Appunti di. Unical. Corso di laurea in Scienze Turistiche. a cura di Bernardina Algieri

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1 Appunti di Corso di laurea in Scienze Turistiche Unical a cura di Bernardina Algieri Hai suggerimenti per migliorare gli appunti? Scrivi a b.algieri@unical.it Updated 10/3/2015 Marzo-Giugno 2015

2 Indice CAPITOLO I... 4 ELEMENTI DI POLITICA ECONOMICA Introduzione Gli attori della politica economica Il programma di politica economica La tipologia di politica economica Il settore turistico Il settore turistico in Italia Elementi critici per una politica del turismo in Italia CAPITOLO II PRODUZIONE & REDDITO Introduzione Il Prodotto interno lordo Definizioni e metodi di misurazione del PIL Distinzione fra PIL reale e PIL nominale Determinazione del PIL reale e nominale Il ritmo della crescita: il tasso di crescita del PIL Determinanti dei tassi di crescita economica fra Paesi Critiche al PIL e la Commissione Sarkozy L indice di Sviluppo Umano Per Esercitarsi CAPITOLO III IL MERCATO DEI BENI E SERVIZI Introduzione La curva di domanda individuale Spostamenti lungo la curva e spostamenti della curva di domanda Dalla curva di domanda individuale a quella collettiva La curva di offerta individuale Spostamenti lungo la curva di offerta e spostamenti della curva di offerta Dall offerta individuale all offerta collettiva o di mercato L equilibrio di mercato L elasticità della domanda Inclinazione ed elasticità di domanda rispetto al prezzo Per Esercitarsi

3 CAPITOLO IV LA POLITICA ECONOMICA E IL MERCATO DEI BENI E SERVIZI Introduzione Il pavimento di prezzo Il tetto di prezzo Per Esercitarsi

4 CAPITOLO I ELEMENTI DI POLITICA ECONOMICA 1 Introduzione La politica economica è una parte della scienza economica che prende in esame l'azione compiuta in economia dall'autorità pubblica, in ambito sia macroeconomico che microeconomico. In un sistema economico che presenta un livello di disoccupazione elevato, un intervento da parte dell autorità pubblica, volto a sanare o quanto meno a mitigare il fenomeno mettendo in campo strategie atte a contrastarlo, è un azione di politica economica. L intervento pubblico nell economia è giustificato dalla presenza di fallimenti di mercato, quali la disoccupazione, l inflazione, gli squilibri di bilancia dei pagamenti e il sottosviluppo. Storicamente l'esigenza di una politica economica si manifesta allorché appare chiaro che l'economia, lasciata in mano agli interessi egoistici dei singoli operatori, non è in grado di evitare squilibri e diseguaglianze economiche, anzi spesso finisce per rendere instabile l'economia stessa, oltre che il tessuto sociale di un paese e i rapporti tra nazioni. Adam Smith (Kirkcaldy, 5 giugno 1723 Edimburgo, 17 luglio 1790), fondatore della scienza economica, postulava che nel Mercato operasse una mano invisibile, in virtù della quale l'interesse privato si trasformava in interesse collettivo. Nessuno avrebbe potuto fare meglio di quanto facesse per conto suo il mercato, capace di stabilire, in modo continuo, equilibri tra le forze in gioco. L'interazione della domanda e dell'offerta genererebbe, di continuo, prezzi di equilibrio capaci di soddisfare entrambe le parti, garantendo condizioni di pieno impiego. Le politiche economiche liberiste, che al pensiero di Smith si ispirano, tendono quindi a promuovere la rimozione di ogni vincolo al libero dispiegarsi delle forze di mercato e a tracciare un ruolo il più possibile ridotto per lo Stato, il cui comportamento deve essere quello di non intervenire o di intervenire il meno possibile nell'economia, dove devono prevalere gli "spiriti animali". Le posizioni liberiste di Smith sono state successivamente da molti criticate, man mano che si prendeva coscienza che esse richiedono condizioni di mercato che difficilmente si trovano nella realtà. In particolare, in seguito alla grave crisi del 29, molti economisti constatarono l incapacità da parte del mercato di raggiungere da solo il pieno impiego. Infatti, la profonda crisi nei consumi, che caratterizzò quel periodo, portò alla fame una gran parte della popolazione e ciò perché la produzione era ben lontana dal pieno impiego. In questo contesto nasceva la teoria economica di John Maynard Keynes (Cambridge, 5 giugno 1883 Tilton, 21 aprile 1946), destinata ad avere molti sostenitori (sia pure con varie rielaborazioni, soprattutto ad opera dei cosiddetti post-keynesiani). I punti salienti delle osservazioni di Keynes erano i seguenti: l insufficienza della domanda: era, secondo Keynes, il basso livello della spesa per consumi ed investimenti (delle imprese) ad aver causato la crisi del 1929 e l allontanamento del sistema dalla piena occupazione; 4

5 l intervento statale: era evidente la necessità di un intervento statale per uscire dalla crisi e per evitarla in futuro. Si imponeva una manovra pubblica di Politica economica che rialimentasse la domanda di consumo, sia quella dei consumatori, sia quella delle imprese (per i beni d investimento); modalità di intervento: l intervento poteva realizzarsi sia in termini di politica monetaria, sia in termini di politica fiscale. Secondo Keynes la manovra migliore risiedeva in una operazione di politica fiscale, e in particolare, la sua attenzione si concentrava sulla politica di spesa pubblica (ovvero l aumento delle spese dello Stato nel sistema economico, per la costruzione di opere pubbliche, per offrire ai cittadini maggiori servizi d istruzione, di difesa, di assistenza sanitaria, e così via). L aumento della spesa pubblica in economia era per Keynes la manovra di politica economica più efficiente, ai fini del ritorno alla piena occupazione, perché la spesa pubblica costituisce essa stessa una domanda di consumo (proveniente dall apparato pubblico, e non dai cittadini o dalle imprese). Attraverso la spesa pubblica in economia, quindi, lo Stato può aumentare la domanda (aggregata) di beni e la conseguente ripresa dei consumi porta il sistema verso una maggiore occupazione e lontano dalla crisi da insufficienza di domanda. In breve, secondo John Maynard Keynes poiché i sistemi economici non sono sempre in grado di raggiungere l'equilibrio di pieno impiego in modo automatico, anzi è possibile che essi si attestino su posizioni di disequilibrio, determinate da carenze nella domanda aggregata, la politica economica ha il ruolo di stimolare la domanda e permettere di raggiungere il pieno impiego delle risorse. In Italia, uno dei maggiori interpreti del pensiero keynesiano è stato Federico Caffè (Pescara, 6 gennaio 1914 Roma, 15 aprile 1987). Secondo l economista l intervento pubblico in economia è auspicabile, esplicitamente: «Poiché il mercato è una creazione umana, l intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio. Non si può non prendere atto di un recente riflusso neoliberista, ma è difficile individuarvi un apporto intellettuale innovatore.» «...i limiti intrinseci all operare dell economia di mercato, anche nell ipotesi eroica che essa funzioni in condizioni perfettamente concorrenziali. È molto frequente nelle discussioni correnti rilevare un insistenza metodica sui vantaggi operativi del sistema mercato, e magari su tutto ciò che ne intralci lo spontaneo meccanismo, senza alcuna contestuale avvertenza sui connaturali difetti del meccanismo stesso.» DEFINIZIONE TECNICA di Politica Economica Vi sono due definizioni di Politica Economica che possono ricondursi una ad una visione classica e una relativamente moderna. I. Visione classica È dovuta all economista Lionel Robbins (Sipson, 22 novembre 1898 Londra, 15 maggio 1984) che nel 1935 riprese l idea di Jeremy Bentham secondo cui La politica economica è il corpo di principi dell azione o dell inazione del Governo rispetto all attività economica. Laddove l azione è qualunque intervento da parte di un autorità pubblica diretto a influire sui comportamenti degli agenti allo scopo di ottenere determinati risultati economici. 5

6 L azione è la cosiddetta AGENDA di Governo L inazione è la NON AGENDA II. Visione relativamente moderna È stata proposta da Federico Caffè nel 1978, secondo cui la politica economica è quella disciplina che ricerca le regole di condotta tendenti a influire sui fenomeni economici in vista di orientarli in un senso desiderato. «La politica economica è quella parte della scienza economica che usa le conoscenze dell analisi teorica come guida per l azione pratica.» Le due definizioni sono similari in quanto fanno entrambe riferimento a PROGRAMMI DI INTERVENTO che sono definiti Principi dell azione Regole di condotta La definizione di Caffè risulta più completa in quanto indica esplicitamente che i programmi dipendono dagli obiettivi che si desiderano raggiungere. Le due definizioni sono differenti in quanto Nella definizione di Robbins, rientrano nella politica economica anche le decisioni di non intervento, la suddetta non agenda, e quindi risultano scelte programmate non solo le azioni che si devono fare, ma anche quelle che si sceglie di non fare. In questi termini, allora, la politica del lasciare fare al mercato non è la negazione della politica economica, ma solo un modo suo di essere. Nella definizione di Caffè si considerano invece solo le azioni di intervento. Nella definizione di Caffè rientrano nella politica economica sia le decisioni del Governo sia quelle di altri soggetti economici singoli quali consumatori, imprese, sia quelle di altri soggetti economici aggregati come sindacati, confederazioni di produttori che si pongano un problema di strategia. Nella definizione di Robbins invece si parla propriamente di esclusive azioni di Governo. In termini riassuntivi La politica economica studia l azione economica compiuta dall autorità pubblica, in ambito sia macroeconomico che microeconomico. Differenza fra la Politica Economica e l Economia Politica La politica economica differisce dall economia politica perché mentre quest ultima mira allo studio di ciò che è, la politica economica mira allo studio di ciò che dovrebbe essere, o ciò che si desidererebbe fosse.

