semplicemente suddivisibile in capitale di rischio e capitale di debito come è stato fatto nei modelli presi in considerazione fino ad ora ma solitamente è articolata in maniera più complessa 18. In ogni caso, un interessante applicazione fondata sulla contingent claim analysis che cerca di superare i limiti ora descritti è quella adottata dalla KMV Corporation, una società statunitense specializzata nel fornire stime relative alla probabilità di insolvenza di società quotate e, più di recente, di società non quotate. Come vedremo nel paragrafo successivo, l obiettivo che questa società si è prefissata rimane sempre lo stesso, e cioè la determinazione della 17 Una dimostrazione di questo scarso successo è data dalla relativa carenza di lavori empirici che hanno tentato di determinare il rischio di credito di particolari strumenti finanziari seguendo l approccio in esame. Si consideri a tal proposito l analisi che è stata condotta da Jones et al. (1984) sui titoli obbligazionari investment-grade. 18 conferma di questa maggior complessità basti pensare al fatto che, in sede di liquidazione, i debiti presentano solitamente diversi livelli di priorità. 13

14 default probability di un impresa; ciò che cambia è il tipo di procedimento adottato per conseguire tale risultato. 1.5: il procedimento per il calcolo della probabilità di insolvenza nel modello Credit Monitor sviluppato dalla KMV Possiamo in generale osservare che esistono tre informazioni rilevanti nel processo di determinazione della default probability di una società e più precisamente queste sono: i dati di carattere finanziario, i prezzi di mercato delle azioni e dei debiti ed infine le stime soggettive sui rischi e sulle prospettive future dell impresa. Tenendo presente che i dati finanziari riflettono ciò che è accaduto nel passato mentre i prezzi di mercato sono il risultato delle previsioni che gli investitori fanno circa il futuro della società 19, si può giungere alla conclusione che il procedimento per il calcolo della probabilità di insolvenza deve essere necessariamente di tipo forward and backward looking, ovvero deve essere un procedimento in grado di conciliare i dati storici 20 con quelli di mercato 21. L aver incluso i prezzi di mercato di azioni e debiti tra gli elementi essenziali per il calcolo della default probability non deve però indurci a credere che i mercati siano pienamente efficienti 22 ma si vuole solamente sottolineare che ciò a cui si giunge facendo riferimento ai dati forniti dal mercato rappresenta un risultato soddisfacente, difficilmente superabile ricorrendo a sistemi 19 tal proposito possiamo notare che, nel determinare i prezzi di mercato sia delle azioni che dei debiti, gli investitori utilizzano le stime personali sulle prospettive e sui rischi dell impresa nonché i dati finanziari e gli altri prezzi di mercato disponibili. L unione tra queste informazioni e la propria capacità di analisi e sintesi si traduce nella propensione ad acquistare oppure vendere le azioni e i debiti della società. La formazione dei prezzi di mercato deriva, come a questo punto si può facilmente capire, dalla combinazione delle volontà di acquisto e di vendita di numerosi investitori. 20 Backward looking. 21 Forward looking. 22 Ricordiamo che per mercati efficienti si intendono quei mercati nei quali i prezzi riflettono tutte le informazioni rilevanti. 14

15 alternativi. Per questa ragione è opportuno che i prezzi, ogniqualvolta siano disponibili, vengano impiegati nella determinazione del rischio di fallimento di un impresa. In perfetta coerenza con quanto è stato sin qui detto, il modello Credit Monitor determina il tasso di insolvenza (EDF)di una società quotata su un mercato regolamentato facendo riferimento sia ai dati di carattere finanziario sia ai prezzi delle azioni. Più precisamente, possiamo osservare che il procedimento che porta all expected default frequency di un impresa si articola nelle seguenti tre fasi 23 : I. stima dell asset value () e della asset volatility (σ); II. calcolo della distance to default (DD); III. determinazione della default probabilty (EDF). Cerchiamo a questo punto di esaminare ciascuna di esse in modo più approfondito : stima dell asset value e dell asset volatility La probabilità che un impresa possa attraversare il default point 24 è funzione di due elementi 25 : il livello delle attività () e la volatilità del loro rendimento (σ). Tali valori vengono determinati utilizzando un approccio basato sul pricing delle opzioni del tutto analogo a quello che è stato illustrato nel paragrafo 1.4. Le azioni vengono cioè assimilate ad una call scritta sul valore delle attività aziendali sottostanti, con prezzo di esercizio uguale all importo nominale del debito. In questo modo è possibile esprimere il valore della componente azionaria in funzione 23 Cfr. Crosbie (1997). 24 Il default point (o punto di insolvenza) esprime il valore dell attivo in corrispondenza del quale ha luogo il fallimento della società; esso viene in modo approssimativo calcolato somma tra le passività a breve termine più la metà di quelle a media-lunga scadenza. 25 In realtà occorrerebbe tenere in considerazione anche il rendimento medio delle attività. 15

