LA VALUTAZIONE DELLE RIMANENZE TRA NORMATIVA CIVILISTICA E FISCALE a cura di Sergio Pellegrino & Giovanni Valcarenghi

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1 LA VALUTAZIONE DELLE RIMANENZE TRA NORMATIVA CIVILISTICA E FISCALE a cura di Sergio Pellegrino & Giovanni Valcarenghi Per dare attuazione al principio di competenza e correlazione, la norma civilistica e quella fiscale si preoccupano di delineare il ruolo svolto dalle rimanenze di beni di fine anno e dalle prestazioni in corso di esecuzione. Infatti, a fronte dei costi di acquisto imputati a Conto economico, non si sono ancora prodotti i ricavi che derivano dalla cessione dei beni o dei servizi realizzati mediante le suddette spese. La norma di riferimento fiscale è l art. 92 del TUIR che, per comodità di analisi, si riporta di seguito: Le variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati all art. 85 co. 1 lett. a) e b), rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell esercizio. A tal fine le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell art. 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono. Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell esercizio stesso per la loro quantità. Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate a norma del co. 2, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente. Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del primo entrato, primo uscito o con varianti di quello di cui al co. 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall applicazione del metodo adottato. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei co. 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell ultimo mese dell esercizio, il valore minimo di cui al co. 1, è determinato moltiplicando l intera quantità dei beni, indipendentemente dall esercizio di formazione, per il valore normale. Per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di chiusura dell esercizio. Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello Stato patrimoniale per un valore superiore.

2 I prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell esercizio stesso, salvo quanto stabilito nell art. 93 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale. Le rimanenze finali di un esercizio nell ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell esercizio successivo. Per gli esercenti attività di commercio al minuto che valutano le rimanenze delle merci con il metodo del prezzo al dettaglio si tiene conto del valore così determinato anche in deroga alla disposizione del co. 1, a condizione che nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione del detto metodo, con riferimento all oggetto e alla struttura organizzativa dell impresa. Le rimanenze finali, quindi, si configurano come costi sospesi, in quanto assolvono alla funzione di non far concorrere alla formazione del reddito stesso i costi dei beni destinati alla vendita e per i quali alla chiusura dell esercizio, non sono stati conseguiti i correlati ricavi. Pertanto: non rientra tra le rimanenze il diritto acquistato in forza di un preliminare di acquisto, vale a dire il mero credito alla prestazione del consenso per la stipulazione del contratto definitivo, secondo quanto indicato dalla Cass n. 1531; sono da considerare beni merce i beni utilizzati a fini dimostrativi nei confronti dei clienti (es. beni destinati all esposizione negli show room). Qualsiasi bene che si presti ad essere provato dai potenziali clienti, infatti, sarebbe di per sé un bene destinato alla vendita, e come tale non potrebbe assumere la qualifica di bene strumentale (Cass n ). In generale, il contribuente può applicare uno qualsiasi dei metodi previsti per la valorizzazione del magazzino, subordinatamente alla condizione che il valore così ottenuto non sia inferiore a quello minimo fiscale, più oltre definito. In ogni caso, la regola del valore minimo non si applica: per i beni la cui valutazione viene effettuata a costi specifici: si tratta dei c.d. beni infungibili ; per l attività di commercio al minuto; per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale, regolate dal successivo art. 93 del TUIR. Il co. 1, pertanto, dispone che proprio al fine di determinare il valore minimo fiscale la prima fase necessaria è quella di raggruppare i beni in categorie omogenee (art. 92 co. 1 del TUIR): per natura: i beni devono, in relazione alle loro proprietà e caratteristiche