7 Mentre l economia politica tratta fenomeni nel loro contenuto positivo (ossia riguarda la costruzione di schemi e modelli per spiegare i fenomeni, come ad esempio la disoccupazione), la politica economica analizza fenomeni economici nel loro contenuto NORMATIVO, ovvero individua ed esplicita norme di comportamento per trattare i fenomeni (ad esempio interventi atti a ridurre la disoccupazione). Un esempio di lettura dati per discipline distinte. Fra il 1996 e il 2013 l'italia, tra i 28 paesi dell'unione europea e le 10 principali economie Ocse, è il paese che ha registrato le più basse dinamiche di crescita del PIL pro capite con appena il +2,1%, ben lontano dai principali competitors europei, come Francia (+18%), Spagna (+24,5%), Germania (+25,4%) e Regno Unito (+31,9%). Vi sono tre modi di guardare questi dati: - La Statistica economica si chiede come si costruiscono questi numeri. - L Economia Politica si domanda perché si arriva a questi numeri. - La Politica Economica si interroga su cosa si può fare per cambiare questi numeri. 1.1 Gli attori della politica economica Gli attori coinvolti nei processi decisionali di natura politica sono: il decisore pubblico (o teoricamente il Comitato), il policy maker, e il policy advisor. Essi per affrontare un problema di politica economica definiscono e predispongono modelli economici di riferimento, che vengono identificati nella fase iniziale dal Decisore. I soggetti che propriamente pongono in essere la politica economica sono i: Essi non sono altro che i responsabili della politica economica che perseguono determinati obiettivi sulla scorta dell ideologia del Decisore Pubblico (che può essere il partito di Governo, un capo politico come Mao Zedong, Lenin, un capo religioso come l ayatollah Khomeini, ma anche opinioni di esperti come Bill Gates). L ideologia del Decisore è detta ideologia interna. I policy maker possono essere coadiuvati da Policy advisor, esperti di analisi e calcolo con elevate capacità tecniche. In altri termini, essi sono tecnocrati e consulenti di cui le amministrazioni pubbliche e politiche spesso si dotano per risolvere modelli di politica economica. Per essere più schematici 7

8 Il Decisore Pubblico (Partito di Governo) detta gli obiettivi e il modello economico di riferimento sulla base della propria ideologia Il Policy Maker è il responsabile della messa in atto delle azioni di politica economca sulla base delle linee di governo Il Policy Advisor, tecnico di strategie e fattibilità, risolve i modelli Il policy maker, l autorità di politica economica, può essere vista come un unicum o come un insieme di enti differenti fra loro con compiti specifici. L economista statunitense di origine tedesca Richard Abel Musgrave (Königstein Santa Cruz, California 2007) suggerisce di rappresentare il policy maker come l insieme di tre uffici: allocation, stabilization e distribution buerau, che verranno analizzati successivamente. 1.2 Il programma di politica economica Per fare politica economica bisogna programmare. Un programma include gli OBIETTIVI, GLI STRUMENTI e un MODELLO DI ANALISI. Gli Obiettivi Gli obiettivi sono i traguardi che la politica economica vuole raggiungere. Esempio: portare la disoccupazione ad un livello più basso dell anno precedente, ridurre l evasione fiscale, aumentare il reddito nazionale. Gli obiettivi definiti dal Decisore pubblico e trasmessi al policy maker possono essere FISSI e FLESSIBILI. Sono FISSI gli obiettivi il cui valore è stabilito numericamente. E il caso in cui il governo mirasse a un livello di pieno impiego del 6%, oppure la Banca Centrale mirasse ad un tasso di inflazione del 2%. Sono FLESSIBILI gli obiettivi espressi in modo non strettamente definiti, cioè viene stabilito dal decisore, ad esempio, il raggiungimento di un livello massimo di reddito o un livello minimo di disoccupazione senza identificare numericamente il livello massimo o minimo, viene indicata una funzione obiettivo e un ordinamento delle preferenze sui possibili risultati. 8

9 Naturalmente gli obiettivi possono esprimere: Ideologie conservatrici; Ideologie riformiste; Ideologie rivoluzionarie, sulla base dei programmi di Governo e delle diverse visioni del Mondo. Di conseguenza è chiaro che un problema di politica economica può essere affrontato secondo modelli diversi. Ciò fa sì che alcuni obiettivi politici possono essere in conflitto. Definiti gli obiettivi si predispongono gli strumenti per raggiungere tali obiettivi. Gli Strumenti Gli strumenti sono grandezze che possono essere manovrate dai responsabili di politica economica e influenzare la variabile-obiettivo. Gli strumenti possono essere DIRETTAMENTE MANOVRATI (ad esempio un intervento sulla spesa pubblica G, oppure sulla tassazione T). Per diminuire la disoccupazione, il policy maker può pensare alla realizzazione di grandi opere, aumentando la spesa pubblica così da creare lavoro e perciò conseguire l obiettivo. Oppure INDIRETTAMENTE MANOVRATI (ad esempio incentivando gli Investimenti con politiche ad hoc). Riduzione della pressione fiscale per le imprese in modo da stimolare gli investimenti e quindi l occupazione. Modelli di analisi Per poter raggiungere gli obiettivi attraverso l uso di strumenti appropriati il responsabile di politica si serve di modelli di analisi. Il modello di analisi generalmente è un modello matematico, ossia un insieme di equazioni e disequazioni che dà una rappresentazione semplificata della realtà. I policy makers quindi si servono di un modello dell'economia che metta in relazione gli strumenti e gli obiettivi per poter scegliere i valori ottimali degli strumenti. Ad esempio considerando un modello semplice a cui è applicata l equazione fondamentale della macroeconomia 9

10 Y=C+I+G Se il policy maker ha l obiettivo di raggiungere un determinato reddito Y, conoscendo i consumi C e gli investimenti I, deve agire sulla spesa pubblica G...In questo caso G è lo strumento. Secondo l'economista olandese Jan Tinbergen (L'Aia, 12 aprile 1903 L'Aia, 9 giugno 1994) vi è una condizione necessaria perché un modello di politica economica abbia soluzioni univoche. Tale condizione è nota come regola di Tinbergen o regola aurea della politica economica secondo cui in caso di obiettivi fissi se le autorità di politica economica si propongono di raggiungere n obiettivi, devono poter disporre di almeno n strumenti per avere una determinata soluzione. In breve, la regola di Tinbergen afferma che in un modello economico il numero delle variabiliobiettivo deve essere uguale al numero delle variabili-strumenti. Nel caso in cui tale uguaglianza non fosse realizzata, occorrerà adattare il modello. In particolare: se il numero degli strumenti è superiore al numero degli obiettivi sarà sufficiente lasciar cadere gli strumenti in eccesso. Da un punto di vista matematico, tale situazione comporta infinite possibili soluzioni, con conseguente maggiore libertà d'azione per l'operatore pubblico (al limite si potrà aumentare il numero degli obiettivi); se il numero degli strumenti è inferiore al numero degli obiettivi; ciò significa che con gli strumenti a disposizione non è possibile perseguire tutti gli obiettivi. In tale situazione si dovrà rinunciare ad alcuni obiettivi oppure si dovranno ricercare nuovi strumenti. Naturalmente gli obiettivi di politica economica sono fortemente condizionati dalle ideologie interne tipiche del Decisore/policy maker e quelle incorporate nel modello di riferimento ossia le ideologie esterne. UN PROBLEMA DI POLITICA ECONOMICA E MODELLI ECONOMICI DI RIFERIMENTO Si ipotizzi che l obiettivo del policy maker sia quello di ridurre la disoccupazione giovanile tramite l aumento dell occupazione in proprio, cioè creare imprenditori. Che fare? Il policy maker dovrà adottare una teoria/modello di riferimento, ossia si potrà rifare ad una delle seguenti visioni: Modello di Walras. Prevede che l imprenditore abbia capacità di coordinare l attività produttiva, e quindi gli uomini e i mezzi necessari all attività produttiva. In questo senso la strategia adottabile dal policy maker di ispirazione walrasiana è quella di promuovere la formazione professionale, e attuare quindi interventi in questa direzione. WALRAS => PROMOZIONE DI INTERVENTI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE 10