16 dell attivo e della sua volatilità. nalogamente è possibile definire anche il legame esistente tra la volatilità delle azioni (σe) e la volatilità del rendimento delle attività. Quanto detto si traduce nel seguente sistema di due equazioni in due incognite che abbiamo già avuto occasione di introdurre in precedenza: E = f(,d,σ,t,i) σe = g(,d,σ,t,i) questo punto possiamo osservare che se la volatilità delle azioni è, al pari del loro prezzo, direttamente osservabile, allora le equazioni possono essere risolte simultaneamente permettendo così di determinare tanto σ quanto. Tuttavia si verifica spesso che, a causa della sua notevole sensibilità rispetto alle variazioni dell attivo, la volatilità (istantanea) delle azioni sia relativamente instabile 26 e che non vi sia quindi un modo semplice per poterla misurare a partire dai dati disponibili sul mercato. In situazioni di questo genere il modello Credit Monitor prevede allora l impiego di un processo iterativo 27 che, attraverso un limitato numero di passaggi, consente di individuare il valore di σe 28. Una volta che sono stati determinati il livello dell attivo e la volatilità del suo rendimento, è poi possibile scoprire il margine di sicurezza che divide un impresa dalla sua soglia di fallimento, ovvero la distance to default (DD) : calcolo della distance to default Come bene è evidenziato nel grafico che segue (Figura 3), le 26 ccade cioè che la relazione esistente tra la volatilità dell attivo e la volatilità delle azioni, ovvero l equazione (2) dell ppendice, valga solamente all istante. 27 Di tale processo non viene però fornita alcune documentazione specifica. 28 Per un approfondimento circa tale processo iterativo si vedano Crosbie (1997) e Crouhy, Galai e al. (2000). 16

17 variabili utili alla determinazione della probabilità di insolvenza di una società (EDF), per un dato orizzonte temporale (H), sono 29 : 1. il valore corrente delle attività; 2. la distribuzione del valore delle attività in un momento futuro corrispondente all intervallo di tempo preso in considerazione (H); 3. la volatilità futura dell attivo sull orizzonte temporale H; 4. il livello del default point e, quindi, il valore delle passività iscritte a bilancio; 5. il tasso atteso di crescita delle attività sull orizzonte H; 6. la distanza dell orizzonte H. Figura 3 - Le variabili rilevanti all'interno del Credit Monitor [Fonte: Crosbie (1997)] 29 Cfr. Crosbie (1997). 17

18 Tra le variabili sopra elencate si instaura una relazione di causa-effetto 30 estremamente utile dal momento che consente agli analisti che si servono del modello di avere a propria disposizione uno strumento efficace per valutare quale potrebbe essere l impatto provocato sulla società da eventi particolari quali le operazioni di fusione, quelle di acquisizione, improvvisi e forti ribassi nel prezzo di mercato delle azioni Tenendo presente che l orizzonte temporale (H) viene fissato dagli analisti e che il tasso atteso di crescita dell attivo per il medesimo orizzonte esercita sulla default probability un influenza di fatto trascurabile, si può concludere che le variabili realmente critiche nella determinazione del tasso di insolvenza di una data impresa sono le rimanenti quattro. tal proposito è immediato verificare che maggiore è il valore delle attività rispetto all importo dei debiti in essere, minore è la probabilità di fallimento a cui la società è esposta 31. nalogamente, minore è la volatilità dell attivo nel corso del periodo di tempo preso in considerazione, minore è il tasso di default associato all impresa. questo punto possiamo osservare che, se la distribuzione futura del valore delle attività fosse nota, allora l expected default frequency dell impresa sarebbe semplicemente uguale alla probabilità che l importo finale dell attivo sia inferiore al default point (sarebbe cioè uguale all area ombreggiata di Figura 3). In realtà la distribuzione all istante H non è di semplice individuazione né sembra appropriato il ricorso all assunzione di normalità o lognormalità, come invece avveniva con Merton. Queste difficoltà hanno allora indotto la KMV a privilegiare una distribuzione di tipo empirico. 30 Per una spiegazione più dettagliata su tale relazione causa-effetto si rinvia a McQuown (1993). 31 Più precisamente possiamo osservare che se l impresa prende a prestito poco rispetto al valore di mercato delle proprie azioni, allora i debiti contratti sono fondamentalmente sicuri. Nel caso, invece, in cui la società si gravi considerevolmente in termini di valore di mercato, allora la probabilità di insolvenza cresce in maniera sensibile. 18