3 merceologiche, appartenere allo stesso genere, ancorché di diverso tipo; per valore: i beni devono avere identico contenuto economico. Secondo consolidato parere della dottrina, non sono suscettibili di aggregazione nella stessa categoria omogenea: i beni di diversa natura, sebbene abbiano identico valore unitario; i beni della stessa natura, ma di divergenti in termini di valore. L omogeneità va determinata con riferimento al momento in cui si procede al raggruppamento. Ad ogni gruppo omogeneo come sopra determinato, occorre attribuire un valore che non risulti inferiore a quello minimo ottenuto applicando i criteri definiti, in primo luogo, dai co. 2 e 3 dell art. 92 del TUIR. Detto valore minimo è rappresentato dal c.d. LIFO a scatti annuali. Per la determinazione del valore minimo (parametro di confronto), occorre distinguere tra: il primo esercizio di formazione delle rimanenze; Per l individuazione delle componenti da includere nel costo dei beni, occorre rifarsi ai criteri definiti dall art. 110 co. 1 lett. b) del TUIR. In buona sostanza, nel primo esercizio le rimanenze sono valutate al costo medio ponderato, derivante dal rapporto tra totale costo dei beni acquistati e totale quantità acquistate. Quindi, ipotizzando che siano residuati pezzi di un determinato bene alla data del , primo esercizio di attività di una società, e che: si siano acquistati pezzi durante l anno; si sia sostenuto, per tali acquisti, un costo di euro (si prescinde dal fatto, ad esempio, che alcuni acquisti siano stati effettuati a 50 euro al pezzo, altri a 40 ed altri a 60); la valutazione dovrà avvenire come segue: costo medio ponderato 2010 : : = 50 valore rimanenze : = Negli esercizi successivi al primo, invece, occorre distinguere le ipotesi rappresentate in tabella: gli esercizi successivi. Nel primo esercizio, la valutazione delle rimanenze avviene con l attribuzione, ad ogni categoria di beni, di un valore determinato dal rapporto fra il costo complessivo dei beni della stessa categoria e la loro quantità.

4 Quantità invariate rispetto al precedente esercizio Quantità incrementate rispetto al precedente esercizio Quantità diminuite rispetto al precedente esercizio Si mantiene il medesimo costo medio ponderato dell anno precedente Quantità pari al precedente esercizio Si valuta con lo stesso costo medio ponderato Quantità eccedente rispetto al precedente esercizio Si valuta con il costo medio ponderato dell anno, con il medesimo procedimento di cui sopra Secondo esercizio di attività Si considerano venduti tutti i prodotti acquistati nell anno, e la valutazione delle rimanenze va fatta con il costo medio ponderato dell anno precedente Esercizi dal terzo in avanti Considerano venduti tutti i prodotti acquistati nell anno e, a scalare, quelli degli esercizi più recenti In alternativa al LIFO a scatti annuale, se le imprese adottano uno dei seguenti criteri per la predisposizione del bilancio d esercizio, lo stesso assume rilievo anche ai fini fiscali (art. 92 c. 4 del TUIR): costo medio ponderato; FIFO; varianti del LIFO a scatti annuali (es. LIFO continuo). In pratica, si crea una perfetta coincidenza tra i criteri adottati ai fini civilistici e quelli assunti ai fini fiscali. Qualora, ai fini civilistici, le imprese non adottino alcuno dei suddetti criteri, ai fini fiscali il valore delle rimanenze non potrà risultare inferiore a quello ottenuto tramite il LIFO a scatti annuali. Detto principio continua altresì ad operare nei confronti delle imprese minori, le quali non sono riconducibili nell ambito soggettivo di applicazione dell art. 92 co. 4 del TUIR, atteso che questo fa espresso riferimento alle imprese che valutano in bilancio. Pertanto, nell ipotesi in cui l adozione di un metodo diverso da quelli fiscalmente riconosciuti porti al conseguimento di un valore inferiore a quello ottenibile con il LIFO a scatti annuali, occorrerà apportare un apposita variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi. Il rispetto del principio del valore minimo implica che l impresa sia tenuta all attivazione di un apposito prospetto recante la valutazione secondo il metodo LIFO a scatti, per consentire agli organi dell Amministrazione finanziaria di verificare l esistenza della condizione cui la scelta stessa è subordinata. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni è superiore al valore normale medio di essi nell ultimo mese dell esercizio, il suddetto valore minimo viene determinato, ai sensi dell art. 92 co. 5 del TUIR, come rapporto tra la quantità dei beni esistenti a