11 Modello di Knight. L imprenditore è colui che ha una alta propensione al rischio, per cui il policy maker di ispirazione knightiana ha il compito di facilitare l informazione affinchè i soggetti propensi non si sentano bloccati da una difficoltosa e non corretta valutazione dei rischi dell attività. La strategia di politica economica è quindi quella di programmare interventi a livello del sistema informativo. KNIGHT => PROMOZIONE DI INTERVENTI SUL SISTEMA INFORMATIVO Modello di Schumpeter. L imprenditore è colui che ha la capacità di creare. In questo senso il policy maker di ispirazione schumpeteriana dovrebbe agire per stimolare la vocazione all innovazione. SCHUMPETER => PROMOZIONE DI INTERVENTI SULL AMBIENTE SOCIALE Modello di Kalecki. L imprenditore diviene tale grazie alla disponibilità di capitali propri. In quest ottica il policy maker dovrebbe allentare il vincolo al capitale proprio, per cui la sua strategia potrebbe essere quella di organizzare interventi al livello del settore del credito. KALECKI=> PROMOZIONE DI INTERVENTI A LIVELLO DI CREDITO Azioni di Politica Economica Le azioni di politica economica si distinguono in 1) Azioni di breve periodo verso azioni di lungo periodo; 2) Azioni di natura qualitativa verso azioni quantitative. Il criterio alla base della prima distinzione fa riferimento alla prospettiva temporale in cui si colloca l azione del policy maker e questa è dettata - dagli obiettivi che si pone; - dai tempi di efficacia degli strumenti che usa. La distinzione fra la politica economica qualitativa e quantitativa fa riferimento: -alla natura degli interventi attuati -alla rilevanza delle modificazioni strutturali prodotte. La politica economica qualitativa fa riferimento ad interventi che comportano mutamenti nella struttura del sistema. La politica delle riforme è l espressione più compiuta di politica economica qualitativa, essa include scelte di privatizzazioni di un industria, scelte di federalismo fiscale, l'istituzione di un monopolio legale, la modifica del sistema di voto ecc. che determina ripercussioni profonde nel sistema economico e sociale, modificando a volte gli stessi modelli di comportamento degli agenti economici e il quadro istituzionale. La politica delle riforme, che comportano mutamenti nella struttura del sistema e nel suo assetto istituzionale, si accompagnano inevitabilmente a cambiamenti nei rapporti di potere tra gruppi e classi, e perciò anche nei sistemi di valori accettati dalla collettività e negli obiettivi ultimi perseguiti. 11

12 I Governi generalmente utilizzano con più frequenza provvedimenti di politica economica quantitativa, che consistono nella modifica dei valori degli strumenti normalmente in funzione nel sistema economico (per esempio le aliquote fiscali, la spesa pubblica, la quota di riserve obbligatorie, il tasso di rifinanziamento agli istituti di credito) per raggiungere determinati obiettivi. 1.3 La tipologia di politica economica Gli interventi di politica economica possono essere di natura microeconomica e macroeconomica. In ambito macroeconomico si individuano: POLITICA FISCALE POLITICA MONETARIA POLITICA COMMERCIALE In ambito microeconomico si individuano: POLITICHE REGIONALI POLITICHE INDUSTRIALI POLITICHE TURISTICHE POLITICHE ANTITRUST POLITICA FISCALE POLITICA FISCALE ossia l insieme delle misure concernenti le entrate e le spese del settore pubblico. In termini più specifici la politica fiscale è la linea di azione adottata dal governo riguardo l'entità della spesa pubblica per beni e servizi, l'ammontare dei trasferimenti e il sistema fiscale. Le variabili manovrabili dallo Stato sono: G = spesa pubblica TR = trasferimenti (quota di denaro che lo Stato eroga gratuitamente a vario titolo alle famiglie) t*y = T = imposte riscosse (dato da una aliquota t calcolata sul reddito Y). Con queste tre variabili si può, inoltre, evidenziare la composizione del bilancio di uno Stato (BS): BS = T (G + TR) e come si può agire. In generale possiamo affermare che le manovre attuabili dallo Stato sono di due tipi: manovre espansive e manovre restrittive. Una manovra espansiva consiste nell'aumento della spesa pubblica o dei trasferimenti, oppure in una riduzione delle imposte. Tale manovra, come risulta evidente, può generare un disavanzo nel bilancio dello Stato. Una manovra restrittiva invece, consiste nella riduzione della spesa pubblica o dei trasferimenti, oppure in un aumento delle imposte. 12

13 POLITICA MONETARIA La politica monetaria è l'insieme degli strumenti, degli obiettivi e degli interventi, adottati dalla Banca Centrale per modificare e orientare la moneta, il credito e la finanza, al fine di raggiungere obiettivi prefissati di politica economica, di cui la politica monetaria fa parte. La politica monetaria assume il compito di garantire la stabilità dei prezzi interni ed esterni. Tale obiettivo non può essere raggiunto attraverso il controllo diretto dei prezzi, ma con operazioni che, influendo sulla domanda e l'offerta di beni e servizi, spinga i prezzi nella direzione desiderata. In particolare se il problema da affrontare è l'eccessivo aumento dei prezzi, il compito della politica monetaria è di rallentare le dinamiche della domanda in modo da contenere l'aumento dei prezzi nei limiti desiderati. Poiché le autorità monetarie non possono influenzare direttamente gli obiettivi finali (crescita del PIL, inflazione, tassi di cambio) devono puntare a raggiungere obiettivi intermedi (tassi di interesse, circolazione monetaria espressa attraverso gli aggregati monetari) che a loro volta influenzano gli obiettivi finali. Per raggiungere tali obiettivi, le banche centrali, cui viene affidata solitamente la politica monetaria, compiono operazioni di mercato aperto che, attraverso la compravendita di titoli, modificano i tassi di interesse. A loro volta le modifiche dei tassi influiscono sulla domanda e l'offerta di moneta e credito e per questa via, sulla domanda e l'offerta di beni e servizi. Le banche centrali possono poi influire sulla riserva obbligatoria e sul tasso di sconto che, attraverso il meccanismo del rifinanziamento delle banche, serve a regolare il credito concesso dalle banche alla clientela. Si definisce espansiva una politica monetaria che, attraverso la riduzione dei tassi di interesse, voglia stimolare l'offerta di moneta delle banche alle imprese, e quindi gli investimenti e la produzione di beni e servizi. Al contrario si definisce restrittiva una politica monetaria che, attraverso l'aumento dei tassi di interesse, riduca l'offerta di moneta e quindi renda meno conveniente investire e produrre. Le politiche monetarie restrittive hanno l'obiettivo di ridurre l'inflazione, o far calare il disavanzo pubblico, facendo rallentare la crescita dell'economia. POLITICA COMMERCIALE 13