19 Più precisamente la società statunitense, prima del calcolo del tasso di insolvenza, ha introdotto nel proprio modello una fase intermedia nella quale viene determinata la cosiddetta distance to default (DD). Questa rappresenta un indicatore del rischio di credito che si basa sulla distanza, espressa in numero di deviazioni standard, del valore di mercato delle attività dal default point. d esempio, un valore di DD pari a 4 indica che la distanza dal punto di insolvenza è uguale a quattro volte la deviazione standard dell attivo. Occorre quindi che il valore di mercato delle attività si riduca di almeno quattro volte la propria volatilità affinché si verifichi il fallimento dell impresa in esame. In termini analitici la distance to default viene pertanto calcolata come segue: DD = Dp σ ovvero, tenendo presente che: Dp = MNW dove MNW indica il market net worth, si ottiene: DD = MNW σ Se, per ipotesi, facciamo riferimento ad una società con asset value, asset volatility e default point rispettivamente pari a 10 miliardi, 15% e 4 miliardi, allora la distanza dall insolvenza sarà uguale a: 10 4 DD = 10 15% = 4 19

20 È opportuno ora effettuare alcune importanti osservazioni riguardo a questa nuova grandezza. In primo luogo, sulla base della formula appena presentata, è immediato concludere che la distance to default di una società è tanto maggiore quanto minore è la volatilità del rendimento delle attività e quanto maggiore è la differenza tra asset value e default point. In secondo luogo è necessario sottolineare l importanza di aver diviso il market net worth (MNW) per la volatilità (delle variazioni) dell attivo (σ). Il valore netto di mercato, da solo, non costituisce infatti un valido indicatore del rischio di insolvenza in quanto non tiene conto degli effetti (in termini di rischiosità) legati ad elementi quali la dimensione, il settore di appartenenza e la localizzazione geografica dell impresa, che invece bene si riflettono nella volatilità delle attività 32. In particolare, grazie a quest ultima, siamo nelle condizioni di porre sullo stesso piano le società rischiose e quelle stabili 33. Si può cioè avere una situazione in cui un impresa, pur essendo caratterizzata da un market net worth inferiore a quello di un altra impresa 34, presenti comunque, rispetto a quest ultima, una probabilità di insolvenza uguale o addirittura più bassa e questo a causa della sua maggior dimensione oppure della maggior solidità del settore economico o del territorio a cui appartiene cioè, in una parola sola, a causa della sua stabilità superiore. La distanza dall insolvenza si configura pertanto come una 32 Ricordiamo che σ indica la deviazione standard della variazione percentuale annua del valore delle attività aziendali. Se, ad esempio, una società presenta volatilità annua pari al 15%, allora ci si deve aspettare che il suo attivo aumenti oppure diminuisca, nel corso dell anno, in misura non superiore al 15% del suo valore iniziale. 33 Dove la stabilità e la rischiosità vengono direttamente definite in base alla volatilità dell attivo. Più precisamente si può notare che le società stabili presentano una volatilità bassa mentre le società rischiose, al contrario, sono caratterizzate da una volatilità elevata. 34 Il che ci indurrebbe a credere che la sua probabilità di fallimento sia maggiore rispetto a quella dell altra società. 20