5 rimanenza ed il valore normale medio dell ultimo mese dell esercizio. Per quanto riguarda la disciplina civilistica, la norma di riferimento è rappresentata dall art c.c., che detta i criteri di valutazione delle poste di bilancio, mentre, a livello di prassi contabile nazionale, si occupa di questa tematica il principio contabile OIC n. 13. Le rimanenze di magazzino sono costi imputabili a beni ancora in giacenza che si rinviano all esercizio successivo in quanto verranno recuperati tramite i ricavi di futuri periodi. Si tratta di beni che, a differenza dei cespiti, non sono soggetti a un utilizzo che ne comporti il deperimento o il consumo, in quanto restano nella loro condizione originaria in attesa di essere realizzati con la vendita ovvero impiegati nella produzione. La valutazione delle rimanenze deve essere effettuata sulla base di quanto previsto dall art n. 9 c.c., ai sensi del quale devono essere iscritte in bilancio al costo di acquisto o produzione, ovvero al valore di realizzazione desumibile dall andamento del mercato. L OIC n. 13 stabilisce esplicitamente che le rimanenze di magazzino vanno valutate al minore tra il costo storico e il valore di mercato, in considerazione del fatto che, quando l utilità o la funzionalità originaria misurata dal valore (costo) originario si riduce, si rende necessario modificare tale importo facendo ricorso al valore di mercato. Il principio contabile definisce il costo storico come il complesso dei costi sostenuti per ottenere la proprietà delle rimanenze di magazzino nel loro attuale sito e condizione ; a seconda del fatto che i beni siano acquistati da economie terze o prodotti internamente, il costo storico sarà costituito dal costo di acquisto o produzione. Determinare il costo di acquisto è generalmente semplice, in quanto è sufficiente fare riferimento al corrispettivo indicato nella fattura del fornitore, maggiorato degli eventuali oneri accessori; più delicata è invece la quantificazione del costo di produzione, che deve essere determinato tenendo conto dei costi diretti sostenuti e di quelli indiretti per la quota ragionevolmente imputabile, mentre non potranno mai essere computate le spese generali ed amministrative, i costi di distribuzione, le spese di ricerca e gli oneri finanziari. Per i beni infungibili, ovverosia per quei beni che non possono essere sostituiti con beni di caratteristiche perfettamente analoghe, ma hanno invece una loro specificità che li rende unici, la valorizzazione deve essere necessariamente fatta con il metodo dei costi specifici, ossia identificando i singoli beni acquistati o prodotti ed i relativi costi. L art n. 10 c.c. individua, invece, per i beni fungibili configurazioni di costo alternative, vale a dire:

6 il metodo FIFO (first in, first out): le quantità acquistate o prodotte in epoca più remota sono le prime a essere vendute o utilizzate in produzione, di modo che restano in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più recenti; il metodo LIFO (last in, first out): le quantità acquistate o prodotte più recentemente sono le prime a essere vendute o utilizzate in produzione, di modo che restano in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più remote; il metodo del costo medio ponderato, che considera le unità di un bene acquistato o prodotto a date diverse e a diversi costi come facenti parte di un insieme, in cui i singoli acquisti e le singole produzioni non sono più identificabili, ma sono tutti ugualmente disponibili. Di fronte a magazzini costituiti da beni fungibili, il legislatore civilistico consente quindi al redattore del bilancio di utilizzare, in luogo del costo specifico, che sarebbe impossibile da applicare in modo economicamente sostenibile, dei criteri convenzionali che si basano su una presunzione sull andamento dei flussi di magazzino. Una volta identificata la configurazione di costo, è necessario procedere al confronto con il valore di mercato. L art n. 9 c.c. impone, infatti, il confronto fra costo e valore di realizzazione desumibile dall andamento di mercato: se questo è inferiore al costo, vi è l obbligo, e non la facoltà, di iscrivere le rimanenze di magazzino a tale minore valore. Il confronto tra costo e valore di mercato ha la funzione di eliminare quei costi di magazzino che si prevede non possano essere recuperati in futuro: quindi, nei casi in cui l utilità, la funzionalità originaria o il prezzo del magazzino subiscano una riduzione significativa, è obbligatorio procedere all adeguamento del valore delle rimanenze con quello desunto dall andamento del mercato. La logica che impone la svalutazione delle rimanenze è quindi quella di anticipare un futuro evento negativo, desumibile da circostanze che si sono già verificate, come la riduzione del valore di mercato o il deperimento dei beni, anche se l evento si concretizzerà soltanto con il loro realizzo o utilizzo produttivo. Da un punto di vista contabile, il processo di adeguamento del valore delle rimanenze viene attuato nel seguente modo: nello Stato patrimoniale viene esposto il valore delle rimanenze: se il valore di realizzazione desumibile