14 Le politiche commerciali sono realizzate per intervenire e influenzare il commercio internazionale e generalmente agiscono nelle relazioni commerciali fra Paesi. Esse possono essere poste in essere o da singoli Governi dei Paesi o da gruppi di Paesi in concerto. Per esempio, a livello europeo vi è un unica politica commerciale, mentre la Cina, Stati Uniti, Canada gestiscono singolarmente la propria politica. Fra gli strumenti di politica commerciale vi sono: Accordi bilaterali/multilaterali per stimolare il commercio Dazi Sussidi Quote Standard sanitari e fitosanitari. A livello europeo la politica commerciale comune costituisce uno dei principali strumenti delle relazioni esterne dell'unione europea. Tale politica rientra nella sfera di competenza esclusiva della Comunità (articolo 133 del trattato che istituisce la Comunità europea). Essa costituisce la contropartita dell'unione doganale fra gli Stati membri. La politica commerciale comune implica una gestione uniforme delle relazioni commerciali con i paesi terzi, segnatamente tramite una tariffa doganale comune e tramite regimi comuni che regolano le importazioni e le esportazioni. La Comunità persegue l'eliminazione delle restrizioni agli scambi, nonché delle barriere doganali. Per proteggere il mercato comunitario, la Comunità dispone di strumenti quali le misure antidumping e antisovvenzioni, il regolamento sugli ostacoli al commercio e le misure di salvaguardia. La Commissione negozia e conclude accordi internazionali a nome della Comunità nel quadro delle sue relazioni bilaterali e multilaterali. Essa partecipa attivamente all'organizzazione mondiale del commercio. L'Unione europea sostiene un commercio liberalizzato, equilibrato e favorevole agli interessi di tutti gli operatori internazionali e in particolare dei paesi meno favoriti. In tal senso, le misure preferenziali generali e specifiche in favore di questi ultimi costituiscono un aspetto importante della politica commerciale comune. In ambito microeconomico si individuano: POLITICHE REGIONALI, POLITICHE INDUSTRIALI, POLITICHE TURISTICHE, POLITICHE ANTITRUST. POLITICHE REGIONALI Sono politiche che hanno come obiettivo la redistribuzione geografica del reddito fra le aree territoriali di una economia. Esse quindi mirano a ridurre gli squilibri di quelle economie cosiddette duali, quali l Italia che si caratterizza per il forte divario in termini economici, di occupazione, produzione e reddito fra il Nord e il Mezzogiorno, divario che si è andato sviluppando già con l Unità d Italia. Altri esempi di economie duali sono la Germania con i Länder dell Est e dell Ovest, il Regno Unito con la questione del Nord (povero) e Sud (ricco). Le politiche regionali possono essere stabilite a livello nazionale e locale. POLITICHE INDUSTRIALI 14

15 La Politica Industriale è intesa come un complesso di interventi più o meno coerenti nel settore secondario. L Obiettivo della politica industriale è quello di creare le condizioni affinché la produzione possa essere realizzata con costi competitivi in modo da soddisfare la domanda sia interna sia estera. Le forme di intervento sono di tipo settoriale, possono incidere sulle forme dei mercati, sulle relazioni con i sindacati, sulle componenti dei costi, e della domanda pubblica, con nuove tecnologie per assicurare una maggiore competitività dei prodotti. Un sostegno alla politica industriale si attua mediante le agevolazioni creditizie destinate alle produzioni nel settore industriale o in particolari aree geografiche del Paese; ci sono anche altre forme di sostegno della produzione, come le commesse pubbliche e le agevolazioni fiscali. L industria include i sottosettori: Manifatturiero; delle Costruzioni; Energia (nucleare, eolica, gas) Le politiche realizzate nel settore industriale spesso mirano a rafforzare determinati settori, ad esempio, in Italia, sono state sostenute soprattutto le industrie automobilistiche. Possiamo distinguere 3 fasi distinte nel comportamento dei governi riguardo alla Politica industriale, dovute al mutamento delle regole del commercio tra i singoli paesi e della progressiva globalizzazione dell economia. Fase 1) La politica industriale nazionale (tradizionale) dal dopoguerra ai primi anni Ottanta. Gli stati nazionali intervenivano in sostituzione o opposizione al mercato favorendo specifici settori produttivi attraverso politiche interventiste attive. L obiettivo principale era l aumento della competitività internazionale attraverso i campioni nazionali. Con le crisi degli anni Settanta gli scopi diventarono soprattutto difensivi. Nella fase 1 gli strumenti di politica economica variarono a seconda del paese: gli Stati Uniti ad esempio usarono la domanda pubblica protezionistica; il Giappone adottò la pratica del piano settoriale; l Europa si servì soprattutto di sussidi alle imprese. Fase 2) La politica industriale come politica di aggiustamento strutturale (dall inizio degli anni 80 all inizio dei 90) lo Stato interviene assecondando il mercato senza sostituirlo. Si mantengono gli scopi difensivi con l attuazione di politiche di sostegno per i settori in declino. In Italia si punta alla politica per la concorrenza. In Inghilterra cominciano processi di deregolamentazione e privatizzazioni. Fase 3) La Politica Industriale come garanzia di condizioni-quadro inizia con l avvio del Mercato Unico Europeo e la trasformazione della Comunità in Unione Europea, e la nascita del World Trade Organization. La UE resta la sola organizzazione dotata di poteri di intervento sia nella politica per la concorrenza sia nella politica industriale. La Commissione europea presenta una politica industriale al fine di realizzare un quadro più adeguato per l'industria europea. La realizzazione di una base industriale solida e dinamica favorisce la crescita dell'unione europea e sostiene la sua leadership tecnologica ed economica in un contesto di globalizzazione crescente. 15

16 POLITICHE TURISTICHE Le politiche turistiche sono le politiche economiche volte alla valorizzazione e promozione del settore del turismo. Quest ultimo rientra nel settore terziario o dei servizi. In generale, le economie più ricche mostrano forti processi di terziarizzazione: l apporto dell agricoltura e dell industria si è ridotto a fronte di un incremento del settore dei servizi. È interessante analizzare il contributo percentuale dei tre settori economici agricoltura, industria e servizi alla formazione del PIL italiano. La seguente figura evidenzia che, in Italia il settore dei servizi registra le quote più elevate. Composizione percentuale dei settori alla formazione del PIL italiano. Fonte: ISTAT, 2009 POLITICHE ANTITRUST Le politiche antitrust sono quelle politiche economiche volte a combattere accordi e intese fra imprese finalizzati a limitare la concorrenza; contrastare gli abusi di posizioni dominanti; impedire acquisizioni e fusioni di imprese che determinerebbero minore concorrenza. Le prime politiche antitrust vennero attuate negli USA, con il noto Sherman Antitrust Act del Successivamente, la normativa antitrust si diffuse in Europa e precisamente nel 1957 in Germania, nel 1968 nel Regno Unito, nel 1977 in Francia e nel 1990 in Italia con l istituzione dell Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato. Perché la politica antitrust in Europa nasce in ritardo rispetto agli USA? Per due motivi: A fine Ottocento, sia gli USA che i Paesi europei iniziano a sperimentare processi di industrializzazione pesante, con episodi di concentrazione industriale e con la nascita di cartelli industriali. Gli USA e i Paesi europei scelgono di seguire due strade di intervento correttivo differenti: - Negli USA lo Stato ricopre un ruolo di arbitro, quindi non era direttamente presente nel mercato, ma lo sorvegliava dall esterno e lo svolgimento di tale compito si ripercosse sull attuazione delle normative antitrust. - Le Autorità di politica economica europee scelsero invece di fare intervenire direttamente lo Stato nel mercato, soprattutto incidendo sull offerta, lo Stato, quindi, 16

17 esercitava il ruolo di giocatore ; il ruolo interventista dello Stato portò alla creazione di monopoli pubblici, il cui esercizio, almeno in astratto, si ispirava più all ottimizzazione del benessere sociale, che a quella del profitto. Ciò portava l Autorità di politica economica a disinteressarsi delle normative antitrust. L economia statunitense era chiusa e poco propensa agli scambi internazionali, mentre in Europa gli scambi con l estero erano frequenti ed avevano come conseguenza una spiccata concorrenzialità, il che escludeva fisiologicamente la necessità di norme esterne. 1.4 Il settore turistico Il turismo è un settore in piena espansione, con un tasso di crescita mondiale superiore al 10% annuo. Attualmente, il volume d'affari del turismo è pari o addirittura superiore a quello delle esportazioni di petrolio, prodotti alimentari e automobili (WTO, 2015). Il turismo è diventato uno dei principali attori del commercio internazionale, e rappresenta al tempo stesso una delle principali fonti di reddito per molti paesi in via di sviluppo. Questa crescita va di pari passo con una crescente diversificazione e concorrenza tra le destinazioni. La diffusione globale del turismo in paesi industrializzati e sviluppati ha prodotto benefici economici e occupazionali in molti settori correlati dal settore delle costruzioni all'agricoltura o delle telecomunicazioni. Al livello globale il settore turistico contribuisce al 9% del Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale e al 6% delle esportazioni mondiali. Inoltre il contributo settoriale all occupazione è rilevante. Figura 1 Contributo del settore turistico, 2013 I flussi turistici possono essere analizzati alla luce degli arrivi, delle presenze straniere e delle entrate valutarie. Per arrivi turistici si intende il numero di turisti che giungono ad una data destinazione. Le presenze sono il numero di pernottamenti in una certa località, ad esempio se un turista pernotta a Barcellona una settimana, verrà registrato come 1 arrivo e 7 presenze. Le entrate valutarie sono gli introiti monetari generati dal turista in quella data località di soggiorno. 17