21 misura universale del rischio di default in grado di rendere omogenee, e quindi confrontabili tra loro, società con caratteristiche anche molto differenti (che possono appartenere a paesi diversi) senza che ciò crei il benché minimo problema. La distance to default costituisce l input indispensabile per la terza ed ultima fase del modello Credit Monitor: il calcolo della probabilità di fallimento (EDF), cui è dedicato il paragrafo seguente : determinazione dell expected default frequency La fase oggetto di analisi è senza dubbio quella in cui emerge in modo più evidente il carattere empirico del Credit Monitor. La stima della probabilità di insolvenza è infatti basata sulla cosiddetta tabella di frequenza, qui di seguito riportata in una sua versione semplificata (Figura 4) società 720 fallimenti EDF = 800 bp società 450 fallimenti EDF = 300 bp società 200 fallimenti EDF = 100 bp DD = 1 DD = 2 DD = società 150 fallimenti EDF = 43 bp società 20 fallimenti EDF = 7 bp società 17 fallimenti EDF = 4 bp DD = 4 DD = 5 DD = 6 Figura 4 - Tabella di frequenza [Fonte: Estrella (2000)] Si tratta di una tabella dalla quale è possibile ricavare la relazione esistente tra l expected default frequency e i differenti livelli 21

22 di distance to default e che è stata ottenuta attraverso un indagine di tipo empirico. Più precisamente la KMV, sulla base della storia relativa ad un ampio campione di imprese 35 comprensivo di numerosi casi di fallimento, è stata in grado di determinare, in corrispondenza di ciascun orizzonte temporale, la proporzione di società insolventi per ogni livello di DD. questo punto si può facilmente comprendere che per determinare la probabilità di fallimento relativa ad una data società (di cui si conosce la distance to default) non si dovrà far altro che individuare nella tabella di frequenza il valore dell expected default frequency associato alle imprese aventi, per lo stesso orizzonte temporale, la medesima distanza dall insolvenza della società presa in considerazione. Se, ad esempio, riprendiamo il caso numerico visto al paragrafo precedente ed ipotizziamo che, su imprese aventi tutte la stessa distance to default (cioè DD = 4), si sia registrato il fallimento entro l anno solamente di 20 di esse, allora si può concludere che il tasso di insolvenza ricercato sarà pari a: EDF = (20/5.000) = = 0.4% = 40 bp come emerge chiaramente anche dal grafico seguente (Figura 5). 35 Il campione in questione comprende più di società quotate sul mercato statunitense (di cui all incirca fallite) che sono state monitorate a partire dal Ultimamente esso è stato ulteriormente arricchito grazie all aggiunta di società appartenenti a continenti diversi da quello americano nel tentativo di rendere il database il più universale possibile. 22

23 Punti Base DD Figura 5 - Rappresentazione grafica della tabella di frequenza con riferimento ad uno specifico esempio numerico Procedendo in questo modo 36, il modello Credit Monitor è quindi in grado di fornire, per ogni impresa quotata, una default probability definita sulla base di parametri individuali, a differenza di quanto invece accade riconducendo l impresa ad una data classe di rating. È ora necessario sottolineare che la relazione tra distance to default e tasso di insolvenza, sintetizzata nella tabella di frequenza, mantiene la propria validità indipendentemente dal tipo di società che si considera, dalla sua dimensione o dall epoca presa in esame. Ciò dipende dal fatto che, come è stato evidenziato in precedenza 37, le differenze in termini di probabilità di fallimento prodotte da tutte queste variabili sono già state incorporate in modo adeguato nei valori di DD. Si può inoltre aggiungere che gli studi fino ad ora condotti 38 hanno mostrano come la relazione in questione possa essere 36 Vale a dire stimando la probabilità di insolvenza non in base all ipotesi di normalità della distribuzione dei rendimenti dell attivo della società, ma analizzando su base storica la percentuale di imprese fallite in funzione dei livelli di distanza dall insolvenza. 37 Cfr. paragrafo Si faccia riferimento ad esempio a Sellers et al. (2000). 23