7 dall andamento di mercato è inferiore al costo, allora in bilancio andrà iscritto il primo valore; nel Conto economico risulterà la variazione tra il valore all apertura dell esercizio e il valore calcolato alla data di chiusura dell esercizio stesso; in Nota integrativa vi è l obbligo di evidenziare la svalutazione effettuata, nonché, se significativo, il relativo ammontare. Nel rispetto dei postulati della correttezza e della verità del bilancio, qualora negli esercizi successivi non vi siano più le condizioni per mantenere il minor valore, vi è l obbligo di ripristinare in bilancio il valore di costo, accreditando a Conto economico il maggior valore originatosi e fornendo le opportune informazioni nella Nota integrativa, così come fatto in precedenza per la rilevazione della perdita di valore. Il ripristino comporta, all atto pratico, un confronto tra il valore di mercato del bene e il suo costo originario; le rimanenze sono valutate al nuovo valore di mercato se quest ultimo risulta ancora inferiore al costo originario. La disciplina fiscale delle rimanenze di magazzino è dettata dall art. 92 del TUIR, il quale dispone che le variazioni delle rimanenze finali rispetto alle esistenze iniziali concorrono a formare il reddito dell esercizio. A tal fine, le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell art. 93 del TUIR, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello che si ottiene: a) dall applicazione del LIFO a scatti annuale; b) dall applicazione del costo medio ponderato, del FIFO o di varianti del LIFO a scatti, se uno di tali metodi è utilizzato in bilancio per valutare le rimanenze. I beni non fungibili sono quindi necessariamente valutati a costo specifico, mentre quelli fungibili vanno raggruppati in categorie omogenee e valutati sulla base dei metodi convenzionali. Le categorie devono essere omogenee per natura e per valore e la loro individuazione non può che essere fatta caso per caso, tenendo conto anche di quelle che sono le caratteristiche dell impresa. Vi è quindi una sostanziale coincidenza tra i criteri civilistici e quelli fiscali nella valutazione delle rimanenze effettuata per i beni fungibili: l impresa che adotta nel proprio bilancio uno fra i criteri ammessi dall art n. 10 c.c., ossia LIFO, FIFO o costo medio ponderato, vede riconosciuto quel valore anche da un punto di vista fiscale.

8 Con il co. 5 dell art. 92 il legislatore si preoccupa, invece, di inserire un paletto per la deduzione delle svalutazioni del magazzino. Affinché la perdita di valore rilevata da un punto di vista civilistico, sulla base del confronto con il valore di mercato, possa concorrere a formare come componente negativo il reddito d impresa, la norma impone il confronto con il valore normale. Dispone infatti il co. 5 che, se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato con uno dei criteri ammessi, è superiore al valore normale medio di essi nell ultimo mese dell esercizio, il valore minimo è determinato moltiplicando l intera quantità dei beni, indipendentemente dall esercizio di formazione, per il valore normale. Per valore normale dei beni si intende quello determinato ai sensi dell art. 9 co. 3 del TUIR, vale a dire il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza, alle mercuriali ed ai listini delle Camere di commercio ed alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d uso. Il co. 5 conclude poi affermando che il minor valore attribuito alle rimanenze vale anche per gli esercizi successivi, sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello Stato patrimoniale per un valore superiore, ossia si sia proceduto, da un punto di vista civilistico, al ripristino di valore. Mentre la normativa civilistica impone alle imprese di valutare le rimanenze al minore tra il costo storico e il valore di realizzazione desumibile dall andamento del mercato, obbligandole quindi ad effettuare una svalutazione qualora ne ricorrano le condizioni, la normativa fiscale consente, ma non impone, di recepire il minor valore anche da un punto di vista fiscale: affinché la variazione sia deducibile non è però sufficiente il confronto con un generico valore di mercato, ma è necessario che la perdita di valore sia dimostrabile e non sia occasionale, tant è che il termine di paragone diviene il valore normale medio dell ultimo mese, cioè di un periodo ben definito e, nel contempo, significativo. Nel momento in cui un impresa adegua il valore del magazzino, valutato con uno fra il metodo LIFO, FIFO o costo medio ponderato, al valore di realizzazione desumibile dall andamento di mercato, sta modificando o meno i criteri di valutazione adottati?