18 Se si analizza la seguente tabella si possono dedurre le principali mete di destinazione turistiche mondiali per arrivi ed introiti. I dati sono forniti dal World Tourism Organization (WTO), un organizzazione che si preoccupa di monitorare il turismo a livello globale. Tabella 1 Principali destinazioni del turismo internazionale Rank Arrivi internazionali (milioni) Introiti (miliardi di US$) Paesi var. % Paesi var. % moneta locale 1 Francia 83,1 84,7 2,0 USA 161,2 173,1 7,4 2 USA 66,7 69,8 4,7 Spagna 58,2 62,6 4,1 3 Spagna 57,5 60,7 5,6 Francia 53,7 56,7 2,1 4 Cina 57,7 55,7-3,5 Cina 50,0 51,7 3,3 5 Italia 46,4 47,7 2,9 Macao 43,7 51,6 18,1 (Cina) 6 Turchia 35,7 37,8 5,9 Italia 41,2 43,9 3,1 7 Germania 30,4 31,5 3,7 Tailandia 33,8 42,1 23,1 8 UK 29,3 31,2 6,4 Germania 38,1 41,2 4,5 9 Russia 25,7 28,4 10,2 UK 36,6 41,0 13,2 10 Tailandia 22,4 26,5 18,8 Hong Kong (Cina) Fonti: UNWTO World Tourism Barometer - December 2014, ENIT ,1 38,9 17,7 Dalla tabella risulta che le principali mete turistiche sono la Francia, gli Stati Uniti e la Spagna. Nella quinta colonna (var.%) si rilevano i mutamenti dei flussi turistici registratisi nel corso degli anni, questi vengono determinati ricorrendo ai numeri indici. Se si indicano con T t e T t-1 gli arrivi turistici rispettivamente nell anno t e nell anno t-1, la variazione percentuale negli arrivi nell arco temporale t e t-1 è data da: % negli arrivi T T t T t 1 t Fra il 2012 e il 2013 il Paese che ha maggiormente subito una contrazione negli arrivi è stata la Cina con un calo del 3,5%. La Tailandia e la Russia invece hanno segnato le migliori performance con incrementi superiori al 18 e al 10% rispettivamente. L andamento dei flussi turistici è influenzato da fattori politici, economici, strutturali e naturali. A proposito, basta ricordare l impatto negativo conseguente alla crisi economico finanziaria del 2008, allo Szunami e all uragano Katrina del Anche il deprezzamento del dollaro nel 2013 ha avuto un impatto positivo per l economia americana. Infine, il fattore moda influisce tantissimo sulle scelte del turista, certe mete perdono di appeal, per cui vedono ridurre l afflusso di vacanzieri. 1.5 Il settore turistico in Italia Per quanto riguarda l Italia, sul versante dei flussi turistici stranieri i dati Istat (2015) indicano che la stagione 2013 mostra una crescita di arrivi internazionali che hanno raggiunto quota 50,3 milioni con un incremento del 3,1% rispetto al 2012; positivo anche l andamento dei pernottamenti pari a 184,8 milioni (+2,3%). Nei primi 9 mesi del 2014, sempre secondo i dati Istat, si registra una sostanziale stabilità del turismo straniero: arrivi +0,1%, presenze -0,4%. 18

19 Tabella 2 Flussi turistici in Italia Anno Arrivi Presenze Permanenza Variazione media % arrivi ,9-2,5-1,0 Variazione % presenze ,9-1,6-1, ,8 6,5 3, ,7 8,4 6, ,7 2,7 2,3 2013* ,7 3,1 2,3 gen-set 2014* ,8 0,1-0,4 Fonte: Istat; * dati provvisori Analizzando i dati relativi alle presenze straniere in Italia per segmento/motivazione della vacanza, emerge chiaramente il forte interesse per le città d arte (33%) che costituiscono sui mercati esteri il punto di forza della destinazione Italia; seguono mare, laghi e montagna. Figura 2 Presenze degli stranieri in Italia per tipologia di località, 2013 Città di interesse storico e artistico Località marine Località lacuali Località montane Località collinari e di interesse vario Località termali Altre località Fonte: ENIT, 2015 Nel 2013, la spesa media dei viaggiatori stranieri in Italia si è attestata a circa 103. Tabella 3 Spesa giornaliera pro-capite dei viaggiatori stranieri ,67 91,76 93,87 94,38 97,78 102,77 Fonte: elaborazione ENIT su dati Banca d'italia, 2015 L impatto economico del settore turistico in Italia nel 2013 sulla base delle stime del World Travel & Tourism Economic Impact può essere così sintetizzato: economia viaggi e turismo: 159,6 miliardi di euro (impatto dell economia allargata del settore turistico sul Prodotto Interno Lordo) incidenza sul Pil: 10,3% occupazione turistica: unità (occupati diretti e indiretti) incidenza sull intera occupazione nazionale: 11,6%. 19

20 1.6 Elementi critici per una politica del turismo in Italia Sebbene il settore turistico rivesta un ruolo di primo piano a livello mondiale, esso appare poco valorizzato all interno del nostro Paese. Sono state individuate alcune criticità del settore turistico italiano che dovrebbero essere superate, con l ausilio di opportune politiche economiche e di promozione. Le criticità si riferiscono agli assets del Paese dal punto di vista turistico, distinti tra asset permanenti e asset temporanei, dove per permanenti si intendono le aree italiane con prestigio e notorietà riconosciute (asset religiosi, naturalistici, enogastronomici e artistico-culturali) e per temporanei, invece, si intendono il posizionamento attuale del Paese (per esempio, lifestyle e moda), il contesto politico-sociale e i grandi eventi o manifestazioni che in esso hanno luogo. Figura 3 Quadro dell Italia: Aree di forza e criticità del settore turistico Di seguito viene riportato l insieme delle criticità emerse, raggruppate per singola leva di intervento. a) Governance del Turismo Si tratta della principale debolezza che tutti gli operatori del settore segnalano. Manca una governance centrale forte, necessaria per creare occasioni in un settore trasversale. Gli operatori del settore segnalano: la marginalità del settore turistico nella politica di sviluppo del Paese e frammentazione della catena decisionale tra Governo e autorità regionali /provinciali /comunali. Ministro senza portafoglio, con poche leve e risorse economiche necessarie per guidare in modo efficace lo sviluppo del turismo. la scarsa capacità di incidere dell offerta locale nella competizione globale. la mancanza di una base di dati affidabile e rapidamente aggiornata dei dati sul Turismo. la difficoltà di monitoraggio delle azioni in corso (o da lanciare), degli investimenti e della spesa legata allo sviluppo del Turismo. 20

21 b) Comunicazione e promozione Ruolo dell Agenzia Nazionale del Turismo (ENIT) insufficiente. Assenza di una promozione coordinata a livello di Sistema Italia. Mancanza di una strategia digitale del Paese per il Turismo. Assenza di una Direzione commerciale Italia che si occupi di definire le priorità e sviluppare i prodotti chiave (supporto alle Regioni nella progettazione dei prodotti, anche interregionali, e nella definizione dei target economici che si devono raggiungere). Utilizzo insufficiente del cinema internazionale per promuovere il turismo in Italia nei Paesi che conoscono meno la cultura italiana. Passività nella comunicazione e nelle Public Relations. c) Canali di vendita Utilizzo insufficiente dei canali di vendita digitali. Assenza di accordi strutturati a livello Paese con tour operator outbound internazionali. Disomogeneità tra i sistemi di rating degli hotel (es., il sistema stelle ). d) Offerta prodotti Mancanza di coordinamento centrale nei confronti delle Regioni sui prodotti da sviluppare e da promuovere sui segmenti prioritari della domanda. Assenza di un piano o di una spinta centrale per quanto riguarda la strutturazione e la promozione di un calendario eventi a supporto del turismo. Assenza di APP di servizio per smartphone/tablet rivolte a turisti stranieri. Assenza di priorità e di focus su prodotti/poli turistici da sviluppare e offerta non allineata ai bisogni dei segmenti target. Patrimonio culturale poco valorizzato sia a fini turistici (numero di visitatori) sia in termini economici (ricavi per singolo turista) rispetto a tutti i benchmark internazionali. Mancanza di innovazione nei prodotti turistici. e) Ricettivo Alta incidenza di strutture antiquate e obsolete. Qualità e standard molto variabili e bassa affidabilità dei sistemi di classificazione. f) Trasporti e infrastrutture Debolezza delle infrastrutture necessarie ad accogliere i crescenti flussi turistici in arrivo nei prossimi dieci anni nelle "4 Città Top" (Roma, Venezia, Milano, Firenze). Collegamenti "ultimo miglio" tra aeroporto e destinazione finale (es. Qualità treno Fiumicino, lentezza treno Malpensa, assenza metro a Linate, ecc.) inadeguati agli standard dei turisti internazionali, in particolare di livello medio alto. Quantità di voli diretti con i Paesi in forte crescita nettamente inferiore rispetto ai Paesi competitor (Germania, Francia, Spagna, UK, ecc.), sia per quanto riguarda le compagnie aeree nazionali, sia per quanto riguarda compagnie straniere. Quantità di voli low-cost verso l'europa inferiore rispetto ai concorrenti. Infrastruttura ferroviaria di qualità focalizzata solo sull asse TO-SA. 21