24 impiegata (al limite con alcuni correttivi) anche all interno di stati diversi dagli US a cui, come sappiamo, si riferisce il campione di società sulla quale la KMV ha basato il proprio studio. Una diretta conferma di quanto appena detto ci viene fornita dai successi conseguiti dal Credit Monitor in Europa (specialmente in Inghilterra) ma soprattutto ci viene data dall esperienza maturata in sia. Facciamo riferimento in particolar modo alla crisi che colpì diversi paesi asiatici 39 alla fine degli anni novanta e che la KMV, grazie al proprio prodotto, era stata in grado di prevedere con largo anticipo sugli altri istituti specializzati nella stima dei tassi di insolvenza. Emblematico è stato, in proposito, il caso della Corea del Sud 40 nei confronti della quale il deterioramento della qualità creditizia venne registrato dalla KMV già a partire dal 1994, mentre si dovettero attendere ancora tre anni perché vi fossero analoghe rilevazioni da parte delle agenzie di rating 41. ltrettanto significativo è stato poi il caso della Thailandia dove l EDF mediana, relativa ai principali istituti finanziari e stimata attraverso il Credit Monitor, passò dallo 0.35% nel gennaio del 1996 al 13,11% nello stesso mese del 1998, costituendo un evidente segnale della crisi che stava per sopraggiungere 42. La validità del legame esistente tra expected default frequency e distance to default, anche in paesi diversi dagli Stati Uniti, è una conseguenza del fatto che la probabilità di fallimento a cui la KMV giunge costituisce un indicatore esclusivamente economico del rischio di default. Vengono cioè trascurati aspetti quali la tutela garantita all attività produttiva oppure gli aiuti statali, considerando i quali la tabella di frequenza costruita negli US, e quindi il database 39 Tra cui ricordiamo Indonesia, Corea del Sud, Thailandia, Singapore e Hong Kong. 40 Per un approfondimento si veda Smith (1999). 41 Più precisamente, la prima segnalazione in tal senso da parte delle agenzie di rating fu quella fornita da Standard & Poor s nel novembre del 1997, dopo che la Corea del Sud si era rivolta al Fondo Monetario Internazionale per chiederne l intervento. 42 Cfr. Weiinberg (1998) ed Euromoney Magazine (1998). 24

25 sottostante, non potrebbero essere impiegati in nessun altro luogo. d esempio è possibile che, come è stato fatto notare da Crosbie 43, mentre in Europa o in sia una data società sia salvata dall insolvenza grazie ad un intervento del governo, negli Stati Uniti la stessa sia invece lasciata fallire. Tuttavia è necessario tenere presente che tali interventi non sono esenti da costi, che gravano o sul contribuente oppure su altri soggetti 44. Quanto detto porta a concludere che la soluzione ottimale consista nell elaborare un modello per il rischio di default in cui vengano prese in considerazione solo ed esclusivamente le variabili di carattere economico, lasciando poi agli analisti il compito di procedere all integrazione di tutti quei fattori, estranei alla sfera economica, che risultino rilevanti nella realtà dei singoli paesi in cui il modello stesso viene applicato. Qualora si volesse effettuare un confronto tra i risultati del Credit Monitor e quelli delle principali agenzie di rating, è bene ricordare che, tra l expected default frequency e le tradizionali classi di rating, esiste la seguente corrispondenza 45 (Tabella 1): EDF S&P Moody's 2-4 bps a bps / bps /BBB+ Baa bps BBB+/BBB- Baa bps BBB-/BB Ba bps BB/BB- Ba bps BB-/B+ B bps B+/B B bps B/B- B2 Tabella 1 - Corrispondenza tra Expected Default Frequency e classi di rating [Fonte: Bellucci et al. (1997)] 43 Si veda Euromoney Magazine (1998). 44 Nel caso di alcune imprese asiatiche, infatti, questi costi vengono sopportati spesso dagli azionisti di società collegate a quelle che si trovano in difficoltà. 45 Tratta da Szego e Varetto (1999). 25