9 Se così è, come è capitato di vedere sostenuto dall Amministrazione finanziaria in alcune verifiche fiscali, tale variazione va comunicata all Agenzia delle Entrate, come prescritto dall art. 110 co. 6 del TUIR? E quali sono le conseguenze se ciò non avviene? Per dare risposta a queste domande risulta necessario analizzare cosa stabilisce in merito il principio contabile OIC n. 29, che tratta la tematica dei cambiamenti di principi contabili. Il documento mette in evidenza come il codice civile preveda che i criteri di valutazione non possano essere modificati da un esercizio all altro, se non in casi eccezionali. In queste fattispecie, è fatto obbligo agli amministratori di motivare in Nota integrativa la deroga al principio generale e l eventuale influenza in bilancio, e questo sulla base del principio della rappresentazione corretta stabilito dall art c.c. e per consentire, in relazione a due o più esercizi, la comparabilità dei bilanci. In particolare, l art bis co. 1 n. 6, dispone che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all altro. Lo stesso articolo, al co. 2 stabilisce che deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico. Il documento OIC n. 29 definisce il cambiamento dei principi contabili adottati nella redazione del bilancio nel seguente modo: Un cambiamento di principio contabile è rappresentato da una o più variazioni rispetto ai principi contabili adottati nel precedente esercizio. Per principi contabili si intendono quei principi, ivi inclusi i criteri, le procedure ed i metodi di applicazione, che stabiliscono i criteri di individuazione dei fatti da registrare, le modalità di contabilizzazione degli eventi di gestione, i criteri di valutazione e quelli di esposizione dei valori in bilancio. Un cambiamento di principio contabile è ammesso solo se validamente motivato e se effettuato per una migliore rappresentazione in bilancio dei fatti e delle operazioni dell impresa. Appare del tutto evidente che si ha cambiamento di principio contabile quando l impresa adotta, fra possibili scelte alternative, un criterio differente rispetto a quello sino a quel momento utilizzato per la rappresentazione in bilancio di una determinata posta. Parlando di criteri di valutazione del magazzino, si verifica quindi la modifica dei criteri di valutazione se l impresa passa, ad esempio, dal metodo del costo medio ponderato al LIFO, o viceversa, modificando la propria scelta fra una serie di alternative percorribili.

10 Al riguardo, non a caso, l OIC n. 29 fa un esempio di questo tipo a pagina 7 del documento, esemplificando la fattispecie della modifica del criterio di valutazione delle rimanenze di magazzino, definita come il caso di modifica che più di frequente si incontra nella pratica. L esempio proposto è quello della società che ha sempre valutato in passato le rimanenze con il metodo LIFO e che a fine esercizio passa al metodo FIFO: in una situazione di questo tipo, avendo l impresa abbandonato un criterio di valutazione a beneficio di un altro, risultando entrambi ammessi e accettabili, deve motivare in Nota integrativa le ragioni della scelta e indicare l effetto sul risultato d esercizio qualora si fosse continuato ad applicare il vecchio criterio; è opportuno poi che evidenzi in un apposita situazione economicopatrimoniale sintetica pro-forma il risultato e la struttura patrimoniale sia dell esercizio al quale fa riferimento il bilancio, sia di quello precedente, qualora il nuovo criterio contabile fosse stato costantemente applicato nel tempo. Non può essere invece considerato in alcun modo modifica del criterio di valutazione l adeguamento del valore del magazzino, valutato con uno fra LIFO, FIFO o costo medio ponderato, al valore di realizzazione desumibile dall andamento di mercato: in un caso del genere, non si è cambiato infatti criterio di valutazione, scegliendone uno alternativo, ma si è ottemperato all obbligo civilistico di svalutare il magazzino se questo è sopravvalutato, evitando, in ossequio al principio di prudenza che governa la redazione del bilancio, il fatto che la perdita di valore sia differita nel tempo (ossia al momento di utilizzo o realizzo dei beni) e che la società esponga un patrimonio sovrastimato. Chiare sono le indicazioni in tal senso che si ricavano dal documento OIC n. 13: La valutazione del magazzino al minore tra costo e mercato deve avvenire utilizzando sempre gli stessi metodi, cioè con uniformità di criterio. L uniformità di metodo nella valutazione del magazzino è condizione essenziale per la corretta determinazione dei risultati dell esercizio. Le rimanenze finali si valutano con gli stessi metodi delle rimanenze iniziali. Nei casi eccezionali in cui si cambi il metodo di applicazione del principio del minore tra costo e mercato (ad esempio cambiamento del metodo di costo da FIFO a LIFO) si deve determinare l effetto di tale cambiamento. La rettifica che si origina dal cambiamento, se significativa, deve essere appropriatamente contabilizzata ed evidenziata in bilancio insieme al fatto del cambiamento. In una fattispecie di questo tipo, non siamo quindi di fronte a un cambiamento dei criteri di valutazione adottati dall impresa, quanto piuttosto a un cambiamento di stima, come evidenziato dal principio OIC n. 29. Afferma al riguardo il documento: Il processo di formazione del bilancio (d esercizio,