22 g) Formazione e competenze Carenza di scuole professionali di livello per Direttori e management del Turismo (es. École Hôtelière de Lausanne). Livello degli istituti professionali per il Turismo non adeguato alle necessità del settore. Come effetto combinato: professionalità in calo, con impatti negativi sui viaggiatori internazionali. h) Investimenti Bassa fiducia degli investitori nei confronti del partner Italia. Pressione fiscale e difficile accesso al credito determinano un potenziale freno allo sviluppo degli investimenti nel settore da parte delle imprese esistenti. Assenza di un approccio strutturato e di coordinamento per attrarre investimenti turistici, sia italiani sia esteri. i) Assetto normativo Burocrazia percepita come ostacolo allo sviluppo di nuovi poli turistici. Elevata burocrazia per la gestione operativa delle imprese turistiche. Peso della fiscalità non coerente con ottica di sviluppo del turismo (ad esempio, penalizzazione derivante dalle aliquote Iva disallineate a quelle dei competitor). Assenza di meccanismi efficaci per favorire la creazione di Reti d'impresa seppur in presenza di fenomeni di aggregazioni spontanee. Queste nove aree rappresentano criticità alle quali è necessario dedicare la massima attenzione in termini di politiche di sviluppo del turismo al fine di porre in essere un insieme coordinato di azioni volto a riqualificare l offerta turistica italiana nel suo insieme. 22

23 CAPITOLO II PRODUZIONE & REDDITO 2 Introduzione "Il prossimo anno sarà decisivo per l economia. E la direzione in cui essa andrà dipenderà in modo cruciale dalla politica. Sono un convinto liberista e so che non sono i governi che possono determinare da soli la crescita economica. Ma vi sono fasi della storia in cui i mercati aspettano segnali dalla politica e l anno che si apre non permetterà alla politica di seguire il detto inglese wait and see. Questo vale sul piano globale, sul piano europeo e sul piano nazionale". Inizia così il lungo intervento del ministro italiano della Pubblica Amministrazione, pubblicato su Il Sole 24Ore nel Con l agenda internazionale attualmente in discussione si mira a dare ai mercati i segnali attesi e a conseguire i due obiettivi principali. Il primo e il consolidamento fiscale, e cioè come assicurare la convergenza rapida dei paesi europei verso una politica di bilancio che consenta la sostenibilità di lungo periodo dei debiti pubblici e l equilibrio macroeconomico. In discussione vi è una nuova regola europea diretta ad accelerare il processo di riduzione del debito e che prevede un obiettivo annuale di riduzione del rapporto debito/pil pari al 5 per cento del divario di questo rapporto dal valore di riferimento del 60 per cento. Il secondo obiettivo e quello di poter attuare politiche di sostegno alla crescita economica non basate sulla spesa in deficit, ma evitando politiche fortemente deflattive e con gli spazi necessari ad attuare le riforme necessarie ad aumentare la competitività dell Europa nel suo complesso e dei singoli paesi membri. Fra gli obiettivi più importanti di politica economica vi sono gli interventi per favorire crescita e sviluppo. Il concetto di crescita è un concetto essenzialmente quantitativo: con questa parola si designa il processo di aumento del reddito nazionale di un Paese. Il concetto di sviluppo è più esteso e necessita di importanti qualificazioni relativamente ad altri aspetti del cambiamento dell economia e della società, quali la distribuzione del reddito, le condizioni di vita, la speranza di vita, il grado di istruzione ed altro. Può esserci crescita senza sviluppo. Quando si parla di crescita del reddito si sostiene, in genere, che le politiche pubbliche dovrebbero mirare ad aumentare il tasso di crescita dell'economia, ma lo stesso tasso di crescita può essere associato a distribuzioni del reddito fra la popolazione molto diverse fra loro. Possiamo esimerci dal formulare un giudizio sulla preferibilità dell'una o dell'altra? 23

24 Indicatori di Crescita e di Sviluppo Il principale indicatore del livello di crescita raggiunto da un economia è il prodotto interno lordo (PIL) e più specificatamente il PIL pro capite. Il ritmo di crescita è misurato dal tasso annuo di variazione del PIL. Il livello dello sviluppo è solitamente analizzato integrando gli indicatori precedenti con altri indicatori qualitativi. L indicatore sintetico di sviluppo più utilizzato e diffuso è l Indice di Sviluppo Umano elaborato dall ONU. Nel prossimo paragrafo si procederà con l analisi del PIL per individuare il livello di crescita e il ritmo di crescita economica di un Paese per poi identificare gli strumenti di politica economica che lo influenzano. Infine si passerà in rassegna l indicatore sintetico del livello di sviluppo. 2.1 Il Prodotto interno lordo Una delle variabili macroeconomiche che rende in maniera più immediata l attività economica di un paese è il PIL, prodotto interno lordo. Il PIL è interno in quanto comprende il valore dei beni e servizi prodotti all'interno in un paese, indipendentemente dalla nazionalità di chi li produce. È lordo perché include gli ammortamenti (cioè la misura del deprezzamento dello stock di capitale). Se dal PIL vengono esclusi gli ammortamenti, cioè si tiene conto del deprezzamento, si parla di prodotto interno netto (PIN). In breve PIN=PIL-ammortamenti. Il PIL può essere riferito all intero sistema economico, si parla di PIL complessivo, oppure può essere riferito ai singoli individui, in questo caso si parla di PIL in termini pro-capite (questo è calcolato dividendo il PIL per il numero di abitanti). Il PIL complessivo esprime la misura della ricchezza nazionale, il PIL pro-capite misura, invece, la ricchezza individuale e permette di quantificare il tenore di vita di un dato paese. Se il PIL complessivo cresce a un tasso superiore a quello della popolazione, il tenore di vita del paese (e quindi il PIL pro-capite) registra un miglioramento, e viceversa. In altri termini, il prodotto interno lordo è il parametro più frequentemente utilizzato per stimare le dimensioni globali di un'economia, mentre indicatori derivati quali il PIL pro-capite sono ampiamente impiegati per comparare i tenori di vita o per monitorare il processo di convergenza nell'unione europea (UE). Per confrontare i tenori di vita tra i diversi paesi, si può pensare di convertire il PIL pro capite in un unica valuta, per esempio esprimere tutto in dollari statunitensi. In altri termini significherebbe utilizzare i tassi di cambio correnti per esprimere tutto in una valuta internazionale come ad esempio il dollaro americano e poi procedere alla comparazione. Questo metodo, tuttavia, non tiene conto delle differenze del costo della vita nei vari paesi, (ad esempio il prezzo di un abitazione di uguali caratteristiche non è lo stesso fra i diversi paesi, così il prezzo per un taglio di capelli in India è molto differente da quelli registrati in Italia o in Inghilterra) per cui molti economisti ritengono opportuno tener conto dei prezzi interni di ciascun paese; quando ciò viene fatto il PIL pro capite si dice che viene espresso in termini di parità dei poteri d acquisto, o semplicemente PIL alla PPP ( purchasing power parity ). I calcoli basati sulla PPP sono misure più ragionevoli che cercano di trasformare una valuta in un altra a un tasso che preservi il potere d acquisto medio e quindi tenga conto anche dell inflazione 1. La parità dei poteri d acquisto, in altri termini, è un indicatore che elimina le differenze fra Paesi nel livello generale dei prezzi permettendo confronti in volume del Prodotto interno lordo. Il PIL pro capite alla PPP dà quindi una valutazione del tenore di vita di un paese più rappresentativa rispetto al semplice PIL pro capite ai tassi di cambio corrente. In base a dati relativi al 2013, il PIL pro capite italiano alla PPP è di $, quello della Germania di In termini analitici la parità dei poteri di acquisto si calcola PPP 2015 = tasso di cambio 2015 *(indice prezzo paese A/ indice prezzo paese B). 24