26 Dalla probabilità di default, ricavata attraverso l approccio della KMV, è poi immediato passare al calcolo della perdita attesa sofferta dal creditore (l expected loss). Quest ultima è, infatti, ottenibile semplicemente come differenza tra due termini. Il primo è dato dal prodotto tra il tasso di insolvenza della società (cioè l EDF) ed il valore nominale del debito 46 da essa contratto. Il secondo termine è invece rappresentato dalla quota 47 del capitale prestato che il creditore si aspetta comunque di recuperare in caso di fallimento dell impresa destinataria del finanziamento. lla luce di quanto abbiamo detto nei paragrafi precedenti, possiamo concludere che il processo per la determinazione della default probability, basato sul Credit Monitor, può essere schematizzato nel modo seguente (Figura 6). Mkt sset Value Default Point DD sset volatility EDF Relazione DD/EDF Figura 6 - Schema per il calcolo della EDF Un esempio numerico 48 potrà aiutarci ulteriormente a comprendere il funzionamento pratico della procedura di calcolo ora descritta. Facciamo riferimento in particolare al caso della società 46 Questo primo termine equivarrebbe all expected loss qualora il fallimento significasse la perdita dell intero capitale. 47 Il cosiddetto recovery rate. 48 Si tratta dello stesso esempio proposto a pag 13 di Crosbie (1997) e a pag 117 di Estrella (2000). 26

27 americana Chrysler Motors nei confronti della quale l applicazione del modello 49 della KMV ha portato ai risultati sintetizzati nella tabella qui di seguito riportata (Tabella 2). Variabile Valore Modalità di calcolo Valore di mercato delle azioni $ 22,572 bn (Prezzo unitario az.)x(n azioni) Debiti iscritti a bilancio $ 49,056 bn Bilancio di esercizio Valore di mercato dell'attivo $ 71,994 bn Option-pricing model Volatilità dell'attivo 10% Option-pricing model Default point $ 36,993 bn (Debiti a breve)+(debiti a medio lungo) Distance to default 4,8 pplicazione della formula sulla DD EDF (ad un anno) 21 bp Individuazione sulla tabella di frequenza dell'edf associata alle imprese aventi lo stesso valore di DD Tabella 2 - pplicazione del CM alla società Chrysler Motors [Fonte: Crosbie (1997)] 1.6: applicazione del procedimento di Black e Scholes al modello della KMV Invece di essere di tipo empirico, la fase conclusiva del modello Credit Monitor può avere carattere matematico-finanziario. Questo si verifica se, anziché calcolare la probabilità di insolvenza facendo riferimento ad un campione di società, la si determina applicando il procedimento di Black e Scholes e quindi partendo da un ipotesi di normalità della distribuzione dei valori dell attivo societario. Cerchiamo ora di tradurre in termini analitici quanto abbiamo appena detto. Innanzitutto, ricordando che la default probability di un impresa viene definita dalla KMV come la probabilità che il valore di mercato delle attività scenda al di sotto del default point, si ha che: 49 vvenuta nel gennaio del

28 [ Dp = ] = Pr[ ln ln Dp ] Pt = Pr t t 0 t t 0 = (1) dove Pt è la probabilità di default al tempo t (compreso tra 1 e 5 anni), mentre t e Dpt rappresentano rispettivamente il valore di mercato dell attivo della società ed il suo punto di insolvenza, entrambi riferiti all istante t. Sapendo, inoltre, che l evoluzione dell asset value nel corso del tempo segue, per effetto del modello di Black e Scholes, la legge 50 : d = µdt + σ dz possiamo allora concludere che il valore dall attivo in t (sotto l ipotesi che il suo valore in zero sia pari ad ) è uguale a: ln 2 σ = ln + µ t σ tε 2 (2) t + in cui µ e ε indicano rispettivamente il guadagno atteso delle attività dell impresa ed una componente aleatoria sul guadagno medesimo. Giunti a questo punto, combinando la (1) e la (2), siamo in grado di esprimere la probabilità di default nel seguente modo: P t 2 σ = Pr ln + µ t + σ tε ln Dpt 2 (3) ovvero, dopo aver effettuato alcuni semplici passaggi: 50 Cfr. ppendice. 28