11 consolidato, intermedio di periodo) è, essenzialmente, un processo di stima. Nessun elemento patrimoniale, tranne il denaro in cassa in valuta di conto, è esente da stime. Le stime possono riguardare le caratteristiche di elementi presenti alla data di bilancio, oppure l evolversi di eventi futuri che potrebbero influenzare il valore da assegnare ad una determinata voce di bilancio. Della prima categoria può, per esempio, far parte l incidenza di spese che concorrono alla formazione del costo d acquisto di un bene, oppure la determinazione di una quota parte di costi indiretti da allocare al costo finale di un prodotto. Nella seconda categoria si possono includere il valore di futuro realizzo di un credito o di un prodotto in magazzino, la vita utile futura di un impianto produttivo o di un bene immateriale. E poi ancora: Cambiamenti di stima sono una necessaria conseguenza della periodica preparazione dei bilanci, in particolare modo in tutti quei casi in cui le stime dipendono dall evolversi di eventi futuri. L acquisizione di maggiori o ulteriori informazioni o di accresciuta esperienza in merito a presupposti o fatti sui quali era fondata la stima originaria necessariamente conducono ad un aggiornamento della stima stessa, con conseguenti rettifiche ai valori precedenti e/o al processo di stima. Per tutto quanto sopra esposto, tali rettifiche rientrano nel normale procedimento di formazione di stima e non costituiscono correzioni di precedenti errori (trattati nella sezione C di questo documento) e neppure comportano l evidenza di elementi straordinari di reddito. Non vi è quindi modifica dei criteri di valutazione del magazzino e non deve essere effettuata alcuna comunicazione all Agenzia delle Entrate. Va comunque messo in evidenza come l omessa comunicazione prescritta dall art. 110 co. 6 del TUIR sia interpretata spesso in modo estensivo, e non corretto, dai verificatori. La norma sancisce l obbligo in capo ai contribuenti di comunicare i mutamenti dei criteri di valutazione, ma non afferma affatto che, in mancanza, le risultanze della valutazione effettuata vadano disconosciute da parte dell Amministrazione finanziaria. L attuale impostazione della norma è sostanzialmente diversa rispetto a quella vigente prima dell introduzione del TUIR: in precedenza, infatti, la comunicazione aveva effetto dal periodo di imposta successivo e solo in caso di silenzio-assenso da parte dell ufficio al quale era attribuito un potere di divieto. La finalità della disposizione è invece ora quella di segnalare preventivamente all Agenzia modifiche nei criteri di valutazione, onde consentirle di valutare l opportunità di effettuare un eventuale verifica di quanto fatto da parte del contribuente, e quindi gli uffici non hanno alcun potere di divieto in merito. Va detto che probabilmente la norma aveva una diversa portata (e logica) quando le dichiarazioni erano presentate in forma