25 $, quello statunitense di $. Le significative differenze di reddito fra le economie mondiali riflettono differenze di produttività (efficienza); quest ultima è definita come il rapporto fra la produzione o PIL e il numero di lavoratori occupati. Nella seguente tabella è riportato un confronto del reddito pro-capite lordo (PIL pro capite) valutato alla parità dei poteri d acquisto per alcuni Paesi dell Unione Europea ed extra area Europea. Figura 4 PIL pro-capite alla PPP, 2013 in dollari Fonte: FMI, 2013 Box 1. Esempio, parità dei poteri di acquisto «PPP, chi era costui?», avrebbe detto don Abbondio. Ma ai suoi tempi le parità di potere d'acquisto non esistevano. O, per meglio dire, avevano un'esistenza virtuale, nel senso che la realtà statistica esisteva, e sarebbe stato anche interessante indagarla, quando l'italia era divisa in vari Stati con varie monete. Allora, che cos'è la PPP? Il concetto è semplice. Supponiamo di dover confrontare lo stipendio di due postini, uno che vive a Milano e uno che vive a Matera. Lo stipendio è eguale, ma i prezzi a Milano sono più alti che a Matera. Quindi lo stipendio del postino lucano ha più potere d'acquisto di quello del postino milanese. Insomma, quando si confrontano due quantità monetarie bisogna tenere conto di quello che si può comprare con quei soldi, indipendentemente dal livello nominale dei redditi. Lo stesso principio vale per il confronto fra i redditi medi Pil pro-capite di due diversi Paesi. Traducendo la moneta del Botswana in euro, si vede che i redditi medi di quel Paese povero sono, mettiamo, un ventesimo di quelli della Germania. Vuol dire che anche il potere d'acquisto degli abitanti del Botswana è un ventesimo di quello dei tedeschi? No, perché in quel Paese africano la roba costa di meno. Quindi, per fare un vero confronto bisogna adottare un particolare tasso di cambio, diverso da quello di mercato: un cambio che prenda in conto la diversità del livello dei prezzi nei diversi Paesi. Per fare questo bisogna rilevare i prezzi in moneta locale nei diversi Paesi e usare poi le quattro operazioni per calcolare questi particolari tassi di cambio: appunto, le parità di potere d'acquisto. Glossario Sole24 25

26 2.2 Definizioni e metodi di misurazione del PIL In economia per analizzare lo stato di salute di un Paese, il primo passo da fare è misurare il prodotto interno lordo. Esistono quattro modi equivalenti di definire e misurare il Pil di una economia: 1. Secondo il metodo del prodotto, il PIL è il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali nuovi prodotti in un paese in un dato periodo di tempo, generalmente l anno o il trimestre 2. Sulla base del metodo del valore aggiunto, il PIL è la somma dei valori aggiunti in una economia in un dato spazio temporale 3. Secondo il metodo del reddito, il PIL è la somma dei redditi dell economia in un dato periodo di tempo 4. Usando il metodo della spesa, il PIL è la somma della spesa aggregata dell economia in un dato arco di tempo. Il metodo del prodotto Si analizzi la prima definizione: Il PIL è il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali nuovi prodotti in un paese in un dato periodo di tempo. Per valore di mercato si intende il valore dei beni e i servizi misurato ai prezzi di mercato, cioè ai prezzi a cui i prodotti vengono venduti sui mercati. Il vantaggio di utilizzare il valore di mercato è che esso permette di sommare beni e servizi eterogenei. Si immagini di voler misurare il prodotto di una economia che produce scooter e panini, i cui prezzi medi sono euro per ogni scooter e 1 euro a panino, il valore del PIL ammonta a: 3.000* *1= euro Ossia il PIL è il risultato della somma del prodotto fra il prezzo dei beni e servizi (P), e la quantità di essi scambiata (Q). Il PIL include beni e servizi nuovi, vale a dire prodotti nel periodo considerato, e finali, ossia quelli ottenuti nella fase terminale del processo produttivo. Le brioches vendute da un bar sono beni finali, e vengono contabilizzati nel PIL; la farina, il lievito e il burro impiegati per fare le brioches sono beni intermedi e per questo non inclusi nel calcolo del PIL. Box 2. Esempio, beni finali e beni intermedi Si supponga che un allevatore di bovini venda una mozzarella a Pizza Hut per 1 euro e che questa venda una pizza a 4 euro. Il computo del PIL dovrebbe includere sia la mozzarella che la pizza per un totale di 5 euro o solo la pizza per 4 euro? Nel calcolo del PIL secondo il metodo del prodotto vengono inclusi solo i beni e servizi finali, quindi viene considerata esclusivamente la pizza e non la mozzarella: il PIL aumenta di 4 euro e non di 5 euro, perché il valore del bene 26

27 intermedio è già compreso nel prezzo di mercato del bene finale che ha concorso a produrre. Aggiungere il valore del bene intermedio a quello finale significherebbe effettuare una doppia contabilizzazione, cioè calcolare due volte il valore della mozzarella. I beni e servizi devono essere prodotti all interno del paese per essere contabilizzati nel PIL di quel paese. Il PIL italiano misura tutto ciò che è prodotto in Italia, sia da italiani che da soggetti stranieri. Dal PIL italiano viene invece, escluso quello che è prodotto da soggetti italiani all estero. Ad esempio mentre il valore di mercato dei servizi venduti dal Club Med (multinazionale francese) in Italia rientra nel calcolo del PIL italiano, il valore di mercato dei beni prodotti da un italiano che ha una pasticceria in Francia, viene contabilizzato nel PIL francese. Accanto al PIL esiste un altra variabile che permette di misurare la ricchezza nazionale e che viene adottata dal sistema di contabilità nazionale dei paesi dell ONU, il Prodotto Nazionale Lordo (PNL). Il PNL valuta la ricchezza di un Paese (ad esempio l Italia) prendendo in considerazione la produzione realizzata dai cittadini di quel Paese (gli italiani), indipendentemente dal fatto che essi si trovino nel Paese o all estero (nel caso dell Italia è quindi il valore della produzione degli italiani). Nell esempio precedente, il valore di mercato dei beni del produttore italiano che ha una pasticceria in Francia viene contabilizzato sia nel PNL italiano che nel PIL francese. Si ribadisce che, bisogna valutare il PIL in un determinato arco temporale. Il metodo del valore aggiunto Secondo il metodo del valore aggiunto, il PIL è la somma dei valori aggiunti in tutti gli stadi di produzione in una economia in un dato arco temporale. Il valore aggiunto non è altro che il valore del prodotto finale meno il valore dei beni intermedi utilizzati per produrlo. Si riprenda l esempio dell allevatore di bovini che vende una mozzarella a Pizza Hut per 1 euro e che quest ultima venda la pizza prodotta a 4 euro. Nel caso della mozzarella il valore aggiunto dell allevatore è di 1 euro, supponendo che non abbia acquistato alcun bene intermedio per produrla. Il valore aggiunto di Pizza Hut è di 3 euro (4 euro-1 euro). Il valore aggiunto totale è pari a 4 euro (ossia 1 euro + 3 euro). Il metodo del reddito Il PIL è dato dalla sommatoria di tutti i redditi generati nell economia in un anno, esso include: i redditi da lavoro i redditi da capitale o profitto le imposte indirette 27

28 I redditi da lavoro sono i salari pagati ai lavoratori dipendenti; i redditi da capitale o profitto sono quelli che rimangono alle imprese dopo avere pagato i lavoratori; le imposte indirette sono quelle pagate al governo sotto forma di imposte sulle vendite. Il metodo della spesa Secondo il metodo della spesa il PIL (Y) o prodotto o reddito o offerta aggregata è dato dalla somma delle componenti consumi (C), investimenti (I), spesa pubblica (G), esportazioni (E) ed importazioni (X): Y = C+I+G+E-X (1) L espressione (1) rappresenta l equazione fondamentale dell economia. La differenza fra esportazioni ed importazioni costituisce le esportazioni nette, NX, per cui la (1) si può anche formalizzare come Y = C+I+G+NX (1.1) La sommatoria, C+I+G+NX rappresenta la spesa aggregata. Quando un economia è chiusa, ossia di tipo autarchico, le esportazioni nette sono nulle (NX=0) perciò vale la relazione: Y = C+I+G (1.2) offerta domanda aggregata aggregata La produzione o PIL, indicata con Y, rappresenta l offerta aggregata del sistema economico, il secondo membro indica la domanda aggregata. L equazione 1.2 esprime quindi l equilibrio nel mercato dei beni e servizi poiché la domanda aggregata è pari all offerta aggregata. Nella seguente tabella si riportano le componenti del PIL italiano relative al 2013 e si va poi ad analizzare nel dettaglio ciascuna componente. Tabella 4 Le componenti del PIL in Italia nel 2013, contributi % Componenti Quota Consumi 60,0% Investimenti 17,4% Spesa Pubblica 20,6% Esportazioni 30,9% Importazioni -28,9% PIL 100% Fonte: Banca d Italia, Relazione annuale,