29 P t 2 σ ln + µ t Dpt 2 = Pr ε σ t (4) ssumendo ora che la componente aleatoria (ε) sia normalmente distribuita 51, possiamo allora definire la default probability in termini di distribuzione Normale cumulativa, cioè: P t = N ln Dp t + µ σ t 2 σ 2 t (5) Tenendo presente che la distance to default indica quanto una società è lontana dal fallimento (in numero di deviazioni standard), si può allora affermare che nel procedimento di Black e Scholes essa è pari a: DD = ln Dp t + µ σ t 2 σ 2 t (6) Si osserva infatti che, se il valore delle attività è quello definito dalla (2), allora la differenza tra esso ed il default point (vale a dire il market net worth) è esattamente pari al numeratore della formula appena presentata. Considerando poi che il denominatore della stessa è costituito dalla volatilità dell attivo, possiamo concludere che la (6) riproduce effettivamente la formula classica della DD 52. Dalla combinazione delle due ultime relazioni si ricava quindi che: 51 Cioè che ε ~ N(0,1). 52 Si veda paragrafo

30 EDF = N(-DD) (7) Sotto l ipotesi di neutralità verso il rischio 53, il guadagno atteso dell attivo (µ) è uguale, per qualsiasi orizzonte temporale, al tasso d interesse privo di rischio (r). Quindi la (5) diviene: P t = N ln Dp t + r σ t 2 σ 2 t (8) Se, da un lato, l applicazione del modello di Black e Scholes all interno del Credit Monitor offre il notevole vantaggio di consentire il calcolo della probabilità di insolvenza sulla base di un sistema prettamente matematico-finanziario (senza cioè alcun riferimento a serie empiriche di dati), dall altro lato esso presenta però diversi limiti. Innanzitutto la distance to default, come emerge dalla (6), prende in esame solo ed esclusivamente gli incrementi dell attivo 2 σ generati dal tasso µ, trascurando in questo modo le uscite di 2 cassa legate a dividendi, interessi Un altro limite di questo approccio è poi rappresentato dal carattere certamente approssimativo insito nella distribuzione Normale che è stata adottata. In particolare si può, a tal proposito, osservare che la distribuzione di tipo empirico presa come riferimento dalla KMV presenta code molto più ampie rispetto a quelle della 53 Ipotesi che si rivela di grande interesse poiché è da questa che si partirà quando, nel capitolo successivo, si tratterà di applicare concretamente ad una società il modello Credit Monitor. 30

31 Normale 54. Risulta, infine, ulteriormente limitativo ricorrere alla formula europea, vale a dire assumere che il fallimento dell impresa si possa verificare solamente alla scadenza dell orizzonte temporale preso in considerazione e non anche ad un istante precedente. 54 d esempio, se consideriamo il caso di una società con distanza dall insolvenza pari a 4, si scopre che la probabilità di default in base alla distribuzione empirica della KMV è pari a circa lo 0.45% (cioè 45bp), mentre in base alla distribuzione Normale essa è uguale a zero. 31

32 ppendice bbiamo visto che, in base all approccio della contingent claim analysis, assimilando l azione dell impresa ad un opzione call sulle sue attività, è possibile determinare il valore di mercato () e la volatilità dell attivo societario (σ). Più precisamente si tratta di ricavare, con un procedimento inverso rispetto a quello ordinario, l asset value e l asset volatility a partire dalle equazioni relative al prezzo ed alla volatilità delle opzioni. Presentiamo ora in termini analitici quanto appena detto. Innanzitutto si deve partire con l osservare che l utilizzo del modello di Black e Scholes (BS) con riferimento al valore di mercato delle attività d impresa 55 porta a concludere che quest ultimo varia nel tempo in base al seguente processo stocastico: d = µdt + σdz dove d e µ rappresentano rispettivamente la variazione del valore dell attivo ed il tasso di crescita atteso istantaneo di quest ultimo; dz, invece, è una variabile aleatoria che un particolare processo markoviano 56. Ipotizziamo a questo punto che esistano due sole tipologie di passività e cioè un unica categoria di debiti ed un unica categoria di azioni. Se indichiamo con D il valore iscritto a bilancio dei debiti rimborsabili al tempo T, allora tra il valore di mercato delle azioni e quello dell attivo possiamo individuare questa relazione: rt E = N( d1) e DN( d2) (1) in cui E ed r indicano il capitale azionario della società ed il tasso 55 nziché al prezzo di mercato di un azione come avviene nella sua elaborazione originaria. 56 Z N(0, σ t). 32

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