12 cartacea (e con tutti i documenti allegati) e non vi erano le formidabili possibilità di acquisizione di dati che oggi l Amministrazione ha a propria disposizione. Se, per ipotesi, la comunicazione fosse comunque effettivamente dovuta, la sua omissione non legittimerebbe in ogni caso l Amministrazione a disconoscere la modifica del criterio di valutazione, ma, al più, potrebbe essere considerata un infrazione di carattere formale. Ma, come detto, in questi casi nessuna comunicazione va fatta, non essendovi alcuna modifica dei criteri di valutazione. Come abbiamo evidenziato in precedenza, il co. 5 dell art. 92 del TUIR prevede che la svalutazione del magazzino possa essere dedotta se il valore unitario medio dei beni determinato con i criteri applicabili ai beni fungibili, ossia LIFO, FIFO e costo medio ponderato, è superiore al valore normale medio nell ultimo mese dell esercizio. La norma fa ricorso al concetto di valore normale e ha un riferimento temporale ben preciso, l ultimo mese dell esercizio: sembra quindi che, rispetto alla previsione civilistica, l obiettivo del legislatore sia quello di consentire la deduzione della svalutazione, nel caso in cui le rimanenze siano rilevate con uno dei criteri convenzionali (e quindi, si è detto, approssimativi), soltanto se ancorata a una perdita di valore monitorata per un periodo sufficientemente lungo, identificato appunto nell ultimo mese dell esercizio. La disposizione del co. 5 nulla dice, invece, in relazione alle rimanenze valutate a costo specifico. A differenza dei metodi forfetari, il metodo a costi specifici valorizza con precisione il singolo bene giacente in magazzino e viene ad essere applicato nel momento in cui le rimanenze sono formate da beni infungibili. Sarebbe del tutto illogico, come in qualche caso fa l Amministrazione finanziaria, ritenere che chi applica il costo specifico, e quindi utilizza una modalità di valutazione delle rimanenze puntuale, non possa dedurre la svalutazione che è obbligato a fare da un punto di vista civilistico, e questo unicamente sulla base della considerazione che il co. 5 fa riferimento soltanto alle svalutazioni per chi applica i metodi convenzionali. In realtà, tutto l art. 92 è incentrato unicamente sulla valutazione fiscale delle rimanenze da parte di chi applica questi metodi e non il costo specifico, tant è che il co. 1 stabilisce che le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell art. 93, sono assunte per una valore non inferiore. Non prevedendo nulla la norma in relazione ai beni valutati a costo specifico, l unica conseguenza logica è che valga quanto fatto in bilancio, di modo che, se l impresa ha legittimamente svalutato civilisticamente,

13 questa svalutazione sarà deducibile anche da un punto di vista fiscale in ossequio al principio di derivazione del reddito d impresa dal bilancio civilistico, che impone che, per determinare il primo, vadano apportate alle risultanze del Conto economico le modifiche previste dalle norme del TUIR. Non essendovi quindi una disposizione che regolamenta la deduzione delle svalutazioni operate sulle rimanenze valutate a costo specifico, nessuna variazione deve essere operata in dichiarazione dei redditi e quindi la svalutazione deve essere, giocoforza, considerata fiscalmente rilevante. In questo senso si esprime anche la norma di comportamento ADC n. 168 del giugno 2007, che afferma che il mancato richiamo, nell ambito dell art. 92, comma 5, primo periodo, del D.P.R. n. 917/86, ai beni valutati a costo specifico secondo il disposto del primo comma del medesimo articolo, non preclude che, ai fini della valutazione al termine dell esercizio, il loro valore debba essere comunque confrontato con il valore normale di ciascuno di essi, per tale intendendo il valore ad essi oggettivamente attribuibile, secondo la previsione dell art. 9 del Testo Unico, applicando, in sede di determinazione del reddito, ai sensi dell art. 83 del D.P.R. n. 917/1986, il minore fra i due importi, secondo il principio stabilito dall art. 2426, n. 9, cod. civ.. Per consentire la deduzione della svalutazione del magazzino, il co. 5 dell art. 92 fa riferimento unicamente alla perdita di valore derivante dal confronto con il mercato. Vi possono essere però situazioni nelle quali i beni merce presentano problematiche tali da limitarne, ma non escluderne, l utilizzo, quali ad esempio la presenza di difetti tecnici, l obsolescenza o ancora l esistenza di restrizioni alla vendita. In casi come questi, il valore delle rimanenze deve essere senz altro svalutato in bilancio, risultando il valore di realizzo ridotto, e il problema che si pone è quello di stabilire se questa svalutazione sia deducibile o meno dal punto di vista fiscale. Il dato letterale della norma osterebbe a una conclusione di questo tipo, tenendo conto del fatto che il mercato non ha, in queste fattispecie, segnalato una riduzione dei prezzi, non avendo il valore normale medio dell ultimo mese conosciuto una contrazione. Si deve ritenere però che la svalutazione sia da considerarsi deducibile, in quanto il riferimento al valore normale può ritenersi valido soltanto nel caso di beni che siano liberamente commerciabili ed a prezzi medi, e non quando queste condizioni non sussistono, ad esempio proprio perché i beni sono deperiti o scaduti. Nel caso in cui il valore dei beni sia diventato trascurabile, bisognerà procedere alla loro distruzione per dedurre il valore fiscalmente riconosciuto; fintantoché ciò non avviene, e una seppur limitata utilizzabilità permane, appare