29 I Consumi I consumi delle famiglie (C), rappresentano la spesa in beni e servizi finali, dall abbigliamento alle lezioni di tennis, effettuata sul territorio italiano. I beni e servizi consumati possono essere stati prodotti nel paese o importati. Secondo l ISTAT vengono inclusi nel calcolo dei consumi rientranti nel PIL italino i consumi dei turisti italiani in Italia, mentre sono esclusi i consumi dei turisti stranieri in Italia, che vengono registrati fra le esportazioni italiane. Il consumo è la componente più rilevante del PIL e in Italia contribuisce con il 60% alla sua formazione. Si possono individuare quattro tipologie di consumo: 1) beni durevoli, destinati ad un uso prolungato nel tempo, come ad esempio automobili, mobili, televisioni; 2) beni semidurevoli, aventi di solito una durata media superiore all anno, ma di gran lunga inferiore a quella dei beni durevoli. Appartengono a questo gruppo il vestiario e le calzature, la biancheria e gli pneumatici; 3) beni non durevoli, acquistati e consumati nel periodo di riferimento, come generi alimentari, medicinali; 4) servizi come ad esempio i servizi finanziari, le spese per alberghi e ristoranti. Le decisioni di consumo degli individui dipendono principalmente dal reddito disponibile, che si indica generalmente con Y D. Esso è il reddito al netto delle imposte, ossia il reddito che rimane dopo avere pagato le imposte T, per cui risulta in termini analitici, Y D =Y-T. È possibile assumere che la forma funzionale della relazione tra il consumo e il reddito disponibile sia lineare: C C c con C 0 0 c 1 (2) Y D dove C è, come già detto, il consumo, C è la componente autonoma dei consumi 2, Y D il reddito disponibile e c è la propensione marginale al consumo, ossia evidenzia di quanto varia il consumo in seguito ad una variazione unitaria di reddito 3. c rappresenta graficamente l inclinazione della funzione di consumo. La propensione marginale al consumo è compresa fra 0 e 1, in quanto gli individui tendono ad aumentare i propri consumi all aumentare del reddito, ma non nella stessa misura in cui il reddito aumenta. Se un soggetto guadagna un euro in più, normalmente ne consuma una parte e ne risparmia la parte restante. L equazione (2) è la funzione consumo di matrice keynesiana, ed evidenzia la relazione positiva che sussiste fra consumo e reddito disponibile, ossia al crescere di quest ultimo i consumi aumentano, e viceversa. In un piano cartesiano la funzione di consumo può essere rappresentata nel modo che segue: 2 La grandezza è detta autonoma in quanto non dipende dal reddito. 3 Oltre alla propensione marginale al consumo, vi è la propensione marginale al risparmio. Quest ultima rappresenta l'aumento del risparmio determinato da un incremento del reddito disponibile pari ad una unità di moneta (ad esempio un euro). La propensione marginale al risparmio è il complemento a 1 della propensione marginale al consumo, ossia s = 1 c dove s = propensione marginale al risparmio e c = propensione marginale al consumo. 29

30 Figura 5 La funzione di cosumo keynesiana C Funzione consumo, C C c Y d C c Y d reddito disponibile Nel piano cartesiano sull asse delle ascisse è riportato il reddito disponibile, su quello delle ordinate i consumi. Data l ipotesi di linearità, la funzione è rappresentata da una retta che ha inclinazione positiva; il segmento intercettato dalla retta sull asse delle ordinate rappresenta la componente autonoma dei consumi, inoltre la pendenza della retta dà la propensione marginale al consumo. L analisi dell andamento nel lungo periodo ( ) della relazione consumo/reddito disponibile consente di valutare l intensità dei cambiamenti verificatisi nel corso del tempo in Italia. Dal 2007 al 2013 la contrazione del reddito disponibile è stata di ampiezza pari all espansione registrata tra il 1995 e il Nello stesso periodo la flessione della spesa per consumi è stata molto meno intensa: a parità di reddito disponibile reale nel 2013 e nel 1995, nel 2013 la spesa risulta più elevata di circa l 11 per cento rispetto al Figura 6 Spesa per consumi finali e reddito disponibile lordo delle famiglie residenti, (valori in miliardi di euro costanti; deflatore dei consumi) Fonte: Istat, Conti economici nazionali,

31 Box 3. Risparmio privato e risparmio pubblico Il risparmio è l altra faccia della medaglia dei consumi. Per capire meglio la natura del risparmio è necessario distinguere fra risparmio privato e pubblico. Il risparmio privato é reddito che rimane agli individui dopo aver soddisfatto i propri bisogni di consumo e aver pagato le tasse, ossia: S privato = (Y C T) Il risparmio pubblico è la differenza trale entrate pubbliche e la spesa pubblica, in particolar se T > G avremo un avanzo pubblico (entrate maggiori delle uscite), se invece T < G avremo un deficit di bilancio (uscite maggiori delle entrate): S pubblico = (T G) Il risparmio nazionale o risparmio totale è dato dalla somma del risparmio pubblico e privato. S= S privato + S pubblico S = (Y C T) + (T G) S = (Y C G) Modo alternativo per esprimere l equilibrio nel mercato dei beni e servizi Un modo alternativo all equazione 1.2 per descrivere l equilibrio nel mercato dei beni e servizi, in un economia chiusa, è considerare gli investimenti e i risparmi di un paese. In particolare, partendo dall uguaglianza Y = C + I + G e isolando il termine investimenti, si ottiene: Y-C-G=I Se dal reddito complessivo vengono sottratte la spesa per i consumi correnti e la spesa pubblica (spesa corrente dello Stato) si ottiene il risparmio nazionale ossia S = Y C G, allora in un sistema economico in equilibrio il risparmio deve essere uguale agli investimenti: S=I L equazione 1.2, ossia Y = C+I+G e l uguaglianza S=I sono, pertanto, due modi equivalenti per formalizzare l equilibrio macroeconomico di un paese in condizioni di autarchia. Gli Investimenti La componente I, nella precedente relazione (1), rappresenta gli investimenti, questi si distinguono in: investimenti fissi delle imprese (ad esempio impianti, attrezzature e fabbricati), investimenti residenziali (ad esempio immobili abitativi) e investimenti in scorte, ossia beni rimasti invenduti. Generalmente per acquistare beni di investimento le imprese prendono denaro in prestito. Maggiore è il tasso di interesse su tali prestiti, minori sono i profitti che le imprese possono realizzare perciò minori sono i capitali destinati all acquisto di nuovi macchinari e fabbricati, e inferiore sarà la disponibilità a prendere a prestito per fare investimenti. Viceversa, in presenza di tassi di interessi più bassi le imprese saranno maggiormente disposte ad investire. 31

32 Gli investimenti e il tasso di interesse La funzione della spesa per investimenti (I) può essere espressa dalla seguente relazione: I I b i b>0 (3) dove la variabile i rappresenta il tasso di interesse, il coefficiente b misura la sensibilità degli investimenti al variare del tasso di interesse e la variabile Ī indica la spesa autonoma in investimenti, ossia quella che non dipende né dal livello del reddito né dal tasso di interesse. L equazione (3) indica che quanto minore è il tasso di interesse, tanto maggiore è l investimento; se il valore del coefficiente b è elevato, un aumento relativamente modesto del tasso di interesse provoca una riduzione notevole della spesa in investimenti. La Figura 7, rappresentazione della curva di investimento espressa dall equazione (3), indica l ammontare della spesa che le imprese programmano di destinare agli investimenti in corrispondenza di ogni livello del tasso di interesse. La curva ha pendenza negativa, a conferma che una riduzione del tasso di interesse porta le imprese a investire di più. Figura 7 La curva di domanda per investimento i, tasso di interesse nominale I, investimento Bisogna notare che il tasso di interesse può essere nominale o reale: il tasso di interesse nominale, si indica con i, include l inflazione (π); il tasso di interesse reale si indica con r ed esclude l inflazione, per cui in termini analitici quest ultimo è pari a r =i-π. L andamento del tasso di interesse in termini reali e nominali sui BOT a tre mesi in Italia è riportato in Figura 8. Il confronto rende evidente il livello di inflazione. Figura 8 Andamento dei tassi di interesse sui BOT a tre mesi. Fonte: Istat,

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