14 ragionevole consentire la deduzione della perdita di valore che si è manifestata. I beni in corso di produzione e i servizi in corso di esecuzione a fine esercizio sono valutati in base ai costi sostenuti, a meno che non rientrino tra le forniture ultrannuali (art. 92 co. 6 del TUIR). In particolare, a fine esercizio, l impresa deve individuare: i beni e i servizi in corso di esecuzione; l eventuale contratto di fornitura; la relativa durata ultra/infrannuale. La relativa valutazione verrà effettuata: se si tratta di opere, forniture o servizi pattuiti con oggetto unitario e con durata ultrannuale: in base all art. 93 del TUIR; se si tratta di altri beni o servizi: in base ai costi sostenuti nell esercizio. Il riferimento dell art. 92 co. 6 del TUIR alle spese sostenute implica l adozione del criterio a costi specifici, come chiarito dalla C.M n. 40/9/4056. Nel citato documento di prassi viene altresì ribadito che, per i beni la cui valutazione è effettuata a costi specifici, le scritture ausiliarie di magazzino (ove tenute) sono costituite da schede di lavorazione, dalle quali devono risultare i costi specificatamente imputabili (art. 14 co. 1 del DPR 600/73). Le rimanenze finali di un esercizio, nell ammontare dichiarato dal contribuente, costituiscono le esistenze iniziali dell esercizio successivo (art. 92 co. 7 del TUIR). La disposizione va letta congiuntamente all art. 110 co. 8 del TUIR, in base al quale, se in un esercizio l ufficio rettifica in aumento una valutazione compiuta dal contribuente, il nuovo valore deve essere riconosciuto anche negli esercizi successivi. L ufficio tiene conto direttamente delle rettifiche operate e deve procedere a rettificare le valutazioni relative anche agli esercizi successivi. Il principio di continuità agli effetti fiscali dei valori degli elementi del patrimonio dell impresa attribuisce al contribuente il diritto a vedersi riconosciuti gli effetti (in positivo), sugli esercizi successivi, delle rettifiche in aumento operate dagli uffici. In questo modo, si evita che l Amministrazione finanziaria rettifichi solo gli esercizi con riguardo ai quali siano effettuabili riprese di magazzino, obbligando anche la rettifica delle dichiarazioni relative ai successivi esercizi nell ipotesi in cui i maggiori redditi accertati in un esercizio determinino, per la continuità fiscale dei bilanci, maggiori costi per quelli successivi. Gli esercenti attività di commercio al minuto possono valutare le rimanenze con il c.d. metodo del prezzo al dettaglio (art. 92 co. 8 del TUIR).

15 La norma prevede che nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione del detto metodo, con riferimento all oggetto e alla struttura organizzativa dell impresa. Dal momento che non è più possibile allegare prospetti alla dichiarazione dei redditi, si ritiene che tali criteri debbano essere illustrati all Amministrazione finanziaria in caso di richiesta. Ai fini dell applicazione del metodo in esame, occorre operare nel modo seguente (C.M n. 23 prot. 9/786): il carico di magazzino va rilevato sia al prezzo di costo, sia al prezzo di vendita; inoltre, occorre rilevare sia le rivalutazioni, sia le svalutazioni delle merci in giacenza, conseguenti ad aumenti o diminuzioni dei prezzi di vendita intervenuti nel periodo; la differenza tra il valore di vendita della merce trattata ed il relativo costo costituisce il ricarico che viene espresso in percentuale del valore ai prezzi di vendita: [(valore di vendita costo): valore di vendita] 100 il complemento a 100 di tale percentuale rappresenta il costo di acquisto delle merci; il valore delle rimanenze viene determinato sottraendo dal totale delle merci disponibili, espresse ai prezzi di vendita, l ammontare dei ricavi; l importo che ne risulta, espresso ai prezzi di vendita, va riportato al prezzo di costo moltiplicandolo per il suddetto complemento a 100 della percentuale di ricarico; ai fini delle registrazioni di magazzino i movimenti di carico e scarico delle merci vanno registrati per gruppi sufficientemente omogenei (reparti, sezioni o simili, costituiti da beni affini sotto il profilo commerciale) e per ciascun gruppo l azienda deve riportare il valore di vendita al valore di costo, riducendo il primo in base alla percentuale corrispondente al margine lordo. Nel caso di valutazione col metodo del prezzo al dettaglio, le rimanenze sono già valutate al minor valore tra costo e valore di mercato. Pertanto, non trovano applicazione le disposizioni relative: al valore minimo fiscale; alla possibilità di svalutazione in base al valore normale.

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